I DOVERI E LE SCELTE DI GESTIONE DELLA CRISI NELL’AMBITO DELLA DIREZIONE UNITARIA
2. I doveri della capogruppo a fronte dell’emersione della crisi: lineamenti general
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Cfr. STANGHELLINI, Finanziamenti-ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, in Fallimento, 2010, 12, 1347. Vero è che l’art. 2, comma 1, c.p.p.,
attribuisce al giudice penale la cognizione su “ogni questione da cui dipende la decisione”. Questo sembrerebbe consentire una completa nuova valutazione, sia pur con prognosi postuma, del ricorrere di tutti i presupposti della fattispecie incriminatrice, ma la conclusione secondo cui l’accordo omologato sarebbe più “resistente” del piano attestato sembrerebbe verosimile (in questo senso le Linee guida per il finanziamento alle imprese
in crisi, cit.).
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In tal senso TOMBARI, Crisi di impresa e doveri di “corretta gestione
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Il tentativo di ricostruire i doveri degli organi gestori nell’ambito dei gruppi di società non può quindi prescindere dai recenti interventi legislativi tesi ad accordare all’impresa una sfera di protezione che assicuri la continuazione della stessa, rafforzando gli spazi di composizione negoziale della crisi e di risanamento. Si tratta, invero, di procedure la cui iniziativa è rimessa alla volontà della società e proprio quest’ultima, insieme all’estensione del presupposto oggettivo delle stesse, come sostenuto in dottrina, conferma la suddetta interpretazione del “principio di corretta gestione imprenditoriale”, secondo la quale l’imprenditore non può proseguire passivamente l’esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, quindi a danno dei creditori attuali e potenziali, ma ha il dovere di comportarsi secondo uno standard di gestione corretta, sia nella prospettiva di una protezione delle società eterodirette e dei loro creditori, sia ai fini di una più efficace tutela dei soci della stessa holding, il cui patrimonio è costituito in misura preponderante dal valore delle partecipate153.
Per fronteggiare la crisi d’impresa, in ottemperanza ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e, più in generale, del principio di ragionevolezza delle scelte gestionali in cui si concretizza l’attività di direzione e coordinamento, gli organi gestori delle società appartenenti al gruppo e, di riflesso, gli organi gestori della società capogruppo, secondo il loro prudente apprezzamento, potranno optare per l’adozione di uno degli strumenti offerti dal nostro legislatore.
Diverse, poi, possono essere le cause della crisi d’impresa, così come diversa può essere la gravità di ciascuna crisi e le relative possibilità
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Crf. MAZZONI, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa
priva della prospettiva di continuità aziendale, cit., 839; ABRIANI, Le responsabilità nelle
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di superamento e talvolta può accadere che i comportamenti dei gestori e le loro scelte imprenditoriali concorrano a cagionare o ad aggravare la situazione di crisi.
La perdita di capitale sociale, per esempio, rappresenta un’espressione della crisi, che si riferisce in prima battuta all’investimento dei soci e quindi al loro interesse a intervenire su detta crisi per superarla, ovvero a disinvestire collettivamente sciogliendo la società. Invero, se la perdita è superiore al terzo del capitale sociale ed è, inoltre, intaccato il minimo legale, ai sensi degli artt. 2447 e 2482 ter cod. civ., non solo la riduzione del capitale è obbligatoria, ma deve essere accompagnata da un contestuale aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, salvo che non si voglia procedere con la trasformazione in società di tipo diverso senza necessità di operare sul capitale.
Ciò determina, quindi, l’insorgere di determinati obblighi, anche in capo alla società capogruppo nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, di conservazione del capitale sociale e conseguenti responsabilità degli amministratori, anche nel caso in cui i soci, ovvero, ai fini della nostra indagine, la società capogruppo in quanto si tratta di una decisione rientrante nell’attività di direzione e coordinamento, “non prendano atto” dell’avvenuto scioglimento e non provvedano alla messa in liquidazione della società. Posto che la riduzione al di sotto del minimo legale costituisce una causa di scioglimento della società, ai sensi dell’art. 2484, comma 1, n. 4, cod. civ.. Peraltro, si ritiene che al sussistere dei suddetti presupposti la società versi automaticamente in stato di scioglimento, il quale viene meno qualora si verifichi la condizione risolutiva di tale stato di scioglimento, rappresentata dalla
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ricostituzione del capitale sociale154, mentre, secondo un altro orientamento, la società si scioglie ed entra in liquidazione se non assume i provvedimenti ex art. 2447 cod. civ. e art. 2482 ter cod. civ. e, quindi, lo scioglimento sarebbe, in questo caso, sottoposto invece alla condizione sospensiva della loro mancata adozione155.
Gli amministratori, invero, hanno l’obbligo di accertare “senza indugio” il verificarsi di una causa di scioglimento, ai sensi dell’art. 2485 cod. civ., nonché l’obbligo, ai sensi dell’art. 2486 cod. civ., di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale e, dal combinato disposto di queste norme sembra conseguirne una illegittimità del perseguimento dell’attività d’impresa, se non, appunto, per finalità meramente conservative e, quindi, una responsabilità per aver tenuto un comportamento non coerente con il manifestarsi dei sintomi di crisi e abbia, quindi, concorso ad aggravare il danno156.
Nell’ambito dell’attività di direzione e coordinamento, si deve ritenere che gli obblighi conservativi che incombono ex lege sugli organi di gestione al verificarsi delle suddette situazioni di perdita del capitale sociale della società del gruppo si riflettono automaticamente sugli organi di governo della società capogruppo, la quale ha, in forza dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, il dovere di intervenire, adottando le soluzioni ritenute più opportune per porre riparo alle
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Cfr. Comitato Triveneto dei Notai, massima H.G. 8, Sottoscrizione della
ricostituzione del capitale sociale ridotto per perdite; v. anche BUSANI, Atti degli
amministratori, Massimario delle operazioni societarie, cit., “Ricostituzione del capitale come condizione risolutiva dello scioglimento”.
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v. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, cit., 520. 156
Cfr. RORDORF, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di
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situazioni di squilibrio finanziario, anche, eventualmente mediante una tempestiva delibera di scioglimento volontario della società.
2.3 (Segue) L’alternativa tra ricapitalizzare e liquidare quale applicazione del principio di corretta gestione imprenditoriale
Ferma la possibilità di ricapitalizzare o di liquidare, quale risposta alla crisi prima che la società necessiti di una “ristrutturazione dell’esposizione debitoria”157, in presenza di una crisi o dell’insolvenza,
salvo i casi di insolvenza irreversibile, la normativa societaria si intreccia con quella fallimentare, in quanto agli obblighi di porre in essere le operazioni straordinarie sul capitale, ovvero di mettere in liquidazione la società, si aggiunge, in capo agli organi gestori, quello di valutare la procedura concorsuale da adottare per la risoluzione della crisi.
Come noto, l’art. 182 sexies l. fall., introdotto con l. 7 agosto 2012, n. 134, ha previsto un’ipotesi di sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione previsti dalla normativa in materia di società per azioni e a responsabilità limitata, prevedendo, altresì, l’inoperatività della relativa causa di scioglimento prevista per la riduzione del capitale al di sotto del limite minimo legale dall’art. 2484, comma 1, n.4, cod. civ., e quella prevista per la perdita del capitale nelle cooperative, ai sensi dell’art. 2545
duodecies cod. civ.. Tale sospensione opera quando gli amministratori
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BOZZA, Diligenza e responsabilità degli amministratori di società in crisi, in
Fallimento, 10, 2014, 1104, secondo il quale l’obbligo della conservazione dell’integrità
del patrimonio sociale è posto anche nell’interesse dei soci, perché esso è una specificazione del più generale obbligo di diligenza. Ma man mano che la situazione di crisi si aggrava viene meno questa coincidenza tra interesse dei soci e dei creditori, in quanto gli interessi di quest’ultimi sono rivolti essenzialmente alla conservazione del patrimonio residuo in quanto tendenzialmente più esposti alle conseguenze negative derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa.
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depositano una domanda di concordato preventivo ai sensi dell’art. 160 ss. l. fall., una domanda per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182 bis, comma 1, l. fall., ovvero della proposta di accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182 bis, comma 6, l. fall. Si tratta, più precisamente, come ritenuto da un recente orientamento, della presentazione di c.d. “domande protettive”, che non sospende l’obbligo degli amministratori di convocare l’assemblea “senza indugio” al verificarsi della perdita del capitale sociale, né “crea alcuna area di irresponsabilità per gli amministratori, che continuano a rispondere della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”158
.
Le stesse Linee guida per il finanziamento alle imprese in crisi precisano che il deposito da parte dell’organo di gestione della domanda di concordato preventivo, ovvero dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, fermo restando l’obbligo di tempestiva convocazione dell’assemblea entro
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Cfr. sul punto Consiglio Notarile di Firenze, Orientamento n. 31/2013, Crisi
d’impresa e disciplina degli obblighi di mantenimento del patrimonio netto, in www.consiglionotarilefirenze.it, il quale precisa che la normativa non sospende l’obbligo
degli amministratori di convocare l’assemblea “senza indugio” al verificarsi della perdita del capitale sociale. Di conseguenza, gli amministratori possono presentare una delle tre tipologie di “domande protettive” anche prima della riunione dell’assemblea, che deve comunque essere convocata senza indugio (ferma, peraltro, la competenza dell’assemblea in relazione alla domanda di concordato nel caso in cui lo statuto la preveda ex art. 152 l. fall. tale riserva). Di recente anche i giudici di legittimità hanno ritenuto utile, anche in caso di successivo fallimento, la presentazione di una domanda di concordato preventivo, in ragione dei suoi rilevanti “effetti protettivi” per il patrimonio del debitore (Cass. 14 marzo 2014, n. 6031, in Fallimento, 2014, 5, 516, con nota di P. VELLA, Crediti in
occasione e crediti in funzione del concordato preventivo: la prededuzione nel successivo fallimento, nella quale la Corte osserva che con la riforma dell’art. 111 l. fall., il
legislatore ha recepito il diritto vivente sulla consecutio fra amministrazione controllata, concordato preventivo e fallimento, quest’ultimo inteso quale atto terminale del procedimento, in alternativa al naturale sviluppo delle procedure minori, posto che in definitiva presupposto comune delle stesse è l’insolvenza; nonché da ultimo Cass. 6 febbraio 2015, n. 2264, in www.plurisonline.it).
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trenta giorni dalla conoscenza della perdita, ai sensi dell’art. 2631 cod. civ., consente agli amministratori di disporre di una maggiore flessibilità nell’adozione di strategie di conservazione del patrimonio sociale, in quanto gli permettono di scegliere quelle maggiormente adeguate in base alle circostanze. Il deposito della domanda, pertanto, potrebbe, se necessario, anche precedere la riunione dell’assemblea qualora gli amministratori ritengano urgente proteggere il patrimonio sociale, laddove essi siano competenti ai sensi dell’art. 152 l. fall.. Mentre, si ritiene che la presentazione del ricorso sia ammissibile anche qualora l’assemblea abbia già ricapitalizzato, allorché gli amministratori, responsabili si sensi dell’art. 2486 cod. civ., ritengano che questa non abbia concrete possibilità di esecuzione, ovvero abbia tempi di esecuzione non compatibili con la necessità di conservare l’integrità e il valore del patrimonio sociale159
. In questo modo come sostenuto in dottrina, viene privilegiata una configurazione dei doveri degli organi di gestione sia in prossimità della crisi che in costanza della stessa fondata su standards e secondo la logica del wrongful trading160.