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Nato nel 1814 sulla sponda occidentale dell’Alto Verbano il giova-ne Giovanola (Cannobio 1814 - Milano 1882), che amava defi nirsi «io pure fi glio di terre montane», ha avuto modo di seguire da contemporaneo i primi passi della navigazione a mezzo dei battel-li a vapore sul Lago Maggiore. Bacini svizzero e itabattel-liano, questo ul-timo, fi no al ‘59, diviso fra il Regno Sardo e il Lombardo-Veneto. Ha appena compiuto dodici anni allorché il 15 febbraio 1826 au-torità e pubblico, convenuti nel porto di Burbaglio, nei pressi di Locarno, assistono al «lanciamento in acqua» del primo battello a vapore, il Verbano, «ordigno» inventato da «acume umano» in grado di «conciliare il fuoco con l’acqua», come è dato leggere nelle cronache del tempo.

Negli anni Trenta ritroviamo il giovane Antonio a Novara, dove frequenta le classi ginnasiali e i primi corsi di giurisprudenza. E si sarà avvalso, per i suoi spostamenti da e per Cannobio delle corse «ascendenti e discendenti», divenute ormai quotidiane, dei «va-pori» succeduti al Verbano, per nome San Carlo, Benedek e Ticino (queste due ultime del Lloyd Austriaco).

Rievocando, a distanza di più di un secolo, le vicende del suo Bor-go legate alla Navigazione, lo storico cannobiese Aquilino Zam-maretti, ha avuto modo di annotare: «In qualche caso il battello approdava, precisamente quando a bordo vi erano almeno sette persone da sbarcare. Quando poi tra i viaggiatori si trovasse il Se-natore Giovanola era un altro paio di maniche, l’approdo aveva luogo qualunque fosse il numero dei viaggiatori. (Signori, chi si imbarca?)» 1. !"#$%&'()&*(+,('-&.#//0&1+*#+2$0+,'(-(.3#+#+4&'5&+4#-%#)#+#+/#'#.%0'(+ *"#,,'&5&+5(0+4#%%(**0+#**&+-2#*&+50+6#..&40&1+#)()#+(-,*(%#%&+0.+7(.&+ 50+8$#%%'&+*$-%'01+#+,#'%0'(+5#*+9:;<1+$.+!"#$"$+%&'&#"()50+%$%%&+'0-,(%%&1+ 7('0%#.5&-0+*#+-%07#+5(0+,0=+)#'0+-2>0('#7(.%0+5(**#+5$(+6#7('(?+-$4#*@ ,0.#+(+.#30&.#*(1+5&)(+-(5(%%(+5$'#.%(+20.8$(+*(/0-*#%$'(1+(+5(*+A(.#%&+ 5(*+B(/.&1+50+2$0+(.%'C+#+D#'+,#'%(1+#+-&*0+8$#'#.%#-(%%(+#..01+2&.+5(2'(%&+ E-0./&*#'(F+5(*+9:G9H+

La vasta competenza acquisita nei campi della amministrazione e delle fi nanze lo fanno apparire, anche in virtù delle numero-se cariche pubbliche da lui ricoperte, nella veste di uno statista, piuttosto che in quella del politico o dell’uomo di un partito de-terminato.

Valgono a descrivere l’uomo le parole pronunciate in Senato, nel-la tornata del 22 dicembre 1882, dal Presidente Sebastiano Tec-chio, nel dare notizia alla camera vitalizia della immature scom-parsa del cannobiese: era uomo di spiriti liberali, di fermo carattere, di

mite temperamento, di modi cortesi; alto della persona e robusto.

Un Civil servant, diretto collaboratore di Cavour e in séguito, dopo la scomparsa del Conte, di Urbano Rattazzi. Liberale, in tempi in cui ancora non si faceva distinzione fra un liberismo in economia e un liberalismo in politica, e da credente, rispettoso dei dettami del-la religione dei Padri. Di lui si sarebbe potuto dire, con le parole del Lacordaire, che era un cattolico penitente e un liberale impenitente. Da convinto unitario, il Giovanola ha tenuto sempre fermo nei suoi numerosi interventi pubblici, così al principio della separa-zione di Chiesa cattolica e Stato come a quello della sussidiarietà nei rapporti fra amministrazione centrale e quelle periferiche.

Fu sempre un assertore delle autonomie locali, prendendo parte attiva, senza discontinuità, ai lavori di vari organismi dell’auto-governo: come i consigli municipali (di Cannobio, Traffi ume e Vigevano) e regionali (Pallanza e Novara).

Quintino Sella ha affi dato a una lettera (a Costantino Perazzi, da Biella, 10/9/i875) un ritratto del Giovanola il quale, presentatosi a una seduta «armato di lettere e di dati, malgrado una conversazione

di mezz’ora non si è lasciato piegare di un pelo» 2.

Diverso linguaggio parlano per altro gli Atti dei Consigli divisiona-le e provinciadivisiona-le di Pallanza e Novara, relativi al decennio cosiddet-to della preparazione (1849-59), da cui si evince che negli interventi del Nostro la passione non era mai inferiore alla preparazione, specie quando si trattava di deliberare su temi riguardanti le vie della comunicazione delle genti e del traffi co delle merci. In queste discussioni l’ottica dell’amministratore locale non fa mai velo alla visuale dell’uomo di stato che, ben al di là dei confi ni del proprio territorio, e di quelli statuali, intuisce realtà economi-che e politieconomi-che più vaste, al pari di quella della Regio Insubrica e della stessa Europa.

Nelle controversie relative al tracciato da prescegliere per le stra-de ferrate transalpine Antonio Giovanola si è pronunciato, come il Cattaneo, decisamente in favore dell’asse del Gottardo. A sua volta, il quadro geografi camente più circoscritto e al tempo stes-so meglio noto al Nostro dell’Alto Novarese, con le problemati-che localistiproblemati-che riguardanti tempi, progettazione e fi nanziamenti della nuova rete stradale è visto da lui in funzione delle grandi future arterie del traffi co destinate a collegare Genova alla

Germa-nia e ai Paesi Bassi.

Nel territorio, due sono i progetti di strade, della cui esecuzione, promossa e seguita passo per passo con costante attenzione e per-vicacia, il Nostro ha fatto una vera e propria questione di libertà. Il primo riguarda il completamento della strada litoranea che segue la sponda occidentale del Verbano da Arona a Locarno, per il tratto di circa 20 Km. da Intra al confi ne svizzero, rimasto inat-tuato. Strada da classifi carsi “regia” a tutti gli effetti, e destinata a collegare in futuro l’Alto Verbano, tuttora, sequestrato, con Nova-ra e la Lomellina, per un lato, e con i Cantoni svizzeri dall’altro. Mentre il secondo progetto è quello di una strada consortile fra Cannobio e la Valle Vigezzo, che percorrerà il fondo della Valle Cannobina, facilitando i contatti fra di loro dei centri abitati po-sti in altura sulla sponda destra e sinistra del torrente cannobino, collegando l’Alto Verbano con l’Ossola e il Vallese.

Non è per caso che a Cannobio, per un lungo séguito di anni, vi fossero due osterie, poste alle due estremità del paese, che

prendevano nome l’una dal Gottardo (Il Gottardino) e l’altra dal Sempione.

Il novarese Carlo Negroni, che gli fu amico e collega, nel tessere l’elogio del Senatore in una orazione uffi ciale per l’inaugurazione del monumento innalzato a Cannobio in memoria del Giovanola nel 1887, così ricorda l’urgenza della nuova strada di valle: «[…] era una necessità, per le comunicazioni e i traffi ci colla valle Vi-gezzina. E tanto questa necessitá era sentita, che il Cardinale di Novara ne faceva raccomandazione, come di opera pia; e nelle Chiese si chiedevano per essa dal pergamo, e si raccoglievano le limosine e le offerte dei divoti […]. Tanto era sentita, che i pro-prietari offerivano gratutitamente la cessione del suolo che per la strada si doveva occupare». E il nostro Giovanola se ne fece per così dire l’apostolo «[…] presiedendo al Consorzio che si era costituito fra tutti i Comuni i quali più ne dovevano profi ttare, e conducendo in modo la pratica, che fi nalmente il lungo deside-rio fu appagato […]».

Malgrado la buona volontà di cui fecero mostra gli interessati la costruzione della strada subì ritardi e ci vollero più di vent’anni per la sua realizzazione. Il percorso era stato suddiviso in otto lotti, l’ultimo dei quali si poté collaudare solo il 20 gennaio del 1876, che è la data a cui si può fare risalire il testo inedito di un discorso pronunciato, con tutta verisimiglianza, dal Giovanola Per

l’inaugurazione della strada della Valle Cannobina, che qui si

presen-ta nel quadro della Mostra documenpresen-taria dedicate alla fi gura di Carlo Cattaneo.

L’enfasi cui, in omaggio alle convenzioni retoriche dell’epoca tar-do-risorgimentale, si deve il dettato delle tre pagine autografe, che si conservano nella casa avita del Senatore sita in Cannobio, contrasta singolarmente con testimonianze di epoca, o posterio-ri, che presentano il manufatto in questi termini: «la strada della

Valle era ghiaiosa, polverosa e sassosa; le ruote cerchiate di ferro giravano a fatica, benché ingrassate dal carrettiere, che aveva cura coscienziosa del proprio mezzo. Raramente il conducente saliva sul carro; preferiva viag-giare a piedi a fi anco del proprio animale» 3.

D’altra parte, e il richiamo alla terra natale («Figlio io pure di terra

montana») e i riferimenti all’impegno politico e alle esperienze

della passata giovinezza («Vi ricordo che questa strada fu intrapresa

allorché, rimanendo in piedi l’edifi zio delle vecchie istituzioni» ecc.) in

cui si ricorre ad accenti del tutto insoliti sulla bocca di un perso-naggio noto per la sua riservatezza, fanno di questo testo un vero e proprio testamento politico.

Nel prendere la parola nella sua valle, forse presago della con-clusione non lontana della sua vita, il Senatore pare voler rica-pitolare in questo intervento pubblico i convincimenti liberali a

cui si è costantemente ispirato il suo operato di amministratore, parlamentare e uomo di governo.

Dopo aver descritto a vive tinte «gli stenti e i malanni cui per difetto

di strade soggiace l’infelice abitatore de’ monti» ed avere accennato, in

particolare, alla condizione delle valligiane che «leggiadre di forme,

quanto gentili di spirito» erano state in passato «asservite alla condizio-ne del somiero», l’Autore fa suoi gli assiomi di un Laissez-faire, laissez-passer ricordando ai presenti che con l’apertura della strada «bene vi sta che mediante una più facile e meno dispendioso trasporto di quanto vi manca e di quanto vi sopravvanza sia cresciuta la vostra ricchezza».

Nel dare merito ai montanari interessati, per il raggiungimento della meta prefi ssa, il Giovanola ne fa una questione di libertà. Al riconoscimento che «per virtù della per vostra volontà […] ove

prima sorgevano scoscesi burroni, ivi si distende una piana superfi cie, dove il fragoroso precipitare del torrente costringeva il passeggiero a lungo e penoso giro, ivi un solido ponte or lo porta in breve all’opposta sponda»

aggiunge il suo credo personale: «Sì, o Signori, io reputo la libertà

all’un tempo causa ed effetto della odierna letizia».

Il consorzio dei comuni della Cannobina era stato costituito in tempi lontani (febbraio 1850) allorché, come l’autore ha modo di ricordare «un alito di libertà, foriero di tempi migliori invadeva le

menti […] Fu quella […] un’epoca di assai care speranze per le nostre

allora giovani menti; allora ciascuno di noi, nella sfera assegnatagli dal-la rispettiva posizione, e nel limite delle varie forze, si mise all’opera per preparare l’avvenimento della libertà».

L’apertura di una strada di montagna delle Prealpi della regio-ne insubrica occidentale, pur essendo destinata a fi gurare come un episodio di importanza secondaria nella storia dei trasporti dell’Italia post-unitaria si confi gura per l’ormai anziano uomo di stato cannobiese come questione di una libertà, in qualche modo, liberante. Ciò in base alla profonda convinzione, presente nella giovane generazione che era stata la sua, che «non basta sia

decre-tata la libertà in uno Statuto di carta, perché un popolo divenga libero; ma che la libertà richiede il concorso di istituzioni, di costumi, di mezzi, per li quali soltanto essa può svolgersi». Il corollario era che si

sareb-be potuto «sollevare le plebi a dignità di popolo» solamente con l’au-silio dei due «più potenti mezzi di incivilimento, le scuole e le strade». Parole che rivelano in chi le pronuncia una impostazione che lo porta a superare i presupposti e i limiti della Destra Storica, mo-strandoci un Giovanola inaspettatamente vicino alle posizioni del federalismo e del democratismo lombardi dell’Ottocento. 1 Cfr. A. Zammaretti, Il Borgo e la Pieve di Cannobio, Milano 1975, vol. II, p. 60.

2 Cfr. C. Negroni, In memoria di Antonio Giovanola -

+

discorso, Novara 1888, pp. 11-12. 3 Cfr. C. Bergamaschi, La vita quotidiana in Valle

)

Cannobina nell‘ultimo secolo, s.l. 1997,

Antonio Giovanola (Cannobbio 1814 - Milano 1882).