della Valle Cannobina *
Permettetimi, o Signori, di esprimere in brevi parole la dolce emozione che provo nel trovarmi partecipe della vostra ben de-gna festività!
Figlio io pure di terra montana sento tutta l’importanza di que-sto felice avvenimento, ed intiero apprezzo il valore degli sforzi e de’ sacrifi ci, a’ quali con generoso e pertinace animo vi sobbar-caste per domare gli elementi che vi contrastavano l’uscita dalle natie dimore.
Chi vive fra gli agi delle città, e gode ogni frutto del civile progres-so, può scarsamente concepire un’idea degli stenti e de’ malanni cui per difetto di buone strade, soggiace l’infelice abitatore de’ monti. Non gli pare credibile l’esistenza di esseri umani, di citta-dini probi ed intelligenti, contribuenti anch’essi allo Stato il tri-buto degli averi e del sangue i quali, ogniqualvolta per provvedere alle proprie necessità, o soddisfare a’ sociali doveri, gli occorre di uscire dal patrio focolare, sono costretti a cimentare la vita, quan-do arrampicanquan-dosi a guisa di belve per dirupati sentieri, rasenta orride frane e spaventevoli precipizj, ora commettendo il corpo a fragili e indifese travi al varco di minacciosi torrenti. Ripugna al senso dell’umana delicatezza il pensare che donne, leggiadre di forme, quanto gentili di spirito, sieno giornalmente avvilite alla condizione del somiero.
La lietezza di questo giorno non consente, che io completi il qua-dro di tali miserie, e ne ispira fi ducia, che mercé le mutate sorti politiche e la libera evoluzione aperta a tutti i legittimi interessi, cittadini e governo sorgeranno imitatori del vostro esempio, per estendere i benefi zi del civile consorzio in ogni angolo dello Stato.
S’ingannerebbe a partito chi appuntando il secolo di materia-lismo, non vedesse nell’opera vostra, o Signori, che un trionfo di materiali interessi. Sempre intenta la natura a ravvicinare gli uomini col fomite de’ reciproci bisogni e delle mutue consola-zioni, ha negato a questa valle una suffi ciente copia di derrate alimentari, e per contro l’ha fornita a dovizia di produzioni fore-stali e di preziosi metalli; bene vi sta che mediante un più facile e meno dispendioso trasporto di quanto vi manca e di quanto vi sopravanza sia cresciuta la vostra ricchezza; ma assai più nobili e grandi sono gli interessi morali, cui per questa via voi recaste in-cremento. L’uomo, da quell’essere necessariamente sociale ch’e-gli è, soltanto dal commercio dech’e-gli altri uomini, dalla vicendevole corrispondenza di idée e di affetti, può attingere quel grado di virtù e di dignità che richiede la sua provvidenziale destinazione. Mediante agevoli vie di comunicazione, ravvivate le relazioni colla società, lo spirito si sente emancipato dalla pressione dell’inerte materia. La nobiltà o dirò meglio la divina origine dell’uomo, in nulla più si appalesa che nelle conquiste dell’ingegno umano sopra le immense forze del creato, pel cui contrasto piacque al sommo Autore delle cose, di stimolare la nostra attività, e darci causa di bene e fortemente operare.
Per virtù della vostra volontà, o Signori, ove prima sorgevano sco-scesi burroni, ivi si distende una piana superfi cie; dove il frago-roso precipitare del torrente costringeva il passeggiero a lungo e penoso giro, ivi un solido ponte or lo porta in breve all’oppo-sta sponda, dove un’alta montagna chiudeva il cammino, voi ne squarciaste il fi anco, spingendo la via nel profondo seno della
roc-Prima pagina del discorso autografo di Antonio Giovanola (archivio privato di Ettore Brissa).
cia. Per voi l’uomo calpesta la terra da padrone, ovunque insupe-rabili diffi coltà sembravano interdirgli il passaggio. Quale più bel-lo trionfo delbel-lo spirito umano? Quale più alta vittoria? Quale più generosa cagione di esultanza? L’umanità maledice alle vittorie di conquistatori che seminano la strage e la desolazione sulla faccia della terra; ed applaude a coteste incruente conquiste, per le qua-li si crea l’abbondanza, si feconda il pensiero, ingentiqua-liscono gqua-li affetti, cresce ogni ramo dell’incivilimento, si consolida la libertà! Sì, o Signori, io reputo la libertà all’un tempo causa ed effetto della odierna letizia. Vi ricordo che questa strada fu intrapresa allorché rimanendo in piedi l’edifi zio delle vecchie istituzioni, un alito di libertà, foriero di tempi migliori, invadeva le menti, ed in ogni ordine dello Stato, dal Re imperante sul trono fi no all’ul-timo segretario di commune, si sentiva che alla nazione già fatta adulta, più non si attagliava un governo da bambini.
Fu quella, mi piace il commemorarlo, un’epoca di assai care spe-ranze per le nostre allora giovani menti; allora ognuno di noi, nella sfera assegnatagli dalla sua rispettiva posizione, e nel limite delle varie forze, si mise all’opera, per preparare l’avvenimento alla libertà.
Partendo dalla profonda convinzione che non basta sia decretata la libertà in uno Statuto di carta, perché un popolo divenga libe-ro; ma che la libertà richiede il concorso di istituzioni, di costu-mi, di mezzi, per li quali soltanto essa può svolgersi feconda di vitali benefi zi, la giovane generazione di quel tempo intraprese di sollevare le plebi a dignità di popolo, mediante la facilità de’ commerci, la diffusa agiatezza, la estesa coltura, valendosi con-temporaneamente dei due più potenti mezzi di incivilimento, le scuole e le strade.
Voi, o Signori, già avete il contento di cogliere il frutto de’ vostri generosi conati, e noi quanti ci faceste l’onore di qui invitarci, colla più viva effusione del cuore, dividiamo la vostra gioia, che è pure gioia nostra. Seco voi congiunti in concorde affetto, rendia-mo grazie alla libertà de’ suoi benefi zi, e confi denti nell’avvenire del paese, mandiamo un voto pel completamento delle nostre liberali istituzioni. Viva lo Statuto!
Francesco Hayez, La meditazione (l’Italia nel 1848), 1851 [Verona, Civica Galleria d’Arte Moderna].