Dante, con questo verso, e
con
l'altro:Ohe menadritto altrui per ogni calle Ivi, 18.
aveva
dato la vera definizione del diritto,come
quello che indica l'andare dirittamente allo sco-po, perchè il francese droit, l'italiano diritto, l'inglese righi
esprimono
il rapporto più diretto delle cose, a differenza de' giureconsultiromani
che lo facevano derivare daun comando,
a ju-bendo, rapporto tutto esteriore e secondario.Che
Dante, nell'usare il linguaggio poetico,si abbia servito delle allegorie,
non
viha
dub-bio alcuno,quando
egli stesso lo manifesta:O
voi che avete gl'intelletti sani, Mirate ladottrina che si asconde, Sotto '1 velame degli versi strani./«/., IX,61-63.
Ma
più d'ogni altro si scorge il fine morale delladivinaCommedia, quando
si osserva quello che dice aicompagni
di Ulisse.Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma
per seguir virtute e conoscenza.In/., XXVI, 118-120.
26
Ed anche
lasciando leallegorie, a dimostrare che l'oggetto delpoema
sia di richiamarel'uo-mo
alla morale, èda
osservarsi, che l'unico al-tro scopo che potrebbe addursi, sarebbe l'ira del ghihellin fuggiasco, per fareuna
vendetta de' suoi nemicicon
assegnar loro le diverse bol-ge di quel baratro infernale.Questa
supposi-zione perònon
regge, perchèda
quasi tutti co-loro chehanno
scritto la vita diDante
siha
che ilpoema
in parola era stato dall'Alighieri ideatoprima
del suo esilio, ed il Boccaccio che fuprimo
a spiegare dalla cattedra quel divino lavoro, eBenvenuto
da Imola, manifestarono chiaramente cheben
sette cantiprima
del detto esilio erano già completi: che seanche
fatti av-venuti posteriormentesi trovano colà registrati, ciòavvenne
perchè il poetanon
cessava di to-gliereed
aggiungere in quel suopoema
che per più anni l'aveva fatto macro.Ritenuto quindi che il
poema
era stato ideato ed incominciatoprima
dell'esilio,non può
più dirsi che lo scopo fosse stato di volersi vendi-care de' suoi nemici,ma
bensì la rigenerazione morale dell'uomo.III.'
A
viepiù dimostrarecome uno
scopomo-rale indusse l'Alighieri a metter
mano
a cielo e'Per conferma edillusfcrazioue di questo edel seguente ca-pitolo IV gioverà confrontare il ilanuale di storia del Diritto
27 terra in quel suo
poema,
è d'uopo farun cenno
dello stato d'Italia a quell'epoca.Non
è però di nostro intendimento discendere ai minuti par-ticolari della storia,ma
farne solamenteuno
schizzo,
onde
togliere ogni dubbiezza sultema
propostoci.
Nel
regnodominavano
gli Angioini, e già re Carloaveva
dimostratoquanto
pesi ai vinti ladominazione
straniera: i vespri sicilianine
fu-ronoconseguenza
trista ememoranda.
Carlo secondonon
fu migliore del padre^, e Roberto, letterato,non
seppe profittare delle favorevoli circostanze che, sfuggiteuna
volta,non
piùri-tornano. In
Roma
iColonna
e gli Orsini de-vastavano il territorio,ne
partivano i cittadini, tuttomettevano
a sacco e a ruba, e sacrilegamano
stendevano, orribile a dirsi, sulsupremo
gerarca della chiesa.Non
è nostroproponi-mento
però descrivere gli orrori degli Ezzelini daRomano,
e quantoavvenne
inMilano
tra iTorriani ed i Visconti, e
come Matteo
diman-datoquando
sarebbe ritornato in patria, rispose"
quando
i peccati de' Torriani avrebberosor-" passato i suoi„: e cosi fu.
E come vennero
a guerra i pisani co' genovesi e nella battaglia navale alla Meloriane
restarono de' primisedici mila prigionieri per dieci anni; equanto
pra-ticarono il conteUgolino
e l'arcivescovoRug-italiano dell'iUustre professoreFkancbsco Schopfkr, Città di Ca-stello, Lapi,1892 6preoisameateillibro2"di detto maauale inti-tolato: VEpocaneo'latina.(V. S.).
28
gieri; e
come
Q-enova cominciò la sua guerra di rivalitàcon
Venezia; e la prigionìa di Vit-torioAmedeo
e quella delmarchese
di Monfer-rato; e '1tramutamento
della sede pontificiainAvignone,
che fu chiamata la schiavitù di Ba-bilonia; e le guerre degli Angioini con gli Ara-gonesi in Sicilia; ecome
in Firenze lacittàfu partita tra guelfi e ghibellini per il fatto dei Bondelmonti, ed in Pistoja tra lefamiglieCan-cellieri bianchi e Cancellieri neri, e
come
per tal fatto, condotte quelle famiglie a Firenze, siaccrebbero le ire tra i Cerchi ed i Donati; e
come
i popolani grassi esclusero i nobili di Fi-renze e diGenova
dalle cariche.Ma
per cono-scere le vere condizioni diquell'epoca, è d'uopo dareuno
sguardo a coloro che, elevatisi sopragli altri cittadini, signoreggiavano le diverse città italiane, e,
con
la guida degli storici con-temporanei, considerare in quali tristi condizioni leavevano
ridotte, ecome ne venivano
mano-messi i costumi e la morale.A Milano dominavano
pria i Torriani, poi iVisconti, indi gli Sforza: nella
Marca
Trivigianai famosi Ezzelino da
Romano:
aLodi
i Vesta-rini, i Firaga, i Vignati: aCrema Venturino Benzone:
aComo
iBusca;
aPavia
i Beccaria eLangosco
: aBergamo
i Suardi: a Brescia iMaggio
e i Brusati: aCremona
i Pelavicini, iCavalcabò, i Correggio, Cabrino
Fondalo
: a Man-tova ilPasserini, iBonacolsie iGonzaga
: a No-vara i Tornielli: ad AlessandriaFacino Cane
: aSan Donnino
i Pelavicini: aTreviso i da Cami-no, Feltre e Bellario: aVerona
gli Scaligeri: aPadova
i Carrara: aPiacenza
gli Scotti: aPar-ma
i Rossi e Correggio: alla Mirandola i Pico:a Pisa e
Lucca
Castruccio Castracane: a Raven-na Paolo Traversar! ed i Polenta: aFermo
iMigliorati, Gentile da
Magliano
e gli Sforza: aMassa
iMalaspina
; aMonaco
i Grimaldi: a Ri-mini i Malatesta: aBologna
i Pepoli: aUrbino
i Montefeltro: a Forlì gli Ordelaffi; ad
Imola
gli Adilosi: a Cortona i Casali: aFaenza
iMan-fredi; i Calboli a Brettinoro: i Gabrielli a
Gub
•bio: i
Cima
a Cingoli: iVico
e gli Annibaleschi a Viterbo; i Moldecchi (forse Monaldi) ad Or-vieto: i Chiavelli aFabriano
: gli Ottoni aMa-telica: i Salimbeni a Radicofani; i Simonetti a Jesi: i