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Come l'edera L'io davanti all'Altro

II.1 Dentro l'ago L'io davanti sé stesso

II.2. Come l'edera L'io davanti all'Altro

It is your flesh that I wear Leonard Cohen, Avalanche

Leggendo Altri libertini ci accorgiamo di come la precarietà, nelle sue varie declinazioni, si installi nella vita di tutti i personaggi come unico denominatore comune. Non c'è traccia in nessuno dei racconti di cui l'opera si compone di una minima capacità decisionale e relazionale: i personaggi di Tondelli si lasciano vivere, in balia di una condizione di cui sono al tempo stesso gli artefici e le vittime.

I ragazzi protagonisti di Altri libertini, abbiamo visto nel paragrafo precedente, vivono con difficoltà il rapporto con loro stessi: a causa della loro fragilità sono spesso preda di dipendenze nocive e solipsistiche che tendono a separarli, sempre di più, dal mondo circostante che va dunque ad occupare il ruolo di sfondo scolorito su cui le loro vite vanno in scena. È altrettanto vero però che, nel primo libro Tondelli, i personaggi spesso interagiscono tra loro, rivelando una grande quantità di punti in comune per cui ci è possibile identificarli quasi come una sorta di piccola comunità: «una tribù», per usare le parole dell'autore. La tossicomania infatti, come prodotto del sistema capitalista che propone il consumo infinito e insoddisfacente dell'oggetto, è sì una patologia che prevede un godimento monadico e separativo ma che al tempo stesso genera senso di appartenenza e identificazione:

Si tratta di una cultura del godimento che genera appartenenza e senso di identità; il soggetto tossicomane attraverso il culto della trasgressione e del godimento clandestino rintraccia una nominazione inedita della sua soggettività: la tossicomania non è solo una pratica pulsionale ma anche il fondamento materiale di una nuova nominazione sociale; “sono un tossicomane” fornisce al personaggio del tossicomane una carta d'identità inedita che rafforza un narcisismo deficitario.161

L'appartenenza alla famiglia dei tossicomani non produce dunque solo godimento ma un'inedita nominazione che, assieme alla funzione analgesica della sostanza, riesce a tenere letteralmente in vita la fragilissima personalità dei soggetti dipendenti. Il narcisismo deficitario di cui ci parla Recalcati viene dunque supportato dal senso di appartenenza ad un gruppo a cui il tossicomane sente di appartenere e che gli permette di riconoscersi come parte di un tutto, evitando così la condizione solitaria e ghettizzante che la tossicodipendenza solitamente impone. Il soggetto dipendente, riconoscendosi nel proprio

vicino, riesce dunque a limitare lo sprofondamento in sé stesso, ponendo così un argine alla deriva solipsistica che l'uso di sostanze stupefacenti si trascina dietro. In Altri libertini non sono pochi i punti in cui l'io fragile dei protagonisti riesce a trovare rifugio e protezione nel rispecchiamento nell'Altro: un Altro – va detto – che si configura come tale solamente a livello superficiale, identificandosi più come una sorta di doppio con cui l'io, solitamente, instaura relazioni di tipo simbiotico.

La coppia formata dal protagonista di Postoristoro e Bibo, la cui unione si basa unicamente – da quel che lascia intravedere il testo – sulla comune dipendenza dall'eroina, rappresenta solo il primo degli esempi, in ordine di lettura, del modo di rapportarsi dei personaggi del libro, tanto soli e chiusi nel loro microcosmo quanto indissolubilmente legati a chi, quello stesso microcosmo, sente come proprio. La dipendenza viene dunque avvertita come un'etichetta, un segno distintivo che ghettizza e accomuna al tempo stesso. I soggetti dipendenti da sostanze stupefacenti infatti sono sì invisi alla cosiddetta società “pulita” ma è proprio a causa di tale ostilità e discriminazione che essi sono in grado di riconoscersi come gruppo compatto e ben definito. In tale condizione la trasgressione viene percepita come la più semplice normalità: il fare uso di sostanze non si configura più come atto di ribellione o come puro soddisfacimento della propria volontà di godere ma come comportamento identificativo caratterizzante di un ristretta comunità.

La coppia di personaggi a cui Tondelli dedica più spazio è senz'altro quella formata dall'io narrante di Viaggio e l'amico Gigi. Il loro rapporto è caratterizzato fin dall'inizio dal comune assoggettamento ad una condizione di dipendenza: il protagonista del racconto mostra chiari segni di un principio di alcolismo mentre Gigi, nel viaggio di maturità che segna l'inizio della fabula, scopre l'eroina, sostanza di cui ben presto diventa dipendente anche il protagonista della vicenda. Come sempre, la narrazione di Tondelli è diretta, senza

preamboli:

Gigi e Nicole dormono, lei s'è infilata nel mio sacco a pelo. La scuoto, le dico di tornarsene a casa che io non so come fare a dormire e lei risponde che non c'ha casa e di lasciarla in pace che ha sonno. Guardo Gigi che almeno mi aiuti lui, però mi accorgo che non dorme, è immobile con gli occhi spalancati verso il soffitto, che avrà di tanto interessante? Lo strattono, ma non risponde, gli sfugge soltanto un sorriso antipatico. Gigi comincia così coi buchi, ad Amsterdam non si farà altro, ma la roba è buona e quando torniamo in Italia non si è più suonati di tanto. Con Ibrahim ci lasciamo ad Haarlem dove si abitava per quello scorcio di settembre. Insieme si è sniffato parecchio, io non mi fido a bucarmi, un giorno lo farò ma non mi piacerà troppo vedere il mio sangue salire come una fumata in siringa e poi tornarsene in vena, ma a quel punto della mia avventura non mi fregherà più nulla.162

I due ragazzi hanno appena scoperto il sesso. Gigi scopre subito anche «i buchi» di cui rimane dipendente per tutto il resto della vicenda. Il protagonista lo segue appena qualche giorno dopo, durante il viaggio di ritorno in Italia, come se la vicinanza all'amico lo costringa quasi a cadere nelle medesime dipendenze. Gigi infatti, con i soldi della cassa comune, decide di comprare dieci dosi di eroina. Il protagonista si arrabbia e cerca, riuscendoci, di rivenderli; ne conserva solo tre come fondo cassa: sarà proprio questa premura a fargli provare l'orgasmo dell'eroina per la prima volta. Anche in questo caso la scena è rapidissima: «così si riparte e quando ci scarica, verso Monaco, ci facciamo i tre quartini rimasti, uno per uno e vaffanculo»163. La scelta di fare uso di eroina è immediata,

senza alcuna premeditazione o riflessione: la bidimensionalità dei personaggi tondelliani è tanto marcata da non permettere mai di intravedere tra le righe del testo nemmeno un briciolo di autocoscienza. Certo è che, con questa scelta, il protagonista si inserisce in una comunità, di cui l'amico faceva già parte, che gli permette di salvaguardare il proprio io

162TONDELLI 2000, pp. 58-59. 163Ivi, pp. 62-63.

aggrappandosi all'illusione dell'identificazione collettiva. I due ragazzi, tra gli inevitabili alti e bassi, riescono a restare uniti per tutta la vicenda proprio perché accomunati dalla medesima condizione esistenziale, dal medesimo riconoscimento dell'uno nella dipendenza dell'altro. Il finale «siamo ancora insieme, vero?» [T 96] rivolto dal protagonista ritornato a Correggio a Gigi suona allora come una domanda retorica: la ricerca di una conferma che già sappiamo di ricevere. Seppur illusoria, la comunanza che soggetti “spostati ” instaurano tra loro sulla base della diversità che li caratterizza risulta tanto forte da permettere agli stessi di sopravvivere in un contesto che altrimenti risulterebbe per loro invivibile. Spinti quasi da un paradossale istinto di conservazione, tali individui decidono di aggrapparsi l'uno all'altro nella speranza di rendere meno opprimente la propria condizione. La lista che il cinematografaro dell'ultimo racconto, Autobahn, sciorina di fronte al protagonista ci appare allora come il manifesto degli ultimi, dei reietti, di tutti coloro che, ostracizzati dal mondo, trovano sollievo nella vicinanza dell'uno con l'altro:

L'occhiocaldo mio s'innamorerà di tutti, dei freak dei beatnik e degli hippy, delle lesbiche e dei sadomaso, degli autonomi, dei cani sciolti, dei froci, delle superchecche e dei filosofi, dei pubblicitari ed eroinomani e poi marchette trojette ruffiani e spacciatori, precari assistenti e supplenti, suicidi anco ed eterosessuali, cantautori et beoni, imbriachi sballati scannati bucati e forati. E femministe, autocoscienti, nuova psichiatria, antipsichiatria, mito e astrologia, istintivi della morte e della conoscenza, psicoanalisi e semiotica, lacaniani junghiani e profondi. Eppoi tutti quanti gli adepti di Krishna, di Geova, del Guru, del Brahamino, dello Yogi. Indi ogni discendenza, bambini di Dio, figli di Dioniso Zagreo, nipotini di Marx, illegittimi di Nietzsche, pronipoti del Marchese, figlioletti delle stelle, sorelline di Lilith luna nera e fratellini di prometeo incatenato, anche bastardini di Frankenstein, abortini di Caligari, goccioline di Nosferatu. E ancora tutti quanti i transessuali, i perversi, i differanti, i situazionali, gli edipici, i preedipici e i fissati, i masturbatori e i segaioli, i corporali, i biologici, i macrobiotici, gli integrali, gli apocalittici, i funamboli, gli animatori, i creativi, i performativi, i federativi, i lettristi, i brigatisti, i seminaristi, i fiancheggiatori, i mimi e gli istrioni, i funerei, i piagnoni, i mortiferi e i bestemmiatori, i blasfemi, i boccaloni, i grafomani e gli esibizionisti e i masochisti e tutta quanta quell'altra razza di giovani

Holden e giovani Torless, giovani Werther e giovani Ortis, giovani Heloise e giovani Cresside, giovani Tristani, giovani Isotte, giovani Narcisi e Boccadori, giovani Cloridani e Medori, giovani Euriali e giovani Nisi, Romei e Giuliette. Eppoi nuovi Trimalcioni, e nuovi Hidalgo, autori da giovani da cuccioli e da scimmiotti, oppiomani, morfinomani, spinellatori, travoltini, trasversali, macondisti, marginali, baleromani, jazzisti e reggomani, depressi, angosciati, nostalgici, dipendenti, studenti e figli. Nonché stupratori viziosi e incannatori. E questi caromio, saranno i personaggi e le figure del nuovo cinema mio, il Rail Cinema, il DRUNK, very-drunk, CINEMA, ok? [T 140-141]

La lista, lunghissima ed eterogenea, mette assieme una quantità di caratteri molto diversi tra loro che, proprio grazie all'accumulo e all'accostamento, per certi versi ironico, dei nomi riesce ad abbattere le singolarità finendo così per associare tutti alla medesima condizione di «scoramento» in cui il protagonista del racconto si riconosce a tal punto da dire: «Me vien voglia di dirgli all'amico stoppista cinematografaro del drunk-cinema, vè se ti manca uno scorato ecco ce l'hai qui davanti a te e magari incominci da me»[T 141]. È l'appartenenza ad un gruppo, per quanto frastagliato e tossico esso sia, a permettere la sopravvivenza e a velocizzare il processo di accettazione di sé stessi: la consapevolezza di non essere solo ed isolato ma, in un certo senso, di appartenere.

Possiamo riscontrare tale comunanza, tale senso di appartenenza tra i personaggi, in ogni racconto di cui si compone il libro, dimostrando una volta di più quanto la narrazione di Altri libertini si configuri come una narrazione collettiva, in cui l'io dei personaggi cede spesso il passo ad un noi, rappresentativo di una buona parte della gioventù cresciuta negli anni Settanta. Nella vasta galleria di gruppi – più o meno grandi – descritti da Tondelli, quello che sembra confermare meglio l'ipotesi per cui un soggetto fragile riesce a condurre la propria esistenza unicamente se inserito in un contesto collettivo è senza dubbio quello delle Splash, protagoniste del secondo racconto della raccolta. Le Splash sono un gruppo compatto, ben definito ed ampiamente caratterizzato da un vitalismo sfrenato che, in più di

un'occasione, condanna le ragazze protagoniste ad un ostracismo senza via di scampo. L'isolamento dalla comunità (che, in questo caso, si identifica in Rèz, Reggio Emilia) è il prezzo da pagare per mantenere la loro identità di gruppo, anticonformista ed assolutamente fuori dagli schemi della cittadina emiliana. La vicenda narrata copre circa un anno e ci mostra le quattro protagoniste – la Nanni, la Sylvia, la Pia e la Benny, ragazzo ancora confuso ed in cerca della propria identità sessuale – barcamenarsi tra un'osteria ed una discoteca, tra rapporti occasionali consumati compulsivamente e l'abuso di alcol che, come spesso accade nelle pagine di Altri libertini, funge allo stesso tempo sia da sostentamento vitale per i personaggi, completamente incapaci di portare avanti le loro esistenze in assenza di sostanze eccitanti, sia da collante per le fragili dinamiche del gruppo protagonista di Mimi e Istrioni. Non è però tanto la dipendenza alcolica a formare il substrato comune alle protagoniste del testo, quanto la condizione di isolamento a cui sono costrette dalla maggior parte della comunità cittadina. Infatti è un gruppo, quello delle Splash, tanto più forte quanto più è inviso ai benpensanti di Reggio, quei «Maligni» che le insultano ed isolano e a cui le quattro ragazze devono il loro nome di battaglia.

I Maligni noi ci chiamano le Splash, perché a sentir loro saremmo quattro assatanate pidocchiose che non han voglia di far nulla, menchemeno lavorare e solo gli tira la passera, insomma altro non faremmo che sbatterci e pergiunta anche fra noi quando il mercato del cazzo non tira; ma noi si sa che è tutta invidia perché un'uccellagione come la nostra non gliel'ha nessuno in zona per cui è del tutto inutile che quando ci vedono passare a braccetto o in auto ferme al semaforo, ci gridino dietro uscendo dai bar e dai portici o abbassando i finestrini delle loro Mercedes: “Veh, le Splash, i rifiùt de Rèz”. È veramente inutile. Perché a noi non ci frega un bel niente della nostra reputazione, soprattutto in questo merdaio che è Rèz, cioè Reggio Emilia, puttanaio in cui per malasorte noi si abita e che si vorrebbe veder distrutto e incendiato usando come torce i capelli di quelli lì, proprio loro, appunto, i Maligni. [T 23]

Il primo paragrafo del racconto è interessante sotto vari punti di vista: innanzitutto, veniamo informati fin da subito che non sono state le quattro ragazze ad autodeterminarsi, ma che, al contrario, è stata la vox populi della provincia benpensante ad identificarle e successivamente battezzarle: il nome Splash, denigratorio e vagamente osceno, affibbiato alla quattro protagoniste del testo viene da queste ultime assunto a vessillo della diversità che le caratterizza, perdendo dunque la propria connotazione dispregiativa per andare ad indicare, molto più semplicemente, la piccola comunità di cui si sentono far parte. Una comunità che, già dall'assunzione del nomignolo Splash, si dimostra assolutamente non interessata alla propria cattiva reputazione, schierandosi apertamente contro il conformismo provinciale che le ha relegate al ruolo di Freak, di maschere libertine – il titolo del racconto, Mimi e istrioni, è a tal proposito indicativo – in grado solo di recitare la propria parte: quella delle reiette, delle assatanate pidocchiose. Addirittura nelle pagine finali del racconto le quattro ragazze vengono contattate da un televisione privata interessata a raccontare le loro scorribande: «Dice che vogliono fare un programma su di noi, una ventina di minuti, perché certe voci sono giunte fino a loro e così ci si accorge di essere diventate un numero da esibizione tivù locale, Ventiminuti con...» [ T 47 ]

La forte identità di gruppo che anima le Splash (identità che, procedendo con la narrazione, si rivelerà sempre più fragile) non è allora altro che un riflesso dell'ostracismo imposto dall'altra parte della città; un isolamento che le ragazze accettano come ultimo baluardo a difesa della loro personalità, tanto vitalistica quanto completamente sganciata dalla rigidità borghese dei personaggi di contorno del racconto. Possiamo dire lo stesso per quanto riguarda una sequenza di Viaggio in cui il protagonista cerca di consolare l'amico Michel ricordandogli di appartenere ad un gruppo che, dell'opinione comune e moralista degli altri, non tiene affatto conto:

E io gli dico te agli altri non devi manco pensare che sono tutti stronzi idioti e non sanno nemmeno che cosa voglia dire essere liberi o felici, mentre tu lo sei perché hai la tua vita con gente bella che ti vuol bene e allora che ti frega, pensa a te che vali, pensa a noi che siamo la razza più bella che c'è, me lo ha insegnato Dilo questo, ridi, ridici pure su, noi sì che siamo una gran bella tribù. [T 85]

Nell'ottica del protagonista del racconto la semplice appartenenza ad una comunità – in questo caso quella omosessuale – invisa ad una grande fetta della società a loro contemporanea, è già una buona ragione per non lasciarsi andare: la ghettizzazione non è tanto una punizione quanto un importante tassello utile a costruire un'identità di gruppo tale da sopperire alle mancanze del singolo. L'illusorietà di tale ragionamento è però confermata dallo stesso narratore, costretto a riconoscere che, nonostante la tribù, «quando uno ci ha i cazzi suoi, be', sono veramente suoi» [T 85]: Michel infatti si suicida, lasciando al protagonista del racconto la consapevolezza dell'impossibilità di essere veramente felici in un mondo che non ci accetta. L'identità di gruppo non è allora altro che un placebo che mima la cura di una solitudine esistenziale alla quale non esiste rimedio se non la morte. Allo stesso modo, in Mimi e istrioni la vicenda inizia a complicarsi, mostrando quanto il legame quasi morboso che lega le quattro protagoniste si configuri semplicemente come arma difensiva; una protezione per la loro fragilissima identità singolare minacciata dall'ostilità del mondo circostante. Spesso, quando ci sentiamo diversi, profondamente diversi dal contesto in cui, per malasorte, ci siamo trovati a nascere, tendiamo ad affiancarci alle persone che sentiamo a noi affini, nella speranza di rafforzare, tramite il rispecchiamento nell'Altro, la nostra coscienza di noi stessi. In un certo senso, «l'accettare le norme, le abitudini, il gergo e le mode del gruppo diviene un mezzo per riconoscersi in

una nuova identità»164: questo è quello che accade nel secondo racconto della raccolta,

dove seguiamo le avventure di «quattro assatanate» che, per non perdere loro stesse, si trovano quasi costrette a stare insieme, facendo fronte comune contro una società che non le accetta o che, più semplicemente, si prende gioco di loro. La fragilità di un tale rapporto, basato sull'isolamento imposto dalla cittadina e sulla comune sete di libertinaggio, tanto orgasmico quanto, a lungo andare, insoddisfacente, si mostra man mano con l'evolversi della vicenda: i rapporti sempre più tesi, accompagnati da atteggiamenti sempre più caricaturali (istrionici, per l'appunto) finiscono per cancellarsi del tutto dopo l'estate, trascorsa, come da patti, da ognuna della ragazze per proprio conto; una separazione, questa, a seguito della quale il già fragile gruppo delle Splash, non riuscirà più a ricomporsi: «Ma quando ci si ritrova a settembre si capisce che qualcosa di nuovo è purtroppo arrivato. E non sarà mai più come prima» [T 46] dice, per l'appunto, la Pia, voce narrante della vicenda, nelle ultime pagine del racconto. Si assiste infatti nel finale della storia ad una svolta quasi inaspettata: Benny si presenta alle tre amiche in vesti maschili, con la barba, e accompagnato da una bella ragazza; la Sylvia, stanca ed isolata, tenta addirittura di suicidarsi, precedendo di poco il tentativo, stavolta andato a buon fine, della Nanny, al cui capezzale, in clinica, si ritrovano tutte le ormai ex-Splash.

Ci troviamo con Benedetto e la Sylvia lungo il corridoio d'aspetto mentre le fanno la gastrica e ci abbracciamo forte e diciamo forza forza che gliela fa, ma c'è quasi nausea per quegli anni sbandati e quel passato che vorremmo anche noi rigettare assieme alla Nanni, quel pomeriggio vuoto di febbraio.[T 48]

Il finale del racconto è, come nella quasi totalità dei racconti di Altri libertini, depressivo: nell'ultimo incontro tra le amiche si intravede «il riconoscimento di una

sconfitta, della sconfitta di un'allegria spensierata e di una voglia di vivere esuberante»165 in

favore dell'inserimento in un contesto di vita borghese meno vitale ma certamente più tranquillizzante. Alla Nanni (alla pari del Michel di Viaggio), incapace di inserirsi in tale contesto, una volta posta fine all'esperienza delle Splash, non resta che la via del suicidio. La mancanza di un'identità ben strutturata è il vero movente dell'atto masochista compiuto dalla ragazza nel finale del racconto: le quattro protagoniste si sono servite l'una dell'altra per tirare avanti, cercando di riempire, con la compagnia reciproca, quelle mancanze, quei vuoti che, una volta sciolto definitivamente il gruppo, sono tornati alla luce. La Benny – ora trasfigurata in Benedetto – è riuscita a cambiar vita, sopperendo così alla mancanza delle amiche di una vita; la Nanni, non altrettanto forte ed in grado di reagire alla rottura

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