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Settantasette L'io davanti alla Storia

II.1 Dentro l'ago L'io davanti sé stesso

II.3. Settantasette L'io davanti alla Storia

Teatri vuoti e inutili CCCP, Emilia Paranoica

Un'identità incerta si traduce, sul piano storico, in una mancata presa di posizione: un disinteresse generalizzato per le istituzioni della politica e, in certo qual modo, per la Storia in senso lato è ben ravvisabile nelle pagine di Altri libertini dove i personaggi tendono sempre di più a rifugiarsi in sé stessi, evitando contatti con tutto ciò che non riguarda strettamente la loro sfera privata. Si tratta – trasposto sul piano letterario – del cosiddetto riflusso: il vocabolo, già in uso al tempo in cui Tondelli si dedica alla stesura del suo primo libro, indica quell'atteggiamento caratterizzato dal disimpegno, politico e sociale, per la pubblica questione, accompagnato dal conseguente ripiegamento nel privato, tipico della fine degli anni settanta, a seguito della caduta delle grandi ideologie collettive.

Nel giro di appena due anni o poco più a qualsiasi osservatore l'atmosfera della società italiana appariva completamente mutata. […] Insomma, quella che solo poco tempo prima era stata giudicata una delle società più politicizzate, o addirittura la più politicizzata dell'Occidente, sembrava esprimere ora un massiccio rifiuto della politica. Nel linguaggio sbrigativo e immaginoso della pubblicista […] si è ormai convenuto di chiamare questa svolta repentina col nome variamente spregiativo di «riflusso»178

Il fervore politico, le esperienze comunitarie e le varie forme di contestazione contro lo status quo che avevano occupato gran parte degli anni di piombo si trovano, a fine decennio, a scomparire, spalancando le porte al consumo dell'effimero che dominerà gli

anni Ottanta. Altri libertini, edito proprio nel gennaio del 1980, riesce a rappresentare tale spaccatura, stilizzando tramite i propri personaggi il brusco passaggio dal tempo della partecipazione giovanile e del conflitto a quello dell'individualismo e del disimpegno (basti notare che Guido Crainz in Autobiografia di una nazione cita addirittura la pubblicazione del libro tra i sintomi letterari del riflusso179). Sono avventure picaresche, quelle che

Tondelli sceglie di raccontarci: microcosmi personali dove la protagonista della scena è l'incerta identità di una generazione a metà strada tra due epoche. All'impegno civile che aveva accompagnato gli anni precedenti, Tondelli propone, nel suo libro d'esordio, un libertinaggio eversivo e disinteressato. Ogni cosa, in Altri libertini, odora di privato. Ogni qual volta viene evocato un conflitto, l'autore tende ad eliminarlo immediatamente, non dandogli importanza, come se a contare non fossero gli eventi in sé, ma la loro convulsa sostituzione: la profondità intellettuale viene sostituita da una bidimensionalità che non prevede elaborazione ed il tempo storico ridotto ai minimi termini. Il fermento politico così come le organizzazioni collettive tipiche di quel determinato periodo vengono citati en

passant, come se non avessero una reale importanza per lo svolgimento della vicenda,

caratterizzandosi più come sfondo sul quale osservare un gruppo di ragazzi perdersi negli anfratti di sé stessi, dimentichi sempre più di ciò che li circonda. Il passato, quando spunta dalle pagine del libro, si configura come semplice dato:

Ci si vede ogni sera e a noi piace soprattutto quando ci racconta la guerra che ha fatto l'anno prima al Sinai anche se spesso tende a strafare […] tanto che poi solleva immancabilmente la camicia e mostra la cicatrice, però non si capisce bene come abbia fatto a ferirsi proprio lì.180

Puntuali a riguardo le parole di Enrico Palandri che, a proposito del momento storico

179CRAINZ 2009, p. 130. 180TONDELLI 2000, p. 51.

oggetto della narrazione di Tondelli, parla di «un immediato senza né passato né futuro»181.

Già il secondo racconto della raccolta, Mimi e istrioni, ci mostra infatti come l'autore metta in scena una vasta gamma di temi ed ambienti – quali le radio libere o i collettivi di autocoscienza – molto in voga negli anni settanta per poi limitarne il ruolo a sfondo, sì rappresentato (il che, in sé, è già un atto significativo) ma mai analizzato criticamente.

Trasmettiamo tutte insieme molto spesso la notte e chiacchieriamo e predichiamo con la favella lesta come proprio ubriacate dall'etere. La Sylvia di solito maneggia il mixer, io i dischi e la Nanni ci parla su, ma poi tutte interveniamo come fossimo sempre in ogni tempo e in ogni luogo dalle alpi alle piramidi cioè, dal manzanarre al reno; però si fan anche cose più serie e culturali e si vanvera soprattutto delle nostre povere eroine Cindarella e Joan-of-Arc oppure Alice o la Virginawulf o quella sfigata poveraccia dell'Epifania che ogni anno tutte le feste gliele fanno portar via.182

Riguardo all'esperienza delle radio libere, fenomeno fondante della gioventù cresciuta negli anni settanta, non viene fatta parola: Tondelli si limita a creare dei personaggi che, tra le varie occupazioni, “trasmettono” da una di quelle radio. Nel passo sopra citato possiamo inoltre notare come l'atteggiamento delle protagoniste del racconto si inserisca perfettamente nel contesto della fase del riflusso nel privato di fine decennio: la loro trasmissione – se così la possiamo definire – non tratta argomenti di cronaca né tanto meno di politica. Le quattro ragazze parlano a ruota libera di tutto ciò che passa loro per la testa «come ubriacate dall'etere», con una predilezione, tutta interiore, per i problemi esistenziali ben rappresentati dalle eroine citate dalla Pia, voce narrante del racconto, come loro punti di riferimento. Questo passo nasconde allora la logica con cui Tondelli costruisce i propri personaggi, tanto imbrigliati in un sistema quanto disinteressati alle dinamiche dello stesso.

181Ivi, p. XI. 182Ivi, p. 29.

Le Splash si aggirano in ambienti giovanili, culturalmente e socialmente attivi, senza che questi ultimi lascino segno alcuno nelle loro vite. La Pia cita solo di sfuggita i salotti di autocoscienza, le radio libere, le occupazioni: al centro della scena, la narrazione preferisce mettere discoteche ed osterie relegando i luoghi dell’attivismo giovanile ai bordi della narrazione, evidenziando come l'attenzione di Tondelli sia focalizzata sulla rappresentazione di una generazione con valori nuovi, diversi da quelli altamente politicizzati in voga negli anni precedenti. Sono luoghi in cui si beve e si fanno conoscenze quelli preferiti dalle quattro protagoniste che alla pesantezza dell'impegno politico sembrano sempre preferire la leggerezza di un bicchiere: le «ciucche di attivismo» [T 31], del resto, si smaltiscono evitandole. Indicativo, a tal proposito, un altro passo del racconto:

la Sylvia ci raggiunge la sera dopo il lavoro alle scopine e così durante un’autocoscienza ci accorgiamo che da un po’ ci siamo lasciate andare tutte e quattro con i nostri personali coinvolgimenti e questo non è possibile, insomma all’esterno parrebbe che abbiam messa la cosa a posto, mentre noi invece non lo vogliamo assolutamente [T 34-35].

L’esperienza, tipicamente anni settanta, dell’autocoscienza non viene tanto negata quanto depotenziata. Se infatti lo scopo ultimo delle quattro ragazze è quello di rimanere sempre sé stesse, senza cambiare mai – cosa, del resto, impossibile –, allora si perde il senso stesso di una seduta di autocoscienza, degradata a forma vuota, utile al massimo per inserire la scena in un determinato contesto. Se le Splash, pur frequentando ambienti canonicamente riconducibili al decennio settanta, sembrano infatti non interagire veramente con ciò che le circonda, ci sono, negli altri racconti di Altri libertini, alcuni personaggi che addirittura cercano appositamente di evitare quegli stessi ambienti. È il

caso del protagonista di Viaggio che, forse per l'estensione della narrazione, forse per la posizione privilegiata di racconto centrale della raccolta, si configura sempre più come il testo fondamentale per comprendere l'intera operazione di Tondelli.

«Il settantasette inizia con Dilo ed io a Paris» [T 84]: sul principio dell'anno di quella che in seguito sarà ricordata come l'ultima grande contestazione studentesca, il narratore- protagonista del racconto è lontano, impegnato a godersi la propria rinnovata relazione amorosa nella capitale francese. Così facendo, Tondelli evita apertamente di intrecciare le avventure dei suoi libertini ad un evento storico preciso: spedendo il proprio personaggio a Parigi, la narrazione (affidata al personaggio stesso) non si soffermai mai precisamente sugli accadimenti di Bologna che rimangono dunque una debole eco minimizzata dalla preminenza della questione privata all'interno del testo. Questo atteggiamento da parte dell'autore viene confermato, in un altro punto del racconto, quando la possibilità per i due ragazzi di trasferirsi a Milano (anch'essa città ricca di fermento giovanile) viene rifiutata da Dilo:

Sono ubriaco duro e mi propongo, Gigi mi guarda luccicando gli occhi, davvero vieni con noi? Io dico di sì, verrò con voi e anche il Dilo verrà e saranno tempi belli e ci divertiremo ad abitare tutti insieme, ma Dilo scuote la testa e dice di no, che non se la sente di andare a Milano, che nei quartieri ci ha già lavorato troppo quando faceva il fotografo e di Centri Sociali e Comitati di Zona ne ha strapiene le palle [T 75].

Il rifiuto di spostarsi in un'altra città da parte di uno dei personaggi principali del racconto si configura, sul piano della poetica dell'autore, come l'ennesima conferma della volontà di Tondelli di non ancorare i propri racconti a determinati contesti politici. A corroborare ancor di più questa ipotesi è la risposta che il protagonista, all'inizio contrariato per la mancanza di spirito di Dilo, riserba al compagno: «no resterò con te a Bologna, non

ci riesco proprio amore a lasciarti nemmeno un'ora, io ti amo ti amo perdio quanto ti amo amore mio»[T 76]. I personaggi di Tondelli si dimostrano dunque spesso distanti da qualunque tipo di rivendicazione e forma di attivismo giovanile (per l'appunto, Dilo «di Centri Sociali e Comitati di Zona ne ha strapiene le palle») in perfetta analogia con il contesto del riflusso. Mantenendo il narratore lontano dai punti caldi della rivolta, l'autore riesce dunque a trovare il perfetto escamotage per mantenere fede al proprio intento di raccontare delle storie più interessate ad una rappresentazione di un determinato strato sociale che legate ad una qualche ideologia politica. Ogni qual volta subentra nel testo il rischio di dover trattare di questioni a sfondo politico, questo viene immediatamente disattivato: infatti «l'unica vera scena di battaglia in cui un personaggio importante potrebbe incappare, una cruenta manifestazione milanese, non viene nemmeno descritta, ma si produce fuori scena»183. Troviamo situazioni analoghe anche in altri momenti del

racconto:

E non appena a febbraio si occupa l'università dico a Dilo “non me la sento, ho bisogno di stare solo con te e basta, cerca di capire amore” e lui dice “ti capisco, ma vieni anche tu che è bello vedrai, stanotte si dorme là e così anche domani e c'è posto per noi, ce lo siamo conquistato, perdio non lo capisci?” ma io proprio non capisco e finisce che resto chiuso in casa anche a marzo [T 86].

L'occupazione dell'università di Bologna – al pari della manifestazione di Milano – rimane dunque, nell'economia della narrazione, solo una flebile eco sullo sfondo del racconto. Il forte sentimentalismo che caratterizza il protagonista, unito alla sofferenza per la morte dell'amico Michel, suicidatosi appena una decina di giorni prima (nel testo, appena alla pagina precedente) riesce a tenerlo nuovamente lontano da situazioni di collettivismo e protesta. La sua decisione di rimanere chiuso in casa mostra da un lato il

carattere tendenzialmente malinconico e sentimentale del personaggio e dall'altro è utile ad evitare che quest'ultimo partecipi a eventi politici che, data la mancanza di giudizio critico che permea l'intero libro, probabilmente non sarebbe stato in grado di riportare adeguatamente. A conferma di ciò basti dire che la discussione porterà addirittura i due ragazzi alla separazione e al conseguente trasferimento del protagonista dall'amico Gigi, il cui desiderio di sapere qualcosa riguardo all'occupazione bolognese resterà ovviamente inappagato:

Gigi e Anna sono contenti di rivedermi e mi chiedono notizie di quello che si fa a Bologna che a stare a sentire i giornali succede la rivoluzione, ma io dico non so nulla e loro capiscono che sono a secco, terribilmente a secco184.

Un atteggiamento simile nei confronti della Storia è in parte dovuto sicuramente anche alla mutata figura del giovane che, proprio a partire dagli anni in cui il libro è ambientato, cambia progressivamente i propri connotati anticipando così la perdita di coscienza politica che caratterizzerà gli anni ottanta:

A partire dagli anni settanta le manifestazioni erano diventate per definizione lo spazio dei giovani. Quelli degli anni ottanta non sembravano però particolarmente propensi a scendere in piazza. L'identità di giovane era infatti ormai diventata incerta, dopo che per due decenni aveva occupato un posto rilevante185

In linea col mutamento di prospettiva che stava investendo i giovani di quel determinato periodo storico, Tondelli scrive seguendo una logica di costante disattivazione del problema politico. Nessuno dei personaggi, nel corso della narrazione, prende mai la

184TONDELLI 2000, p. 86. 185GERVASONI 2010, p. 135.

decisione di schierarsi con una determinata fazione, evitando costantemente di farsi portavoce di un qualunque ideale. Il lato fortemente emotivo che caratterizza gran parte dei personaggi (il protagonista di Viaggio in primis) è ben più forte di una coscienza politica e si dimostra tanto più accentuato quanto più utile a questa metodologia di “disattivazione”. Una frase come «ho bisogno di stare con te e basta», pronunciata in un simile contesto, nasconde allora una doppia valenza: da un lato infatti sottolinea la fragilità del personaggio, incapace di sopravvivere se non in funzione del compagno; dall'altro, indica il desiderio di “riflusso” del protagonista che, così facendo, si mantiene distante da una protesta collettiva (in questo caso, l'occupazione dell'università), sganciando così il testo da qualsiasi tipo di politicizzazione. Della narrazione storica e politica degli anni Settanta, a Tondelli, insomma, sembra importare poco, come egli stesso ammette nell'intervista rilasciata a Fulvio Panzeri, poi raccolta nel Mestieri dello scrittore. Interrogato riguardo all'assenza di una dimensione politica all'interno del libro, infatti, così risponde:

L’assenza di cui parli tu non l’ho mai sentita come una mancanza. Se ne occupavano gli altri. Io sarei stato uno in più che si interessava di queste cose. In questo mi considero infantilmente apolitico, con la perversione del bambino amorale che ‘non conosce’. Questo non vuol dire che io sia uno scrittore disimpegnato, perché credo ci sia un risvolto sociale nei miei libri. Essere impegnato per me vuol dire far scoprire cosa significa seguire la propria natura e il proprio istinto, sapere essere sinceri con se stessi e pieni di desiderio e voglia di amare e di cambiare il mondo, anche se io non posso dire in che modo186.

Appare allora molto chiaro per qual ragione i personaggi principali di Altri libertini si pongano sempre in maniera, se non altro, diffidente nei confronti delle rivendicazioni giovanili degli anni settanta: al Tondelli scrittore preme di più raccontare di fragilità e di sconfitte e non di lotte ed idealismi, destinati anch'essi, nel decennio successivo, a perdersi

nella cultura dell'effimero. La sola componente sociale che – in un passo dell'intervista – Tondelli rivendica nella propria opera risiede nella volontà insita nei suoi personaggi di seguire un istinto personale, cercando sempre di rimanere fedeli alla propria natura, alla propria condizione di emarginati. È dunque importante, a riguardo, leggere per intero un altro passo di Viaggio (corsivi miei):

Una mattina mi chiamano in direzione didattica e lui da dietro la scrivania mi dice che non è colpa sua, che non può farci niente, ma alcuni genitori hanno avanzato obiezioni e che a lui non interessa la misura dei miei gesti, né il tono della mia voce e nemmeno con chi me la passi la notte, ma... sbatto la porta e torno in aula come nulla fosse successo, ma il giorno dopo mi sento crescere contro l'antipatia e le difficoltà e l'ostilità e anche le persone con cui prima lavoravo e si andava bene anche la domenica che m'invitavano a pranzo, anche loro sì sembrano spiacenti, ma... Io dico che alla fine è giusto che me ne vada perché a incarognirmi in questa faccenda rischierei di sputtanare quei due mesi di lavoro e trascinare nello svacco anche altri che invece sono proprio quelli che devono continuare e quindi dico al Gigi, è meglio che continui tu e io ti seguo dal di fuori, perché non è colpa loro, di quelli che lavorano e si fanno il culo se faticano ad accettare un finocchio pazienza, qui sono in gioco troppe cose per una storia che invece è solo mia e quindi un fatto personale, pazienza, lo so che la via da finocchi è difficile... Ma alla fine lascio tutto e quando Gigi dice che ha saputo chi è stato a mettere il veto sul mio nome al consiglio d'interclasse, che ora sono pronti a mobilitarsi contro quel fascio e quel direttore che vogliono bloccare il nostro lavoro, anche allora dico lascia perdere, non me la sento di affrontarli, sto solo.187

Il protagonista, separatosi da Dilo, riesce a trovare lavoro in una scuola milanese assieme all'amico Gigi, per poi perderlo dopo circa due mesi a causa della propria omosessualità. Quest'ingiustizia non viene accolta con spirito critico né tanto meno si nota nel personaggio una qualunque voglia di protestare in nome dei propri diritti calpestati. Al contrario, si riscontra nel passo appena citato tutta l'arrendevolezza (sottolineata da espressioni quali «pazienza», – termine ripetuto due volte - «non è colpa loro», «lascia

perdere») di chi non ha certo voglia di scontrarsi con chi occupa il gradino superiore nella gerarchia scolastica al fine di difendere tanto sé stesso quanto un intero sistema di valori. Il protagonista, non rivendicando i propri diritti, segue allora la propria natura di loser, caratterizzata dall'estrema fragilità d'animo che lo accompagna dall'inizio alla fine del racconto (anche nei suoi rapporti sentimentali) sottolineando quanto la propria identità, tanto frammentaria ed incerta, non sia in grado di sopportare alcuna lotta o rivendicazione: dati questi presupposti non sarebbe stata allora realistica una reazione diversa da quella descritta da Tondelli. La mancata presa di coscienza del protagonista, unita alla pateticità con cui conduce il monologo in questione («lo so che la vita da finocchi è difficile»), non fa altro che confermare l'inclinazione, comune anche a molti altri personaggi del libro, di evitare discussioni scottanti. In casi simili, si preferisce sempre lasciar perdere, rifugiandosi in sé stessi, evitando così qualsiasi contatto con il mondo esterno, tratteggiato sempre come ostile se non addirittura malvagio. Se manca un'identità da difendere, la lotta stessa perde infatti di significato, sostituita in questo frammento del racconto da un'autocommiserazione che non lascia spazio ad altro se non all'annichilimento del sé.

Il diritto a difendere – se non proprio a rivendicare – la propria omosessualità è dunque taciuto dal narratore sulla falsariga di un episodio analogo presente nel medesimo racconto (già citato, per altre ragioni, in I.2. Affinità-divergenze: un Bilungsroman in

potenza): durante un viaggio in autobus, un vecchio, indispettito dalle effusioni che Dilo

ed il protagonista si scambiano incuranti delle persone attorno, si scaglia loro contro con offese del tutto ingiustificate e (addirittura!) una falsa accusa di furto:

Dilo ed io torniamo abbracciati anche sull'autobus, poi si libera un posto vicino all'uscita e Dilo si siede e io in piedi davanti gli reggo la mano e ci guardiamo fissi fissi che appena a casa faremo l'amore per tutta la notte tanta è la voglia e il bene, ma un vecchio s'avvicina e mi spinge col gomito

che mi fa un male boia, perché prende il didietro del fegato che è ingrossato e inceppato e dice catarroso “spurcacioun” e passa per uscire. Dilo che ha sentito e mi vede piegato e tutto storto, s'incazza e riesce ad afferrarlo per il cappotto tenendolo metà su e metà già dall'autobus con le porte automatiche che si aprono e si chiudono e l'autista urla al vecchio di togliersi dai piedi ma Dilo lo trattiene e gli dice del bastardo e alla fine lo calcia e lo butta giù, ma intanto uno sui trentacinque corre dal fondo dell'autobus verso di noi e grida di lasciare stare quel vecchio, brutti

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