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Altri libertini: estinzione dell'inconscio e nuove dipendenze

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale in Italianistica

Altri libertini: estinzione dell'inconscio e nuove

dipendenze

Relatore Candidato

Raffaele Donnarumma Lorenzo Pisaneschi

Correlatore

Cristina Savettieri

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Indice

LO SCANDALO. UN'INTRODUZIONE

...p. 3.

I. UN ANTIROMANZO. UN ANTI FORMAZIONE

...p. 8.

I.1 - Di cosa parliamo quando parliamo di Altri libertini?...p. 8. I.2 - Affinità – divergenze: un Bildungsroman in potenza...p. 29. I.3 - Una deriva naturale: i “veri” modelli...p. 47.

II. DEPOTENZIAMENTO & DIPENDENZE

...p. 72. II.1 - Dentro l'ago. L'io davanti sé stesso...p. 72. II.2 - Come l'edera. L'io davanti all'Altro...p. 93. II.3 - Settantasette. L'io davanti alla Storia...p. 115.

CONCLUSIONI

...p. 134.

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LO SCANDALO. UN'INTRODUZIONE

Fece scandalo, Altri libertini. Quattromila copie subito esaurite. Tremila il mese successivo. Alla terza tiratura – diecimila copie, stavolta – il procuratore generale dell'Aquila Bartolomei decise di intervenire: viene firmata un'ordinanza di sequestro e Tondelli finisce sotto processo. «Per il suo contenuto luridamente blasfemo e osceno»1,

Altri libertini diventa, nel marzo del 1980, a tre mesi dalla prima edizione, un libro

bandito. L'anno successivo, libro e autore saranno riabilitati, finendo dunque per prender parte a quella lunga ed eterogenea lista – Flaubert, Kerouac, Testori, Lawrence – di illustri assolti in quelli che potremmo definire, con appena un po' di disappunto, “processi alle parole.” Il linguaggio usato da Tondelli è spesso volgare, osceno, ma la cifra stilistica di

Altri libertini si intravede proprio nel turpiloquio dei drogati, degli scappati di casa, nella

cruda rappresentazione di una vita sporca. Del resto, ciò che Tondelli mette in scena nel suo primo libro è proprio questo: una comunità di ragazzi disorientati, schiacciati da paure e dipendenze, incapaci di prendere una strada che non contempli un cieco quanto effimero soddisfacimento di pulsioni, spesso, nocive. E per far questo, servono le parole giuste, le parole sporche. «Vuole che Tondelli si metta a scrivere in latino?»2, disse al tempo

l'avvocato difensore di fronte al giudice. Come Flaubert, come Kerouac, come Lawrance ed altri anche Tondelli venne assolto, dimostrando una volta di più quanto mettere alla sbarra un libro si riveli spesso una pratica di dubbia utilità che, nel migliore dei casi, può – ironia della sorte! – addirittura concorrere ad aumentare esponenzialmente la risonanza del testo fuorilegge. Altri libertini diventa infatti fin da subito un libro di culto, confermando il

1 TONDELLI 2000, p. 1114. 2 Ivi, p. 1116.

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costante «effetto di réclame che una proibizione ha sul libro proibito»3.

La motivazione dell'assoluzione è certamente indicativa: «vi sono senza dubbio bestemmie, imprecazioni, parole volgari, senza tuttavia che il turpiloquio possa ritenersi fine a se stesso»4. Le parole, nel contesto del libro, sono quasi costrette ad involgarirsi in

una sorta di catabasi linguistica che ben si sposa con luoghi, temi e personaggi. L'attenzione dell'autore è tutta rivolta ad un mondo – quello dei giovani tossici degli anni settanta – che, data la scelta di utilizzare un punto di vista interno al racconto, non prevede un linguaggio diverso. Tondelli delega ai suoi narratori l'onere di una descrizione cruda e impietosa di una realtà persa nella spirale tossica di un godimento – questo sì – assolutamente fine a sé stesso. Il linguaggio di Tondelli è il linguaggio di una generazione, un linguaggio, pur filtrato dalla lente deformante della finzione narrativa, autentico.

Del resto, l'attenzione dimostrata da Tondelli per gli atteggiamenti, le parole, i valori e i dis-valori della propria generazione è testimoniata tanto dalla sua produzione narrativa quanto da quella saggistica. Basti pensare a quel compendio di usi, costumi, luoghi d'interesse ed eventi mondani seguiti in reportage dalle sfumature pop che è Un weekend

postmoderno, raccolta di cronache degli anni ottanta che spaziano tra le maggiori città

italiane (ed in parte Europee) con una particolare predilezione nel raccontare un mondo giovanile vivo, attento alle tendenze artistiche e sempre impegnato in una costante mutazione. Sono i giovani, il centro della produzione letteraria di Tondelli. Non stupisce dunque che lo scrittore emiliano si sia impegnato nella diffusione di materiali di giovani scrittori, curando per Transeuropa ben tre raccolte di racconti di esordienti. Nato nel 1985 sulle pagine di Linus, il progetto Under 25 sta a dimostrare quanto Tondelli fosse interessato a propagandare un'idea di letteratura ben radicata in un contesto giovanile che,

3 SITI 2001, p. 151. 4 Ibidem

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conclusa l'esperienza degli anni settanta, «suicidatasi per gran parte in fenomeni di illegalità e di tossicomania», riuscisse a cogliere «quel fiore» nato dal deserto lasciato dagli anni precedenti. «Quel fiore siete voi» scrive lo stesso Tondelli ai ragazzi che, di lì a poco, sarebbero stati pubblicati, sotto la direzione di un trentenne a cui l'etichetta di giovane scrittore era stata – logicamente – affibbiata fin dal suo esordio. È forse proprio in un progetto quale è stato Under 25 che possiamo allora intravedere l'anima di un artista come Pier Vittorio Tondelli, giovane scrittore che proprio ai giovani scrittori decide di rivolgersi nel tentativo di conceder loro la medesima occasione che egli stesso era riuscito a cogliere solo qualche anno prima. Erano venticinque gli anni di Tondelli al momento della pubblicazione di Altri libertini, la stessa età posta dallo scrittore correggese come limite anagrafico per gli aspiranti esordienti chiamati a raccolta dalle pagine di Linus. Tondelli, dunque, presenta l'occasione di intraprendere una carriera e, più profondamente, di esprimere sé stessi di fronte un uditorio ben più ampio di una cameretta, a ragazzi più piccoli di quanto non lo fosse lui stesso quando, sotto la guida di Aldo Tagliaferri, mise a punto il suo libro d'esordio, tradendo così uno spirito fortemente speranzoso nei confronti di una narrativa giovanile, prima di lui mai così presa in considerazione dall'editoria.

È dunque con uno scandalo che ha inizio la carriera letteraria di Pier Vittorio Tondelli, un caso che contiene in nuce l'attaccamento che l'autore di Altri libertini dimostrerà nei confronti della sua generazione nel corso di tutta la propria attività artistica. Una delle motivazioni che portano alla risoluzione del processo infatti risiede proprio nel fatto che la sua scrittura parlata stilizza «il linguaggio dei giovani che usano determinate parole, indipendentemente dal significato originario delle stesse, attribuendo loro un significato completamente diverso»5. Se il procuratore Bartolomei, giudicando meritevole di processo

Altri libertini, dimostrò, se non altro, di essere in grave ritardo sui tempi, a Tondelli allora 5 TONDELLI 2000, p. 1114.

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spetta certamente il merito di aver interiorizzato e compreso quegli stessi tempi. Insomma, tra le imprecazioni e le bestemmie che, accompagnate al largo uso di slang giovanili ed espressioni gergali, compongono il sistema linguistico di Altri libertini, ed un progetto quale si è dimostrato essere Under 25, non sembrano intercorrere grandi differenze: alla base di entrambe le operazioni soggiace infatti l'attaccamento di uno scrittore al proprio tempo e la volontà di quest'ultimo di riuscire a descriverlo, insistendo sulla gioventù (e i suoi linguaggi) tanto come mezzo espressivo tanto quanto scommessa per il futuro. Dallo scandalo al proselitismo, come spesso accade, il passo è stato piuttosto breve.

Del tempo intossicato in cui si è trovato a vivere, Tondelli, nato negli anni cinquanta nel profondo della provincia emiliana, conserva rabbia e amore per i propri luoghi, teatro di tutti i racconti del libro. La provincia è lo sfondo di angosce e frustrazioni, sogni e ricadute, profonda consapevolezza di una condizione di freak, tanto viziosi quanto onesti con sé stessi. Tondelli scrive senza mettersi in scena, delegando la sua voce ai personaggi-narratori che, carcerati dalle loro stesse dipendenze, incarnano su carta il disagio di un'intera generazione: una generazione di giovani a cui Tondelli deve ragione e sentimento e di cui, nelle pagine di Altri libertini, ha saputo dare una diretta rappresentazione.

Questo lavoro di tesi si suddivide in due capitoli, entrambi ripartiti in tre paragrafi ciascuno. Seguendo una linea retta, il primo cerca di analizzare Altri libertini partendo da osservazioni formali riguardo alla struttura del libro: si è tentato inizialmente di sganciare il testo dalla definizione di romanzo che campeggia sulla copertina del libro sin dalla sua prima edizione, riportandolo sotto la più onesta dicitura di raccolta di racconti. Si è passati ad un'analisi riguardante i punti di contatto e di rottura tra i racconti di Tondelli ed il modello classico di Bildngsroman verso cui lo scrittore emiliano, come vedremo, si pone in maniera fortemente ambigua. Nell'ultimo paragrafo di questo primo capitolo si è cercato

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poi di far notare come quello operato da Tondelli non si configuri propriamente come un rifiuto netto del modello classico quanto una naturale conseguenza dell'evoluzione del romanzo di formazione nel corso del Novecento, individuando nella narrativa Beat il modello più prossimo ai racconti di cui si compone Altri libertini.

Se Un anti-romanzo. Un anti-formazione si muove, come si è detto, su una linea retta, per la struttura del secondo capitolo si potrebbe parlare di cerchi concentrici. Ad ogni paragrafo si assiste infatti ad un allargamento di prospettiva che, partendo dal rapporto che il personaggio instaura con sé stesso, giunge poi ad osservarlo in relazione agli altri personaggi e, successivamente, al contesto storico che funge da cornice alla raccolta. Questa seconda parte della trattazione insiste molto sul concetto di personaggio piatto (già accennato nel primo capitolo della tesi), associando la bidimensionalità psicologica di quest'ultimo all'appiattimento culturale della società tardo-capitalistica. Si è infatti riscontrata una forte analogia tra il funzionamento del modello consumistico, imperante nel mondo occidentale sin dai primi anni ottanta, e la (non)logica con cui i libertini di Tondelli si rapportano agli oggetti di godimento, mediatori della condizione di dipendenza che affligge pressoché ogni personaggio del libro. Fondamentali, per questa trattazione, si sono rivelati i concetti lacaniani di piacere e godimento ove per godimento si intende il soddisfacimento effimero di una pulsione, il cui orgasmo coincide con l'insoddisfazione propedeutica alla dipendenza, oggetto di gran parte di questo lavoro.

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I. UN ANTIROMANZO, UN ANTIFORMAZIONE

I.1. Di cosa parliamo quando parliamo di Altri libertini?

Hey babe, take a walk on the wild side Lou Reed, Walk on the Wild Side

È il 1980 quando sugli scaffali delle librerie italiane fa la sua comparsa Altri libertini, testo edito da Feltrinelli nella collana «I Narratori», che segna l'esordio dell'allora venticinquenne Pier Vittorio Tondelli. “Romanzo” è il termine che troviamo posto appena sotto il titolo dell'opera sulla copertina di questa prima edizione; dicitura che viene poi recuperata nell'edizione economica data alle stampe nel 1987 dove, in quarta di copertina, si parla dell'opera prima di Tondelli come di un romanzo assimilabile ad un vero e proprio ritratto generazionale. Se è certamente indubbia – come meglio approfondiremo nel terzo paragrafo – la vocazione generazionale dell'opera, desta sicuramente più perplessità l'etichetta di romanzo imposta al libro fin dalla sua prima pubblicazione. Si può infatti parlare di romanzo quando parliamo di Altri libertini?

Nonostante i sei episodi di cui il libro è composto presentino tra loro vari punti di contatto (scenari ricorrenti, caratteri più o meno simili ed una certa malinconia di fondo),

Altri libertini si configura come una raccolta di racconti. Se è vero che lo stesso Tondelli,

probabilmente spinto da motivi di spendibilità commerciale piuttosto che da un vero e proprio disegno artistico, preferì parlare di romanzo a episodi6, è altrettanto vero che la

forma stessa del racconto, con la sua scattante brevità («Presto dentro. Presto fuori»7

6 CARNERO 1998, p. 32. 7 CARVER 1997, p.5.

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direbbe un maestro della short story come Raymond Carver), ben si presta a tratteggiare le vite al limite dei personaggi del libro. Perché dunque adoperare l'ormai abusata definizione di romanzo (ad episodi o meno poco importa) per descrivere un'opera che fa delle caratteristiche intrinseche del racconto breve uno dei suoi punti di forza?

Si è molto insistito, nel corso degli anni, sul carattere fondamentalmente unitario del libro evidenziando come i racconti/episodi, pur costituendosi come unità a sé stanti, confluiscano in un macrotesto che permette di leggerli come – appunto – una sorta di romanzo, che l'autore stesso definisce «quello della mia terra e dei nostri miti generazionali»8. Secondo la definizione data da Maria Corti, una raccolta – tanto di

racconti quanto di poesie – può configurarsi come macrotesto quando si verifica almeno una di queste condizioni:

I ) se esiste una combinatoria di elementi temici e/o formali che si attua nella organizzazione di tutti i testi e produce l'unità della raccolta;

2 ) se vi è addirittura una progressione di discorso per cui ogni testo non può stare che al posto in cui si trova. 9

Non sbagliamo allora quando guardiamo ad Altri libertini come ad un'opera in cui «ogni racconto è una microstruttura che si articola entro una macrostruttura»10: la prima

condizione d'esistenza sopra evidenziata è infatti ampiamente soddisfatta. I temi che Tondelli tratta nel suo libro d'esordio (la droga, la libertà sessuale, l'emarginazione omosessuale, l'utopia11) sono infatti comuni a tutti i racconti che lo compongono così come

le scelte stilistiche che l'autore adotta nella loro stesura. Si va dunque dal desiderio di fuga (che si rivelerà quasi sempre inconcludente o più semplicemente impossibile) che anima

8 CARNERO 1998, p. 121. 9 CORTI 1978, p. 186. 10 Ivi, p. 185.

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tutti i personaggi del libro al consumo ossessivo-compulsivo di sostanze stupefacenti quali alcol e droga che si impongono come una presenza fissa ed insostituibile di ogni vicenda narrata («il vino è farmaco dei mali e credete a me, questa è l'unica risposta al mondo che c'è»12 arriva addirittura a dire il protagonista dell'ultimo racconto dell'opera), passando per

il tema del sesso, sempre presentato con toni tanto crudi e diretti da sfiorare, se paragonata allo standard della produzione narrativa del tempo, quasi la pornografia. Gli anni Settanta sono terreno fertile per questi temi che Tondelli sente come propri, indissolubilmente legati alla propria generazione: negli stessi anni escono, infatti, libri quali Porci con le ali di Rocco e Antonia (all'anagrafe Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera) e, soprattutto,

Boccalone di Enrico Palandri, nei quali è possibile riscontrare i medesimi temi cari al

pubblico giovanile che animano anche il libro d'esordio dello scrittore correggese. Tutti i racconti che compongono la raccolta mettono in scena i medesimi caratteri: giovani scapestrati, senza una reale percezione del mondo che li circonda, che macinano avventure nella speranza (alquanto illusoria) di riuscire ad evadere dalla prigione provinciale in cui sono costretti. È una realtà grigia ed opprimente quella da cui cercano di fuggire i “libertini” evocati nel titolo del libro: un desiderio di fuga che si sostanzia tanto nei viaggi che alcuni dei personaggi intraprendono nel corso della narrazione quanto nell'uso scriteriato delle sostanze stupefacenti, avvertite come l'unico rimedio contro (per usare le parole del tosco-emiliano Francesco Guccini, autore caro al giovane Tondelli) quel «tedio a morte del vivere in provincia»13 che si configura come il male comune a tutti i personaggi

del libro. La dipendenza – tanto dalle droghe quanto dal sesso – sembra essere il minimo comune denominatore di una generazione, così come viene delineata in Altri libertini, che sembra incapace di relazionarsi al mondo in cui si trova a vivere, preferendo alla gretta

12 TONDELLI 2000, p. 132. 13 GUCCINI 1976.

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realtà, la totale evasione offerta dagli effetti psicotropi prodotti dalle sostanze assunte senza soluzione di continuità e dalle fughe che, con ogni mezzo a disposizione, vengono protratte il più lontano possibile da casa.

Importante notare come, oltre ai già citati temi ricorrenti, Tondelli orchestri il suo primo libro inserendo una serie di rimandi intertestuali che concorrono a rendere ancor più pronunciata l'omogeneità di fondo dell'opera. È infatti la stazione di una non meglio identificata città emiliana e più precisamente il suo posto ristoro, evocato nel titolo, il teatro della scena su cui si muovono i personaggi del primo racconto: tossicodipendenti in cerca di una dose che, dopo le iniziali difficoltà, riusciranno a trovare per poi consumare in un bagno a cui sembra far riferimento la Pia (voce narrante del secondo racconto Mimi e

istrioni) quando dirà «e sogno il non più mio Tony che si fa un fix di Fernet nei cessi della

stazione insieme alle checche sfrante che bazzicano colà»14. Oltre al chiaro riferimento di

luogo (il bagno della stazione) e di attività lì svolta (un fix, vale a dire un'iniezione di eroina), nella frase pronunciata dalla protagonista del secondo racconto possiamo anche notare la ripetizione della medesima espressione con cui Tondelli aveva descritto Liza, personaggio secondario di Postoristoro il cui odore era assimilato proprio a quello di una «checca sfranta»[T12]. Un'altra delle protagoniste di Mimi e istrioni, la Benny, una volta “svaporata” la sbronza, è poi solita porre fine alle sue serate andando «in stazione a trovar le residuate dei viali che son tutte amiche sue e così ne impara sempre di nuove seduta ai tavolacci del ristoro»[T29], il che rappresenta certo il collegamento più esplicito tra i primi due racconti della raccolta. Le Splash, questo il nome del gruppo formato dalle quattro ragazze di Mimmi e istrioni, vengono poi evocate anche in un punto di Senso contrario in cui i protagonisti sfrecciano all'impazzata a bordo di una Seicento inseguiti dalla Ford dei Vigilantes: i ragazzi riescono ad uscire indenni dall'incrocio attraversato a tutta velocità

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nonostante il semaforo rosso provocando un tale confusione da arrestare la corsa di «una Dyane rossa con quattro scalmanate sopra»[T24] che sembrano del tutto assimilabili alle quattro «assatanate» del secondo racconto, rappresentate in più momenti proprio alla guida di una Dyane. Inoltre, il Bowling in cui si apre Senso contrario potrebbe tranquillamente essere il medesimo che «sovrasta questa zona della ferrovia»[T19] su cui si trovano il Giusy e Salvino in attesa dell'arrivo del corriere che porterà finalmente la dose che il Bibo si inietterà nel bagno del Posto Ristoro del primo omonimo racconto; collegamento, questo, rafforzato dalla scelta grafica (con le lettere della parola tutte in maiuscolo) con cui Tondelli scrive BOWLING in entrambi i racconti. L'elenco dei punti di contatto tra gli episodi – tanto al livello tematico quanto stilistico – del libro è però ancora lungo: ci basti pensare alla figura del mantovano Mattia di cui si innamora l'io narrante di

Viaggio che sembra richiamare quella del brianzolo Andrea, anch'egli amato dal narratore

protagonista di Altri libertini (in entrambe le loro descrizioni fisiche Tondelli ricorre infatti al medesimo neologismo: “biondazzurro”) o alle condizioni meteorologiche (troviamo «A Correggio prende a nevicare»[T92] in Viaggio e «Prende a nevicare nei giorni seguenti»[T116] in Altri libertini) in cui si consumano gli amori senza lieto fine di entrambi i racconti, che ci spingono quasi a sovrapporre totalmente le figure dei due protagonisti e dei loro rispettivi amanti nonostante i nomi mutati e di conseguenza anche le cittadine che fanno loro da sfondo che si vengono dunque ad identificare in Correggio, città natale dello stesso Tondelli. Ma potremmo pure citare, a sostegno della presenza di questo filo di collegamento che, com'è evidente, attraversa tutto il libro anche la mole di identiche espressioni che i narratori di turno adoperano per descrivere situazioni simili: Bibo e Gigi, ad esempio, personaggi rispettivamente di Postoristoro e Viaggio, vengono colti da una crisi d'astinenza e a «Il Bibo sbianca, si fa livido sempre di più»[T18] del

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primo racconto fa eco «È sbiancato, s'è fatto livido»[T50] del terzo.

È sufficiente che un libro soddisfi una delle due condizioni evidenziate da Maria Corti per configurarsi come macrotesto ed è dunque impossibile non adoperare tale dicitura riferendoci al testo d'esordio di Tondelli che, come abbiamo visto, soddisfa la prima. Ogni racconto si fa infatti veicolo dei medesimi temi, ogni vicenda racchiude un microcosmo di personaggi intercambiabili, esponenti di una realtà in cui il consumo compulsivo di sostanze stupefacenti e l'estrema libertà con cui vengono vissuti i rapporti – tanto etero quanto omosessuali – sono onnipresenti. Le scelte stilistiche adottate da Tondelli inoltre tendono a rimanere sempre le stesse (numerose figure di accumulo, sintassi mimetica del parlato, largo utilizzo di espressioni gergali ecc..). «Tondelli non è uno scrittore selvaggio [...] Basti vedere la cura da castoro con cui manipola e ricicla materiali lessicali attinti un po' ovunque»15 dirà, per l'appunto, Ernesto Ferrero sulle pagine della «Stampa» all'uscita

del libro. A tutto ciò consegue quell'omogeneità più volte menzionata che ci permette di guardare ad Altri libertini non come ad un semplice insieme di testi ma ad un'opera di più ampio respiro.

Maggiori perplessità suscita però l'applicazione ad Altri libertini della seconda condizione d'esistenza secondo cui il libro preso in esame deve possedere una “progressione del discorso per cui ogni testo non può stare che al posto in cui si trova”. Possiamo infatti evidenziare uno sviluppo narrativo che partendo dal primo racconto si protragga sino all'ultimo? Nonostante l'autore abbia disseminato i suoi racconti di elementi ricorrenti, sottili trait d'union che rimandano da un racconto all'altro, «a sottolineare la struttura unitaria, pur nel frammento, del libro»16, in Altri libertini non si assiste mai ad una

vera e propria narrazione lineare. Data la cura quasi maniacale riversata da Tondelli nella

15 Ivi, p. 1112.

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stesura di quello che sarebbe diventato il suo primo libro («ho capito che fare lo scrittore vuol dire (…) farsi il culo a scrivere e riscrivere e cambiare e montare»17), viene da pensare

che la disposizione data dall'autore ai suoi racconti all'interno del libro non sia del tutto casuale ma, anzi, pensata e ripensata come ogni singola frase di quei racconti «riscritti cinque-sei volte»18. L'ordine con cui gli episodi del libro si susseguono infatti, pur non

mantenendo mai una linea narrativa precisa, sono disposti in maniera tale da far percepire a chi legge un ampliamento progressivo dello spazio in cui si svolgono le vicende man mano che ci si avvicina al racconto che funge da snodo centrale, Viaggio. Quest'ultimo è il racconto più esteso della raccolta e presenta, nei percorsi dei suoi protagonisti, un superamento dei confini non solo regionali ma addirittura nazionali. Se infatti le vicende di

Postoristoro, il racconto con cui si apre la raccolta, si svolgono unicamente dalla zona

malfamata della stazione di una cittadina emiliana mai nominata mentre le scorribande delle protagoniste del racconto successivo, Mimi e istrioni, si snodano tra Reggio e Bologna, Viaggio presenta un itinerario ben più ampio: dalla cittadina di Correggio, paese natale dell'autore, la narrazione segue i due personaggi principali – l'io narrante e il Gigi – girovagare attraverso l'Europa, non appena conclusi gli esami di maturità, per poi stabilirsi nuovamente in Italia, l'uno a Bologna, l'altro a Milano. L'intreccio del racconto si conclude però là dove era iniziato: tra i colli della campagna emiliana che vede il protagonista sfrecciare nella notte ormai completamente disilluso e, una volta tornato al piccolo paese d'origine, di nuovo solo. Da questo racconto in poi la prospettiva nella quale inquadrare le vicende torna a restringersi: in una non meglio precisata città emiliana si svolge infatti il quarto racconto, Senso contrario, mentre quello successivo, che da il titolo all'opera, è anch'esso ambientato a Correggio. Assistiamo dunque, leggendo i primi cinque episodi che

17 TONDELLI 2000, p. 1110. 18 Ibidem

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compongono Altri libertini, ad una sorta di allargamento prospettico che, una volta toccato lo snodo centrale del libro, torna a ripiegarsi su sé stesso sino a sprofondare nuovamente nel cuore della provincia emiliana. Con questa scelta l'autore sembra quasi voler suggerire l'impossibilità di un qualunque tipo di fuga che viene sempre rappresentata come totalmente illusoria ed inconcludente. Viaggio si pone dunque come la prima svolta, seppur tradita, del libro: superata la desolante immobilità di Postoristoro ed il provinciale libertinaggio delle Splash di Mimi e istrioni, assistiamo infatti nel terzo racconto della raccolta al tentativo di un ragazzo appena diciottenne di affrancarsi dal proprio paese d'origine girovagando per l'Europa in cerca di sé stesso. La Bildung sognata e ricercata dal protagonista rimarrà però soltanto un tentativo fallito, frustrato dalla propria incapacità di relazionarsi col mondo che lo circonda.

Esiste dunque nella progressione dei primi cinque racconti di Altri libertini, una sorta di “fisarmonica” spaziale con la quale Tondelli intende sottolineare tutta la frustrazione per la mancata riuscita – se non addirittura l'impossibilità – di evadere dal tedio (o dalla “scoglionatura” per usare le parole dell'autore) nel quale sono costretti i suoi personaggi. Discorso a parte però merita il racconto con cui la raccolta si conclude: Autobahn. Infatti, per quanto non ci si sia niente nell'ordine con cui gli “episodi” del testo si susseguono che evidenzi in maniera netta quella progressione narrativa indicata da Maria Corti come la seconda condizione d'esistenza di un macrotesto, un racconto come Autobahn non avrebbe potuto occupare nessun'altra posizione all'interno della raccolta se non quella finale: se infatti tutte le altre vicende narrate nel libro si svolgono e si chiudono entro i limiti della provincia emiliana19, in Autobahn Tondelli tratteggia un protagonista lanciato verso il

nuovo, occupato in una peregrinazione che, nonostante l'assenza di una vera e propria

19 Si noti, a tal proposito, che anche Viaggio, racconto che fa degli spostamenti continui dei suoi protagonisti la sua ragion d'essere, si apre e chiude a Correggio, quasi ad indicare l'impossibilità di oltrepassare definitivamente i confini della propria terra d'origine.

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meta, mai sembra ripiegarsi su sé stessa. Il giovane narratore della vicenda si mette in viaggio attirato «dall'odorino del nord»[T 133] lungo l'autostrada del Brennero che dal casello di Carpi giunge sino al Nord Europa in un percorso che non ammette deviazioni ma che, al contrario, procede spedito quanto la narrazione, mai, rispetto agli altri racconti di

Altri libertini, tanto lineare come in questo caso. Notiamo come la costante immobilità in

cui sono intrappolati i personaggi degli altri racconti si risolva in Autobahn in un grido di speranza verso un futuro che appare tanto incerto quanto a portata di mano: «e allora via, alla faccia di tutti avanti! Col naso in aria fiutare il vento, strapazzate le nubi all'orizzonte, forza, è ora di partire, forza tutti insieme incontro all'avventuraaaaa!»[T 144] sono infatti le parole con cui si chiude il racconto e dunque anche l'intero libro. Una volta superati i caselli dell'autostrada del Brennero, dunque, «il protagonista riesce finalmente ad evadere dal circolo vizioso fuga-ritorno in cui restano prigionieri gli altri personaggi della raccolta»20, regalando al libro una conclusione tutto sommato positiva.

Se Autobahn si configura dunque come un finale appositamente pensato come tale, quasi fosse un grido di speranza lanciato dall'autore stesso, all'epoca appena venticinquenne, i restanti cinque racconti del libro non seguono però alcuna traccia narrativa precisa negando dunque non tanto l'appurato statuto di macrotesto dell'opera – ricordiamo che la prima condizione d'esistenza era stata soddisfatta – quanto la sua natura romanzesca. Quel che concorre a rendere tale un romanzo infatti è, tra le altre cose, non tanto l'impossibilità di poter fruire di alcuni capitoli in maniera indipendente quanto l'impossibilità – questa sì, effettiva – di poter invertirne l'ordine di lettura a nostro piacimento, cosa che invece si potrebbe tranquillamente fare con i presunti capitoli di Altri

libertini, eccezion fatta per il già citato Autobahn, senza intaccarne minimamente l'effettiva

omogeneità. La dicitura di «romanzo a episodi» mi sembra dunque, per lo meno, forzata:

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sembra infatti sottintendere che questi episodi non solo siano stati scritti (come è innegabile che sia) sotto l'influsso della medesima spinta a voler raccontare una realtà provinciale fatta di drogati e perdenti nati, di fughe sognate e inconcludenti, di anestetici a buon prezzo per lenire quell'inquietudine che chi scrive, molto probabilmente, conosceva bene, ma che questi si debbano anche leggere l'uno dopo l'altro, come si farebbe – appunto – con i capitoli di un romanzo, seguendo l'ordine imposto dall'impaginazione del testo se non ci si vuol lasciar scappare il senso complessivo dell'opera, il che è del tutto opinabile. Certamente a nessuno verrebbe in mente di leggere il capitolo dedicato al processo a carico di Raskolnikov prima di quello relativo all'omicidio della vecchia usuraia e della nipote ma

Delitto e castigo è, per l'appunto, un romanzo e la linearità con cui procede la lettura di

questo genere narrativo non coincide in nessun modo con la grande libertà che viene offerta a noi lettori da una raccolta di racconti, per quanto questi ultimi possano presentare caratteristiche comuni tali da farli pensare come microtesti disseminati all'interno di organismo più grande: chi potrebbe negare l'omogeneità di opere come i Dubliners o i

Quarantanove racconti? Riferendoci alle più note raccolte di Joyce ed Hemingway

possiamo infatti parlare di ciò che Ingram chiama «a story cycle», un ciclo di racconti. Sotto questa dicitura possiamo inserire tutte quelle raccolte i cui racconti sono collegati l'uno con l'altro in modo tale da conservare un equilibrio tra l'individualità di ogni singolo racconto e la necessità di essere letti all'interno di un'unità più grande21, il che mi sembra

rispecchiare perfettamente la struttura di un testo quale Altri libertini. Come già evidenziato, i racconti di cui è composto possono tranquillamente essere antologizzati separatamente: ogni episodio si pone infatti come una vicenda autoconclusiva che mantiene la propria individualità e, dunque, leggibilità anche al di fuori della raccolta; allo stesso tempo però è presente nel libro un substrato comune a tutti i racconti che, tanto a

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livello stilistico quanto tematico, permette di leggere Altri libertini come un'opera composita. Se nei Dubliners Joyce orchestra, di racconto in racconto, il deterioramento morale22 degli abitanti della capitale Irlandese, Tondelli tratteggia nel suo primo libro le

illusioni della propria generazione sullo sfondo della provincia emiliana che, come la Dublino di Joyce, si pone come scena comune a tutte le vicende narrate. Lo stesso Tondelli parlerà, per l'appunto, di Altri libertini come il libro «della mia terra e dei nostri miti generazionali», sottolineando l'importanza rivestita dall'Emilia nelle vicende dei personaggi del libro (è proprio la chiusura della provincia emiliana che spinge molti dei protagonisti a tentare le fughe e ad annullarsi nell'abuso di droghe che, come abbiamo visto in precedenza, si configurano come due dei temi principali della raccolta). In Altri libertini i racconti sono dunque organizzati «in un'unità coerente, semplicemente per mezzo di rilevanza tematica, coerenza spaziale o contestuale»23 così come lo sono quelli che

compongono opere, pubblicate negli stessi anni, quali Palomar di Italo Calvino e

Narratori delle pianure di Gianni Celati (i cui corsi tenuti al DAMS di Bologna furono

seguiti proprio dal futuro autore di Altri libertini). Un ciclo di racconti dunque: più precisamente, servendoci della terminologia introdotta da Helen Mustards, possiamo parlare di Altri libertini come «an arranged story cycle»24. Differentemente da quei cicli

che la Mustards chiama “composed”, il ciclo di racconti “disposti” è, per forza di cose, quello maggiormente libero; i criteri su cui si basa la disposizione dei racconti all'interno della raccolta sono infatti vari: la ripetizione di un singolo tema, la ricorrenza di un singolo protagonista o di un gruppo di personaggi, o addirittura il raggruppamento di rappresentanti di una singola generazione25. È certamente innegabile che i racconti di Altri

22 Ivi, p. 30.

23 VITI 2014, p. 112. 24 MUSTARDS, 1948. 25 INGRAM 1971, p. 18.

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libertini mettano in scena tanto le medesime tematiche quanto una varietà di personaggi

che fanno della loro giovinezza il minimo comune denominatore; non è però la ricorrenza dei luoghi né tanto meno di caratteri o situazioni la caratteristica con cui si identifica propriamente il romanzo ma quella linearità con cui procede la lettura che ad un opera come Altri libertini, per suo statuto frammentaria, non può essere applicata in toto. È un dato di fatto che i romanzi si vendano meglio delle raccolte di racconti26 ed è

probabilmente su quest'inferenza che si è basata la strategia editoriale che ha portato l'autore in persona a parlare di romanzo a episodi, perdendo però di vista quello che è forse uno dei punti di forza del proprio libro d'esordio: ciò che infatti rende, a mio giudizio,

Altri libertini un libro così facilmente digeribile è proprio la facilità con cui i suoi racconti

si possano scambiare di posizione, rendendo l'opera, nel suo complesso, una lettura aperta, in divenire, come spesso le raccolte di racconti sanno essere. Esemplari a riguardo le parole di Manganelli: «il racconto si troverebbe non in un posto, in un punto della topografia letteraria, ma lungo una strada, è sempre in divenire»27.

In fondo, voler a tutti i costi definire un qualunque libro che superi le cento pagine un romanzo mi sembra celare, se non altro, una mera svalutazione della short story che merita invece tutt'altra attenzione. Ma, come abbiamo già evidenziato, forse è stata solo una questione di spendibilità commerciale. Lo stesso Tondelli infatti ha più volte insistito sul racconto come forma prediletta per la sua scrittura, fatta tutta di periodi brevi e incisivi, accordati su quel «sound del linguaggio parlato» modulato dalla lettura dell'Anonimo

lombardo di Arbasino28, di azioni accumulate compulsivamente l'una dietro l'altra senza

nemmeno ritagliarsi il tempo per una pagina di riflessione, di vite veloci che nello «spazio monolitico del romanzo»[T 779] si esaurirebbero certo nel giro di un paio di capitoli. Così,

26 VITI 2010, p. 211.

27 MANGANELLI 1994, p. 35. 28 TONDELLI 2001, p. 782.

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l'autore nel Mestiere dello scrittore:

Il testo diventa una questione di ritmo, si capisce subito: finché c'è swing dura, non finisce. Per questo il racconto è il miglior tempo della narrazione emotiva, la quale finisce quando è ora finire: non una battuta in più, non una riga.[T 781]

È dunque proprio la forma stessa del racconto breve a rispondere nel miglior modo alle esigenze di un autore che si impone fin dal suo esordio di muoversi in quello che egli stesso definirà come «lo spazio emozionale»[T 779]. Ed è questo lo spazio in cui non solo l'autore si trova a scrivere ma anche quello in cui i suoi lettori si trovano a leggere. Tondelli, consapevole di essere immerso in un mondo i cui ritmi vanno man mano accelerandosi ogni anno che passa, sembra infatti sottintendere una mancanza di tempo da dedicare (in maniera tanto attiva quanto passiva) alla letteratura che dunque deve adattarsi alla concentrazione, ai tagli; deve adattarsi, per usare le parole dell'autore, ad essere «bevuta d'un fiato» se non vuole rischiare d'essere lasciata a impolverare su qualche scrivania nell'attesa che qualcuno si decida ad immergervisi dentro.

Il lettore deve essere sempre tenuto sotto shock, deve bere il racconto tutto intero e d'un fiato; se si arresta è come un Manhattan che, se si lascia lì dieci secondi, svapora e non sa più di un cazzo.

Il racconto, dunque, non il romanzo. Il romanzo è morto; il romanzo monolitico rompe il cazzo; il romanzo monologico è farsi pippe per ore intere e non venire mai, accidenti! Non c'è più tempo per dedicare giorni e giorni alla letteratura, bisogna che il testo sia digeribile in poco tempo: mezz'ora, un'ora, sull'autobus, in metrò, in barca, al caffè, un racconto e via![T 781]

Appare dunque chiara la scelta di scrivere il suo libro d'esordio mettendo assieme non una lunga storia di cui, per forza di cose, la maggior parte dei lettori avrebbe dovuto

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spezzare la lettura, ma una serie di sei piccoli racconti della durata variabile ma comunque sempre digeribili in un'oretta al massimo ciascuno. Spezzare la lettura, arrestarla, è chiaramente, nell'ottica del giovane Tondelli, equiparabile a farle perdere l'aroma, il gusto che avrebbe potuto avere se solo si fosse riuscita ad assimilare tutta intera. Da qui dunque l'idea di non lasciare ai lettori questa possibilità, facendosi artefice egli stesso di una divisione ab origine che rendesse godibile ogni singolo racconto indipendentemente dagli altri. Un'idea, questa, che viene da lontano: ci basti pensare che uno dei grandi maestri del racconto breve, Edgar Allan Poe, «al quale si deve la prima riflessione forte e specifica sul genere»29 ha sempre privilegiato per i propri racconti un tempo di lettura che si protraesse

massimo per un paio d'ore, in nome di quel «one sitting»30 che si pone come l'equivalente

del «tutto d'un fiato» postulato da Tondelli un centinaio d'anni dopo. Siamo allora quasi in grado di carpire la risposta alla domanda posta all'inizio del paragrafo (di cosa parliamo quando parliamo di Altri libertini?) dalla bocca stessa del suo autore: «fate racconti brevi, ricordando che il racconto è il miglior tempo della scrittura emotiva e parlata.»31 È con

queste parole infatti che l'autore si rivolge ai giovani scrittori desiderosi di farsi conoscere entrando a far parte di quel gruppo Under 25 ideato dallo stesso Tondelli nel 1985 e reso noto nello stesso anno sulle pagine di «Linus»: un progetto ambizioso ed originale scaturito «dall'esigenza di offrire a quanti scrivono uno strumento per pubblicare e far leggere i propri lavori»32. Sono passati ormai cinque anni da quando un venticinquenne

Tondelli esordiva con un libro di racconti brevi e sembra proprio che col passar del tempo le sue posizioni riguardo le migliori forme narrative di cui servirsi per parlare da giovani ai giovani non siano affatto cambiate: «fate racconti brevi» ripete. L'iniziativa fu un

29 ZATTI 2010, p. 16. 30 POE 1971, pp. 1307-1322. 31 TONDELLI 1993, p. 364. 32 TONDELLI 2001, p. 1076.

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successo: nell'arco di tre mesi dalla data d'avvio del progetto arrivano sotto gli occhi dei collaboratori di Tondelli (Massimo Canalini, Giorgio Mangani ed Ennio Montanari) oltre quattrocento dattiloscritti che, opportunamente selezionati e scremati, andranno a comporre la prima raccolta firmata Under 25 dal titolo Giovani Blues, a cui seguiranno negli anni successivi Belli e perversi e Papergang. Unico comune denominatore tra i giovani esordienti antologizzati nelle suddette raccolte è l'utilizzo della forma breve propagandata dal fondatore (e a suo tempo egli stesso “giovane scrittore”) del gruppo. Appare dunque chiaro che Tondelli non solo preferisca cimentarsi nel racconto piuttosto che in quella del romanzo ma che a farlo siano pure tutti quei ragazzi che nell'ottobre del 1985 decisero di prendere al volo quell'opportunità di visibilità offerta dallo scrittore correggese. I motivi sono chiari: i racconti, prima di tutto, sono facilmente antologizzabili e la loro brevità permette di racchiuderne un certo numero all'interno di un solo libro (per la prima raccolta

Giovani Blues saranno tredici quelli selezionati) ma quello che sembra più premere a

Tondelli è far capire che per essere più diretti possibile, parlando di se stessi e delle proprie esperienze senza perdersi in inutili perifrasi, lo spazio dilatato del romanzo non è quello più adatto. La letteratura di Tondelli, così come quella che propone a modello ai suoi ragazzi, è emotiva, quasi fosse un grido in faccia ai lettori ed un grido non ha certo bisogno di mille pagine per farsi sentire.

E allora sarà opportuno chiederci: in cosa più precisamente si sostanzia questa scrittura emotiva di cui Tondelli si fa portavoce indicando la forma del racconto breve come suo miglior tempo? Sembra che con questo termine l'autore voglia indicare non tanto un particolare stile di scrittura quanto un'irruenza verbale, un'emotività (appunto) che, sgorgando impetuosa e inarrestabile dalla pagina, il lettore deve essere in grado percepire immediatamente. È una scrittura fatta di emozioni forti e non di belle lettere quella di

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Tondelli, di avventure urlate, quasi vomitate, di drogati emarginati e di studenti arrabbiati e non di «beghe esistenziali di contesse e marchesi»33. Non c'è spazio per lo scavo interiore:

ogni cosa affiora dalla pagina e si imprime immediatamente nella memoria del lettore così come viene presentata. Nessuna riflessione, nessuna giustificazione. Tutto accade velocemente e velocemente si dimentica, in un vortice ossessivo di avventure che si susseguono l'una dietro l'altra con una tale carica da far scordare tutto quel che si era potuto o che, al massimo, si sarebbe potuto trarre ai fini di una qualche maturazione interiore da quella vissuta in precedenza. Per questo il racconto è il miglior tempo di questo tipo di narrazione. Inutile perdersi in chiacchiere e pensieri, filosofie spicciole o riflessioni sulla vita e l'esistenza tutta: quando qualcosa urge dal di dentro, deve essere buttata fuori in fretta, sembra suggerire Tondelli tanto a se stesso quanto ai ragazzi dell'Under 25:

Dopo due righe il lettore deve essere schiavizzato, incapace di liberarsi dalla pagina; deve trovarsi coinvolto fino al parossismo, deve sudare e prendere cazzotti, e ridere, e guaire, e provare estremo godimento. Questa è letteratura.34

A questo proposito mi sembra importante sottolineare che lo stesso Tondelli non parte subito da queste posizioni circa la duttilità della forma breve come miglior contenitore della propria materia letteraria, ma vi arriva guidato da mani ben più esperte. È infatti il 1978 quando si presenta alla Feltrinelli con un volume di oltre quattrocento cartelle («quel primo testo – il dattiloscritto che ha preceduto Altri libertini – molte pagine, un linguaggio ricercato, con anche delle pretese strutturali notevoli»35) per il quale spera un'immediata

pubblicazione. L'itinerario dell'opera prima di Tondelli, come sappiamo, sarà molto diverso e ben più travagliato ed è forse in queste iniziali difficoltà, se così possiamo chiamarle, che

33 TONDELLI 1993, p. 373. 34 TONDELLI 2001, p. 779. 35 CARNERO 1998, p. 120.

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possiamo ravvisare la chiave del successo commerciale del libro. È un incontro innanzitutto quello che porta il giovane scrittore a rivedere il proprio usus scribendi imparando la nobile arte del taglio e della riscrittura: quello con l'editore Aldo Tagliaferri, vero e proprio mentore ed in parte artefice di quello stile che concorrerà a rendere Altri

libertini il caso letterario del 1980.

La prima cosa che ho imparato nell'apprendistato eseguito sotto la guida di Aldo Tagliaferri, redattore editoriale e critico letterario, è stata quella di riscrivere. Quando mi presentai nel suo ufficio con un bel volumone, frutto di un anno di lavoro, mi aspettavo un'immediata pubblicazione. Giuro che non mi passava nemmeno per la testa il fatto che quelle quattrocento cartelle sarebbero state ridotte, strapazzate e infine dimenticate per far posto a quello che sarebbe diventato il mio libro d'esordio.36

Notiamo dunque che se di romanzo si può parlare («si trattava di un romanzo, una cosa molto grossa»37 dirà l'autore in una conversazione con Tino Pantaleoni), dobbiamo

farlo solo ed esclusivamente riferendoci a «quel dattiloscritto» che precedette Altri libertini e che, con l'aiuto di un editor oculato, fu prima riscritto e poi rimpiazzato dal libro che oggi conosciamo: una raccolta di episodi, per l'appunto, a metà tra «(pseudo)autobiografia e (pseudo)invenzione»38 che niente hanno a che vedere con le molte pagine ed il linguaggio

ricercato che l'autore stesso ha saputo riconoscere come i limiti da superare per giungere ad uno stile più maturo e godibile.

In maniera non dissimile e nel medesimo periodo, oltreoceano, l'opera di Raymond Carver passava sotto le mani del proprio editore Gordon Lish che, riducendo all'osso la le bozze dei racconti proposte inizialmente dallo scrittore, fu in grado di creare e proporre al mercato editoriale quei piccoli gioielli passati alla storia come espressioni più pure di quel

36 TONDELLI 1993 p. 354. 37 TONDELLI 2000, p. 1109. 38 CASADEI 2005, P. 132.

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minimalismo americano che, a detta di molti, può essere visto come una vera e propria invenzione di Lish. I racconti di Che cosa parliamo quando parliamo d'amore escono nel 1981 consacrandone l'autore a maestro della short story: un titolo senz'altro da dividere con Gordon Lish, la cui mano (basti pensare che l'editor arrivò addirittura a tagliare il cinquanta, se non addirittura il settanta percento di ogni testo nel suo stato grezzo39) fu, per

il successo dell'opera, decisiva quanto quella dello stesso Carver. Se però lo scrittore americano cercò di ribellarsi più volte, restando inascoltato40, all'epurazione voluta da Lish,

Tondelli comprese che quei tagli, spostamenti e riscritture continue suggeritegli da Tagliaferri lo avrebbero portato non tanto ad uno snaturamento del proprio lavoro quanto al raggiungimento di una piena consapevolezza delle proprie possibilità espressive. Tagliaferri, a differenza del suo corrispettivo d'oltreoceano, non prende in mano il volante al posto di Tondelli; più semplicemente gli indica la strada da seguire. Non sarà infatti il volume portato in Feltrinelli nel 1978 a venire pubblicato: il lavoro svolto da editore ed autore su quella prima ed acerba opera non la porterà, come nel caso della raccolta di Carver, a nuova vita ma, più semplicemente, servirà a Tondelli da lezione per i suoi scritti successivi nei quali, a partire proprio da Altri libertini, inizierà già autonomamente una sorta di editing svolto parallelamente alla stesura dei racconti. Non è un romanzo tagliato e risistemato l'opera prima dello scrittore correggese ma una raccolta di racconti «scritti abbastanza in fretta»41 che, del metodo Tagliaferri, conservano quella spinta a tagliare il

superfluo per lasciare sulla pagina soltanto l'essenziale in grado di catturare il lettore. Ci chiediamo dunque: se è addirittura stato necessario sfoltire e poi dimenticare un lavoro di circa un anno, un'opera che con tutta probabilità, per usare le parole dello stesso Tondelli, avrebbe «rotto il cazzo», per giungere all'asciuttezza dei racconti che

39 POLSGROVE 1995, pp. 241-243. 40 Ibidem

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compongono Altri libertini, siamo davvero sicuri di voler ancora continuare a parlare dell'opera prima di Tondelli come di un romanzo?

Altri libertini è un'opera che va senz'altro inserita nella scia di tutte quelle raccolte di

racconti che, senza disdegnare collegamenti reali o presunti l'un con l'altro, si prestano ad una lettura frammentaria ed estremamente libera. Nessun problema allora se si vuole incominciare da Viaggio piuttosto che da Postoristoro o se si vuol leggere Mimi e istrioni una volta dopo essersi immersi nelle scorribande notturne di Senso Contrario (Autobahn, come già evidenziato, rappresenta forse l'unica eccezione, imponendosi come il racconto migliore, dato il superamento dello stato depressivo che aleggiava negli altri episodi, con cui concludere la lettura del libro). Si può scomporre, anticipare o posticipare ed il libro non perderebbe niente di quell'omogeneità di base che molti hanno usato come prova evidente del carattere romanzesco del libro, cosa che, se non del tutto sbagliata, mi sembra alquanto opinabile. Sono racconti quelli che compongono Altri libertini, niente di più, niente di meno: sei racconti in cui sei voci, eccezion fatta per Postoristoro, narrato in terza persona, si passano il ruolo di protagonista-narratore, ogni volta inserito (quando non più brutalmente invischiato) in situazioni tanto simili quanto diverse. Che sia indubbiamente vero che l'io narrante sia da ascrivere ad un gruppo ben più ampio, ad una «vera e propria soggettività plurale, un Noi narrativo»42, non induce comunque a pensarlo come una

declinazione continua del medesimo personaggio: le voci che si susseguono appartengono, è vero, bene o male allo stesso contesto sociale – di «ritratto generazionale» parla la quarta di copertina dell'edizione del libro in economica43 – ma pur sempre mantenendo tra loro

sostanziali differenze che non permettono di individuare, nell'opera, un unico protagonista. Nella progressione in cui sono ordinati i racconti allora non solo non riusciamo a

42 TONDELLI 1987. 43 CARNERO 1998, p. 39.

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trovare una reale traccia narrativa che dal primo si sviluppi sino all'ultimo ma nemmeno un personaggio ricorrente che funga, con la sua sola presenza, da collante dell'intera opera. Tutti i racconti in cui si divide Altri libertini infatti si configurano come storie autoconclusive che, pur mettendo in scena dinamiche simili, ruotano attorno alle vicende di personaggi sempre diversi. Ogni racconto è dunque portatore di un suo significato specifico perfettamente comprensibile anche al di fuori della raccolta: ciò evidenzia chiaramente la più smaccata differenza che intercorre tra gli episodi di Altri libertini ed i capitoli di un romanzo che, per forza di cose, mantengono tra loro legami dettati dalla trama e dai personaggi principali e che, dunque, non è possibile leggere separatamente dall'opera da cui sono tratti. Nessuno mette in dubbio l'esistenza del romanzo corale (in fin dei conti, chi sarebbe il protagonista di Guerra e pace?) ma non troviamo niente nella lettura di Altri libertini che ci porti ad identificarlo come tale: i racconti, come detto, si susseguono senza un'ordine narrativo preciso ed i personaggi che si alternano di volta in volta nel ruolo di narratori e protagonisti delle vicende sono tanti quanti gli stessi racconti di cui il libro si compone.

Ricapitoliamo: data l'unità tematica ed i numerosi rimandi intertestuali che l'autore ha disseminato nei sei racconti dell'opera, possiamo senz'altro affermare che, seppur di statuto debole (in quanto, ogni racconto è antologizzabile a sé stante), Altri libertini si possa configurare come macrotesto. Allo stesso tempo però, l'evidente mancanza di una progressione narrativa e l'utilizzo di un protagonista diverso per ogni episodio del libro (che si vanno dunque a delineare come short stories chiuse, con un proprio inizio, svolgimento e conclusione) allontanano inevitabilmente Altri libertini dalla definizione di “romanzo” con cui più volte, sin dalla sua prima edizione nel gennaio del 1980, si è fatto riferimento al testo d'esordio dello scrittore correggese.

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Per concludere, azzardando un parallelismo con la musica, campo da cui Tondelli attinge molto del suo background culturale, possiamo dire che Altri libertini si avvicina più a New York44 che a Berlin45, più a Creuza de ma46 che a La Buona novella47. Se infatti

Berlin e La buona novella, concept album rispettivamente opera di Lou Reed e Fabrizio De

André, presentano nell'ordine delle tracce una progressione del discorso narrativo che dalla prima si conclude nell'ultima, gli altri due dischi citati dei medesimi artisti si presentano come opere sicuramente omogenee – tanto dal punto di vista strettamente musicale quanto da quello tematico – ma in cui tale progressione risulta totalmente assente. Con Berlin Lou Reed mette in musica la storia di due sfortunati amanti nella capitale tedesca di inizio anni Settanta: l'ordine con cui le dieci canzoni si susseguono è dunque imposto dalla trama scritta e interpretata dal'ex leader dei Velvet Underground; con New York invece l'autore si limita ad incidere uno dietro l'altro brani che fanno della vita nelle fredde strade della Grande Mela il loro tema portante: similmente a quanto accade in Altri libertini, una lunga serie di personaggi viene presentata sullo sfondo della medesima città, intrecciando tra loro temi quali la violenza, la tossicodipendenza, l'amore frustrato e la rassegnazione. L'ordine dei brani non presenta alcuna progressione imposta anche se l'unità tematica e sonora che permea l'intero album ce lo presenta come un disco che può tranquillamente essere definito un (seppur multimediale) macrotesto. Se allora le canzoni di Berlin, così come quelle della

Buona novella (opera in cui De Andrè rilegge in chiave laica la vicenda di Gesù Cristo,

dall'infanzia di Maria sino alla Passione) possono essere accostate ai capitoli di un romanzo, quelle di New York e di Creuza de Ma (disco scritto e cantato interamente in genovese in cui il capoluogo ligure è l'assoluto protagonista della scena) si avvicinano di

44 REED 1973. 45 REED 1989. 46 DE ANDRÉ 1969. 47 DE ANDRÉ 1984.

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più alle narrazioni di quei “cicli” di racconti quali i già citati Dubliners di Joyce e, ovviamente, i Libertini di Tondelli. L'omogeneità dell'opera prima dello scrittore emiliano non è dunque assolutamente messa in discussione: più semplicemente, si è voluto dimostrare che, preferendo alla dicitura di romanzo, quella di ciclo di racconti, non facciamo alcun torto ad un libro, quale sicuramente è Altri libertini, che, nonostante la compiutezza dei racconti che lo compongono, merita senza ombra di dubbio una lettura unitaria. Del resto, è certamente possibile leggere Viaggio così come ascoltare Dirty

Boulevard senza avere la minima idea di quali siano le opere che li contengono; ma c'è

davvero qualcuno che preferirebbe farlo?

I.2. Affinità-divergenze: un Bildungsroman in potenza

Io sto bene Io sto male Io non so Come stare CCCP, Io sto bene

La materia narrativa trattata nei racconti che compongono Altri libertini potrebbe essere, ad una prima superficiale lettura, fatta confluire in quella particolare tipologia di romanzo che va sotto il nome di Bildungsroman, il romanzo di formazione: «la forma che domina – o, più esattamente, rende possibile – il secolo d'oro della narrativa occidentale»48,

inaugurato dagli Anni dell'apprendistato di Wilhelm Meister di Goethe che, di questo nuovo genere letterario, si impone come pioniere. Ciò che concorre a rendere l'opera di

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Goethe tanto importante per lo sviluppo di gran parte della letteratura ottocentesca è l'aver spostato l'attenzione su quella parte della vita, la giovinezza, che viene adesso percepita come «la parte più significativa dell'esistenza»49. Se infatti – come fa notare Franco Moretti

– gli eroi classici erano perlopiù uomini adulti (ci basti pensare ad Ulisse o Achille ma anche ad Enea), con la stesura del Meister Goethe apre la strada ad una serie di eroi che da Elizabeth Bennet a David Copperfield passando per Renzo Tramaglino, faranno della propria giovinezza il loro punto di forza. È appunto la giovinezza il banco di prova su cui i protagonisti di questo nuovo genere letterario si formano, costruendo la propria personalità ponendone un tassello dopo l'altro e traendo tutti gli insegnamenti utili ai fini dell'inserimento nell'età adulta da qualunque esperienza compiano all'interno della narrazione: è infatti solo una presa di coscienza razionale da parte del protagonista a proposito dell'importanza degli eventi cardine della propria esistenza che garantisce la sublimazione di quel mestiere di vivere il cui apprendistato è alla base di ogni romanzo di formazione.

Se è vero allora che il Bildungsroman narra le vicissitudini dell'ingresso nella vita, è certamente la giovane età dei personaggi di Altri libertini il legame più prossimo all'archetipo ottocentesco che conferisce all'esordio dello scrittore correggese la struttura tipica del romanzo di formazione di cui, soprattutto nel terzo racconto dell'opera, Viaggio, si intravedono i punti salienti: «ci serve per smaltire l'esame di maturità e i sonnolenti anni dell'apprendistato»50 si legge addirittura nelle prime pagine del racconto che tradisce così

fin da subito ed in maniera esplicita il legame con l'opera di Goethe (da cui, come vedremo, il testo opererà un continuo distanziamento). Così come i nuovi eroi di cui Wilhem Meister si pone come capostipite, i protagonisti dell'opera prima di Tondelli sono

49 Ibidem

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infatti tutti ragazzi, giovani in bilico tra un'adolescenza non del tutto abbandonata ed una maturità di cui si fatica a vedere la realizzazione. A sottolineare l'importanza della giovinezza, vista come la fase della vita che più di tutte coincide con la “costruzione” (la

Bildung, per l'appunto) di sé stessi, sta il fatto che non solo i personaggi, tanto quelli

primari quanti quelli secondari, di Altri libertini appartengano alla categoria di giovani ma anche il loro stesso creatore, Pier Vittorio Tondelli (all'epoca della pubblicazione del libro appena venticinquenne) ed il pubblico a cui egli sceglie di rivolgersi: «quando scrivevo i racconti di quel libro cercavo un determinato pubblico e avevo un'idea di lettore. Volevo comunicare ad altre persone che avessero più o meno la mia età»51, dirà infatti nel Mestiere

di scrittore. L'intento di Tondelli appare dunque chiaro ed è proprio col già citato Viaggio

che l'autore segue, a modo suo, il modello del Bildungsroman tratteggiando le peripezie di un giovane (di cui mai viene fatto il nome) in una sorta di educazione sentimentale che però, come vedremo, pur mettendo in scena le tappe fondamentali della Bildung in senso classico, tradirà ogni aderenza al modello ottocentesco che andrà dunque a configurarsi come referente svuotato.

Partiamo dalle linee generali della trama: il racconto, narrato in prima persona dal protagonista della vicenda, si apre a Correggio, terra d'origine dello stesso Tondelli, che funge da città-cornice della vicenda: la parte centrale della narrazione è infatti un unico lungo flashback incentrato sugli anni che vanno dal 1974 («Bruxelles ci piace nell'estate del settantaquattro»52) sino alla fine del 1978. I due estremi del racconto – probabilmente

ambientati nel 1978 o al massimo nel 1979 – vedono il protagonista intento a sfrecciare sulle strade emiliane senza una meta precisa, quasi a voler rappresentare la mancanza di senso e di fine di tutte le avventure che fanno di Viaggio una sorta di memoriale: il diario

51 TONDELLI 2001, p. 981. 52 TONDELLI 2000, p. 50.

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di un ragazzo che, perduta l'innocenza della fanciullezza, vede ancora distante l'equilibrio della maturità.

Notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le strade d'Emilia a spolmonare quel che ho dentro, notte solitaria e vagabonda a pensierare in auto verso la prateria, lasciare che le storie riempiano la testa così poi si riposa, come stare sulle piazze a spiare la gente che passeggia e fa salotto e guarda in aria, tante fantasie una sopra e sotto l'altra, però non s'affatica nulla. [T 49]

L'incipit del racconto è folgorante. Il protagonista solitario e vagabondo è al volante: la sua guida è spericolata, quasi non gli importasse di vivere o morire; quel che veramente gli sta a cuore è “spolmonare” quel che ha dentro. Notiamo fin da subito come il gergo utilizzato da Tondelli si rivolga prettamente ad un ristretto gruppo giovanile in grado di comprendere e riconoscere come propri verbi quali “spolmonare” o “pensierare”: chiaro dunque che chi narra è un giovane che ai giovani si rivolge. In auto – mezzo topico dei viaggi di Kerouac e dalla Beat generation in generale che, come vedremo, si pongono come i precedenti più prossimi dell'opera di Tondelli – il protagonista lascia andare la mente aspettando che «le storie gli riempiano la testa». L'autore ci informa dunque fin dalle prime righe che il racconto che leggeremo non sarà nient'altro che un collage di tutti quegli eventi che, mentre l'auto sfreccia tra la campagna emiliana, riaffiorano alla mente del protagonista: una volta esauriti questi ultimi, la narrazione si chiude su sé stessa ritornando al punto di partenza:

Agosto trascorre lento, solo, la notte a girare per la campagna a contare i pioppi sugli argini e bere. Il Gigi ora starà dormendo. La mia scommessa è persa. Non mi importa... Sulla mia terra semplicemente ciò che sono mi aiuterà a vivere.[T 96]

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ricordo che vede l'io narrante barcamenarsi tra Amsterdam e Parigi, Bologna e Milano fino a spingersi addirittura nel deserto marocchino in cerca di un qualcosa di indefinito che non riuscirà a trovare. Tutte le storie narrate nella corposa parte centrale del racconto infatti non portano a niente: sono narrazioni senza un vero e proprio scopo, avventure sovrapposte l'una all'altra da cui il protagonista non riesce ad apprendere niente ai fini di quell'ingresso nella vita che, solitamente, chiude il Bildungsroman in senso classico e che, al contrario, lo conducono ad uno stato di perenne insoddisfazione e di sofferenza fisica e psicologica a causa della quale tenterà addirittura un bislacco tentativo di suicidio «perché ammazzarmi non gliela faccio, ma tentare sì»[T 93]. E proprio qui sta la grande differenza tra Viaggio ed

il modello di romanzo ideato da Goethe a fine Settecento: il soggetto in costruzione di cui il Meister si fa archetipo è infatti qui sostituito da un soggetto ipertrofico e debole allo stesso tempo; tutto ciò che capita al giovane protagonista viene banalizzato da una narrazione tanto veloce da non lasciare spazio a nessun tipo di riflessione e crescita intellettuale. Le sue esperienze sono tanto intense – da qui l'ipertrofia che lo caratterizza – quanto precarie, figlie di «una perpetua incertezza e un desiderio impossibile da saziare»53.

Tutte le tappe che, nell'idea classica del Bildungsroman, dovrebbero essere fondamentali vengono sistematicamente svuotate del loro senso profondo lasciando sulla pagina una pura e semplice rievocazione di eventi appena appena accennati ed un grande senso di incompiutezza nella mente tanto di chi legge tanto di chi narra: «Altri libertini racconta uno smarrimento che non si guarda sino in fondo, viene enunciato e si dà per autentico perché ignora l'elaborazione»54 nota, per l'appunto, Raffaele Donnarumma in

Ipermodernità. Non a caso la struttura che Tondelli sceglie di dare al racconto è ciclica: si

avverte in quel chiudersi della narrazione su sé stessa tutta l'angoscia e la disillusione di un

53 BAUMAN 2000, p. 63. 54 DONNARUMMA 2014, p. 58.

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protagonista che non è riuscito ad indirizzare verso un punto preciso la trama della propria vita e che si trova adesso a correre in auto, quasi illudendosi di giungere finalmente da qualche parte, nell'immobilità spaziale della campagna emiliana che fa da sfondo anche agli altri racconti di cui Altri libertini è composto. Nel collage di avventure che si affastellano in Viaggio, ogni momento che si dovrebbe porre come cardine per la vita di un giovane, dicevamo, è completamente svuotato: di rimando dunque l'Io della vicenda non presenta una vera e propria profondità intellettuale né tanto meno psicologica; potremmo quasi dire che in lui viene a mancare ogni sorta di interiorità se non estroflessa ed esaurita completamente nelle poche righe che l'autore sceglie di dedicare agli eventi cardine della sua crescita. Eventi di grande importanza per un giovane che si appresta ad entrare nella vita adulta e dunque, seguendo l'ideale della Bildung ottocentesca, in un contesto sociale ben definito, quali il primo rapporto sessuale o la prima esperienza con la droga, vengono presentate ex abrupto, prive di una qualsivoglia preparazione narrativa:

Scopriamo tutti insieme la birra, il sesso, le trous. Ai giardinetti del Petit Sablom andiamo spesse volte perché si trova gente giovane come noi, si fuma canapa, si suona e si chiacchiera su cosa faremo da grandi [T 51]

Allo stesso modo, esauritasi la pura e semplice descrizione dell'esperienza (ma sarebbe forse meglio parlare di avventura), la narrazione si sposta su altro, in un accumulo ossessivo-compulsivo di eventi che ha ben poco a che vedere con la costruzione del proprio io tramite la profonda riflessione riguardo le esperienze vissute durante la propria giovinezza tipica dei protagonisti del romanzo di formazione classico: un procedimento che, attraverso la razionalizzazione della propria esistenza, muta il soggetto stesso. Ovviamente tutto ciò non accade in Altri libertini dove qualunque ripercussione sul mondo

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morale ed intellettuale dei personaggi risulta essere totalmente assente. Se infatti l'eroe del

Bildungsroman riesce, una volta arrivata a conclusione la trama della gioventù, a guardare

agli eventi della propria esistenza come anelli di una catena che, ben saldati l'uno con l'altro, lo traghettano al sicuro approdo della maturità, i personaggi di Altri libertini restano monchi, incompleti, incapaci di dare un qualsivoglia significato a tutto ciò che hanno vissuto, a tutte quelle avventure che ai loro occhi inesperti appaiono simili non tanto ad una catena razionalmente disposta quanto ad una collana di perle priva del filo. Puntuali, a riguardo, le parole con cui Franco Moretti si esprime a proposito dell'esperienza così com'è tracciata nel Bildungsroman:

L'episodio diviene esperienza se il singolo sa sì caricarlo di un significato che allarghi e irrobustisca la sua personalità ma sa anche porvi termine prima che essa ne venga modificata in modo univoco e irrevocabile.55

Niente di più distante da quanto leggiamo in Altri libertini: non solo infatti il personaggio tondelliano non presenta alcuna profondità psicologica ma nemmeno si preoccupa di caricare di un qualche significato le avventure che colleziona, limitandosi a viverle superficialmente, non riuscendo, di conseguenza, a portare a nessuna maturazione la propria personalità che dall'inizio alla fine del racconto rimane infatti piatta. Sono personaggi bidimensionali quelli creati da Tondelli: ragazzi scapestrati «che al “realismo” della borghesia e alla rassegnazione del sottoproletariato (termini, tra l'altro, mai adoperati da nessuno dei personaggi a rimarcare la totale assenza di coinvolgimento storico e politico del testo) oppongono un vitalismo non eroico, ma disinibito»56. Solo l'azione fine a sé

stessa sembra contare: non c'è tempo da perdere dietro alla Storia, alla politica o alla

55 MORETTI 1986, p. 50. 56 TONDELLI 1987

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