Many churches have an iconostasis, even if they were not un der the Oriental rite: this is the case of Saint Simine in Panta-
CLASSIFICATION OF RUPESTRIAN SETTLEMENTS 1 Cavità natural
8. Edifi ci di culto Necropol
Le necropoli rupestri note sono generalmente piccole perché affe- renti a minuscoli centri demici e poco conosciute. Molte di esse ap- paiono violate ab antiquo e semi-distrutte. Una delle più importanti, quella di Casalrotto di Mottola è stata scavata con un importante intervento archeologico ed è stata datata ai secoli XII-XIV, il pe- riodo di maggiore vitalità del villaggio. Un’altra piccola necropoli inviolata è davanti alla chiesa di *** di Palagianello e si spera che possa essere presto scavata, per trarne preziosi dati archeologici. Una piccola necropoli scavata da clandestini è nel sopraterra della chiesa rupestre della Madonna degli Angeli a Mottola, che aveva, all’esterno dell’abside, un parecclesion funerario con tre tombe ad arcosolio. Tombe ad arcosolio e terragne sono in numerose chiese ru- pestri pugliesi e cappadocesi, e non solo in quelle funerarie, ubicate anche all’esterno degli edifi ci sacri.
Le numerose necropoli di Cappadocia sono state generalmente sca- vate in anni piuttosto recenti, ma si ignorano i risultati degli scavi che non sono stati pubblicati.
Eremitaggi
Archiviata defi nitivamente, grazie alla ricerca archeologica degli ultimi trent’anni, la tenace tesi ottocentesca che voleva tutti i siti rupestri dell’Italia meridionale scavati da torme di monaci orientali in fuga dalle violenze degli iconoclasti, nell’incapacità della cultura
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CLASSIFICATION OF RUPESTRIAN SETTLEMENTS
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dell’epoca di riconoscere presenze ben più antiche e di fi ssarne la cronologia, c’è il rischio che vengano trascurati o non riconosciuti gli apporti che a quei siti sono venuti da parte dell’eremitismo, che pure vi sono stati e non sempre lontani dai grandi villaggi rupestri. Si è avviata, dunque, una ricognizione per il censimento e lo studio degli episodi eremitici ed anacoretici pugliesi in rupe, identifi cati sulla base di prove archeologiche di cultura materiale o epigrafi che o anche della toponomastica. Qui di seguito ripoprteremo alcuni di questi episodi, come la Cripta del Santo barbato e la Grotta dell’E-
remita a Massafra, la Grotta dell’eremita custode della chiesa di
Sant’Angelo a Casalrotto di Mottola, la Grotta dell’Eremita nel vil- laggio di Petrusico a Mottola, nonché di alcuni episodi in altri centri pugliesi. Lo studio di queste presenze ci consente di fare ulteriori passi per la conoscenza del variegato mondo degli insediamenti ru- pestri pugliesi.
Riteniamo che sia possibile intanto distinguere fra celle anacoreti- che, isolate e distanti dai luoghi abitati, come la Grotta dell’Eremita a Massafra, da celle eremitiche, solitamente prossime o contigue a chiese rupestri, delle quali l’eremita era custode.
Cella anacoretica, sperduta fra i boschi che nel Medioevo occupava- no la zona, è la Grotta dell’Eremita massafrese, un vasto e regolare ipogeo rettangolare di m 7,25x5,85, alto m 2,60 circa, con soffi tto piano ed ingresso a sud. Al centro del soffi tto c’è un foro circolare del diametro di cm 30, probabile sfogatoio dei fumi, e, sempre sul soffi tto, residua un troncone di pilastro a sezione quadrata. La cavità va identifi cata come asceterio grazie alla presenza sulle sue pareti di 23 croci graffi te, incise ed excise. Non è improbabile che sia stato occupato da diverse generazioni di anacoreti, se interpretiamo come memoria di uno di essi ad opera di un suo successore l’iscrizione
+Abbas Leon in lettere gotiche di XIV secolo su una delle sue pareti.
Cella eremitica è invece quella cosiddetta del Santo barbato da un affresco che vi si conserva.
Questa sorge in un’ansa della Gravina di Santa Caterina, a breve distanza dalla chiesa omonima. La cella eremitica, posta sulla sini- stra del sentiero gradonato che porta alla chiesa, era probabilmente in origine una tomba a camera. La grotta ha le dimensioni di m. 4,90x2,70 e presenta un ingresso rettangolare di m 1,50x0,90 (fi g. 4). A destra dell’ingresso presenta un probabile letto funebre poi usa- to come dormitoio dall’eremita ed infi ne trasformato in mangiatoia. Tracce di un altro letto funebre andato distrutto sono visibili sulla parete di fronte all’ingresso. L’eremita che vi abitò fu probabilmente uno dei pittori che decorarono la chiesa di Santa Carerina, visto che dipinse, nella sua cella, un santo dalla vistosa barba grigia, che è sta- to identifi cato per sant’Elia il giovane, eremita nato a Enna nell’823 e morto a Salonicco nel 903.
Cella eremitica di custode della chiesa di Sant’Angelo a Casalrotto a Mottola è quella che si vede sul lato nord dell’ampio pronao. È un piccolo vano rettangolare di circa 4 mq, con un giacitoio sul lato ovest, dove, accanto all’ingresso oggi semidistrutto, si apriva una fi nestrella forse sfogatoio dei fumi. È questa l’unica cella ere- mitica regolarmente scavata archeologicamente, che ha restituito la poverissima suppellettile usata dall’abitatore: una piccola olla ed una scodella, di sec. XIV, arredo suffi ciente alle modeste esigenze di un eremita. Probabilmente la stessa funzione di ricovero per l’eremita- custode aveva la cella, ampiamente perà rimaneggiata, che si vede aperta nel pronao della chiesa di San Nicola a Casalrotto, sempre in territorio di Mottola.
Romitori o asceteri sono da considerare piccoli complessi contigui a chiese generalmente piuttosto antiche, come quella di Santa Candida a Bari. In questo minuscolo romitorio la presenza di 3 arcosoli-al- cove indica il numero di persone che potevano stabilmente abitarvi. La forma e le caratteristiche dell’area abitativa sono simili alle abi- tazioni note negli insediamenti rupestri. Solo l’immediata vicinanza alla chiesa può far pensare ad un monastero rupestre.
Analoghe considerazioni vanno fatte per il complesso contiguo alla chiesa rupestre di via Martinez a Bari.
Cella anacoretica è invece con certezza un piccolo ipogeo quadran- golare, ampliato in un secondo tempo con un’alcova a pianta rettan- golare aperto in una antica cava abbandonata in contrada Morsara a Santeramo e riusato per le esigenze di lavori agricoli fi no a tempi recenti. L’ambiente dovette essere usato originariamente per abita- zione, arredata da nicchie arcuate a tutto sesto per l’esigenza di ri- porvi vasi ed oggetti di uso quotidiano, come è frequentissimo nelle abitazioni rupestri medievali.
Ma l’ipogeo ha una particolarità assai interessante e certamente rara, mai riscontrata nelle abitazioni. Sotto una nicchia, che forse acco- glieva una piccola icona, c’è un bello e accurato graffi to rappresen- tante, in monogramma, l’espressione ΣΤΑΥΡΟΣ ΦΩΣ (“La Croce è luce”) che alcuni interpretano ΧΡΙΣΤΟΣ ΦΩΣ (“Cristo è luce”), secondo quanto Gesù stesso affermò: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita” (Gv., 8, 12).
L’espressione evangelica appare, sia in greco che in latino, nume- rose volte negli affreschi che rappresentano il Cristo pantocrator o il Cristo giudice nelle Déisis di chiese rupestri pugliesi e materane Tuttavia, si è già avuto occasione di osservare che la forma mono- grammatica, rappresentata dalla lettera greca Φ tagliata da una linea orizzontale che, con l’asta verticale della lettera forma una croce, si trova in numerosi ambienti non solo ecclesiali, come, in manie- ra monumentale, nel soffi tto di una chiesa rupestre in Cappadocia, nei pressi di Göreme, dove il cerchio della Φ appare come un semi- cerchio, ma anche in ambienti abitativi, come quelli – ora distrutti – contigui alla scomparsa chiesa rupestre di San Giovanni, già in territorio di Taranto ed ora in quello del giovane Comune di Statte. Talvolta, il monogramma è semplifi cato e ridotto alla sola lettera Φ non ricrociata, cosa che insinua il sospetto che fosse sentito da qual- cuno come un semplice segno apotropaico, usato a protezione dai mali, alla stregua del pentalpha, la stella a cinque punte che si rite- neva incisa sull’anello di Salomone, che incontriamo inciso da fedeli sulle pareti di molte chiese rupestri e abbiamo visto più volte graffi to sulle stalattiti della Grotta Sant’Angelo a Santeramo (Bari), fra una fi tta selva di croci e di iscrizioni richiedenti, in greco e in latino, al Signore di ricordarsi del suo povero servo che scriveva, spesso senza neanche graffi re il proprio nome, in quanto sapeva che questo era già noto al Signore.
Ma, mentre è diffi cile cogliere il signifi cato religioso, oltre quello magico-apotropaico, del pentalpha (che pure dovette averlo, vista la sua presenza frequente in ambienti ecclesiali e, soprattutto, in san- tuari di pellegrinaggio, come la chiesa rupestre di Santa Lucia a Pa- lagianello) si ha il fermo convincimento che il monogramma “Cristo è luce” fosse essenzialmente una professione di fede: “Io credo che Cristo è la luce del mondo”, e come tale lo si interpreta anche nel caso dell’ipogeo di Santeramo, dove dandogli quel signifi cato dovet- te graffi rlo il suo abitatore, certamente un anacoreta.
Altro romitorio, il cui studio è appena iniziato, è sempre in una grot- ta a Santeramo, su una parete della quale è incisa una rarissima Cro- ce cosmica, un simbolo dai signifi cati profondi che solo un religioso di buona cultura poteva possedere.
A conclusione di questa breve rassegna, a documento del lacoro avviato, ci pare opportuno ricordare la ‘Grotta dell’Eremita’ nella Gravina di Petruscio a Mottola. È probabile, infatti, che quella degli eremiti sia stata una rioccupazione della grotta dopo l’abbandono del villaggio, avvenuto l’ultima volta nel XIV secolo, e che si tratti di fenomeno di lunga durata, se il toponimo è rimasto nella memoria della popolazione, a malgrado del fatto che la grotta sia nota anche come Grotta De Rosa, dal nome di un brigante che vi si rifugiò in età post-unitaria.
Comunque, il fatto che la grotta sia relativamente appartata dal vil- laggio rende discutibile questa ipotesi ed è probabile che essa sia nata già come asceterio. Questa grotta merita approfondite rifl essio- ni, perché ha tutte le caratteristiche di una residenza fortifi cata, in quanto non ha ingresso e vi si accede con diffi coltà attraverso una
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R. Caprara
51 51 fi nestra, alta 120 cm e larga 70, sugli stipiti della quale sono incise
numerose croci. Una croce più grande è nell’interno, sulla parete di fondo, nella quale si aprono tre nicchie a prospetto semicircolare.. Il locale è regolarissimo e perfettamente rifi nito, ha una lunghezza non consueta di m 5,30, una larghezza di m 2,15 ed una altezza di m 2,20, ed è eccezionalmente dotata di un piccolo vano separato per i servizi igienici, con canaletta di defl usso che portava i liquami diret- tamente nella gravina, precauzione che gli eremiti avevano presa sia a salvaguardia del pudore, sia nell’ipotesi di dover sostenere un lun- go assedio. I siti rupestri, infatti, non sono fuori dalla storia generale della regione, e Mottola fu saccheggiata numerose volte dal 1102 al 1356, quando fu completamente distrutta.
Da distruzioni e massacri non furono esenti certo i villaggi rupestri, tanto che qualcuno pensò a fortifi care la sua grotta. Questo accadde anche, ad esempio, nella cosiddetta ‘Farmacia del Mago Greguro’, nel villaggio di Madonna della Scala a Massafra, probabilmente nel- la fase in cui, mediante la giustapposizione e fusione di quattro abi- tazioni rupestri, era stata trasformata in piccolo monastero.
Uno studio delle celle eremitiche ed anacoretiche è già in corso da tempo nella Spagna.
Monasteri
La terra dei grandi monasteri rupestri è certamente la Cappadocia, dove sono numerosissimi gli impianti monumentali, sia maschili che femminili, annessi generalmente a chiese riccamente decorate. L’in- tensità della vita monastica orientale faceva sì che in ogni monastero vivessero decine e, talvolta, centinaia di monaci, come ancora oggi nei monasteri subdiali del Momnte Athos.
Non ci consta che ricerche recenti siano state condotte in Egitto, dove il monachesimo cristiano ebbe origini nel IV secolo. In Europa, dove il Monachesimo fu prevalentemente benedettino e quindi svi- luppatosi in grandi monasteri subdiali, sono rari, o almeno ancora non adeguatamente riconosciuti, i monasteri rupestri, che – collegta- ti comunque al Minachesimno orientale – non ebbero la monumen- talità di quelli cappadocesi.
Alcuni modesti impianti monastici in rupe sono stati scoperti in Pu- glia, a Matera, Ginosa, Mottola, Massafra, ed il loro studio è appena iniziato.
Chiese
Le chiese sono i monumenti rupestri studiati da più lungo tempo, per la Puglia dagli ultimi anni dell’Ottocento e per la Cappadocia dagli anni Trenta del XX secolo. Malgrado questo, poiché gli studi erano condotti da storici dell’arte, l’interesse si è rivolto prevalentemente, quando non esclusivamente, alla decorazione pittorica, sicché poco si conosceva dell’architettura e dell’esistenza stessa di chiese anico- niche. Oggi, grazie alle ricerche condotte da archeologi ed architetti, abbiamo una quantità di informazioni che riassumiamo in breve.
La cronologia: Smentendo la prevalente dottrina che voleva le chiese
datate al più antico dipinto che vi si conservava, si è scoperto che numerose chiese sono, per le loro strutture, da datare ad età tardo- antica ed altomedioevale, come chiese cappadocesi ed, in Puglia, una chiesa triconca a Madonna della Scala di Massafra, diVI secolo, e, sempre a Massafra, le chiese di San Marco e Santa Marina, di VII- VIII secolo, o quella presso Masseria Scarano a Mottola, di analoga datazione. Al X secolo sono da datare alcune chiese di Grottaglie e di Matera, che ne conserva anche di più antiche.
La tipologia: Gran parte delle chiese rupestri sono semplicissime, a
navata unica absidata, antre a due navate e due absidi, come quella di Madonna delle Sette Lampade a Mottola. Rare sono quelle a croce libera, mentre non ignoto è quello a croce greca inscritta, come il Salvatore di Giurdignano (Lecce) e di San Gregorio a Mottola. Di numerose chiese, soprattutto in Puglia, è diffi cile ricostruire la struttura originaria, a causa di una lunga serie di interventi che l’hanno deformata. Devastanti quelli intervenuti in fasi di uso im- proprio delle chiese quando queste furono abbandonate.
Numerose chiese, anche non urate per il rito orientale, presentano un templon iconostatico, come quella di San Simine a Pantaleo a Massafra, quella di Santa Caterina a Taranto, quella di Sam Procopio a Monopoli.
Fig. 7 Apiary, Ortahisar. (photo: G. Verdiani) Fig. 8 Tintoria, Ortahisar. (photo: C. Giustiniani)
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Fig. 9 Panoramic view of Ortahisar (photo: G. Verdiani).
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