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North Africa suffered a political and economical decline, while the routes across the Sahara desert were long and risky,

so they were progressively abandoned.

MIGRAZIONI DI POPOLI E INVASIONI

Riteniamo che si debba distinguere il concetto di “immigrazione” da quello di “migrazione”. Umberto Eco ha recentemente operato un di- stinguo preciso. Si ha “immigrazione” quando alcuni individui (anche molti, ma in misura statisticamente irrilevante rispetto al ceppo di ori- gine) si trasferiscono da un paese all’altro (come gli italiani o gli irlan- desi in America, o i turchi oggi in Germania). I fenomeni di immigra- zione possono essere controllati politicamente, limitati, incoraggiati, programmati o accettati. Non accade così con le migrazioni. Violente o pacifi che che siano, sono come i fenomeni naturali: avvengono e nessuno le può controllare. Si ha “migrazione” quando un intero po- polo, a poco a poco, si sposta da un territorio all’altro (e non è rilevante quanti rimangano nel territorio originali, ma in che misura i migranti cambino radicalmente la cultura del territorio in cui hanno migrato). Ci sono state grandi migrazioni da est a ovest, nel corso delle quali i popoli del Caucaso hanno mutato cultura ed eredità biologica dei nativi. Ci sono state le migrazioni di popoli cosiddetti “barbarici” che hanno invaso l’impero romano e hanno creato nuovi regni e nuove cul- ture dette appunto “romano-barbariche” o “romano-germaniche”. C’è stata la migrazione europea verso il continente americano, da un lato dalle coste dell’Est via via sino alla California, dall’altro dalle isole ca- raibiche e dal Messico sino all’estremo del Cono Sud. Anche se è stata in parte politicamente programmata, si parla di migrazione perché non è che i bianchi provenienti dall’Europa abbiano assunto i costumi e la cultura dei nativi, ma hanno fondato una nuova civiltà a cui persino i nativi (quelli sopravvissuti) si sono adattati. Ci sono state migrazioni interrotte, come quella dei popoli di origine araba sino alla penisola

iberica dove furonoi fermati. Ci sono state forme di migrazione pro- grammata e parziale, ma non per questo meno infl uente, come quella degli europei da est verso sud (da cui la nascita delle nazioni dette “post-coloniali”), dove i migranti hanno pur tuttavia cambiato la cul- tura delle popolazioni autoctone. Ci pare che non si sia fatta sinora una fenomenologia dei diversi tipi di migrazione, ma certo le migrazioni sono diverse dalle immigrazioni. Si ha solo “immigrazione” quan- do gli immigrati (ammessi secondo decisioni politiche) accettano in gran parte i costumi del paese in cui immigrano, e si ha “migrazione” quando i migranti (che nessuno può arrestare ai confi ni) trasformano radicalmente la cultura del territorio in cui migrano. Di questi fl ussi migratori ed invasioni si è tenuto conto per la storia delle vicende di popoli e Stati, ora bisognerò tenerne conto per portare defi nitivamente nella luce della Storia le vicende del popolamento rupestre nelle regio- ni circum-mediterranee.

Le ondate di migrazioni dei popoli germanici, note nella storiografi a occidentale come invasioni barbariche, sono una caratteristica dell’al- to medioevo, a partire dall’ultimo secolo dell’Impero Romano. Nel 401 scesero i Visigoti il cui condottiero era Alarico. Attila, il fl agello di Dio, invase l’Italia a capo degli Unni, un popolo di stirpe turco- mongola, probabilmente originario della Siberia, partendo dall’Illiria per poi penetrare nelle Gallia ed essere infi ne fermato nel 451 dal ge- nerale romano Ezio prima ai campi catalaunici e defi nitivamente nel 452, sul Mincio, dal Papa Leone I°. Con la morte di Attila, avvenuta nel 453, gli Unni si ritirarono fi no ad insediarsi nell’odierna Bulgaria, Macedonia ed alto Volga. L’estate del 476 vide la fi ne dell’impero ro- mano: il barbaro Odoacre, Re degli Eruli, capo di gruppi eterogenei

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R. Caprara

37 37 già da tempo infi ltratisi entro i confi ni dell’Impero romano, depose

il fanciullo imperatore Romolo Augustolo e si mise a capo dell’ammi- nistrazione romana in Italia governando dal 476 al 493. Odoacre fece sua la Sicilia, ottenendola dai Visigoti e, penetrato in Dalmazia ed alta Illiria, le conquistò. Un altro gruppo, gli Ostrogoti, guidati da Teodo- rico, con una marcia approvata dall’imperatore di Oriente, Zenone, si mosse dalla odierna Serbia, in una nuova ondata d’invasione, penetrò in Italia da est nel 488 , attraversò la pianura padana e sconfi sse le truppe di Odoacre prima sull’Isonzo, poi a Verona. Odoacre, sconfi tto in battaglie aperte, tradito dai suoi generali, respinto dai Romani, si rifugiò a Ravenna, tentando di ricostruire un esercito e di approntare una difesa. Dopo una nuova sconfi tta sull’Adda nell’agosto del 490 si asserragliò in Ravenna, dove, dopo due anni e mezzo di resistenza, dovette cedere per fame. Fu ucciso a tradimento; ed una strage di tutti i suoi fedelissimi assicurò a Teodorico il defi nitivo possesso dell’Italia. Altre migrazioni furono invece pacifi che. Come si sa per favorire l’insediamento degli albanesi nel Regno di Napoli, in considerazio- ne della povertà del paese balcanico invaso dai Turchi, i re aragonesi concessero agli immigrati alcuni privilegi, come il dimezzamento dei tributi, per un periodo di tempo abbastanza lungo, probabilmente cinquant’anni. Con le immigrazioni albanesi si assiste nel Meridione in genere, in Calabria e in Puglia in particolare, ad una fase di espan- sione demografi ca, accentuata alla fi ne del 1400, ma che continua per tutta la prima metà del 1500. E’ il periodo in cui l’economia del Mezzogiorno e degli stati europei è in forte ripresa. In questa società in grande crescita economica, ma priva di braccia di lavoro suffi cienti a sostenerla, si colloca la concessione da parte dei sovrani napoletani condizioni favorevoli a queste popolazioni venute dall’altra sponda dell’Adriatico che si erano ormai stabilizzate nel Regno. E dove gli insediamenti risultarono più stabili conservarono la lingua e le tradi- zioni originarie.

Ma eventi tragici conseguenti alle migrazioni non sono solamente del nostro tempo. La storia dell’occidente è caratterizzata da fl ussi mi- gratori di intere popolazioni, che si muovevano da una regione ad un’ altra, anche molto lontana, non solo a causa delle guerre e delle distru- zioni conseguenti.

Erodoto, il grande storico greco nato intorno al 484 a.C. e morto in- torno al 425 a.C., nelle Storie narra di diverse migrazioni di popoli sia per motivi derivanti dalla guerra sia per gravi calamità naturali. Qualche esempio. Nel libro I, 15 egli così scrive: “i Cimmeri [popo- lazione indoeuropea delle steppe asiatiche] cacciati dalle loro sedi dai nomadi Sciti [popolazione che abitava il territorio nell’attuale Siberia meridionale], giunsero nell’Asia Minore e occuparono tutta Sardi [cit- tà dell’Asia Minore], eccetto l’acropoli”.

L’area che dal 2000 al 600 a.C. ha subito il passaggio dei popoli in- doeuropei migranti è quella centrale della mezzaluna fertile. Questo periodo è stato teatro delle due migrazioni indoeuropee. La prima, nel 2000 a.C., ha visto la discesa di popoli come Persiani, Achei (i futuri Greci), Celti, Slavi e Ittiti. Proprio quest’ultimi, dalle steppe dell’Asia centrale, discesero in Anatolia sconfi ggendole popolazioni preesisten- ti nel luogo e ponendosi come popolo guerriero dominante. Diedero un importante contributo alla storia con larte del ferro e quella di caval- care. Nel 1200 a.C. ebbe luogo una seconda migrazione indoeuropea con la quale i popoli indoeuropei dei Dori, dei Peleshet e altri siinse- diarono nell’attuale Asia mediterranea eliminando gli Ittiti dalla storia e causando così l’emigrazione dei fabbri ittiti che divulgarono i segreti del ferro, dando inizio appunto all’Età del ferro. Una fra le più famo- se migrazioni citate anche dalla Bibbia è quella del popolo ebraico, durata per ben seicento anni, dal 1800 a.C. al 1200 a.C. Nel 1800 a.C. il patriarca Abramo partì da Ur, in Mesopotamia, con la sua stirpe e giunse in Palestina, proseguendo per l’Egitto, dove gli Ebrei rimasero prigionieri per 600 anni. Nel 1200 a.C. Mosé, successore di Abramo, si rivoltò e fuggì con il suo popolo attraverso il Mar Rosso tornando in Palestina, la terra promessa.

I Longobardi in Italia meridionale, ad esempio, diffusero, col proto- tipo del Sant’Ilario a Porta Aurea di Benevento, un modello di chiesa

absidata con aula costituita da due moduli quadrati, modello che tro- viamo ripetuto in numerose chiese rupestri pugliesi altomedioevali o anche posteriori, come, ad esempio nella chiesa presso masseria Tam- burello a Mottola.

La migrazione degli Arabi comunque è quella di maggiore importan- za, perché portò in Spagna alla nascita della cultura mozarabica, che si innestò sui resti di quella vandala, ed in Europa alla riscoperta della fi losofi a e della scienza greca, e vi diffuse l’uso dell’arco oltrepassato, che troviamo, ad esempio, in numerosi monumenti rupestri puglie- si, sia in pianta, nelle absidi, come in alzato. In Cappadocia, poi, ne vediamo gli infl ussi nella chiesa di San Giovanni Battista a Çavusin, dove la forma dell’abside è a semicerchio oltrepassato e trova con- fronti in altre chiese rupestri della Cappadocia come Durmus Kadir Kilisesi di Avicilar o Kale Kilisesi di Selime.

La diffusione dell’Islam è legata, alle invasioni “arabe” completate nell’VIII secolo d.C.. La nuova religione si impone velocemente in Africa settentrionale e si adatta agli usi e costumi delle popolazioni già presenti. Così ove c’era l’uso di vivere in abitazioni scavate nella roccia anche i nuovi venuti si adattano a questa abitudine. In Libia, Tunisia ed Algeria, ove è maggiore il numero delle presenze rupestri specie nelle aree interne predominate dalle popolazioni berbere, sono note moschee ipogee delle quali molte legate alla setta degli ibaditi presente sin dall’VIII secolo. Nell’Algeria è noto il sito del M’Zab, divenuto centro spirituale dell’ibadismo del Nord Africa sin dall’XI secolo d.C., con le sue moschee rupestri e semirupestri. Le moschee rispecchiano pienamente il senso dato dagli ibaditi alla religione: la casa di Dio non ha bisogno di ornamenti.

Esempi delle moschee algerine sono: nell’oasi dell’uadi Zouil, dove esiste l’Aren nu Fighar, una splendida grotta, in cui si vuole sia possi- bile entrare in contatto con il mondo ultraterreno. La grotta moschea di Daya, luogo primigenio della comunità, è molto venerata dalle don- ne. Al XII secolo risale la moschea Chaaba.

Sempre legate agli ibaditi si conoscono moschee scavate nella roccia nella regione del Gebel Nefusa in Libia e in Tunisia sia nell’altopiano del Dahar sia nell’isola di Djerba. Molte di queste moschee rupestri hanno all’esterno un recinto con mihrab utilizzato quale moschea all’aperto, caratteristica che si riscontra anche nel M’Zab, nell’isola di Djerba e nel Gebel Nefusa.

Le ricerche sulle moschee diventano di estremo interesse per l’areale del Gebel Nefusa libico in quanto in esse si ritrovano iscrizioni ripor- tanti versetti del Corano ma anche indicazioni di coloro che realiz- zarono o ricostruirono la stessa moschea. Queste indicazioni sono in molti casi gli unici elementi documentari della storia di queste popola- zioni permettendo così di poter iniziare ad inquadrare anche le forme architettoniche vernacolari berbere.

Le principali moschee libiche sono Jama Hwariuon, presso Forsatta, Sidi Bu Ragun, presso Kabao, Thnumayat, Tekut, Uazzen, Abu Zac- caria ove è anche la sua tomba.

In Tunisia vi sono le moschee rupestri del Fico e della Palma a Douiret e quella del Ksar di Mourabtine. Nell’isola di Djerba, le moschee di Iamaa Louta, Jama al Baldawi, presso Ajim.

In Libia e Tunisia sono presenti anche moschee non ibadite seguenti le linee architettoniche defi nite dalle antiche costruzioni di Kairouan e del Cairo.

Legate alla cultura berbera sono le moschee siciliane, scoperte solo da pochi anni, realizzate nel periodo della dominazione “araba”. Le for- me architettoniche di Rometta riportano ad un adattamento rupestre dell’antica moschea di Kairouan con la classica pianta a T formata tra la galleria centrale e la parete della qibla, mentre la moschea di Sper- linga richiama le moschee berbere ibadite.

Infi ne uno sguardo alla Turchia, dove l’Islam si è diffuso con l’inva- sione selgiuchida nel 1081. Nella Cappadocia sono note le moschee rupestri di Çavusin, di Zelve, di Urgup, sempre segnalate dai piccoli caratteristici minareti selgiuchidi.

Nella regione armena del lago di Van viene segnalata la presenza di una moschea rupestre. Non va dimenticato, poi, che la cultura araba è

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MIGRATIONS AND INVASIONS

iconoclasta, ed il contatto con essa portò l’iconoclasmo nell’Impero bi- zantino dal 730 all’843, come vediamo nella decorazione aniconica di molte chiese rupestri cappadocesi e di alcune chiese rupestri pugliesi, come quelle di Santa Margherita (prima fase) e San Nicola a Mottola (dipinto in una nicchia esterna).

Le Vie dei Pellegrini

La defi nizione di pellegrinaggio indica un andare fi nalizzato, un tem- po che l’individuo stralcia dalla continuità del tessuto ordinario della propria vita per connettersi al sacro. Il termine proviene dal latino pe- regrinus, da per + ager (i campi), dove indicava colui che non abita in città, quindi lo straniero, ovvero qualcuno costretto a condizioni di civilizzazione ridotte. Il suo uso posteriore invece - il nostro - implica una scelta. Chi parte in pellegrinaggio non si trova ad essere, ma si fa straniero e di questa condizione si assume le fatiche e i rischi, sia interiori che materiali, in vista di vantaggi spirituali, come incontrare il sacro in un luogo lontano, offrire i rischi e i sacrifi ci materialmente patiti in cambio di una salvezza o di un perdono metafi sici, grazie alle avventure e occasioni che, strada facendo, non possono mancare. In tutte le grandi religioni storiche esistono indicazioni, forme, de- stinazioni e fi nalizzazioni, del pellegrinaggio. Nel mondo cristiano sono esistite due forme di pellegrinaggio, in seguito collegate e fuse tra loro: il pellegrinaggio devozionale e il pellegrinaggio penitenziale. Il primo esiste fi n dall’epoca paleocristiana e faceva parte del processo di conversione: per liberarsi dalle ansie e dalle tensioni del mondo si partiva verso Gerusalemme, dove si viveva da “stranieri”, da “esuli” (secondo l’etimologia del termine “pellegrino”), magari fi no al resto della propria vita. Un famoso esempio di pellegrinaggio devozionale fu quello fatto da sant’Elena, madre di Costantino I, nel IV secolo. Il pellegrinaggio penitenziale, o espiatorio, invece ha origini più tarde, legate a tradizioni di origini insulari (anglosassoni e soprattutto irlan- desi), dove si diffuse nell’alto medioevo per venire poi esportato nel continente europeo dai missionari nel VI e VII secolo. Esso era ori- ginariamente una forma di dura condanna verso una colpa molto gra- ve (dall’omicidio all’incesto), nella quale incorrevano soprattutto gli ecclesiastici, non essendo essi sottomessi al diritto dei laici. Il reo era condannato a vagabondare in continuazione, per terre sconosciute e pericolose, vivendo nella povertà grazie solo alle elemosine, impossi- bilitato a stabilizzarsi altrove, lavorare e rifarsi una vita, in tutto simile alla vita fatta da Caino dopo l’omicidio di Abele (Genesi, 4, 12-14). Essi dovevano portare ben visibili i segni del loro peccato: giravano infatti seminudi, scalzi e con ferri che ne cingevano i polsi e le gambe: non a caso in vari testi agiografi ci altomedievali ci sono passi in cui le catene si spezzano improvvisamente quale miracolo che segnalava la fi ne decisa da Dio della pena.

Le prime notizie di pellegrinaggi penitenziali diretti a una specifi ca meta risalgono al VIII secolo. I pellegrini avevano anche alcuni segni non infamanti che li contraddistinguevano: il bastone (detto bordone), la schiavina, soprabito lungo e ruvido, la bisaccia in pelle per il denaro e il cibo, e i segni del santuario verso il quale si era diretti o dal quale si tornava, ben in vista sul copricapo o sul mantello.

Con l’uso di andare a Roma dei pellegrini penitenziali, essi si sovrap- posero ai pellegrini devozionali, che ivi visitavano le tombe e le reli- quie degli apostoli Pietro e Paolo. Durante il medioevo le due forme di pellegrinaggio si sovrapposero fi no a confondersi e uniformarsi: ogni pellegrino cercava l’espiazione di qualcosa.

Ai pellegrinaggi verso Roma e la Terrasanta nel corso del XI secolo la potente abbazia di Cluny si fece promotrice di un’altra destinazione, la città di Santiago di Compostela in Galizia, dove esiste la tomba dell’a- postolo Giacomo. Santiago aveva il vantaggio di unire il fl usso dei pellegrini al processo di Reconquista della Spagna allora musulmana. Per quanto riguarda Gerusalemme essa era fi n dal VII secolo in mano dei musulmani, in un’area contesa tra i califfati del Cairo (fatimide, sciita) e di Baghdad (abbaside, sunnita). I pellegrini cristiani potevano visitare la città e le chiese al prezzo di pagare per i salvacondotti. Fino al XI secolo i pellegrinaggi furono un fenomeno piuttosto limitato, per

l’insicurezza generale e anche per una certa diffi denza da parte della stessa Chiesa: essi andavano oltre il controllo delle diocesi, che era saldamente territoriale, e non era gradito dagli ordini monastici, che seguivano il precetto della stabilitas loci, che impediva a un monaco di cambiare monastero. Essi inoltre sostenevano in genere che la propria “Gerusalemme” andasse trovata nel cuore di ogni cristiano, piutto- sto che nel viaggio. In seguito la Chiesa riconobbe nel pellegrinaggio un’esperienza fondamentale della vita religiosa e lo disciplinò, cor- redandolo di un apposito voto e delle relative indulgenze spirituali. I pellegrinaggi diventarono così, dopo l’anno Mille uno dei motori della ritrovata mobilità delle persone e affi ancarono il rinascere dei com- merci. Le vie dei pellegrinaggi si attrezzarono con hospitalia (ospizi) dove rifocillarsi e curarsi, se infermi.

Nei cinque pilastri dell’Islam è compreso il Hajj, il pellegrinaggio ri- tuale, obbligatorio almeno una volta nella vita a La Mecca per chi ne abbia le possibilità fi siche ed economihe. Il ḥajj va obbligatoriamente compiuto nel mese lunare di Dhu l-Hijja, ultimo mese dell’anno isla- mico. In tutti gli altri mesi il rito è chiamato Umra, pellegrinaggio “minore” non obbligatorio che si differenzia dal ḥajj per la sua minor durata e per i suoi diversi e più semplici passaggi liturgici. Chiunque abbia adempiuto all’obbligo del ḥajj acquista una particolare buona nomea agli occhi dei correligionari. Ha diritto talora a indossare un copricapo particolare che ricordi l’assolvimento dell’obbligo ed è in- signito del titolo onorifi co di Ḥājjī. Per quanto non contemplati dall’I- slam, sono pur tuttavia estremamente popolari i pellegrinaggi devo- zionali alle tombe di mistici e di persone ritenute di elevata spirituali- tà. Ciò avviene specialmente in Nordafrica (dove tali personaggi sono chiamati marabutti – dall’arabo murābiṭ: che vive cioè in un ribat) e in Egitto, dove si celebra un elevato numero di mawlid, ovvero giorno natale, ma questo può avvenire in tutto il mondo islamico, vicino, me- dio ed estremo-orientale.

La Via Francigena, anticamente chiamata Via Francesca o Romea è parte di un fascio di vie, dette anche vie Romee, che conduceva alle tre principali mete religiose cristiane dell’epoca medievale: Santiago de Compostela, Roma e Gerusalemme. I primi documenti d’archivio che citano l’esistenza della Via Francigena risalgono al XIII sec. e si riferiscono a un tratto di strada nel territorio di Troia in provincia di Foggia. Il percorso di un pellegrinaggio che il vescovo Sigerico, nel X secolo, fece da Canterbury per giungere a Roma rappresenta una delle testimonianze più signifi cative di questa rete di vie di comuni- cazione europea in epoca medioevale, ma non esaurisce le molteplici alternative che giunsero a defi nire una fi tta ragnatela di collegamenti che il pellegrino percorreva a seconda della stagione, della situazione politica dei territori attraversati, delle credenze religiose legate alle reliquie dei santi.

Il pellegrinaggio a Roma, in visita alla tomba dell’apostolo Pietro era nel medioevo una delle tre peregrinationes maiores insieme alla Terra Santa e a Santiago di Compostela. Per questo l’Italia era percorsa con- tinuamente da pellegrini di ogni parte d’Europa. Molti si fermavano a Roma, gli altri scendevano lungo la penisola fi no al porto di Brindisi e da lì si imbarcavano per la Terra Santa. Una tappa importante prima di giungere a Brindisi era il Santuario di San Michele Arcangelo a