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storiche e fi lologiche dell’Accademia nazionale dei Lincei, Serie VIII, 37, 1982 pp 41-51.

30 M. F

ALLA

C

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, Milano 1991, pp. 45-48.

31 M. F

ALLA

C

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, a cura di G. B

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, Milano

2004, pp. 204-221, part. p. 210.

32 P. B

ELLI

D’E

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, a cura di P. B

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, G. O

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, A.

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, C. V

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, Bari 211, pp. 213-235, in part. p. 223

con fi g. n. 7.

33 M. F

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ASTELFRANCHI

, a cura di P. A

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e V. M

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, Galatina 2004, pp. 67-80.

34 C. M

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, a cura di A. D

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e G. G

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, Milano

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, a cura di C. D. F

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Tav V/a.

36 L. S

AFRAN

, in Arte medievale, anno VII-(2008),2, pp. 69-

94, part. p. 83.

Fig. 20 Güllü Dere, St. John’s Church, Ascension of Elijah the Prophet. Fig. 21 Grottaglie (Ta), Crypt of the Saviour, St. Potito.

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D. Caragnano

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LA DECORAZIONE PITTORICA NELLE CHIESE RUPE- STRI DELL’IMPERO BIZANTINO: LA CAPPADOCIA E L’ITALIA MERIDIONALE

Il gesuita Guillaume de Jerphanion grande conoscitore della cultu- ra e dell’arte turca, in particolare di quella della Cappadocia, della quale è stato il più importante divulgatore grazie ai suoi articoli e alla sua opera Une nouvelle province de l’art byzantine. Les églises rupestres de Cappadoce in tre volumi pubblicati a Parigi tra il 1925 e il 19421 .

Il primo confronto tra l’arte bizantina presente in Calabria e in Pu- glia con quella nelle chiese rupestri della Cappadocia viene esposto da Guillaume de Jerphanion nel 1936 a Roma al Quinto Congresso internazionale di studi bizantini2.

Il modello architettonico della chiesa di Stilo in Calabria de Jerpha- nion lo raffronta con la “chapelles à colonnes” di Göreme , datandola all’XI secolo, mentre per quanto riguarda la pittura, le ali dell’ar- cangelo Gabriele nella scena della Annunciazione nella chiesa ru- pestre di San Biagio a San Vito dei Normanni viene confrontata con la medesima scena a Elmali Kilise (chiesa del melo) a Göreme e con la Pentecoste di Toquale Kilissé a Taghar, come anche la Nativi- tà, sempre nella chiesa di San Biagio a San Vito dei Normanni, la confronta con scene analoghe presenti nelle chiese cappadocesi del secondo periodo (XI - XII secolo) che avevano subito l’infl uenza di- retta di Bisanzio3.

Gli scritti di de Jerphanion sono stati fondamentali per gli studiosi di arte orientale ed in particolare di arte ed archeologia bizantina come per la stesura di Gli affreschi delle chiese eremitiche pugliesi di Alba Medea, del 1939, dove i dipinti all’interno delle chiese rupestri pu- gliesi vengono messi in relazione con quelli della Basilicata, Cala- bria e Campania, allargando agli “affreschi di Cappadocia e quelli russi della medesima epoca” 4.

Nella recensione al libro di Alba Medea, de Jerphanion evidenzia le differenze tra le manifestazioni artistiche delle chiese dell’area cappadocese con quelle dell’Italia meridionale5.

Gran parte delle chiese rupestri della Cappadocia hanno un aspetto monumentale sia per l’escavazione delle facciate, sia per gli interni; sono delle vere e proprie copie di quelle edifi cate, lo stesso vale per le decorazioni pittoriche, che coprono gran parte dei soffi tti, delle pareti, delle absidi e delle colonne. Le chiese rupestri italiane, in- vece, hanno dimensioni ridotte di escavazioni e conservano pochi pannelli decorativi, tranne in alcuni come per San Nicola a Mottola. In alcune chiese rupestri dell’Italia meridionale si conservano dei buoni esempi di pittura monumentale bizantina confrontabile con quella di altre province bizantine e in particolare con quella della Cappadocia.

In Sicilia, nell’oratorio di Santa Lucia a Siracusa è ancora visibile l’iconografi a dei Quaranta martiri di Sebaste, un esempio di pittura monumentale bizantina prima della conquista islamica dell’isola che inizia nel 828 e per Siracusa con la sua capitolazione nel 8786.

Sulla volta, dell’oratorio di Santa Lucia si dispone una Croce gem- mata, con al centro un tondo col Cristo a mezzo busto e alle estremità quattro altri tondi, uno con la Vergine orante e due con arcangeli, ed uno completamente perduto. Divisi nei quattro quadranti della croce i Quaranta martiri di Sebaste sono in posa orante e immersi per metà nell’acqua ghiacciata del lago, attendono la morte, mentre delle corone gemmate scendono dal cielo come ricompensa del loro martirio7, proprio come l’iconografi a dei Quaranta Martiri di Sebaste

nella chiesa dei Quaranta Martiri a Sahinefendi in Cappadocia, data- bile tra il 1216 e il 12178, dove c’è l’episodio del soldato che fugge al

martirio per rifugiarsi in un bagno caldo, mentre un carceriere pren- de il suo posto, con grande stizza del demonio che osserva la scena9.

In Cappadocia la devozione ai Quaranta Martiri di Sebaste è attesta- ta fi n dalla fi ne del IV secolo e i Padri della chiesa di Cappadocia, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa hanno dedicato loro alcune omelie.

I Quaranta martiri di Sebaste vengono onorati in Cappadocia sia singolarmente come nell’intradosso dell’arco della Tokali Kilise 2 (Nuova Chiesa) a Göreme, dove compaiono i martiri Leadis e Clau- dio, o a gruppi come nella chiesa di Niceforo Foca detta della Grande Piccionaia a Çavuşin dove con la spada alzata, pare che scortino due illustri generali, che li precedono Giovanni Zimisce e Melias. In Puglia, nei pressi della Masseria Carbonelli, un tempo nel territo- rio di Monopoli ed oggi in quello del comune di Fasano, era presen- te una chiesa rupestre dedicata ai santi Quaranta, ossia i Quaranta martiri di Sebaste, oggi distrutta, che viene citata nel Cabreo del 1794, dei beni della Commenda di San Giovanni di Monopoli del Sacro Militar Ordine Gerolosomitano, Monopoli 1794, tav. 18 n. 20, e tav. 1910.

La Puglia è una regione dove numerose sono le testimonianze de- vozionali di santi cappadocesi tanto da essere patroni di città e di paesi, come il caso di san Trifone patrono di Adelfi a, o essere nomi di località come per San Mama, toponimo presente nel territorio di Castellaneta.

Nella chiesa rupestre detta “cripta-pozzo” Carucci in territorio di Massafra erano presenti in due clipei, purtroppo rubati, i fratelli ca- padocesi Elasippo (EΛΑCΙΠOC) e Melesippo (ΜΕΛΕCΙΠΟC) mar- tiri insieme con Speusippo e Neonilla, probabilmente rappresentati in altri due clipei ormai evanidi, che vengono datati al XIII secolo11.

Una delle rappresentazioni agiografi che più popolare in Cappadocia è la Visione di sant’Eustachio12, che divide i ricercatore come luogo

di origine tra la Georgia13 e la Cappadocia14.

In Cappadocia la Visione di sant’Eustachio è ormai conservata in solo una ventina di chiese15, tra cui la chiesa n. 11 di Göreme (X

secolo), che doveva essere a lui dedicata, come si deduce dai graffi ti e dalle iscrizioni in suo onore e da una serie di dipinti del Santo, dei suoi fi gli Agapio e Teopisto e della Visione di sant’Eustachio (oggi scomparsa)16.

Nella Tavşanli Kilise (913-920 o 925) a Urgup la scena della Visione (quasi interamente distrutta) era stata dipinta a destra dell’abside, sulla parete orientale della navata, una zona riservata spesso all’im- magine del titolare; sul muro meridionale attiguo, Eustachio era rap- presentato di nuovo, accanto a sua moglie Teopista e ai loro due fi gli. Nel X secolo, in Cappadocia, si afferma l’immagine del Santo arma- to di lancia (a differenza della tradizione georgiana dove Eustachio caccia con l’arco), cavalca in direzione del cervo, con la testa dell’a- nimale rivolta verso l’inseguitore e una croce fra le corna.

Nelle rappresentazioni più antiche della visione di sant’Eustachio, si nota una infl uenza della cultura sassanide, come è possibile dedurre dal dipinto distrutto nella chiesa n° 3 della necropoli Güzelöz/Ma- vrucan, dove sant’Eustachio portava sul capo un copricapo di tipo persiano, cavalcava un possente cavallo nella posa del galoppo vo- lante, mentre a destra, diritto su una roccia, era presente il grande cervo rosso.

Sant’Eustachio, vestito con abiti sassanidi lo ritroviamo, anche, in una chiesa del sito funerario di Kurt Dere (vicino a Karacaören) e la scena si differenzia da quella di Güzelöz/Mavrucan per la frontalità del Santo, la dimensione ridotta del cervo e, soprattutto, la cornice vegetale stilizzata che mette in risalto il Santo.

Nella chiesa di Hagios Stephanos a Cemil l’iconografi a si arricchisce di tre cani da caccia intorno a sant’Eustachio a cavallo e del cervo di grandi dimensioni, fermo e rivolto verso gli inseguitori.

Un buon esempio della visione di sant’Eustachio, del X secolo, è dipinta sulla parete della navata settentrionale di San Giovanni di Güllü Dere, dove si nota l’inversione del senso della scena verso l’abside. Un altro esempio del movimento invertito è presente nella Sakli Kilise (Göreme n° 2a).

La zona del nartece, che nelle chiese fungeva spesso come luogo per sepolture, sovente ospita la scena della visione di Eustachio, come nella chiesa n. 11 di Göreme (X secolo), nella chiesa della Grande Piccionaia di Çavuşin (963 -969) e in quella “del sacerdote Giovan- ni”, nella valle di Ihlara (prima metà del X secolo). In questo ultimo

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PICTORIAL DECORATION OF RUPESTRIAN CHURCHES DURING THE BYZANTINE EMPIRE

CRHIMA-CINP project

monumento, la caccia di Eustachio non si inserisce nell’insieme del programma, ma costituisce un pannello votivo, i testi che accom- pagnano l’immagine ne confermano il valore per il donatore; alle parole del Cristo - “O, Placido, perché mi perseguiti? Io sono la luce del mondo e la resurrezione” - si aggiunge la preghiera del fedele che ha offerto la pittura: “Per la remissione dei peccati del servo tuo, Teodosio”.

Nella Karab·s Kilise a Soğangli, la Visione di sant’Eustachio, come simbolo della salvezza eterna dei cristiani compare tra i ritratti dei committenti, circondati da tralci di vite e grandi croci17.

Nel XI secolo, il protospatario Giovanni Skepidis è il committente di una Visione di sant’Eustachio (oggi distrutta), dipinta fra due santi nel registro della parete meridionale nella Geykli Kilise, a Soğanli. Le chiese di Sant’Eustachio a Erdemli e di San Giorgio Ortaköi, sono la testimonianza della continuità nel tempo della devozione a Sant’Eustachio e alla iconografi a della Visione, anche nel XIII se- colo.

Interessanti sono alcune variante della Visione di sant’Eustachio, come nella Geykli Kilise a Soğanli, dove al posto del cervo è pre- sente una croce, mentre nel San Giorgio di Nakipari (XII secolo) il pittore ha ridotto la scena alla sola visione utilizzando il bassorilie- vo di una antica testa di cervo e dipingendo al di sopra il Cristo Ema- nuele; trasformando, probabilmente inconsciamente, una immagine narrativa in simbolo.

In una chiesa iconoclasta di Yaprakhisar, presso Hassan Daği, esi- ste una Visione di sant’Eustachio della metà del VIII secolo, dove il generale romano viene rappresentato come un feroce leone intento a cacciare un cervo con una croce in mezzo alle corna18.

La venerazione per Sant’Eustachio in Cappadocia si esprime anche attraverso i numerosi ritratti del santo (in piedi o a mezzobusto) e della sua famiglia, al di fuori di ogni contesto narrativo.

L’episodio del martirio di sant’Eustachio è documentato solo nella Nuova Chiesa di Tokali a Göreme, probabilmente una fondazione di Foca (verso il 950). La scena è dipinta su uno dei plutei che delimi- tano il corridoio orientale verso la navata: Eustachio e sua moglie, con i due fi gli davanti, in preghiera, sono nel bue di bronzo arroven- tato dal fuoco in cui erano stati rinchiusi per ordine dall’imperatore Adriano.

Una antica testimonianza della Visione di sant’Eustachio nell’Italia meridionale è presente in Calabria nella chiesa dell’Ospedale a Sca- lea databile al X secolo19.

In Basilicata e in Puglia la Visione di sant’Eustachio dal punto di vi- sta iconografi co è di derivazione cappadocese, perché il Santo nella battuta di caccia al cervo usa la lancia e non l’arco.

In Basilicata, la città di Matera ha un culto particolare per sant’Eu- stachio, il quale è anche patrono della città.

Secondo la devozione popolare, Matera fu salvata dal santo due vol- te. Nel 984 dall’assedio dei saraceni e nel 1656 dalla pestilenza. Nelle chiese rupestri materane della Madonna dell’Idris e di sant’Eu- stachio in zona Venusio si conservano due Visioni di sant’Eustachio del XVII secolo20. In quella di Sant’Eustachio, il Santo cavalca un

cavallo di colore marrone scuro con ai lati due cani da caccia; alla si- nistra domina un bellissimo cervo, dalle cui corna spicca l’immagine a mezzo busto di Cristo nell’atto di benedire.

In Puglia l’iconografi a della Visione di sant’Eustachio è presente in due chiese rupestri della provincia di Taranto: Santi Eremiti a Pala- gianello e Sant’Onofrio a Todisco a Statte21.

La collocazione pittorica all’interno dei Santi Eremiti a Palagianello è privilegiata, in quanto decora la parte sinistra della parete absidale, che al centro, in una nicchia, ha una croce gammata e alla destra un arcangelo Michele.

Gli affreschi di Sant’Eustachio e dell’Arcangelo Michele sono stati realizzati sulla stessa base d’intonaco e quasi certamente eseguiti dallo stesso pittore tra la fi ne del XIII e gli inizi del XIV secolo22.

Sant’Eustachio, a cavallo, stringe con la mano sinistra le redini e con la mano destra impugna una lancia pronto a colpire il cervo posto in

alto, fra le cui corna è visibile il busto di Cristo benedicente e l’iscri- zione in greco: Placido perché mi insegui?23

Nella chiesa di sant’Onofrio a Todisco a Statte la Visione di sant’Eu- stachio è dipinta sulla parete nord del bema, dove il Santo in sella a un cavallo bianco a galoppo gradiente a destra, indossa uno svolaz- zante mantello rosso annodato al petto su una corazza ocra e una sopraveste bianca; con la mano destra regge una lancia puntata in alto, mentre la sinistra è sollevata verso la testa, probabilmente come gesto di stupore per Cristo rivelato nelle sembianze di un cervo. Sullo sfondo è rappresentato uno scosceso monte sulla cui cima si intravedono le zampe posteriori del cervo ormai scomparso. I resti di un animale bianco acquattato fra l’erba pronto a lanciarsi verso il cervo fanno supporre che si tratti di un cane. Diffi cile è la lettura nella parte inferiore del cavallo, scomparsa a causa di licheni e muf- fe. Il dipinto è databile tra la fi ne del XIII e gli inizi del XIV secolo.24

Nella Puglia del XVI secolo la chiesa di Santa Maria a Cerrate in ter- ritorio di Squinzano si abbellisce di un pannello dove sono presenti San Giorgio che libera la principessa dal malefi co drago e la Visione di sant’Eustecchio , un segno di continuità devozionale dei due Santi di Cappadocia in Puglia25.

Gli affreschi più aggiornati alla cultura bizantina tra la fi ne del IX e la fi ne del XI secolo presenti nell’Italia meridionale, sono conservati in due chiese rupestri pugliesi: Sante Marina e Cristina a Carpigna- no Salentino e Cripta del Riggio o del Salvatore a Grottaglie26.

I dipinti sono tutti accompagnati da iscrizioni dedicatorie in greco. Il rinnovamento artistico della Puglia, dalla tradizione locale latina e beneventana, verso un orizzonte bizantino si deve, fi n dal momento della conquista, di funzionari bizantini, a partire soprattutto dalle più alte cariche, qui trasferiti da ogni regione dell’impero. E’ lecito infatti supporre che a essi, committenti di edifi ci di culti dedicati a santi greci, come trasmettono le fonti, si debba il trapiantarsi nella regione di pittori “greci” venuto al loro seguito, e di provenienza diversa come gli stessi alti funzionari dagli strateghi ai catepani27.

Un funzionario bizantino, uno spatario di Carpignano Salentino, è ricordato nella chiesa delle Sante Marina e Cristina, su una lunga iscrizione greca in dodecasillabi su due colonne, dove affi da il gio- vane fi glio di nome Stratigoulès alla Vergine, a san Nicola a santa Cristina.

La tomba di Stratigoulès è del tipo ad arcosolio con al centro della niccha santa Cristina tra la due colonne della lunga iscrizione, men- tre nel sottarco sono presenti la Vergine con Bambino e san Nicola. L’iscrizione è stata datata fra la prima e la seconda metà dell’XI se- colo28.

La chiesa delle Sante Marina e Cristina ha numerosi dipinti con iscrizioni in cui compaiono sia i committenti, sia i pittori, come per il Cristo tra la Vergine e l’arcangelo Gabriele, conservato nella ab- sidiola destra, realizzato nel 959 dal pittore Teofi latto per conto del presbitero Leone e di sua moglie Crisolea29.

La collocazione di Cristo all’interno di un’abside è l’indizio che Te- ofi latto conosce le nuove tendenze artistiche bizantine dopo la fi ne del periodo iconoclasta, quando Cristo viene rappresentato nei pro- grammi iconografi ci delle chiese nel catino absidale o nella cupola30.

Cristo è seduto su un trono del tipo a lira ornato di gemme con la mano destra benedice mentre con la sinistra mostra un libro dalla coperta decorata con pietre preziose, iconografi a ben presente all’in- terno delle chiese rupestri in Cappadocia come nel Cristo in trono circondato dai quattro simboli degli evangelisti nella Haçli Kilise a Kizul Çukur o nella Déesis nella chiesa del monastero a Eschi Gümüs

Alla destra del Cristo di Carpignano Salentino sopraggiunge l’arcan- gelo Gabriele, mentre a sinistra la Vergine è intenta a fi lare col fuso. Un nobile confronto iconografi co è con il mosaico che decora la lunetta principale di Santa Sofi a a Costantinopoli dove Cristo seduto su un trono a lira è rappresentato con l’imperatore Leone VI il Sag- gio (886 - 911)31, ai lati in due medaglioni sono presenti la Vergine e

l’arcangelo Gabriele nella semplifi cazione dell’Annunciazione.

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D. Caragnano

75 75 Nella seconda abside della chiesa delle Sante Marina e Cristina a

Carpignano Salentino è decorata da Cristo seduto su trono a lira, che con la mano sinistra mostra il libro e con la sinistra benedice, e una iscrizione votiva in greco, datata al 1020, ricorda il donatore, Aprile, la moglie e i fi gli, e il pittore Eustazio.

Cristo è affi ancato sulla parete a destra dalla Vergine con Bambino e a sinistra dall’arcangelo Michele, abbigliato come un imperatore bizantino con loros e divitession, iconografi a penetrata in ambito rupestre in concomitanza della seconda ellenizzazione dell’Italia meridionale, in particolare nell’area jonica e adriatica, tra la fi ne del X e il primo XI secolo.

Diverso è il caso delle iconografi e dell’arcangelo Michele in area campana, più fortemente connotata dalla cultura longobarda tra du- cato di Benevento e principato di Salerno e in stretto rapporto con Roma, dove gli elementi di derivazione bizantina esistono, ma in misura meno determinante, come si nota per l’arcangelo Michele nella chiesa rupestre di San Biagio di Castellammare di Stabia, dove l’arcangelo pur presentando l’impostazione bizantina non indossa il loros e il divetession32.

Tra le decorazioni di un certo interesse presenti nella cripta delle Sante Marina e Cristina è quella con santa Cristina, san Nicola e san Teodoro, quest’ultimo potrebbe essere identifi cato con san Teodoro monaco (+ 826) egumeno del celebre monastero di San Giovanni di Stoudios a Costantinopoli, avversario dell’iconoclastia, le cui “regole monastiche”. Furono adottate in alcuni monasteri bizantini dell’Ita- lia meridionale e della Sicilia: esso infatti ha la barba lunga e il man- tello bruno, peculiari dell’iconografi a monastica orientale.

Il dominio normanno-svevo e angioino della Puglia non riescono a troncare i legami tra le comunità greche e le Chiese di appartenen- za, in particolare con quella di Costantinopoli, come dimostrano i numerosi esempi pittorici, in particolare la rara iconografi a di San Michele il Sincello con l’apostolo Andrea - protettore di Costanti- nopoli nella chiesa di Celimanna a Supersano, dipinto databile tra la fi ne del XII e la prima metà del XIII secolo.

San Michele il Sincello (761 circa - 846) è raffi gurato come un santo monaco, come vuole la sua iconografi a. Indossa un mantello su una tunica, sotto il quale si intravede lo scapolare (anabolos), ma non il kaukoullion, ovvero, il cappuccio monastico che di solito è collegato all’anabolos, regge con la mano destra una piccola croce e con la sinistra si appoggia ad un bastone a tau33.

Altri punti di coincidenza con pittura rupestre con la Cappadocia sono presenti nei frammenti della cripta anonima o del Salvatore nella gravina di Riggio a Grottaglie, in particolare il primo strato delle due absidi è confrontabile con pitture del X secolo. Nell’abside centrale, compare la testa e parte delle mani alzate di una Vergine orante del tipo expansis manibus, che dopo il periodo dell’iconocla-