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Nel corso del XVII e del XVIII secolo, la corporazione veneziana affrontò più volte il tema della materialità del libro. Ciò che aveva reso Venezia capitale della stampa nel primo secolo dell’ars

artificialiter scribendi era la qualità della carta, la bellezza dei caratteri, le rilegature pregiate e sobrie allo

stesso tempo, caratteristiche che avevano permesso di affiancare le edizioni veneziane ai manoscritti nelle maggiori biblioteche d’Europa. La morte di Aldo Manuzio, nel 1515, aveva segnato per Venezia la fine di un capitolo, o meglio, l’inizio di un’età della stampa non più d’oro.

Era questa un’immagine mitica propria dell’Arte degli stampatori e librai che faceva trasparire una verità storica che forse la grande figura di Aldo aveva a suo tempo oscurato: la moltitudine di piccoli - medi stampatori e librai che adoperavano carta ordinaria, non bianchissima, caratteri e fregi decorativi di seconda mano e torchi trasandati. Il risultato - è evidente - era di una produzione di scarsa qualità, che non poteva che essere offerta a basso costo e che spesso costituiva un’entrata sicura per gli stampatori più poveri come per i capitalisti.

Fin dal Cinquecento, esisteva a Venezia una normativa precisa su questa categoria merceologica: solo alcune operette potevano essere stampate in edizioni economiche da tutti i tipografi della città. Queste erano definite «comuni» poiché, all’origine, erano liberamente stampabili in laguna e in terraferma previo il conseguimento di un mandato, ottenibile mediante delle procedure semplificate rispetto alle altre pubblicazioni. Infatti, trattandosi di libretti scolastici e devozionali, non destavano particolare preoccupazione circa i contenuti da parte delle due autorità, statale ed ecclesiastica, quanto per le modalità di produzione e di diffusione, spesso fuorilegge, che li contraddistinguevano. Oggetto di questioni e litigi tra matricolati ed esterni alla corporazione, i «comuni» furono i libri più richiesti in città, di più alta tiratura e di più facile smercio, stampati, ristampati ed inseriti continuamente nel circuito commerciale dal Cinquecento per almeno tre secoli.

Come i «comuni», erano spesso stampate grossolanamente anche altre operette che per le piccole dimensioni erano chiamate «carte volanti». Erano qui inclusi i manifesti da un singolo foglio fino a

180 opuscoletti di poche pagine, come le canzonette del Briti, i bugiardini dei ciarlatani e le vite dei santi. Diversamente dai «comuni», di cui periodicamente i confratelli compilarono delle liste, le «carte volanti» erano di numero e varietà illimitati. Per questo motivo, tranne se considerate «comuni», furono ritenute delle letture potenzialmente pericolose, soprattutto dalla seconda metà del Settecento quando furono sottoposte ad una particolare revisione prima della stampa.

Erano due prodotti differenti, dunque, i libri «comuni» e i fogli «volanti», accomunati, però, da alcuni fattori1. Innanzitutto, la fase di produzione era rapida e all’insegna del risparmio, qualsiasi operazione

o materiale che comportasse un dispendio di soldi e forza lavoro al di sopra del livello minimo accettabile era inevitabilmente tagliata. Per abbattere ancor di più i costi, si tendeva ad aumentare la tiratura e ad adattare la pubblicazione alle varie circostanze, spesso evitando di mettere in frontespizio l’anno di stampa in modo che lo stesso libro risultasse sempre nuovo per la vendita in bottega e sempre vecchio per quella sui banchetti (dove per legge non si potevano esporre edizioni recenti). Oppure si rinfrescava l’opera applicando un bel frontespizio appena uscito dai torchi ad un’edizione che era ormai da tempo giacenza di magazzino. Ad esempio, per incentivare i guadagni, i tipografi attiravano i lettori, ghiotti di novità ma nella maggior parte dei casi sostanzialmente poco informati, pubblicando il racconto di un evento o di un miracolo, già edito qualche anno prima, con il solo accorgimento di sostituire i pochi dati più eclatanti, come nomi e luoghi degli avvenimenti. Una seconda particolarità propria di questo genere di stampe è la distribuzione capillare, anche al di fuori delle usuali vie di commercio. Infatti, questo tipo di pubblicazioni, prodotte con la massima economia, era offerto al pubblico ad un prezzo molto basso. Sulla strada, proposti ai passanti, a prescindere dalla loro condizione anagrafica e sociale, questi libretti potevano essere acquistati senza troppa spesa da un ampio numero di persone.

Si è già visto, nel capitolo precedente, quali fossero i canali commerciali librari nella Venezia di età moderna. In questo, si affronteranno i prodotti tipografici diffusi attraverso le modalità illustrate, cercando di capire il motivo per cui alcuni più di altri erano destinati al vasto pubblico. A questo fine, si è analizzata prima la legislazione cui erano soggetti i libri per individuare quelli di più largo consumo e verificare la normativa circa la loro fabbricazione (I parte) e, quindi, la forma e i contenuti (II parte) per scoprire quei dispositivi tipografici atti a raggiungere il lettore potenziale attraverso le reti distributive descritte2. In questa disamina, sono state tenute presenti tutte le

      

1 Per un’analisi sui motivi di queste pubblicazioni v. S.MINUZZI, Il secolo di carta. Antonio Bosio artigiano di testi e immagini

nella Venezia del Seicento, Milano, FrancoAngeli, 2009, pp. 45-51.

2 Sul termine «dispositivo tipografico» v. l’interessante studio di U.RAUTENBERG, La page de titre. Naissance d’un dispositif

typographique dans les débuts de l’imprimerie, in Scripta volant, verba manent. Schriftkulturen in Europa zwischen 1500 und 1900. Les cultures de l’écrit en Europe entre 1500 et 1900. Tagung in Ascona, Monte Verità, vom 2. bis 7. November 2003,

181 testimonianze archivistiche, fossero norme o contraffazioni, in cui appariva chiaramente il legame tra un tipo di vendita e una categoria merceologica.

L’idea alla base di questo lavoro è che, una volta esaminati i criteri materiali, formali e contenutistici secondo cui operette di sicuro commercio erano elaborate in funzione di una distribuzione articolata non solo all’interno delle botteghe, si possa comprendere ciò che era trasmesso attraverso il libro stesso, vale a dire i messaggi da quelli testuali che invogliavano all’acquisto, a quelli tattili percepiti sfogliandolo, a quelli visivo - uditivi avvertiti nella lettura o durante l’ascolto3. Infatti, intendendo la

ricezione come il momento di contatto tra il libro e il lettore, si pone la questione di ciò che poteva comunicare un’edizione a larga diffusione, quali strategie editoriali, politiche e religiose erano espresse e sono oggi deducibili dall’analisi materiale, contenutistica e formale di questi oggetti4. Studi

recenti dimostrano l’importanza di considerare insieme questi elementi per comprendere la società attraverso ciò che essa ha realizzato nel tempo e, in particolare, attraverso il prodotto-libro5. La

novità del presente elaborato consiste nel circoscrivere la ricerca ad un territorio limitato, rapportando la produzione e la vendita di libri alla legislazione locale. Si ritiene, infatti, che in questo modo si possa rispondere a vari quesiti ancora irrisolti: innanzitutto, il motivo per cui molti stampatori lavoravano allo stesso modo e con gli stessi materiali di scarsa qualità e, quindi, perché alcuni libri ebbero un successo di lunga durata, raggiungendo lettori di epoca, sesso, età e ceto differenti che se ne appropriavano ognuno secondo la propria abilità.

      

3 G.T.TASELLE, Letteratura e manufatti, intr. di N.HARRIS, trad. di L.CROCETTI, Firenze, Le Lettere, 2004.

4 Sulla storia del libro come storia sociale e culturale della comunicazione v. R.DARNTON, Il bacio di Lamourette, Milano

Adelphi, 1994, pp. 65-86. Sulla preconoscenza che mobilita la comprensione di ciò che si legge v. R.CHARTIER, Text,

Printing, Reading, in The New Cultural History, edited and with an introduction by L. HUNT, California, University of California, 1989, pp. 154-175. Su questo argomento sono stati condotti studi fondamentali da Donald McKenzie (sulla materialità), Gérard Genette (sul paratesto) e Roger Chartier (sulla lettura in età moderna). All’interno del capitolo saranno dati, di volta in volta, i riferimenti specifici.

5 Sulla storia materiale v. ad esempio, R.AGO, Il gusto delle cose. Una storia degli oggetti nella Roma del Seicento, Roma, Donzelli,

2006. Importanti spunti di riflessione si trovano negli atti di convegni recenti Testi, forme e usi del libro. Teorie e pratiche di

cultura editoriale. Giornate di studio Università degli Studi di Milano – APICE 13-14 novembre 2006, a cura di L.BRAIDA e A.

CADIOLI, Milano, Sylvestre Bonnard, 2007; CASTILLO GÓMEZ,V.SIERRA BLAS, Senderos de ilusión cit.; Scripta volant, verba

manent cit. V. anche D.MCKITTERICK, Testo stampato e testo manoscritto. Un rapporto difficile, 1450-1830, Milano, Sylvestre Bonnard, 2005.

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Parte I

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