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Il silenzio legislativo, dovuto alla mancata approvazione del te- sto presentato alla Camera, ha indotto la prassi di alcuni tribunali a pro- nunciarsi in via unilaterale sul punto.

In altre parole, dinanzi alla concreta problematica della contem- poranea pendenza dei procedimenti di separazione e divorzio, alcuni giudici si sono mossi per cercare una soluzione laddove questa non era stata preventivamente individuata dal legislatore; e lo hanno fatto “at- traverso veri e propri “editti” che sanciscono regole, neppure concer- tate come nella prassi dei “protocolli”, dove almeno tutti gli operatori

sono coinvolti con le loro esperienze.”86 In effetti, il termine “editto”,

che proviene dal latino edicere e significa “annunciare”, implica l’ema- nazione di una volontà singola in grado di imporre il proprio ordine ai destinatari: nel contesto dell’antica Roma i titolari dello ius edicendi erano in realtà diversi soggetti, i consoli, i governatori nelle province, i censori, i tribuni, gli edili curuli, fino ad arrivare al pontifex massimus, ma le figure che maggiormente spiccavano in questo senso erano quelle dei pretori, tant’è che col tempo si manifestò l’istituto dell’”editto per-

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petuo”, quel tipo di editto proprio del pretore al momento della sua en- trata in carica, con il quale egli stabiliva le regole processuali che l’attore doveva seguire per presentare domanda innanzi a lui e in generale i prin- cipi giuridici da rispettare per la risoluzione delle controversie private, pur potendo egli emanare anche successivamente un “editto repentino”, volto a regolare istantaneamente il singolo caso posto alla sua attenzione ; a fianco ad esso spesso trovavamo l’”editto traslatizio”, cioè l’editto del pretore successivo che dichiarava di riconoscere quello del prece- dente per la sua validità ed efficacia. Anche se il contesto nel quale ope- rano i magistrati è fortemente mutato, il significato più profondo della parola “editto” è stato tramandato e, oggi come allora, esso è portatore di una volontà unilaterale che s’impone sugli altri.

A differenza dell’editto, il “protocollo”, termine di origine diplo- matica, esplicita una volontà plurima, frutto di un accordo tra più parti, quindi risultato di un incontro tra più opinioni.

La distanza tra i due atti è rilevante e, nel caso in esame, si è privilegiata la via dell’editto, in particolare l’”editto presidenziale”, in quanto esso è stato emanato dal Presidente della Sezione del Tribunale per risolvere la controversia del caso concreto.

In primo luogo, bisogna analizzare la soluzione resa dal Tribu- nale di Milano pronunciatasi il 25 maggio 2015.

In Sezione IX civile il Tribunale milanese ha emesso una deli- bera nella persona del suo Presidente, il giudice Servetti, e dell’esten- sore, il giudice Buffone. Tale delibera è andata a delineare una soluzione meritevole di attenzione, già espressa in precedenza nel contesto parla- mentare ma per la prima volta menzionata da parte di un organo giudi- cante. Essa prende il titolo di “Modifica dei criteri di riparto interno degli affari civili (procedimenti di divorzio) e introduzione del criterio di assegnazione del fascicolo del divorzio per connessione” e ha il chiaro intento di approntare modifiche per l’agevole applicazione dell’allora nuova legge in materia di divorzio breve, emanata infatti il 6

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maggio dello stesso anno, ed evitare ritardi e ostacoli dovuti all’assenza di un coordinamento legislativo sul piano processuale. Nell’introdu- zione alla delibera il giudice Servetti afferma: “La Sezione IX del Tri- bunale di Milano introduce il criterio di assegnazione dei fascicoli di divorzio per “connessione ex lege 55/2015”, con effetto immediato, dalla data del 26 maggio 2015; conseguentemente, la causa di divorzio depositata a partire dalla data del 26.5.2015 verrà assegnata al magi- strato investito della trattazione del procedimento di separazione giudi-

ziale ove ancora pendente.”87

Dunque, prendendo atto dell’alta possibilità della contempora- nea pendenza dei procedimenti di separazione e divorzio, leggendo la disposizione, notiamo come non sia stato introdotto nulla di nuovo ri- spetto a quanto già osservato per la proposta della Camera dei Deputati. In effetti il Presidente poi richiama l’inciso espunto dal disegno di legge in materia di coordinamento dei procedimenti, allineandosi a detta im- postazione. Egli si cura in un secondo momento di ribadire le motiva- zioni che spingono a ritenere questa scelta “l’unica idonea a garantire una gestione razionale ed efficiente (nonché celere) del contenzioso ma-

trimoniale”:88 innanzi tutto, facendo richiamo a un recente ragiona-

mento del giudice di legittimità, afferma che tale meccanismo è utile per la semplificazione e l’accelerazione nella trattazione dei processi in quanto il giudice della fase presidenziale sarà poi il medesimo giudice della fase istruttoria, questo in virtù del principio del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso. Soffermandosi poi sui provvedi- menti emanati all’interno dei singoli processi, per quanto riguarda i provvedimenti aventi natura personale, egli evidenzia come dal mo- mento in cui viene depositato il ricorso per il divorzio il giudice della separazione sarebbe a rigore privato della propria potestas decidendi in

87 Trib. Milano, sez. IX civ., delibera 25 maggio 2015, p. 1. 88 Op. ult. Cit., p. 2.

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materia di questioni genitoriali, i così detti “provvedimenti de futuro”,89 dato che, essendo provvedimenti destinati a regolamentare aspetti che hanno una proiezione esclusivamente nel futuro, tale potere spetterebbe soltanto al giudice del divorzio; è come se si registrasse uno “svuota-

mento”90 del giudizio di separazione a favore di quello divorzile. Una

simile impostazione appare preferibile anche in vista di garantire omo- geneità nella trattazione delle questioni che riguardano i figli, caratteriz- zate da una particolare complessità e delicatezza, e conseguentemente serve ad evitare arresti dovuti al passaggio da un giudice all’altro. Per quanto attiene invece i provvedimenti aventi natura economica la solu- zione di assegnare entrambe le cause al medesimo giudice insiste sul fatto che il giudice della separazione dal momento del deposito del ri- corso divorzile non potrebbe più pronunciarsi sulle questioni economi- che se non con riguardo al periodo compreso tra il deposito del ricorso di separazione e quello di divorzio, anche in questo senso avrebbe più significato per una sollecita trattazione dei giudizi la riunione degli stessi in capo a un unico giudice. Accanto a tali motivazioni si accom- pagna anche la consapevolezza che la riduzione dei termini per presen- tare domanda di divorzio, dovuta all’introduzione della legge sul divor- zio breve, porterà a un significativo aumento del contenzioso, in questo senso allora, una riorganizzazione del riparto degli affari civili appare senza alcun dubbio auspicabile. Perché tale meccanismo possa operare occorre precisare due aspetti: in primo luogo, la Cancelleria del tribunale dovrà annotare le assegnazioni per connessione che vengono disposte perché siano ripartite con un criterio proporzionale al singolo giudice, di modo che non sia appesantito eccessivamente dal carico di cause mensili; in secondo luogo, l’assegnazione “per connessione” si potrà in- verare solamente se il procedimento di separazione sia ancora pendente in primo grado e dinanzi alla Sezione IX Civile.

89 Ibid. 90 Ibid.

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Il Tribunale di Milano ha avuto modo di pronunciarsi nuova- mente sul punto emettendo un’ordinanza resa in Sezione IX Civile il 26 febbraio 2016, con estensore della stessa ancora il giudice Buffone.

In tale sede è stato ribadito quanto già osservato: vige il criterio dell’assegnazione delle cause di separazione e divorzio pendenti con- temporaneamente al medesimo giudice adito per la separazione, in quell’ottica di semplificazione ed accelerazione di trattazione dei pro- cessi sopra esemplificata. Osserva infatti il Presidente “facente fun- zioni” della Sezione che: “Il ricorso è stato originariamente assegnato al dott…ma poi riassegnato al sottoscritto, in virtù del criterio di distri- buzione interna degli affari, come risultanti all’esito della delibera pre- sidenziale del 25 maggio 2015. In virtù della cennata modifica organiz- zativa, ove sia pendente il giudizio di separazione, è il medesimo magi- strato (del giudizio separativo) a dover trattare l’eventuale sopravve- nuto procedimento divorzile. Analogo criterio è stato, come noto, adot-

tato da altri uffici giudiziari.”91

Tuttavia egli procede ad affermare anche un nuovo elemento al panorama prospettato: nel momento in cui la separazione giudiziale penda in una fase fisiologica non avanzata del processo, il giudice di entrambe le cause può ipotizzare una riunione delle stesse ed emanare la relativa ordinanza, ai sensi dell’articolo 274, 1° comma del codice di procedura civile, trattandosi di cause connesse.92 Questo vuol dire che si realizzerà il simultaneus processus ex post, rispetto cioè alla diversa situazione disciplinata ai sensi dell’articolo 34 del codice di procedura civile, nella quale esso si realizza ex ante.93 In tale seconda ipotesi, me-

91 Trib. Milano, sez. IX, 26 febbraio 2016, p. 1.

92 Art 274 c.p.c: “Se più procedimenti relativi a cause connesse pendono davanti allo

stesso giudice, questi, anche d’ufficio, può disporne la riunione.” Sull’impossibilità di operare una riunione tra le due cause si rinvia a quanto detto nel precedente paragrafo.

93 Art 34 c.p.c: “Il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è

necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appar- tiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la

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ritevole di un approfondimento, si realizza invero l’istituto dell’accerta- mento incidentale di un diritto pregiudiziale all’interno del processo avente ad oggetto l’accertamento del diritto dipendente: dietro apposita disposizione di legge o dietro espressa richiesta di parte si formula l’istanza di accertamento, in questo caso il processo passerà dunque da essere un processo “semplice” ad essere un processo “cumulato”, nella misura in cui all’interno di un solo processo si andranno a trattare più questioni. Se il giudice adito per la questione principale sarà competente a decidere anche per la questione pregiudiziale non si porranno problemi e spetterà a lui pronunciarsi all’interno del processo cumulato, altrimenti se il giudice adito rinverrà la competenza per decidere sulla questione pregiudiziale nelle mani di un giudice superiore, rimetterà la causa di- nanzi a lui, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassun- zione della causa dinanzi al giudice ritenuto competente. Altrimenti, alla stregua di regola generale, laddove non vi sia un’espressa disposizione legislativa o le parti non propongano al giudice alcun accertamento in- cidentale, il giudice potrà conoscere della questione pregiudiziale senza che su di essa si formi efficacia di giudicato, “incidenter tantum”,94 non vincolando tuttavia il giudice che successivamente si dovrà pronunciare in merito alla precedente statuizione. Sul tema sono stati effettuati alcuni importanti studi, che a mio parere è doveroso rammentare: mi riferisco alle impostazioni contrapposte di Francesco Carnelutti e Piero Calaman- drei, i quali offrono modi differenti di percepire il tema; mentre Cala- mandrei ritiene che la questione pregiudiziale possa sorgere solamente da uno degli elementi del rapporto controverso, debba cioè dedursi dalla causa principale, come può essere una qualità o uno status giuridico, Carnelutti contrariamente sostiene che “la questione, intorno alla quale l’accertamento deve essere pronunziato, interessi non solo il rapporto

causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui.”

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litigioso dedotto nel processo, ma altresì uno o più rapporti diversi.”95

Così discorrendo, l’efficacia derivante dalla questione oggetto di accer- tamento incidentale dispiegherà i propri effetti non solamente all’interno del rapporto dedotto nel giudizio principale, ma anche nei confronti di qualsiasi altro rapporto verso il quale possa manifestare una propria ri- levanza. In relazione al pensiero di Calmandrei, Carnelutti ha poi cura di sottolineare come lo status sia in realtà un rapporto complesso, allora laddove sarà richiesto un accertamento incidentale su di esso saranno condizionati da questo, oltre il rapporto principale dedotto in giudizio, anche tutti gli altri rapporti diversi ma collegati a quello deciso in via incidentale. Di altro avviso è Enrico Tullio Liebman, che in un suo scritto precisa come a ben vedere il problema sollevato da Carnelutti sia mal posto, poiché ai fini del rapporto di pregiudizialità- dipendenza che si instaura tra due diritti è del tutto ininfluente sapere se la questione analizzata in via incidentale sarà rilevante anche per altre possibili liti, inoltre tale possibilità è anche realisticamente imprevedibile, non è dato sapere se una questione sarà o meno rilevante per altre possibili liti in futuro, dato che ogni singola questione è idonea a far scaturire una pre- tesa, fondata o infondata che sia, ed ogni pretesa è idonea a far nascere un numero illimitato di possibili liti.

Un’ulteriore ipotesi prevista come soluzione alla contemporanea pendenza dei procedimenti che si riallaccia a quanto appena visto è data dalla sospensione propria. Essa è disciplinata all’articolo 295 del codice di procedura civile.96

La fattispecie della sospensione in senso ampio implica un arre- sto del processo, esso entra in uno stato di quiescenza, in attesa che av-

95 F.CARNELUTTI, In tema di accertamento incidentale, Rivista di diritto processuale

civile, 1943, p. 18.

96 Art 295 c.p.c: “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli

stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa.”

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venga quel qualcosa capace di far riprendere il suo normale prosegui- mento. Il processo si ferma, ma non in modo definitivo. Più specifica- mente il nostro ordinamento conosce tre ipotesi di sospensione: la so- spensione propria, ciò che ci interessa maggiormente; la sospensione concordata, prospettata all’articolo 296 del codice di procedura civile e ad oggi essenzialmente in disuso, essa nasce specialmente con l’intento di fermare temporaneamente il processo per arrivare ad una soluzione di accordo tra le parti;97 la sospensione impropria, disciplinata in norme sparse del codice di procedura civile e ricomprendente un gruppo di ipo- tesi piuttosto variegate tra loro.98 La sua vicinanza con la sospensione propria risalta, tuttavia si tratta di istituti ben distinti che poggiano la propria distinzione su di un elemento: in entrambe le fattispecie si veri- fica una litispendenza, ma, mentre nella sospensione propria troviamo due litispendenze, in quella impropria solamente una. Questo perché la prima presuppone due processi aventi oggetti diversi, la seconda invece rappresenta la circostanza in cui nel processo avente ad oggetto la que- stione principale si innesta un altro processo, avente ad oggetto una que- stione relativa alla domanda giudiziale formulata nel primo. La sospen- sione impropria comporta la sospensione del primo processo a favore

97 Art 296 c.p.c: “Il giudice istruttore, su istanza di tutte le parti, ove sussistano giusti-

ficati motivi, può disporre, per una sola volta, che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a tre mesi, fissando l’udienza per la prosecuzione del processo medesimo.”

98 Le ipotesi di sospensione impropria rappresentano una categoria piuttosto ampia e

variegata. Le principali situazioni che realizzano l’istituto sono: ai sensi dell’art 48, I c.p.c, quando è proposto regolamento di competenza la legge dispone che vengano sospesi tutti i processi nei confronti dei quali il regolamento è stato proposto; analoga- mente, ai sensi dell’art 367, I c.p.c, si verifica la medesima sospensione nel caso di regolamento di giurisdizione; nel caso di ricusazione del giudice adito, ex art 52, III c.p.c; quando sia proposta querela di falso dinanzi alla corte di appello o al giudice di pace, in attesa della decisione presa dal tribunale, essendo competente per la querela di falso; nel caso di sospetta incostituzionalità di una norma, il giudice che matura tale dubbio rimette la questione alla Corte Costituzionale; lo stesso avviene nel caso di sospetta illegittimità di una norma contenuta in un atto dell’Unione Europea; nel caso di impugnazione di una sentenza non definitiva, dietro apposita richiesta delle parti per non far proseguire l’istruttoria del processo in corso; infine, ai sensi dell’art 398 IV c.p.c, laddove per la medesima sentenza sia proposto sia ricorso per cassazione sia revocazione, il primo può essere sospeso in attesa della decisione sul secondo.

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del secondo, in quanto è essenziale che prima di procedere con la tratta- zione del processo in corso venga risolta anzitutto la questione emersa nel secondo processo, bisogna sottolineare come la questione del se- condo processo non abbia le qualità per poter essere portata avanti in un autonomo processo, giacché essa attiene non ad una situazione di diritto sostanziale, ma ad una semplice questione processuale o di merito, essa è cioè carente di una “dimensione oggettiva”99 tale da poter proseguire autonomamente, è questo a provocare la sospensione.

L’aspetto più interessante ai nostri fini è tuttavia rappresentato dalla sospensione propria o “necessaria”: siamo in presenza di due pro- cessi aventi oggetti distinti, dove perché una controversia possa prose- guire è necessario che venga prima risolta l’altra. Vi è dunque un pro- cesso da sospendere, poiché in assenza della risoluzione dell’altra causa questo non può continuare. Una volta compreso tale punto di partenza, appare lampante il riferimento al principio della pregiudizialità- dipen- denza: i diritti oggetto di tutela nei due processi si trovano in un rapporto tale per cui una delle due cause è pregiudiziale all’altra, e quest’ultima è dipendente alla statuizione della prima. Il giudice della causa dipen- dente non può procedere alla definizione della stessa se prima non è stata decisa la causa pregiudiziale, in virtù di questo basilare principio opera la sospensione del processo la cui determinazione dipende dall’altro. In altre parole, occorre accertare la sussistenza di un primo diritto, perché possa successivamente essere accertata la sussistenza anche del se- condo.

Tale principio, come afferma Sergio Costa in una sua nota a sen- tenza, viene applicato dalla giurisprudenza molto cautamente, a maggior ragione nel periodo antecedente all’introduzione del Codice di Proce- dura Civile del 1942, quando ancora non era presente un’apposita norma che disciplinasse in modo esplicito il principio in questione. In effetti il

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riferimento va al sopra citato articolo 34 del codice di procedura civile, in materia di accertamento incidentale, richiamato esplicitamente anche ai sensi dell’articolo 40, 3°, 6° e 7° comma dello stesso codice100: la disciplina inerente alle questioni pregiudiziali non era infatti riportata all’interno del Codice del 1865, venne inserita solamente a partire dal 1942, sulla spinta del pensiero di Giuseppe Chiovenda, che prendendo come riferimento la ZPO per l’Impero Germanico, intendeva trasferire il contenuto di cui all’articolo 256 nel nostro nuovo Codice.101 Egli af- fermava con parole molto chiare che: “Anche secondo il nostro diritto, le questioni pregiudiziali decise in una lite possono sempre liberamente discutersi in una lite successiva; a meno che, per disposizione speciale di legge o per volontà delle parti, la contestazione sorta nel processo precedente sopra un punto pregiudiziale siasi elevata al grado di un’azione d’accertamento (accertamento incidentale); nel qual caso ci troviamo di fronte ad una domanda autonoma, concernente un bene

100 Art 40, 3°, 6° e 7° comma c.p.c: “Nei casi previsti negli articoli 31, 32, 34, 35 e 36,

le cause, cumulativamente proposte o successivamente riunite, debbono essere trattate e decise col rito ordinario, salva l’applicazione del solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle indicate negli artt 409 e 442.

Se una causa di competenza del giudice di pace sia connessa per i motivi di cui agli articoli 31, 32, 34, 35 e 36 con altra causa di competenza del tribunale, le relative domande possono essere proposte innanzi al tribunale affinché siano decise nello stesso processo.

Se le cause connesse ai sensi del sesto comma sono proposte davanti al giudice di pace e al tribunale, il giudice di pace deve pronunziare anche d’ufficio la connessione a favore del tribunale.”

101 Mi riferisco al “Zivilprozessordnung” emanato nel 1877 per volere di Otto von

Bismarck, in vista dell’unificazione del diritto all’interno dell’Impero Germanico, cor-

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