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La Camera dei Deputati in data 29 maggio 2014 approvò in prima lettura il disegno di legge della futura legge sul divorzio breve suscitando non poco clamore per la portata modificativa dei suoi conte- nuti.

Essa, come abbiamo già avuto modo di osservare, introduce al- cuni elementi di forte innovazione: in primo luogo troviamo ovviamente la riduzione del termine minimo per presentare domanda di divorzio da tre anni a un anno nel caso di separazione giudiziale, a sei mesi nel caso di separazione consensuale, ciò che ha connotato definitivamente il di- vorzio del carattere di brevità; successivamente venne introdotto lo spo- stamento del dies a quo dal quale far decorrere il suddetto termine dal momento dell’udienza presidenziale alla notificazione o deposito del ri- corso di divorzio, volendo consentire una maggiore certezza nei rapporti tra le parti e un maggior potere nelle loro mani tramite la determinazione individuale del momento del deposito del ricorso; ancora si tentò di in- serire, anche se molto cautamente, l’istituto del divorzio diretto, forse il passo più avanguardista di tutti nel panorama del disegno di legge; in- fine, ed è ciò che per i nostri intenti assume più rilevanza, in caso di contemporanea pendenza del processo di separazione e divorzio si pre- vide che le due cause fossero assegnate entrambe al giudice della sepa- razione.

Ad esclusione della prima modifica, tutte le altre proposte legi- slative vennero allontanate per volontà del Senato, una volta che il dise- gno di legge si tramutò in DDL S. 1504, il 5 giugno 2014, e fu trasmesso a palazzo Madama per la successiva approvazione. Chiaramente il Se-

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nato non ritenne ancora pronto il nostro ordinamento per simili cambia- menti, o non ritenne opportuno introdurli per i loro contenuti, dunque si approdò ad un testo semplificato, libero da molte di quelle proposte che se approvate avrebbero aperto ad una rivoluzione vera e propria nell’am- bito del diritto di famiglia.

La previsione più interessante, dal nostro punto di vista, è quella che riguarda la soluzione offerta in caso di contemporanea pendenza del processo di separazione e divorzio, per le circostanze analizzate in pre- cedenza, cioè l’emanazione di una sentenza parziale sullo status di se- parazione in attesa di una pronuncia definitiva del giudizio, che vada a riguardare anche le ulteriori questioni accessorie, quando è tuttavia già pendente il conseguente procedimento di divorzio, essendo già stata cor- rettamente presentata l’apposita domanda. Il problema delineato non rappresenta certo una novità all’interno delle controversie familiari, e il nostro legislatore, mosso dall’intento di arginarlo una volta per tutte, ha tentato di offrire una propria specifica soluzione.

Addentrandoci nella questione, la tematica del coordinamento tra i due giudizi possiede un significato rilevante giacché essi sono con- cepiti in termini di consequenzialità: l’uno precede l’altro, in quanto il primo è solamente un tassello che verrà completato con la conclusione del secondo. In linea con questa concezione per il rapporto particolare che si instaura tra i due processi non si dovrebbe verificare una sovrap- posizione, dovendosi a rigore discutere sul divorzio solo una volta che si è statuito sulla separazione. Dinanzi al problema si è dunque cercato di realizzare il “timido tentativo”61 da parte della Camera dei Deputati

tramite l’approvazione del disegno di legge originario, prima che ve- nisse censurato dal Senato, con un testo che spinto dalla volontà di un effettivo coordinamento stabiliva che qualora fosse stato introdotto il giudizio di divorzio quando ancora era pendente la separazione in merito

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alle domande accessorie, la causa sarebbe stata assegnata al giudice della separazione personale. Come abbiamo potuto vedere, non si è mai arrivati all’approvazione di questa disposizione non essendo stata con- fermata dal Senato, e le ragioni erano ben presenti: oltre a voler mante- nere una dignità di autonomia della separazione rispetto al divorzio, isti- tuto che nel nostro ordinamento sembra destinato ancora a sopravvivere, non in tutti i casi sarebbe stato possibile identificare i giudici della sepa- razione e del divorzio nella stessa persona fisica; ad impedirlo troviamo una serie di regole processuali di cui il nostro legislatore talvolta sembra essersi dimenticato.

In primo luogo vi è la considerazione che il giudice del divorzio non può essere identificato con il giudice della separazione in quanto la determinazione della competenza per territorio avviene in modo diverso a seconda del giudizio in cui ci troviamo. La Corte Costituzionale ha infatti emesso una pronuncia nella quale dichiara la parziale illegittimità del contenuto dell’articolo 4, 1° comma della legge sul divorzio, in ma- teria di foro competente.62 Tale norma prevede una serie di criteri gra- duati di determinazione del foro competente poiché la domanda per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio si deve proporre come prima opzione al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi, ovvero, se questa manca, nel luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio, ancora se questi risulta irreperibile o è resi- dente all’estero la domanda va presentata presso il tribunale del luogo di residenza o domicilio del ricorrente, laddove poi anch’egli risieda all’estero il punto di riferimento è rappresentato da qualunque tribunale della Repubblica.63 Dal dettato della disposizione è lampante notare

62C. Cost., 23 maggio 2008, n. 169.

63 Art 4, 1° comma l. 898/1970: “La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessa-

zione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge conve- nuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di do- micilio del ricorrente e, se anche questi è residente all’estero, a qualunque tribunale

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come il primo criterio da utilizzare, l’ultima residenza comune dei co- niugi, sia tanto ragionevole in caso di separazione quanto irragionevole in un processo di divorzio, soprattutto nella disciplina previgente all’in- troduzione del divorzio breve, quando la Corte si è appunto doverosa- mente espressa. A ben vedere, dovendo attendere almeno tre anni dalla sentenza di separazione a quella di divorzio, non si riusciva a cogliere la logicità di radicare la competenza territoriale in capo al giudice del luogo dell’ultima residenza comune, giacché in un lasso di tempo tanto considerevole entrambi i coniugi potevano aver modificato le proprie vite trasferendosi anche in luoghi molto distanti dall’ultima residenza nella quale essi avevano in passato intrapreso una vita insieme. Dunque quel criterio, denominato dal legislatore del 2005 “forum familiae”64, non è stato in grado di adattarsi alle realtà concrete che fanno da cornice al divorzio, e come è stato correttamente osservato: “La folgore della censura di incostituzionalità si è abbattuta su una norma che, a ben ve- dere, era certamente prova di inefficienza del legislatore della riforma ma anche sostanzialmente inidonea a vulnerare i principi del giusto processo sia pure nell’ottica della sua manifesta irragionevolezza e ciò per l’assorbente ragione della sua inapplicabilità alla maggior parte delle cause di divorzio, e, in particolare, a quelle proposte da coniugi

già separati.” 65

Si tratta allora di una critica che il legislatore si doveva aspettare, e che in effetti è intervenuta mostrando la sua chiarezza, quasi la sua ovvietà, anche se bisogna sottolineare che per ampia parte della dottrina quello in esame era effettivamente il criterio da dover utilizzare, a nulla

della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’uno o dell’altro coniuge.”

64 Si tratta del criterio introdotto dal legislatore tramite la riforma del 2005, che prende

avvio dal d.l 14 maggio 2005, n. 35 recante disposizioni urgenti nell’ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale della Nazione e dalla suc- cessiva legge di conversione del 14 maggio 2005, n. 80.

65F.TOMMASEO, Dichiarate parzialmente illegittime le regole sul foro competente per

i giudizi di divorzio: una sentenza scontata o un’occasione perduta? Rivista Famiglia e diritto, n. 7/2008, p. 671.

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valendo eventuali cambiamenti di vita intercorsi negli anni, ma in questo modo non solo si manifestava una contraddizione con il fondamentale principio sancito ai sensi dell’articolo 5 del codice di procedura civile, la perpetuactio iurisdictionis, che vuole che per la determinazione della competenza sia considerata la situazione di fatto esistente al momento di presentazione della domanda,66 ma anche con lo stesso dettato dell’ar- ticolo 4, 1° comma della legge sul divorzio, dato che esso ha cura di precisare che “in mancanza” del primo criterio deve essere utilizzato il secondo e così via con i successivi, quindi non stabilendo affatto l’asso- lutezza del primo criterio, come invece vorrebbe questa parte di dottrina, avallata dal giudice delle leggi. In merito essa si è difesa affermando, con un’interpretazione di dubbia validità, che perché si potesse utiliz- zare il criterio sussidiario della residenza o del domicilio del convenuto, la residenza in comune non doveva semplicemente essere venuta meno, doveva non essere mai esistita, ipotesi di certo possibile, potendo i co- niugi avere una propria dimora abituale, quindi una propria autonoma residenza, ma difficoltosa da prendere come unico riferimento.

La censura di legittimità costituzionale, anche se così scontata sotto vari aspetti, non ha tuttavia considerato un elemento meritevole di attenzione: sebbene la continuità della vita familiare si sia già spezzata da tempo con la pregressa sentenza che ha dichiarato la separazione per- sonale, è pur sempre vero che all’interno di quella che un tempo fu la “comune dimora” si svolge ancora potenzialmente una vita familiare, quella del coniuge affidatario della prole e quella della prole stessa, quindi anche quella del coniuge riconosciuto come più debole. Allora si può parlare della casa familiare come del luogo in cui si verifica un’”ul-

trattività della crisi”67, dove si realizzano dei riflessi della crisi destinati

66 Art 5 c.p.c: “La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge

vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.”

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a proiettarsi nel tempo e a durare; esistono dunque “gli strumenti inter- pretativi per dare effettività al criterio del forum familiae anche per

quanto riguarda la competenza territoriale nei giudizi di divorzio.”68 In

vista di ciò, l’auspicio è di rivolgersi anche alle norme comunitarie che hanno individuato criteri di competenza territoriale per i giudizi divorzili maggiormente idonee a disciplinare questo tipo di controversie, essen- dosi calate in realtà più concrete: si richiama l’articolo 3 del Regola- mento Bruxelles Due bis, che radica la competenza per territorio nei procedimenti di divorzio nel tribunale del luogo della residenza abituale dei coniugi, ma anche “dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno

di essi vi risiede ancora”.69 Ebbene è stato sottolineato come nella no-

stra esperienza interpretativa sia mancata, consapevolmente o meno, la possibilità di adeguare il diritto italiano alla disciplina dettata nel rego- lamento europeo, offrendo una soluzione che “non soltanto sarebbe stata tecnicamente praticabile, ma avrebbe avuto il pregio di consentire al coniuge che ancora risiede nell’ultima casa familiare di adire lo stesso ufficio giudiziario che ha pronunciato la sentenza di separazione, senza dover radicare la controversia secondo i criteri del forum rei, cri- teri che se giovano al convenuto spesso, nelle cause matrimoniali, pre- giudicano il coniuge più debole e questo specialmente quando si tratta

del coniuge affidatario.”70

A prescindere dalle varie impostazioni presenti in materia, il dato che emerge è che non possiamo ipotizzare l’assegnazione delle cause al medesimo giudice, per quella regola processuale che prevede l’indivi- duazione della competenza territoriale in modo diverso all’interno della separazione e del divorzio.

68 F.TOMMASEO, ibid.

69 Mi riferisco al Regolamento 27 novembre 2003, n. 2201 relativo alla competenza,

al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale che ha abrogato il Regolamento matrimoniale c.d Bruxel- les Due n. 1347/2000.

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Successivamente, la stessa ipotesi è certamente impensabile an- che perché è ben possibile che i due giudizi pendano in gradi processuali diversi, dunque che siano affidati ad un giudice differente: è il caso del giudizio di separazione pendente in secondo grado, in quanto esso sia già stato appellato dalla parte soccombente, mentre il giudizio divorzile sia stato introdotto in tempi più recenti e dunque sia ancora pendente in primo grado. In casi come questi si manifesta in modo limpido l’impos- sibilità di procedere a una riunione delle due cause, in quanto ci tro- viamo dinanzi a gradi cognitivi ben distinti, che rendono assolutamente impossibile, in virtù delle regole sulla competenza funzionale e dei prin- cipi più basilari del processo civile, assegnare entrambe le cause allo stesso giudice.

Ancora, ad impedire l’identità per i due processi dello stesso giu- dice è la mancata sovrapposizione dell’oggetto dei due giudizi.

La separazione e il divorzio intrattengono una serie di rapporti molto particolari: possiedono uno stretto legame ma allo stesso tempo mantengono un’autonomia di fondo, possiedono contenuti diversi. In merito si è parlato di “autonomia concettuale”71: in effetti, una volta ottenuta la sentenza che dichiara la separazione si apre lo spazio per un nuovo giudizio, che probabilmente sarà influenzato da quanto è stato deliberato nella sede precedente, ma potrà ugualmente discostarsi dal suo risultato, emanando provvedimenti discordanti rispetto ai primi. In questo senso si realizza anche una garanzia fondamentale del sistema: la parte ha diritto a un nuovo processo, ad una valutazione ex novo, da parte di un altro giudice; se si assecondasse la proposta presentata nel disegno di legge, questa garanzia verrebbe automaticamente meno, non

71F.DANOVI, I rapporti tra separazione e divorzio: vie parallele, cumulo processuale

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permettendo la rinnovazione del giudizio cui ha diritto la parte all’in- terno dell’ordinamento “doppiamente giudiziale”72 che noi cono-

sciamo. In modo corretto è stato osservato che:” A questo riguardo, non vi è in primo luogo dubbio alcuno circa il fatto che il processo di sepa- razione e quello di divorzio siano, dal punto di vista strutturale e astratto, perfettamente autonomi. Ciascuno dei due giudizi, in sé consi- derato, rimane distinto dall’altro, diverso essendo lo scopo ultimo che ognuno di essi singolarmente persegue. E intorno a tale scopo si arti- cola un apparato processuale idoneo a dare vita a un giudizio di cogni- zione piena, speciale nel rito e volto all’ottenimento di una pronuncia a

carattere composito che aspira all’autorità di cosa giudicata.”73

A fianco a questo primo concetto di autonomia, si è parlato anche di un “legame funzionale”74, perché se è vero che i processi sono di- stinti, è anche vero che, almeno in via teorica, la separazione è volta all’ottenimento del futuro divorzio, e il divorzio senza la pronuncia sulla separazione non si può inverare. Si tratta però di un legame piuttosto difficile da comprendere e da dimostrare, giacché si tratta di riflessi che il primo, anche una volta terminato, produce sul secondo, andando tal- volta a determinare l’orientamento che il giudice del divorzio seguirà, come si deduce dal disposto dell’articolo 5, 6° comma della legge sul divorzio, laddove si parla di “ragioni della decisione”75 da tenere in

considerazione per la determinazione dell’ammontare dell’assegno di- vorzile, talvolta invece andando a valutare aspetti del thema decidendum già esaminati nella prima sede, per i quali il giudice del divorzio, pur

72 F.DANOVI, ibid. 73F.DANOVI, ibid. 74F.DANOVI, ibid.

75 Art 5, 6° comma l 898/1970: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la

cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi ade- guati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.”

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operando una nuova e personale considerazione, non potrà non volgere lo sguardo a quanto è stato già detto sul punto.

Si tratta dunque di un duplice rapporto, “poliedrico e ibrido”76, che proprio in ragione di questa sua caratteristica ha suscitato soluzioni discordanti sulla questione della contemporanea pendenza dei procedi- menti.

All’interno di tale disputa, oltre alla teoria dell’assegnazione delle cause allo stesso giudice, c’è chi ha sostenuto che fosse possibile ipotizzare una riunione dei giudizi in virtù del principio di pregiudizia- lità dipendenza in senso tecnico, originato da un fenomeno di connes- sione tra i due. Tale impostazione è da abbandonare alla luce di alcune fondamentali osservazioni, che toccano concetti esprimenti linee guida del nostro sistema processuale.

La connessione è un istituto di grande rilevanza all’interno della disciplina di diritto processuale, ma quando ci si accosta al suo studio, è prima di tutto essenziale avere ben presenti altre due nozioni ad essa collegate: la litispendenza e la continenza.

La litispendenza può anzitutto voler dire due cose: in senso am- pio significa “pendenza della lite”77, è cioè quel momento che intercorre tra la proposizione della domanda giudiziale ed il passaggio in giudicato della sentenza emanata al termine del processo; in senso stretto invece, essa connota quel fenomeno di pendenza di due processi aventi lo stesso oggetto innanzi ad uffici giudiziari diversi, si verifica dunque un doppio processo per un’identica domanda processuale. Tale ipotesi, disciplinata ai sensi dell’articolo 39, 1° comma del codice di procedura civile78, si realizza infatti quando due domande giudiziali presentano le medesime

76 F.DANOVI, ibid.

77 F.P.LUISO, Diritto processuale civile, Tomo I, Milano, 2015, p. 201.

78 Art 39, 1° comma c.p.c: “Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi,

quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo.”

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caratteristiche: siamo cioè in presenza di identici soggetti, anche se bi- sogna precisare che si tratta di una constatazione alquanto ovvia, dato che soggetti diversi implicano diversità di situazioni sostanziali, quindi poiché ciascun soggetto è portatore di specifici diritti e potrà far valere in giudizio solamente i suoi diritti, la diversità di soggetti da una causa ad un’altra comporta necessariamente la presenza di situazioni sostan- ziali diverse, dunque processi diversi; siamo anche in presenza di un’identica causa petendi, la fattispecie costitutiva del diritto dedotto in giudizio. Ad ogni modo occorre distinguere tra due categorie di diritti ben note nella disciplina processuale: i diritti autoindividuati e i diritti eteroindividuati. I primi hanno la basilare caratteristica per cui al molti- plicarsi dei fatti costitutivi che fondano la titolarità del diritto, non con- segue il moltiplicarsi del diritto, i fatti costitutivi non servono cioè ad identificare il diritto: se ad esempio il medesimo soggetto agisce in giu- dizio facendo valere un diritto di proprietà basandosi su fatti costitutivi diversi tra i due processi, il diritto di proprietà rimane lo stesso, in quanto la situazione sostanziale tutelata è la stessa, la presenza di più fatti co- stitutivi non porta ad una pluralità di diritti, il diritto è uno e sempre lo stesso, ne consegue che saremo in presenza di una litispendenza. Al con- trario i secondi prevedono che al moltiplicarsi dei fatti costitutivi che individuano il diritto si moltiplichino anche i diritti, per ogni causa pe- tendi troviamo un diritto diverso: se lo stesso soggetto fa valere in giu-

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