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L’edizione di un commento: accenni alle problematiche 1 Autorialità e stabilità del testo

A NALISI E COMMENTO

I 29. ET LONGO POST TEMPORE VENIT, POSTQVAM NOS AMA-

2. L’edizione di un commento: accenni alle problematiche 1 Autorialità e stabilità del testo

2.1.1 Edizione di un commento: accenni alle problematiche

Da qualche decennio a questa parte il problema dell’autorialità è stato po- sto per i testi medievali con maggiore coscienza critica e rigore metodologico ed è ormai largamente condivisa l’opinione che il concetto di proprietà lettera- ria, come concepito da noi oggi, o come era percepito nell’antichità classica, non appartiene generalmente al Medioevo:11 la relativamente elevata percentua-

le di opere anonime, la diffusione di processi di rielaborazione e di varianti re- dazionali del testo lo mostrano con evidenza. Particolarmente soggetta a questo tipo di trasmissione è la categoria testuale del commento, sia esso redatto per

11 Cfr. P.CHIESA, Elementi di critica testuale, Bologna 2002, pp. 137-142; afferma Chiesa

:«Mancando nel Medioevo un sistema di produzione editoriale analogo a quello moderno – o anche a quello antico –, in cui l’opera letteraria passava ad un certo momento nelle mani di un soggetto diverso dall’autore – l’editore –, il processo creativo poteva fluire ininterrotta- mente in copie successive della medesima opera: l’originale è perciò ‘in movimento’, quando pure si possa identificare con il manoscritto dell’autore. Ma anche questo, talvolta, non è possibile. Varie opere medievali, infatti, si basano sul reimpiego e l’adattamento sistematico di testi preesistenti, magari di provenienza diversa, che vengono rimodellati in funzione di una nuova esigenza comunicativa o di un diverso pubblico; e in queste condizioni la linea di demarcazione fra un ‘copista’ – definito come colui che riproduce, con inevitabili variazioni, un testo preesistente – e un ‘autore’ – definito come colui che crea un’opera nuova e origina- le – appare assai labile» (ivi, p. 139).

un testo biblico o per un auctor della classicità latina.12 La struttura del com-

mento è per definizione aperta ad accogliere espansioni, ampliamenti e notizie in più che un maestro avesse voluto introdurvi, e ugualmente a perdere segmen- ti e brani, sia per ragioni accidentali sia a causa di interventi deliberati e co- scienti dei fruitori. Ogni magister aveva infatti la possibilità di gestire lo stru- mento secondo le sue esigenze didattiche e i suoi interessi prevalenti, e soprat- tutto aveva le conoscenze per intervenire sul testo senza che l’interpolazione possa essere individuata con sicurezza in base a criteri contenutistici o stilistici, anche perché assai spesso aveva a disposizione le medesime fonti del suo predecessore.13

Naturalmente la lingua utilizzata per le glosse, assai ripetitiva e standardiz- zata, favorisce la mobilità del testo; d’altra parte, tuttavia, fornisce anche uno strumento all’editore critico, che – almeno nel presente caso – si è ritenuto di poter utilizzare con un discreto margine di sicurezza. In estrema sintesi,14 cioè,

si può dire che una lezione che si discosti dal livello standard del commento in maniera eccessiva e in direzione di una maggiore ricercatezza e complessità del testo, in un manoscritto nel quale si possa dimostrare la presenza di interpola-

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12 Di questo parere è L.HOLTZ, Autore, copista, anonimo, in Lo spazio letterario del Me-

dioevo. 1. Il Medioevo latino, I. La produzione del testo, Roma 1992, p. 348: «Gli scritti più fragili sono quelli che trasmettono un insegnamento, come i trattati destinati alla scuola o i commenti di testi. Il che è facilmente spiegabile: nessun maestro si limita a ripetere letteral- mente ciò che lui stesso ha imparato. I trattati medievali destinati alla scuola ci presentano, per uno stesso testo, quasi tante deformazioni quanti furono i professori che se ne occuparo- no»; Maddalena Spallone condivide la stessa idea:«Alla complessa testualità di opere non let- terarie come gli scritti esegetici sembra presiedere, infatti, una sorta di ‘mobilità’, la quale, disponendole ad apporti e/o sottrazioni da parte di quanti utilizzano tali strumenti di inse- gnamento, lettura, studio, favorisce alterazioni del testo primitivo in ogni momento della sua trasmissione. Quella dei commentari è perciò una tradizione ‘attiva e caratterizzante’, nella quale l’instabilità testuale sarà da intendere non solo alla luce delle variabili sociali, storiche, culturali che connotano l’ambiente in cui di volta in volta opera il maestro/esegeta del testo, ma anche in considerazione dell’elevato indice di fruibilità che i commentari attingono in quanto testi destinati alla scuola, depositaria istituzionale della trasmissione e interpretazio- ne degli autori antichi» (M. SPALLONE, I percorsi medievali del testo, cit., pp. 412-413).

13 Come si avrà modo di notare infra, una situazione tipica delle glose di Ilario alle Bucoli-

che è la presenza in uno (o due) manoscritti di una glossa assente negli altri, ma perfettamen- te corrispondente nel senso e nella lettera con quanto riportato da Servio. Bisognerà allora porsi la domanda sull’originalità del passo, perché tanto Ilario, quanto altrettanto evidente- mente i copisti (o la tradizione che essi portano) conoscono Servio e sono in grado di utiliz- zarlo opportunamente.

14 Vi si tornerà infra, con esempi, nei paragrafi sul comportamento dei manoscritti e sulla

zioni (anche pochissime) diventa di per se stessa sospetta laddove un altro ma- noscritto tramanda una lezione accettabile, adiafora per quanto riguarda il sen- so, ma coerente con il sistema stilistico abituale.

Vi sono poi aspetti legati alla tradizione manoscritta in senso stretto, e an- cora prima al momento in cui materialmente si genera la forma scritta del testo. Non va infatti dimenticato che il commento nasce in relazione a una precisa si- tuazione comunicativa, ossia quella in cui il maestro espone agli allievi la spie- gazione di un’opera letteraria; e non sarà ovvio ritenere che la forma effettiva- mente diffusasi nei codici sia esattamente corrispondente a quella che il maestro vergò (se la vergò) di proprio pugno come sussidio alle sue lezioni. Non è escluso che le nostre tradizioni dipendano dagli appunti presi da un allievo, op- pure che si possa immaginare una sorta di scrittura sotto dettatura durante le lezioni. È estremamente difficile dimostrare la genesi, tuttavia alcuni passi del commento di Ilario fanno pensare all’esistenza di doppie lezioni, o di una si- tuazione anche materialmente non ben definita all’origine della tradizione, tale per cui alcuni elementi sono passati in una parte della tradizione e non in un’al- tra. Resta il fatto – anche se, come si vedrà, non è esattamente il caso di Ilario – che in molte occasioni le varianti strutturali e contenutistiche tra i testimoni sono tali da rendere poco efficace una recensio.15

In un panorama nel quale la disponibilità di edizioni critiche di commenti medievali a testi classici è assai limitata, una prassi metodologica consolidata non sembra essere stata elaborata dalla tradizione degli studi. Nelle circostanze in cui i vari manoscritti presentano discrepanze tali da rendere inefficace o im- possibile una recensio,16 si è fatta la scelta di pubblicare una sorta di codex opti-

mus, in base all’antichità o allo stato di conservazione, e correggerlo con pochi

testimoni che non si discostino troppo vistosamente da esso.17

Resta in ogni caso valido il principio per cui il metodo più adeguato con cui affrontare la ricostruzione critica di un testo è in qualche misura determina- to dalle caratteristiche stesse della sua tradizione, che può rendere più o meno

15 Cfr. in generale sulla produzione dei commenti C. Villa, I classici, in Lo spazio lettera-

rio del Medioevo, I. Il medioevo latino, I.1. La produzione del testo, Roma 1992, pp. 479- 522.

16 Un caso in cui la tradizione non sembra permettere di risalire a un originale univoco è

ad esempio di GUILLELMUS DE CONCHIS, Glosae super Boetium, cura et studio L. Nauta, Turnhout 1999 (CCCM 158).

17 Vd. ad esempio GUILLELMUS DE CONCHIS, Glosae super Platonem, ed. É. Jeauneau,

fruttuosa (o non efficace) l’adozione del metodo stemmatico; ma non esime l’editore dall’affrontare scientificamente le problematiche ad essa inerenti.18

2.1.2 Le glose di Ilario d’Orléans alle Bucoliche.

Dal momento che Violetta De Angelis19 ha dimostrato la possibilità di at-

tribuire il commento a un autore specifico, Ilario d’Orléans appunto, si ha una caratteristica che in qualche modo si discosta da quanto per lo più avviene in fatto di commenti: una personalità definita alla sua origine. Non si deve perciò rinunciare ad interrogarsi su quale dovesse essere stata la volontà dell’autore, anche correndo il rischio, in qualche luogo, di doversi arrestarsi senza essere riusciti a dare una risposta sicura. D’altra parte essi sono piuttosto lontani cro- nologicamente dal periodo in cui venne verosimilmente redatto il commento (intorno al primo quarto del XII sec.). Il più antico infatti, il Berlinese, è datato da studiosi diversi tra la metà del XII sec. e l’inizio del XIII; nel primo caso si tratterebbe di circa venticinque anni, nel secondo di quasi tre quarti di secolo; al di là del dato temporale, comunque, il Berlinese mostra un buon numero le- zioni classificabili come rielaborazioni stilistiche, e fra i tre è forse quello che sembra distanziarsi maggiormente, almeno sotto il profilo linguistico, dall’ipo- tesi di ricostruzione della forma originale.

Strutturalmente, in ogni caso, il commento è stabile: un solido nucleo su cui condurre l’indagine è presente, se si considerano i tre manoscritti che tra- smettono le glose (quattro includendo anche il codice di Stoccolma, che tuttavia riporta un campione davvero minimo del testo20 e già ridotto a glosse margina-

li). Essi infatti non presentano vistose varianti strutturali, se si eccettua la perdi- ta di alcuni fogli in due punti nel Londinese (mancano le glosse a Buc. I,19-

II,47 e IV,4-VI,10), che tuttavia è dovuta a cause meccaniche, e sono collazio- nabili tra loro per l’intera estensione del commento; non sussistono dubbi sul fatto che tramandino lo stesso “oggetto” e un elemento di stabilità è dato sicu- ramente dal fatto di configurarsi come una glossa continua. Nel contesto di questo quadro generale, si inseriscono i problemi relativi a specifici luoghi del

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18 Su ciò cfr. ancora P. CHIESA, Elementi di critica testuale, cit., pp. 143-146.

19 Per l’attribuzione a Ilario d’Orléans cfr. V. DE ANGELIS, I commenti medievale alla

«Tebaide», cit., in particolare pp. 112-136.

commento, i quali limitano fortemente la possibilità di ricostruirne la lezione originale su base rigorosamente meccanica. Di questi si fornisce qui di seguito una categorizzazione generale, rimandando infra al commento filologico del testo, dove numerosi luoghi esemplificativi vengono discussi dettagliatamente. Talvolta lezioni alternative nei codici, ma adiafore sia semanticamente che stili- sticamente, sono attestate insieme in un passo di Servio, che risulta sintetizzato nel nuovo commento; vi sono poi lezioni o passi attestati in Servio, ma presenti in uno solo dei testimoni (in particolare per la sezione tramandata solo da due mss.),21 sui quali è arduo stabilire se omessi da un copista o inseriti da un cor-

rettore che conosceva il commentatore tardoantico.

2. La categoria più numerosa: segmenti testuali che non tutti i testimoni tra- mandano, ponendo dunque la questione se si tratti di caduta negli uni o di in- terpolazione negli altri, al netto naturalmente di quelli, piuttosto numerosi, per i quali la spiegazione può essere cercata in guasti meccanici e assai spesso trova- ta in un saut du même au même. Ci sono luoghi in cui questo accade per AB contro M, ma anche in BM contro A e in AM contro B.

3. Passi nei quali alcune frasi di senso compiuto sono posizionate in modo di- verso nei manoscritti, senza che nessuna delle collocazioni alteri visibilmente la comprensibilità del testo.

Per i punti 2 e 3 occorre rilevare che, pur essendo una glossa continua, riman- gono ben isolabili le glosse ai singoli passi, le quali sono richiamate con fre- quenza da lemmi del testo virgiliano e costituiscono blocchi definiti e identifi- cabili; perciò da un lato sono facilmente eliminabili, dall’altro l’eventuale intro- duzione del commento a un termine virgiliano che Ilario non avesse commenta- to non avrebbe danneggiato il tessuto sintattico e non necessariamente sarebbe facilmente riconoscibile.

21 Il problema non è comunque limitato a questa parte; quando infatti sono tre, ma uno

solo trasmette il passo proveniente da Servio – se le iniziali conclusioni della recensio presen- tate qui infra colgono nel segno, vedendo una sostanziale indipendenza reciproca fra i tre codici, e se la tradizione ha origine in un documento non ancora ben rifinito – il passo in questione verrà escluso dal testo per la concordanza di due codici su tre. Non si potrà co- munque eliminare del tutto il sospetto di un’omissione in uno dei due testimoni privi del passo.

4. Alcuni termini risultano tramandati in modo inesatto al confronto con il luo- go corrispondente di Servio o Virgilio; possono allora essere errori di un ipote- tico archetipo, o dipendere da errori nella tradizione dei due autori disponibile a Ilario, e allora sono lezioni da mantenere a testo. Non è stato possibile affron- tare in questa sede uno studio specifico, peraltro di realizzazione assai comples- sa, sulle possibili lezioni che Ilario verosimilmente leggeva e sui codici presenti nei centri in cui fu attivo, studio che sarebbe necessario per dirimere la questione.22

5. Passi in cui è evidente che i codici trasmettono un testo che in origine era lo stesso, ma dove, applicando i criteri stemmatici dipendenti dall’ipotesi sulle re- lazioni tra i manoscritti qui presentata, non si perviene a un testo grammatical- mente e sintatticamente accettabile. In questo caso, laddove uno dei manoscritti interpolati23 (molto spesso B) presenta un testo che rispetto a quello degli altri

appare corretto, ma non pesantemente interpolato24 si è preferito lasciare a testo

la sua forma, con la coscienza che la sua correttezza è quasi sicuramente l’esito di una moderata attività di congettura.

2.2. Comportamento generale dei singoli testimoni

I manoscritti che tramandano le glose di Ilario alle Bucoliche sono una buona esemplificazione di quanto si accennava supra, cioè del fatto che la tipo- logia testuale “commento” può andare soggetta a una ricezione di tipo diverso; chi copia il testo può intervenire in modo più o meno invasivo sul testo che ha a disposizione, e può farlo in modalità differenti, secondo il proprio interesse. Come si è già detto, questo non pregiudica, se non in alcuni luoghi relativamen- te circoscritti, la possibilità di tentare una ricostruzione dell’originale; ma natu- ralmente ha delle implicazioni nel momento in cui un editore va a proporre

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22 Per la sezione di commento che è stata studiata criticamente in dettaglio i casi sono co-

munque molto limitati.

23 Cfr. infra, § 2.2. Comportamento generale dei singoli dei testimoni.

24 Variantistica, cioè, a livello di preposizioni, desinenze ed elementi limitati dell’ordo

verborum, che interessa la medesima sequenza di parole; non a livello lessicale e di amplia- mento/riduzione, dove si tratterebbe di interventi assai più incisivi.

un’ipotesi di testo critico, perché per ciascuno deve stabilire con la maggior si- curezza possibile che cosa possa essere esito di tradizione (giusta o sbagliata) e che cosa no. Da ciò la presenza di un paragrafo specifico sul tema.

Dal momento che sicuramente due codici sono piuttosto lontani dall’epoca dell’autore, e forse anche il terzo, non necessariamente gli interventi di allonta- namento dall’ipotetico originale sono avvenuti nel passaggio tra il loro modello ed essi, e non necessariamente si sono verificati tutti nella medesima circostan- za, perché potevano già essersi sedimentati e stratificati in precedenti snodi del- la trasmissione; ma essi testimoniano quel particolare sviluppo della tradizione. Inoltre ciascuno dei tre codici presenta l’esito di abitudini differenti nel rappor- tarsi al modello, quindi nella grande maggioranza dei casi è possibile rintraccia- re la concordanza di due di essi e comprendere dove il terzo interpola o modifi- ca.

Il codice di Stoccolma non è preso in considerazione in questa rassegna per l’esiguità della sua testimonianza e per la distanza cronologica – e dunque anche di mentalità – che separa il suo copista da quelli dei tre codici pienamente inse- riti nell’ambiente proprio di fruizione del commento.

2.2.1. Comportamento di M

Su tre testimoni, se due sono quelli che manifestano attività di interpola- zione, il terzo è quello che spesso consente la reductio ad unum delle diverse forme testuali. Il ms. Monacense infatti non sembra avere nessuna delle caratte- ristiche a cui si è accennato come frequenti nella tradizione dei commenti (mo- bilità del testo, tracce del fatto che il testo-modello sia stato riutilizzato attiva- mente, ampliamenti e riduzioni, varianti redazionali).

A giudicare dal testo riportato, infatti, il copista deve aver riprodotto esat- tamente, almeno come intenzione, il modello che si trovava di fronte. Le cor- ruttele a carattere involontario sono numerosissime: assai frequenti sono in par- ticolare i salti dell’occhio, ma a quanto pare anche omissioni di minore portata che tuttavia pregiudicano la correttezza del dettato (come probabili salti di sin- gole parole, ad esempio). Il testo trasmesso da M ha inoltre un’estrema densità di banalizzazioni, sviste nelle desinenze, errori spiegabili come fraintendimenti di abbreviazioni, vocaboli che hanno perduto la loro fisionomia abituale per la

caduta o la sostituzione di qualche lettera, storpiature nei nomi propri (valuta- bili sulla base del confronto con Servio, ma anche degli altri due manoscritti).

Il carattere della copiatura (se non in M stesso, nella tradizione da cui deri- va) è ravvisabile anche in alcuni passi che sono accettabili dal punto di vista sin- tattico-grammaticale. In numerosi luoghi B o A presentano una forma che, a paragone con quella di M, risulta più elaborata sintatticamente, o che mostra un lessico più ricercato, ma senza aggiungere nulla sul piano contenutistico. Essa è spesso spiegabile come evoluzione della forma presente in M, mentre è impro- babile che si possa attribuire ai copisti la riduzione e la semplificazione di un eventuale dettato più armonioso ed elaborato, perché non se ne sarebbe sentita la necessità. Può essere portata a supporto la lingua in cui verosimilmente era scritto il commento, che non poteva essere troppo ricercata stilisticamente, ma doveva semmai tendere a chiarezza e concisione; e non bisogna trascurare, in ogni caso, tutti quei passi in cui la lezione di M trova l’accordo rispettivamente di B o di A, anche qualora l’altro abbia interpolato.

Per la parte di commento tradita da tutti e tre i manoscritti sono pressoché assenti luoghi in cui M presenta parti di testo in più e sono molto rari per quel- le sezioni dove la testimonianza di A è caduta. Anche in questi casi, quasi sem- pre spiegabili come errori di copia da parte di B (salti dell’occhio, omissioni di singole parole, etc.).

Nonostante la diffusione di corruttele nel testo che tramanda, la presenza di M si rivela utile per uno studio stemmatico; potendosi definire con relativa sicurezza che M proviene da una tradizione non (o poco) rielaborata, esso per- mette di avere un termine di paragone solido per determinare con buona ap- prossimazione che cosa facesse parte di un nucleo comune ai tre testimoni, e che cosa si debba invece ritenere probabilmente interpolato.

Alcuni esempi, tra i moltissimi possibili:25

- Acc. 4. Ut sepe invenitur, sicut liber Genesis non quia Moyses ubique de mundi geni- tura agat, et sicut Matheus liber generationis Iesu Christi non quia semper de genitu- ra Christi agat, sed a digniori parte sue materie intitulat (…)

M omette et sicut … Christi agat (salto dell’occhio).

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25 Si dà come base il testo ricostruito, rispetto al quale M si dimostra in errore. Per ulte-

- Acc. 9. Iterum sciendum est Virgilium XX et VII annorum fuisse cum incepit scribe- re Bucolica; et imitatum fuisse, ut superius dictum est, ordinem vite humane. Perso- nas etiam huius operis de rebus rusticanis ex maiori parteconfinxisse (…)

M omette et imitatum … vite humane, che è precisazione necessaria per comprendere meglio quanto viene detto dopo.

- I 12. ‘Turbatur’ enim, ut dicit Servius, melius est quam ‘turbamur’, quia ‘turbamur’ ad paucos referri potest, ‘turbatur’ vero impersonaliter (…)

M omette quia turbamur, decisamente necessario alla restituzione del senso della glossa.

- I 17. Ideo Melibeus querit ab illoquis sit ille deus, dicens: quamvis diu moratus sim et mihi eundum esset, tamen da, idest dic (…)

M omette et mihi eundum esset.

- I 27. quamvis sera [scil. libertas] tamen respexit me inertem – idest pigrum – quia tam diu Romam ire distuli, tam diu servus fui.

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