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Effetti dell’atto e potere amministrativo: la ricerca di un difficile equilibrio

Nell’ideale teorizzazione che nel presente lavoro si sta tentando di delineare in relazione al principio di continuità nel diritto amministrativo, sino ad ora si è prestata prevalente attenzione alle manifestazioni di tale principio nel percorso di formazione della volontà della Pubblica Amministrazione, sottolineandone la funzione di garanzia del superamento tanto di possibili paralisi dell’organo quanto di eventuali stasi nell’emanazione dell’atto. A questo punto, tuttavia, non sembra superfluo interrogarsi sulle implicazioni della continuità anche in un momento successivo all’esercizio della funzione, traslando l’attenzione dal piano dell’azione in itinere a quello, susseguente e correlato, dell’attività già esercitata; una simile prospettiva conduce inevitabilmente ad una analisi della continuità nel rapporto amministrativo, particolarmente attenta alla sua declinazione sia come sinonimo della stabilità a situazioni immutate e sia come flessibilità delle scelte, giustificata dall’adattamento alle mutevoli esigenze di tutela prospettate dalla realtà concreta sulla quale l’amministrazione è chiamata ad operare. Simili riflessioni inducono, da un lato, a valutare le problematiche connesse al carattere perdurante degli effetti provvedimentali e ai relativi limiti, e dall’altro a considerare le implicazioni della natura permanente del potere in quanto tale, verificando se e in che modo essa possa incidere sul valore della continuità intesa in senso ampio.

Con specifico riferimento al primo dei due aspetti richiamati, emerge innanzitutto una generale tendenza ordinamentale a evitare che la funzione amministrativa possa restare esposta sine die al rischio di una contestazione sulla legittimità dei suoi esiti e sulla consistenza dei suoi presupposti; in quest’ottica devono essere interpretati tanto l’immediata efficacia ed esecutorietà del provvedimento, a prescindere da ogni valutazione sulla sua validità, quanto la previsione di un breve termine di decadenza, e non di prescrizione, per azionare la tutela giurisdizionale a pena di inoppugnabilità

dell’atto150; alla stessa esigenza pare infine rispondere l’opzione generalizzata, in tema di invalidità, per la figura dell’annullabilità a discapito di quella della nullità, posto che la prima, a differenza di quest’ultima, richiede una necessaria pronuncia in tal senso, non potendo operare di diritto151: in difetto di tempestiva attivazione, dunque, l’atto amministrativo continua a dispiegare i suoi effetti ancorché viziato, a tutela di una continuità che peraltro sembra in questo caso esclusivamente intesa in senso formale, posto che la vera continuità virtuosa presupporrebbe un modello amministrativo certamente stabile ma anche congruo e corretto sotto ogni profilo.

L’inoppugnabilità degli atti amministrativi, una volta decorso l’ordinario termine per porne in discussione la legittimità, sembra essere posto a baluardo del principio di

150 Il tema dell’inoppugnabilità è stato oggetto di numerosi contributi scientifici sin da tempi non

recenti; per alcuni essenziali riferimenti bibliografici si rinvia a M. S. GIANNINI, voce Atto

amministrativo, in Enc. dir., vol. IV, 1959, 157; M.BRACCI, L’atto amministrativo inoppugnabile e i

limiti dell’esame del giudice civile, in Studi in onore di F. Cammeo, Padova, 1933, 149 ss.; P.STELLA

RICHTER, L’inoppugnabilità, Milano, 1970; E. CANNADA BARTOLI, L’inapplicabilità degli atti

amministrativi, Milano, 1950, 24; R.VILLATA, L’atto amministrativo, in L.MAZZAROLLI –G.PERICU –

A.ROMANO –F.A.ROVERSI MONACO –F.G.SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna, 2001, 1445.

151 Si veda in proposito B. G. MATTARELLA, L’imperatività del provvedimento amministrativo,

Padova, 2000, 459 s., ove si sottolinea che «l’annullabilità è, dunque, il normale stato viziato del provvedimento, e da ciò dipende la provvisoria efficacia del provvedimento invalido». L’Autore rileva poi che la scelta dell’annullabilità come specie di invalidità dotata di rilievo generale riflette un’opzione per la preminente tutela dell’interesse alla cui realizzazione mira il potere rispetto agli altri interessi confliggenti; l’inoppugnabilità, in questo senso, parrebbe il principale strumento per superare l’instabilità degli effetti implicita nel meccanismo di impugnazione necessario per far valere l’annullamento. Sull’annullabilità come categoria generale, v. anche F.G.SCOCA, Esistenza, validità ed efficacia degli atti amministrativi: una lettura critica, in G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), La nuova disciplina

dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, Torino, 2005, 167; per alcune autorevoli riflessioni di sistema sulle differenze tra atti amministrativi e atti privati, anche con riferimento al regime dell’invalidità, v. M. S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione,

certezza dell’azione152, ma d’altra parte l’ordinamento non ne fa derivare una assoluta immodificabilità, posto che essi possono sempre essere riesaminati e riformati dalla stessa amministrazione che li ha emanati, il che non solo presuppone un potere tassativamente regolato153, ma anche una forte responsabilizzazione della P.A., che quest’ultima tuttavia, troppo frequentemente, non dimostra con sufficiente costanza154. Non sembra superfluo notare, peraltro, che il doveroso rispetto tanto dei limiti negativi quanto dei criteri positivi imposto dalle norme all’azione amministrativa, che la conforma al risultato utile e al rispetto della legalità e dei vincoli ordinamentali, finisce per esporre l’amministrazione ad una probabilità di incorrere in forme di antigiuridicità

152 Vedi in tal senso M.S.GIANNINI, voce Atto amministrativo, cit. 189; M.D’ORSOGNA, Il problema

della nullità in diritto amministrativo, Milano, 2004, 99. Si veda anche M.BRACCI, L’atto amministrativo inoppugnabile e i limiti dell’esame del giudice civile, in Studi in onore di F. Cammeo, cit,, 154 ss., ove l’A. sottolinea l’importanza dell’inoppugnabilità, come ipotesi distinta dall’assoluta irrevocabiità, poiché essa «segna la fine del potere del privato di difendere giuridicamente i propri interessi lesi dall’atto amministrativo».

153 In astratto, infatti, l’illegittimità provvedimentale dovrebbe concretare un’eventualità

assolutamente residuale ed eccezionale nell’ordinario dipanarsi dell’azione amministrativa, tenendo conto del fatto che il potere dovrebbe essere doverosamente funzionalizzato al perseguimento del fine specifico previsto dalle norme che lo attribuiscono e ne disciplinano l’esercizio; la P.A., pertanto, almeno in linea teorica, è sempre vincolata al doveroso rispetto dei presupposti di legge, delle garanzie procedimentali e dai principi generali che emergono dall’ordinamento nel suo complesso. Per alcune di queste riflessioni, si veda G.GRECO, Potestà amministrativa e interesse legittimo, in Argomenti di diritto amministrativo,

Milano, 2000, 115; F.G. SCOCA, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul

procedimento, in Dir. amm., 1995, 1.

154 Una delle dimensioni maggiormente patologiche dell’amministrazione del nostro tempo, infatti,

risulta quella che le suggerisce di arroccarsi entro le proprie pregresse posizioni, incapace o più spesso riluttante a rimettere in discussione le determinazioni adottate, anche qualora vengano ad essa rappresentate sopravvenienze nella configurazione degli interessi originariamente considerati e perseguiti. Una simile rigidità d’impostazione, forse troppo raramente oggetto di attenzione e di critica da parte degli interpreti, finisce per pregiudicare l’esigenza stessa della continuità funzionale, posto che quest’ultima necessariamente richiede una flessibilità dei modelli che sia contestuale ai mutamenti nelle esigenze di tutela, come si cercherà di argomentare nella seconda parte di questo lavoro.

molto maggiore di quanto non accada per l’attività negoziale155: proprio in questa costante tensione tra il dover essere della P.A. e il suo concreto essere si dipanano le delicate dinamiche di illegittimo esercizio della funzione che coinvolgono anche un grave vulnus alla continuità in senso sostanziale.

Se ci si sofferma più attentamente sulla brevità del termine di impugnazione per far valere i vizi dell’atto amministrativo, tuttavia, emerge che esso può essere inteso anche in una chiave maggiormente garantista, così da non leggervi soltanto un’affermazione della supremazia della P.A. rispetto al privato, ma anche la funzione di consentire alla prima uno svolgimento maggiormente stabile e certo dei suoi compiti; si tratta in sostanza del risultato di una ponderazione tra interessi contrapposti effettuata direttamente dall’ordinamento. Ciò risulta del tutto coerente con il rilievo sistematico per cui anche la funzione amministrativa non è mai completamente lineare, ma al contrario impone costantemente alcuni necessari bilanciamenti fra valori e principi confliggenti, potendosi in effetti sostenere, senza timore di essere smentiti, che è proprio in questa perenne ricerca dell’equilibrio ottimale che essa trova il suo fondamento ultimo: se tale processo di autorevole mediazione non fosse necessario, come accadrebbe se l’esercizio del potere fosse rigidamente predeterminato dalla legge in tutti i suoi aspetti concreti, è chiaro che una funzione generale di amministrazione, come cura in concreto di interessi predeterminati in astratto, perderebbe la sua stessa ragion d’essere. Una stabilità certa degli effetti dell’attività, e dunque una permanenza dei suoi risultati, può peraltro essere conforme all’esigenza di continuità complessiva della funzione solo nel caso in cui l’amministrazione agisca sempre in modo equo e

155 Cfr. sul punto C. LEONE, Il principio di continuità dell’azione amministrativa, cit., 71, ove

l’Autrice sottolinea che proprio la maggiore incidenza del rischio di antigiuridicità dell’azione amministrativa costituisce la ragione giustificatrice dell’opzione legislativa, in via generale, per il regime della annullabilità e non per quello più gravoso della nullità; v. anche B.G.MATTARELLA, L’imperatività

responsabile anche nelle fasi che precedono l’emanazione dei provvedimenti; laddove questo non avvenga, come s’è detto, il sacrificio imposto all’interesse dei privati attraverso l’inoppugnabilità sarebbe invece in contrasto con il valore della continuità, poiché la P.A. esiste istituzionalmente per riproporre nel tempo non solo e non tanto i suoi modelli, ma l’efficienza di questi, in uno con la realizzazione del risultato sempre utile, anche quando questo le imponga ripensamenti e metamorfosi.

Per lungo tempo, in particolare, le implicazioni del principio di continuità legate alla stabilità degli effetti provvedimentali sono state utilizzate per negare l’autonoma configurabilità di un’azione risarcitoria nel processo amministrativo, nel contesto del lungo e travagliato percorso interpretativo, tanto dottrinale quanto giurisprudenziale, sul tema della pregiudizialità amministrativa156; in passato, infatti, il consolidato orientamento che escludeva la risarcibilità dell’interesse leso in assenza di una presupposta azione di annullamento era motivato anche dalla volontà di evitare un vulnus all’inoppugnabilità e, conseguentemente, alla continuità dell’azione amministrativa157. Se si assecondano le osservazioni poc’anzi richiamate, tuttavia,

156 Per una bibliografia essenziale su tale tematica, della quale non pare possibile occuparsi

compiutamente in questa sede, si vedano G. FALCON, Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. proc. amm., 2001, 287; S. VALAGUZZA, Riflessioni

sull’onere di impugnativa del provvedimento illegittimo in un petitum risarcitorio, in Dir. proc. amm., 2001, 1095; D.DE PRETIS, Azione di annullamento e azione risarcitoria nel processo amministrativo, in

Diritto e Formazione, 2002, 1685; G. VERDE, La pregiudizialità dell’annullamento nel processo

amministrativo per risarcimento del danno, in Dir. proc. amm., 2003, 963; A.TRAVI, Pregiudizialità

dell’annullamento e risarcimento per lesione di interessi legittimi, nota a Cass., Sez. II, 27 marzo 2003, n. 4538, in Foro it., 2003, 2073; G.GRECO, Inoppugnabilità e disapplicazione dell’atto amministrativo nel quadro comunitario (note a difesa della c.d. pregiudizialità amministrativa), in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2006, 513.

157 Di questo avviso era in particolare la prevalente giurisprudenza: si vedano, ex multis, T.A.R.

Campania, 8 febbraio 2001, n. 603, in Foro amm., 2001, 1339; T.A.R. Campania, 27 marzo 2002, n. 1651, in Foro amm., -Tar, 2002, 1014, nella quale in modo assai significativo si sottolinea che «la domanda di risarcimento del danno non può trovare ingresso nel nostro ordinamento anche per la

risulta chiaro che quest’ultima non può essere utilizzata a giustificazione di una limitazione a tal punto incisiva degli strumenti di tutela concessi al privato, che in realtà contrasta con quel valore di continuità della funzione complessiva a cui si è accennato; in verità, una parte della giurisprudenza aveva già segnalato che l’azione risarcitoria, qualora non finalizzata ad ottenere la caducazione del provvedimento lesivo ma solo il ristoro patrimoniale del danno subito, non si sarebbe posta in contrasto con il principio di continuità158: in tali casi, infatti, la valutazione meramente incidentale sull’illegittimità dell’atto non avrebbe potuto impedire che esso continuasse ad esplicare i suoi effetti, e non avrebbe prodotto in capo alla P.A. alcun obbligo di rimuoverlo, preservandone la ormai inoppugnabile stabilità159.

ragione che altrimenti si escluderebbe la perentorietà del termine per impugnare, che deve avere una sua spiegazione logica e giuridica, e cioè che la situazione creata dall’atto se pur illegittimo, deve avere, per effetto del decorso di un congruo termine, ed in base ai principi di continuità, celerità, efficacia ed efficienza [...] un consolidamento tendenzialmente definitivo»; Cons. Stato, Sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3338, in Foro amm. -CdS, 2002, 1506; Cons. Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2004, n. 429, in Foro amm. -CdS, 2004, 474; Cons. Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 200, in Foro amm. -CdS, 2005, 85; Cons. Stato, Sez. VI, 22 giugno 2006, n. 3813, in Foro amm., 2006, 1910.

La stessa posizione di chiusura rispetto all’autonomia dell’azione risarcitoria, a tutela della stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, era sostenuta anche da gran parte della dottrina; si veda, ad esempio, R.VILLATA, Il processo davanti al giudice amministrativo, in B.SASSANI –R.VILLATA (a cura di), Commento sistematico alla legge n. 205/2000, Torino, 2001, 5.

158 Si vedano in tal senso le due fondamentali ordinanze della Cass., Sez. Un., 13 giugno 2006, nn.

13659 e 13660, in Giust. civ. Mass., 2006, 6. Si deve segnalare, peraltro, che nel dibattito sulla pregiudizialità amministrativa il Giudice civile ha sempre manifestato una posizione favorevole al suo superamento, laddove il Giudice amministrativo, ed in particolare l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in molteplici pronunce, ha sempre sostenuto la necessità della sua conservazione. Per un approfondimento su tali orientamenti ed in generale sul complesso e delicato tema della c.d. pregiudiziale, del quale non può essere dato adeguato conto in questa sede in ragione dell’esiguità dello spazio a disposizione, si rinvia a F.CARINGELLA –G.DE MARZO, La pregiudiziale amministrativa. Una storia

infinita, Roma, 2008.

159 Sull’interpretazione qui riportata si sono registrati alcuni dissensi in dottrina, in particolare motivati

da ragioni di coerenza del sistema, che imporrebbero in ogni caso un obbligo dell’amministrazione di conformarsi con opportune iniziative alla valutazione di illegittimità del provvedimento data dal giudice

Il dibattito interpretativo sulla pregiudizialità, come è noto, si è definitivamente sopito in seguito all’intervento legislativo di codificazione della disciplina processuale amministrativa introdotta dal D.lgs. n. 104/2010, il cui art. 30, in combinato disposto con l’art. 7, ha ammesso con chiarezza l’esperibilità di un’azione di risarcimento anche in via del tutto autonoma e svincolata da un previo giudizio di annullamento dell’atto lesivo160; questa soluzione si inscrive in modo del tutto coerente nella generale evoluzione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto, inaugurata dalla celebre sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Un., n. 500/99, ma appare anche pienamente condivisibile nell’ottica di una garanzia della continuità in senso ampio della funzione amministrativa, consentendo un sindacato sull’operato complessivo della P.A. per censurarne i profili disfunzionali anche quando non sia più possibile caducarne le manifestazioni provvedimentali concrete. In questo stesso senso, fondamentale rilievo assume anche un’altra disposizione del Codice amministrativo, amministrativo in sede risarcitoria, ancorché resa in via incidentale e senza efficacia di giudicato: cfr. in tal senso C.LEONE, Il principio di continuità dell’azione amministrativa, cit., 78 s., che richiama anche

l’opinione espressa sul punto da G.GRECO, Inoppugnabilità e disapplicazione dell’atto amministrativo

nel quadro comunitario e nazionale (note a difesa della c.d. pregiudizialità amministrativa), cit, 527, ove si affermano dubbi sulla possibilità di «conciliare la persistente efficacia del provvedimento con la sua accertata (illegittimità produttiva di) illiceità (del comportamento conseguente), sol perché si tratta di aspetti differenti». L’Autrice nota anche come il confine tra pregiudiziale logica e tecnica sia in realtà labile ed incerto, cosicché non sarebbe possibile scindere con certezza il sindacato di legittimità dell’atto dall’oggetto del giudizio di risarcimento.

160 Sembra comunque opportuno rilevare che il definitivo ed espresso superamento della pregiudiziale

non pare, ad un’analisi più attenta, del tutto incondizionato: si ponga mente, a tal proposito, al terzo comma dell’art. 30 C.p.a, dal quale emerge che il giudice amministrativo, in sede di liquidazione del danno, può escludere il risarcimento dei danni evitabili con l’uso dell’ordinaria diligenza, ivi compresi quelli ricollegabili al mancato esperimento degli strumenti di tutela predisposti dall’ordinamento. Con tale norma, il Legislatore pare richiamare la figura civilistica della responsabilità del creditore ex art. 1227 c.c., già peraltro prospettata da una parte della dottrina come rimedio all’ingiustificato vantaggio configurabile in capo a chi chiedesse il risarcimento per danni che ha contribuito a provocare: in questo senso si veda, ad esempio, F.TRIMARCHI, Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi,

ossia l’art. 34, terzo comma, ai sensi del quale, anche in caso di sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento nel corso di un giudizio impugnatorio, il giudice ha il dovere di accertare ugualmente l’illegittimità dell’atto quando ciò sia utile ai fini del risarcimento; anche in questa disposizione, come chiaramente risulta dalla sua analisi testuale, emerge la volontà del Legislatore di svincolare il giudizio dallo stretto legame con l’atto che ne costituisce l’oggetto, e si evidenzia una consequenzialità logica e giuridica tra l’uso scorretto del potere e la necessità di ristabilire, seppure attraverso il solo ristoro patrimoniale, un giusto e buon andamento costante della funzione, che a ben vedere rappresenta sempre il vero petitum immediato della tutela giurisdizionale amministrativa161.

Nell’ottica di garanzia della continuità, peraltro, non pare superfluo dare conto di un fondamentale principio che permea l’intero agire pubblico, la cui finalità, in modo sostanzialmente analogo a quanto visto per l’inoppugnabilità degli atti, è quella di garantire la stabilità degli effetti di questi ultimi: si tratta, in particolare, del principio tempus regit actum. Come s’è visto, infatti, la natura multiforme che caratterizza il

161 Si segnala, a fini di completezza, che il Codice del processo amministrativo sembra aver risolto,

nell’ottica di garanzia della continuità, il contrasto frequentemente evidenziato in sede interpretativa tra quest’ultimo principio e la tradizionale imprescrittibilità dell’azione di nullità degli atti, esperibile al ricorrere dei vizi delineati dall’art. 21-septies della L. 241/90 e negli altri casi previsti dalla legge. Come si è accennato in precedenza, infatti, l’esistenza di un breve termine di impugnazione degli atti annullabili rappresenta uno dei principali strumenti per garantire la continuità degli effetti dell’azione, mentre in passato si era rilevato come la nullità consentisse di far valere l’illegittimità in ogni tempo, con un irreparabile vulnus della continuità stessa. È forse questa la ragione che ha indotto il Legislatore a prevedere, all’art. 31, quarto comma, C.p.a., un termine di decadenza, fissato in centottanta giorni, anche per far valere in giudizio le nullità con un’apposita azione di accertamento.

Sul tema della nullità degli atti amministrativi, categoria di recente introduzione nel diritto amministrativo e peraltro ancora oggetto di alcune perplessità, vedi ad esempio M. D’ORSOGNA, Il

problema della nullità in diritto amministrativo, Milano, 2004; P.M.VIPIANA, Gli atti amministrativi: vizi

di legittimità e di merito, cause di nullità ed irregolarità, Padova, 2003; A.BARTOLINI, La nullità del

paradigma normativo dell’esercizio del potere impone sempre l’individuazione di strumenti che consentano la permanenza dell’effetto tipico del provvedimento, necessità propria di ogni sistema di diritto pubblico posta a salvaguardia del suo agire per assicurare il raggiungimento dei suoi fini istituzionali162. La continuità dell’efficacia dell’atto, dunque, può essere certamente tutelata attraverso la regola che ne ricollega la correttezza e la legittimità alle norme esistenti al momento della sua emanazione, ponendolo al riparo da eventuali sopravvenienze normative e fattuali con le quali potrebbe risultare incompatibile; in questo modo, infatti, sembra possibile preservare anche la stabile continuità della funzione, coerentemente con esigenze di certezza, mediante la cristallizzazione delle regole ad essa applicabili: non è un caso che il principio tempus regit actum sia stato progressivamente inteso e applicato in senso sempre più ampio, sino ad essere interpretato come intangibilità degli effetti dell’intera sequenza procedimentale e dei nessi intercorrenti fra le sue fasi, nella diversa declinazione di tempus regit actionem163. La regola qui in esame, dunque, può essere

162 V. in tal senso C.LEONE, Il principio di continuità dell’azione amministrativa, cit., 90 s.; l’Autrice

richiama nella stessa sede G. CORSO, L’efficacia del provvedimento amministrativo (edizione provvisoria), Milano, 1967, 149, secondo il quale l’atto amministrativo si definisce per alcuni tratti peculiari tra i quali non rientra il suo mutamento; l’esistenza di una generale facoltà dell’autorità di