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Il silenzio: continuità e discontinuità nell’assenza dell’atto

La tematica del silenzio delle pubbliche amministrazioni rappresenta senza dubbio una delle questioni più ampie e dibattute del diritto amministrativo, implicando tanto profili di natura sostanziale quanto di rilievo processuale, fortemente rafforzati dalle riforme succedutesi in materia di procedimento e dalla codificazione della disciplina processuale intervenuta con il D.lgs. n. 104/2010 recante il Codice del processo amministrativo. La vastità del tema impone dunque di circoscriverne l’analisi, in questa sede, ai soli profili che possono rilevare in relazione al principio di continuità, nella consapevolezza che lo spazio a disposizione non può consentire una trattazione esaustiva di tutti gli aspetti del silenzio, per i quali si rinvia alle trattazioni monografiche in materia, peraltro assai numerose139.

In primo luogo, è fondamentale premettere che l’istituto in esame si connota per una molteplicità di profili d’interesse, in parte diversi tra loro per ratio e funzione ma tutti accomunati dal fatto di essere espressione di un mero comportamento inerte della

139 Tra i molti contributi della letteratura sul tema del silenzio si richiamano, a titolo esemplificativo,

F.SAITTA, Il principio di giustiziabilità dell’azione amministrativa, in M.RENNA –F.SAITTA (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 225 ss. e in part. 242 ss.; V.BARLESE, La disciplina del silenzio assenso tra le tipologie di silenzio della P.A., in Riv. notariato, 2011, 3, 359; L. NICOTINA, Silenzio e diniego di autotutela: considerazioni su impugnazione e risarcimento del danno, in

Riv. dir. trib., 2011, 1, 71; L. VIOLA, Le azioni avverso il silenzio della P.A. nel nuovo Codice del

processo amministrativo: aspetti problematici, in Foro amm. -Tar, 2010, 10, 3393; E.STICCHI DAMIANI,

Il giudice del silenzio come giudice del provvedimento virtuale, in Dir. proc. amm., 2010, 1, 1; A.POLICE,

Doverosità dell’azione amministrativa, tempo e garanzie giurisdizionali, in Dir. proc. amm., 2007, 359 ss.; E.QUADRI,Il silenzio della pubblica amministrazione. Percorsi giurisprudenziali, Milano,2007;A. ROMANO, A proposito dei vigenti artt. 19 e 20 della l. 241 del 1990: divagazioni sull’autonomia dell’amministrazione, in Dir. amm., 2006, 513; G.FALZEA, Alcune figure di comportamento omissivo

della pubblica amministrazione. Spunti ricostruttivi, Milano, 2004; V.PARISIO, I silenzi della pubblica

amministrazione. La rinuncia alla garanzia dell’atto scritto, cit.; B. TONOLETTI, voce Silenzio della

pubblica amministrazione, in Dig. disc. pubbl., 1999, vol. XIV, 156; F. G. SCOCA, Il silenzio della

P.A., nel quale tendenzialmente manca una determinazione volontaristica da parte di questa; ciò nonostante, tuttavia, il silenzio assume un rilievo giuridico di notevole importanza, in particolare quando la legge attribuisce ad esso un contenuto «significativo», ricollegando alla inerzia protratta oltre un certo termine il valore di accoglimento o rigetto dell’istanza formulata dal privato.

In tali casi, come si vedrà, i meccanismi approntati dalle norme sul procedimento sembrano perseguire un generico fine di continuità dell’azione amministrativa, impedendo che il silenzio possa comportare paralisi della funzione di cura degli interessi tutelati, ma va rilevato che tanto la figura del silenzio-assenso quanto quella del silenzio-rigetto possono risultare, ad un’analisi più approfondita, un portato di un modello di amministrazione non del tutto apprezzabile, che appronta strumenti rimediali, quasi a carattere emergenziale, a sussidio delle proprie disfunzioni interne. Un vulnus ancora più evidente al valore della continuità, peraltro, è proprio di quelle ipotesi di silenzio che si ricollegano a mere omissioni degli organi competenti, per le quali le norme non qualificano l’inerzia in senso provvedimentale ma semplicemente come inadempimento; quest’ultima figura di silenzio, infatti, si manifesta mediante l’assenza di un intervento doveroso, almeno sotto il profilo dell’an, finendo per provocare tanto una illegittima compressione dell’interesse del privato ad ottenere un atto cui legittimamente aspira, quanto un’inaccettabile pretermissione della funzione di cura dell’interesse pubblico140.

La stasi ingiustificata nell’attività amministrativa, come si è già avuto modo di accennare, non è soltanto un comportamento in cui emergono profili di antigiuridicità

140 Per un’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale che ha condotto al riconoscimento della

sussistenza di un vero e proprio dovere dell’amministrazione di provvedere sulle istanze di provvedimenti favorevoli richiesti dai privati, si rinvia a D. VAIANO, Pretesa di provvedimento e processo

ricollegabili alla lesione di un interesse legittimo del cittadino, ma si concreta in una violazione del dovere di pronuncia che è primario strumento di cura dell’interesse pubblico cui il potere è strettamente correlato; per questo in dottrina si è sottolineato, in modo del tutto condivisibile, come l’inerzia e il silenzio siano anche una negazione della funzione e del dovere di provvedere conformemente all’interesse pubblico141, nonché un «punto di crisi nello svolgimento della funzione amministrativa»: se infatti l’interesse pubblico attende la sua realizzazione ma a fronte di questa aspettativa la pubblica amministrazione indugia, pur essendo tenuta a dare ad esso compiuta attuazione, essa compie per ciò stesso un fatto contrario alla norma e all’interesse pubblico ad essa sotteso142.

Se dunque questi sono le gravi implicazioni del silenzio-inadempimento, pare perfettamente comprensibile l’attenzione del Legislatore per la predisposizione di strumenti finalizzati a contrastare tale eventualità, sia ex ante, attraverso previsioni normative generali a carattere procedimentale, sia ex post, mediante meccanismi processuali di reazione e censura a simili situazioni. Tra le prime, in particolare, rientra certamente la già menzionata disposizione di cui all’art. 2, primo comma, della L. 241/1990, che impone un generale obbligo per le P.A. di concludere il procedimento entro termini precisi mediante l’emanazione di un provvedimento espresso, ma non si possono tralasciare nemmeno le norme di cui ai commi da 9 a 9-quinquies del medesimo art. 2, frutto della riforma recentemente apportata alla legge sul procedimento dal D.L. n. 5/2012, convertito nella L. 4 aprile 2012, n. 35. Dalla natura e dalla ratio di queste ultime disposizioni emerge con chiarezza il disvalore attribuito dalla legislazione ai silenzi della P.A., interpretati come sintomo di una più generale mancanza di

141 Cfr. B.TONOLETTI, voce Silenzio della pubblica amministrazione, cit., e F.G.SCOCA, Il silenzio

della pubblica amministrazione, cit., 26.

efficienza nell’apparato amministrativo e nella produttività delle strutture; la scarsa tempestività delle amministrazioni nel provvedere diviene, infatti, uno dei parametri di valutazione della performance individuale dei dirigenti e dei funzionari pubblici e può far sorgere anche una responsabilità disciplinare, amministrativa e contabile di questi ultimi, secondo quanto si è detto in precedenza. Ma v’è di più: attraverso i commi 9-bis e 9-ter dell’art. 2 viene altresì codificato un generale potere di sostituzione dell’organo inadempiente, attribuito ad uno dei dirigenti apicali della medesima amministrazione debitamente scelto dai vertici di governo143; la legge, oltre a privilegiare la massima

trasparenza di tale nomina, prevedendone la pubblicazione sul sito Internet istituzionale, attribuisce al funzionario designato la responsabilità di concludere il procedimento in caso di inadempienza dell’organo competente, e ciò in un termine dimidiato rispetto a quello originariamente concesso. Ai sensi poi dei successivi commi 9-quater e 9- quinquies, dei ritardi imputabili agli uffici dell’amministrazione il dirigente responsabile è chiamato a fare annualmente opportuna relazione agli organi di governo, e in ogni provvedimento rilasciato oltre i termini deve risultare il raffronto tra il tempo concesso dalla legge per la sua emanazione e quello effettivamente impiegato.

A differenza di quanto si è visto accadere per altri istituti posti dall’ordinamento ad esclusiva garanzia della continuità dell’azione amministrativa, dunque, in questa disciplina della sostituzione sembra ravvisabile una finalità lato sensu sanzionatoria, posto che il silenzio pare esporre gli organi inadempienti ad una valutazione negativa sulla performance, che come è noto può condure anche alla perdita di benefici

143 Già prima dell’introduzione della sostituzione come strumento di carattere generale, peraltro, essa

era prevista in alcuni casi specifici da apposite disposizioni legislative, come ad esempio l’art. 21 del D.P.R. n. 380/2001, che prevedeva un potere sostitutivo della Regione nei confronti del Comune in caso di inerzia nel rilascio dei permessi di costruire, oppure l’art. 22 della L. 136/1999 nel quale alla Regione veniva consentito di intervenire in sostituzione del Comune inadempiente nell’adozione di piani attuativi di strumenti urbanistici.

economici, oltre che ad una possibile responsabilità amministrativa o per danno erariale; inoltre, la trasparenza imposta alle amministrazioni, anche mediante l’esplicita ammissione dei propri ritardi, rafforza l’accessibilità delle informazioni e consente un più ampio e generalizzato controllo dell’operato di queste da parte dei cittadini, i quali in ultima analisi ne sono destinatari e referenti primari. Le norme qui richiamate si inscrivono d’altra parte nella più generale tendenza alla reazione contro le disfunzioni pubbliche, alla responsabilizzazione delle classi dirigenti e alla valorizzazione della proficuità del risultato, nel rispetto degli standard qualitativi ed economici fissati, che ha permeato tutte le più recenti riforme in materia di pubblico impiego, ed in particolare la c.d. riforma Brunetta attuata con la L. delega n. 15/2009 e il D.lgs. n. 150/2009, nell’ottica anche di un rafforzamento della continuità e nella consapevolezza del valore della risorsa tempo nell’agire pubblico144.

Tra le norme della L. 241/1990 che mirano a disincentivare i silenzi e le inadempienze pubbliche, peraltro, un ruolo centrale è certamente assunto dalla disposizione di cui all’art. 2-bis, introdotta dalla riforma del 2009, che prevede un obbligo di risarcimento dei danni cagionati dalle amministrazioni per i ritardi volontari o dovuti a negligenza145; l’importanza di questa norma risiede nel suo duplice rilievo

144 Alcuni spunti sistemici sulla valorizzazione delle risorse e dei risultati vengono anche, ad esempio,

dalla legge di contabilità n. 196/2009 e ss. mm. ii., ed in particolare dal suo Titolo III (artt. 7-12), nel quale si disciplinano le procedure di definizione degli obiettivi programmatici che, dall’indebitamento netto strutturale delle amministrazioni pubbliche, consentono di determinare il saldo netto da finanziare nell’ambito del bilancio dello Stato e i vincoli di patto di stabilità interno per le amministrazioni locali.

145 Per un approfondimento sul tema del c.d. danno da ritardo si vedano, tra gli altri, D.VAIANO, Il

principio di tempestività dell’azione amministrativa, in M. RENNA – F.SAITTA (a cura di), Studi sui

principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 477 ss., in part. 480 ss.; G.MARI, Commento all’art. 2-

bis della legge n. 241/1990, in M.A.SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano,

2011, 263 ss.; M.RENNA –F.FIGORILLI, Commento agli artt. 2 e 2-bis della legge n. 241/1990, in A.

giuridico, tanto sostanziale quanto processuale, che le attribuisce una funzione di cerniera tra gli strumenti procedimentali e quelli giurisdizionali a tutela della continuità contro i silenzi della P.A.

Ciò che più rileva ai nostri fini è senza dubbio che il bene protetto dalla norma in esame sembra essere proprio il rispetto dei tempi certi del provvedimento, al fine, come si è già anticipato, di salvaguardare la progettualità del privato e la determinazione dell'assetto di interessi dallo stesso preordinato in relazione ai tempi del procedimento, ma anche la continuativa rispondenza dell’agire pubblico alle esigenze di cura concretamente prospettate146.

L’orientamento ormai pacificamente accolto dagli interpreti, pertanto, sembra quello di qualificare il ritardo e il silenzio come ipotesi di cattivo uso del potere, ossia come mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici aventi ad oggetto lo svolgimento delle funzioni amministrative; il danno risentito dal privato è peraltro ingiusto perché la P.A. non ha rispettato i tempi determinati dall'ordinamento per la legalità del suo agire amministrativo. La conseguenza importante ed innovativa che logicamente discende da tali riflessioni, dunque, è che il mancato rispetto dei tempi del procedimento nel caso di silenzio-inadempimento qualifica il danno come ingiusto e legittima ad agire per il responsabilità, Roma, 2010; M.L.MADDALENA, Il danno da ritardo tra bene della vita e interesse al

rispetto dei tempi del procedimento, in Urb. app., 2008, 860 ss.

146 Si segnala, a fini di completezza, che la figura del c.d. danno da ritardo può ricorrere in diverse

ipotesi: innanzitutto, essa si manifesta quando l’amministrazione abbia dapprima adottato un atto illegittimo, sfavorevole al privato, e successivamente abbia emanato un altro provvedimento, legittimo e favorevole, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale del primo; in secondo luogo, un danno da ritardo è configurabile nei casi in cui l’assenza di un provvedimento favorevole determina danni gravi per il privato nel tempo intercorrente tra la richiesta e la sua tardiva emanazione; infine, l’istituto ricorre quando ad essere adottato con ritardo è un provvedimento legittimo ma sfavorevole per il richiedente, laddove in questo caso il privato può chiedere il risarcimento del danno derivante dal mancato tempestivo esame dell’istanza ma soprattutto dalla mancata tempestiva conoscenza dell’esito negativo di questa.

risarcimento, e ciò indipendentemente dall'impugnazione del silenzio; è evidente in una simile impostazione come l’ordinamento mostri una forte propensione alla tutela della continuità dell’agire amministrativo, per la cui garanzia le norme apprestano molteplici strumenti rimediali alle ipotesi di prolungate disfunzioni.

Un breve accenno deve anche essere dedicato alla codificazione dell’azione giurisdizionale avverso il silenzio, di cui all’art. 31 del Codice del processo amministrativo; si tratta di un’azione di accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione, ma il Legislatore ha voluto arricchirla con la possibilità per il giudice non solo di valutare la mancanza di attività ma anche di spingersi ad un sindacato sulla fondatezza della pretesa del ricorrente, seppur al ricorrere di determinati presupposti147. La declaratoria di illegittimità del silenzio rappresenta il principale rimedio processuale alle inerzie dell’amministrazione, e la sua introduzione è tanto più significativa, ai fini che qui interessano, se si pensa che essa ha rappresentato uno dei principali strumenti per il superamento della tradizionale impostazione del processo amministrativo come meramente impugnatorio e finalizzato ad una tutela di tipo demolitorio di provvedimenti espressi. L’aver introdotto, seppur con i limiti di cui s’è detto, una possibilità per il giudice di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio segna un significativo passaggio nell’affermazione, siccome prevalente, dell’esigenza di una azione che persegua in modo continuativo gli interessi a tutela dei

147 Ai sensi dell’art. 31, quarto comma, C.p.a., il giudice potrà pronunciarsi sulla fondatezza

dell’istanza solo quando si tratti di attività vincolata o quando risulti che non residuano margini di discrezionalità e non sono necessari ulteriori adempimenti istruttori; ciò, ovviamente, per evitare una indebita sostituzione del giudice all’amministrazione, nel rispetto del fondamentale ed irrinunciabile principio di separazione dei poteri; il percorso interpretativo che ha condotto alla codificazione di tale possibilità è stato inaugurato sin dalla nota sentenza del Cons. Stato, Ad. Plen., 10 marzo 1978, n. 10, con la quale si è affermato con chiarezza come il giudice amministrativo, laddove l’inerzia riguardi poteri vincolati dalla legge, può estendere il proprio sindacato oltre il mero accertamento dell’obbligo di provvedere, precisando come e quando tale obbligo debba essere adempiuto.

quali sono posti i poteri della P.A., non solo in via primaria ma anche in via supplettiva, all’esito di una fase giurisdizionale che non si limita a dichiarare l’illegittimità dell’operato pubblico ma tenta anche di porvi rimedio.

Se la figura del silenzio-inadempimento, nei tratti sin qui delineati, appare come il più evidente vulnus al principio di continuità, è pur vero che il Legislatore, accanto agli istituti che ne permettono il superamento o la censura, ha predisposto strumenti che addirittura consentono di prevenirne la formazione, in particolare attribuendo all’inerzia il valore di provvedimento tacito; l’ipotesi più significativa in tal senso è senz’altro quella delineata dall’art. 20 della L. 241/1990, che generalizza la figura del silenzio- assenso, apprezzabile ai fini di questo lavoro in quanto finalizzata a impedire qualsiasi interruzione dell’attività. D’altra parte, come già anticipato in precedenza, l’applicazione sempre più estesa di questo istituto come rimedio preventivo agli effetti negativi del ritardo nella conclusione del procedimento148 implica pur sempre una

mancanza di esercizio della funzione, e vale a celare un’implicita ammissione dell’incapacità dell’amministrazione di far fronte ai propri impegni con responsabilità e padronanza dei mezzi a sua disposizione149.

Il silenzio-assenso sembrerebbe dunque più uno strumento solo apparente di

148 Si veda in tal senso F.G.SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione, cit., 199.

149 Per una voce critica sull’istituto in esame, si veda M.A.SANDULLI, Competizione, competitività,

braccia legate e certezza del diritto. Note a margine della legge di conversione del D.L. 35 del 2005, 2005, in www.giustamm.it, ove l’Autrice manifesta le proprie perplessità nei confronti di un disegno legislativo che mira a deresponsabilizzare l’amministrazione, trasferendo contestualmente sul privato l’onere di verifica della legittimità delle proprie richieste. Nello stesso senso v. anche C. LEONE, Il principio di continuità dell’azione amministrativa, cit., 67, che sottolinea come la formazione del silenzio-assenso condurrebbe ad un rischio di notevole incertezza per il cittadino, il quale dovrebbe farsi carico di comprendere se il provvedimento cui aspira rientri tra quelli che possono dar luogo a tale figura, e successivamente esporsi al rischio di un annullamento in autotutela del provvedimento tacito; coerentemente con queste premesse, l’opinione dell’Autrice è nel senso che il principio di continuità sia soddisfatto solo qualora la funzione venga effettivamente esercitata.

continuità, laddove, ad uno sguardo più approfondito, esso risulta invece espressione di un agire pubblico piegato alle logiche dell’emergenza e permeato in ogni caso da aspetti disfunzionali ai quali l’amministrazione non è in grado di far fronte; ciò non significa, peraltro, che tale istituto non possa essere compatibile con l’esigenza di continuità, poiché come sappiamo quest’ultima può certamente declinarsi anche come flessibilità dei modelli d’azione, ma occorrerebbe a tal fine che la sua applicazione fosse ricondotta entro limiti legislativi precisi e predeterminati, ad esempio con riferimento ai procedimenti meno complessi o a quelli espressione di poteri vincolati. La logica del silenzio-assenso, in altre parole, non dovrebbe essere quella di sostituire l’effettivo esercizio della funzione amministrativa, ma di semplificarla laddove ciò sia possibile, nella convinzione che le complessità del procedimento non siano dettate per appesantire l’azione ma per circondarla di tutte le garanzie necessarie ad un risultato ottimale di cura degli interessi degli amministrati.

2.3. Effetti dell’atto e potere amministrativo: la ricerca di un difficile equilibrio di