CAPITOLO 3 Dieta e CRC
3.1 Effetti della dieta sull'avvento del CRC
Sappiamo che l'assorbimento dei grassi necessita un aumento del flusso della bile e che una dieta ricca in grassi ha ripercussioni nel suo metabolismo; in particolare gli studi indicano che questo tipo di dieta aumenta la quantità di acidi biliari nelle feci [120]. Uno studio del 2000 ha confermato che un aumento di questi acidi nel colon promuove la nascita del tumore [121]. Nel 2011 dei ricercatori hanno condotto esperimenti sui topi per dimostrare questo collegamento [122]. Gli acidi biliari secondari si sono dimostrati anti-apoptotici e genotossici attraverso la generazione di specie reattive dell'ossigeno e la soppressione della risposta di p53 a eventuali danni a carico del DNA, portando così alla proliferazione cellulare [123]. Inoltre, in uno studio che utilizzava ratti ai quali era stato indotto il tumore dando loro acqua ricca in acidi biliari secondari, si è visto come la sua crescita si riducesse con la simultanea somministrazione di antiossidanti [124]. Certo non ci si può fermare ad uno studio soltanto, ed anzi i risultati non sono sempre in accordo; cosa che succede normalmente nella ricerca scientifica e, in questo caso, sprona la ricerca a continuare gli studi in questo campo. Quello che sappiamo è che attaccare
selettivamente i sistemi antiossidanti delle cellule cancerose come aggiunta alla terapia è un’idea innovativa che merita ulteriori investigazioni.
Una dieta ricca in grassi, inoltre, può causare disbiosi e questo aumenta la permeabilità della mucosa intestinale, riducendone la sua funzione di barriera (Figura 16) [125]. In questo modo i batteri che sintetizzano LPS, possono entrare nel circolo sanguigno intestinale e causare infiammazione [126].
Figura 16 Granuli di mucina (in rosso) in cellule intestinali di topo nutrito con dieta tradizionale (sopra), rispetto a quelle di topo nutrito con dieta occidentale ad alto contenuto di grassi e zucchero (sotto).
Altri studi hanno trovato che l'attivazione dell'AMPK, l'infiammazione e lo stress ossidativo aumentano nell'ipotalamo di ratti nutriti con lardo rispetto a quelli nutriti con una dieta di controllo, mentre non vi sono cambiamenti in quelli nutriti con olio di pesce; questo suggerisce un legame tra una dieta ad alto contenuto di acidi grassi saturi e infiammazione dell'ipotalamo [127]. Altri ancora hanno dimostrato che in un ambiente infiammato, una dieta ad alto contenuto di grassi può far aumentare la concentrazione di E. coli, aumentare la permeabilità intestinale e promuovere la secrezione di TNF-α; ed una colonizzazione di un numero elevato di E. coli aumenta il rischio di CRC [128].
Carne rossa
Nonostante si tratti di un argomento ancora molto discusso, ormai si sa che un consumo eccessivo di carne rossa e carne processata aumentano il rischio di CRC [129]. Nel 2015 la IARC ha definito la carne rossa come “probabile cancerogeno per l'uomo” e la carne
processata come “cancerogeno per l'uomo” [130]. Alcuni ricercatori hanno analizzato casi di CRC e il consumo di carne rossa dal 1996 al 2000, trovando una correlazione positiva tra essi; questo soprattutto quando la carne rossa veniva cotta ad alte temperature, cioè quando si formano ammine eterocicliche (HCAs) e idrocarburi policiclici aromatici (PAH), i cui derivati metabolici sono composti cancerogeni [131]. Questo ed un altro studio che ha trovato una correlazione positiva tra cotture ad alte temperature di carni rosse e cancro, suggeriscono come sia meglio fare attenzione a scegliere il tipo di cottura, evitando quelle a temperature eccessive che bruciano la materia prima.
La carne rossa è definita tale per il colore che le viene conferito normalmente dalla presenza al suo interno di mioglobina legante ferro eme. Uno studio sui ratti ha mostrato una relazione tra alti livelli di ferro eme e la promozione del cancro del colon retto attraverso effetti sia diretti che indiretti, come l'inibizione dell'apoptosi o l'iperplasia delle cripte e la proliferazione di cellule epiteliali cancerose [132].
Inoltre, la carne rossa contiene molti aminoacidi ricchi di zolfo, e promuove così la crescita di batteri che riducono questi elementi: convertono il gas H2 liberato dalla
fermentazione batterica dei carboidrati in un composto genotossico e infiammatorio, l'acido solfidrico H2S; quest'ultimo indebolisce l'attività antiossidante dei citocromi,
inibisce la sintesi di mucina, sopprime l'utilizzazione del butirrato, e promuove la metilazione del DNA generando radicali liberi [133].
Infine, un grande numero di studi ha riscontrato come il microbiota intestinale è in grado di produrre ossido di trimetilammina (TMAO) a partire dall’amminoacido l- carnitina, di cui la carne rossa è ricca, che è legato ad un maggior rischio cardiovascolare, oltre ad essere legato a infiammazione del tessuto adiposo e al cancro del colon retto [134].
In definitiva, per quanto riguarda la carne rossa, esistono evidenze che ne collegano un consumo esagerato al CRC, bensì non al cancro del retto, però nella sua valutazione vanno tenuti in considerazione anche i metodi di cottura a cui viene sottoposta e ad altri alimenti e nutrienti assunti al suo fianco nella dieta. Non si vuole attaccare un alimento in particolare bensì un suo consumo esagerato. A questo proposito la WHO consiglia un consumo di carne rossa settimanale che non superi i 700-750g (pesati a crudo). Per quanto riguarda le carni lavorate invece, il collegamento con il CRC, così come con il cancro del retto, è più evidente e se ne consiglia un consumo pari o minore ai 50g alla settimana [135, 136].
Dieta ad alto contenuto proteico
Studi epidemiologici suggeriscono inoltre che una dieta iperproteica possa aumentare il rischio di CRC [137]; nonostante ciò, questa conclusione resta controversa [138]. Uno studio sui ratti ha paragonato gli effetti di amido resistente e proteine nei confronti di eventuali danni genetici alle cellule del colon, e i risultati ottenuti hanno suggerito che un aumentato introito di proteine abbia effetti deleteri sull'intestino, al contrario degli amidi resistenti che controbilanciano questi effetti avversi [139]. Altre ricerche hanno dimostrato che i danni al DNA aumentano a causa di diete iperproteiche, cosa che può facilmente portare a maggior rischio di sviluppare il cancro [140]. Altri, infine, hanno trovato come una dieta ad alto contenuto proteico causi cambiamenti significativi nell'ambiente del colon e nelle caratteristiche delle sue cellule, il chè suggerisce che una dieta ricca in proteine può interferire con il metabolismo e la morfologia del colon stesso [141].
Al contrario però alcuni studi hanno riportato che una dieta ricca in proteine possa addirittura ridurre il rischio di CRC [142]. Una possibile spiegazione potrebbe essere quella per cui un basso apporto di proteine porti ad una anormale metilazione del DNA, scatenando la disattivazione di geni oncosoppressori [143].
Uno studio inoltre ha confrontato come agiscono proteine di origine animale e proteine di origine vegetale sul microbiota intestinale; un aumento di proteine derivanti dal latte o di pisello hanno portato ad un aumento dei batteri commensali, mentre quelle vegetali hanno portato anche ad un aumento dei livelli di acidi grassi a catena corta, considerati positivi per la salute intestinale, oltre a generare cambiamenti nella composizione del microbiota migliorando il profilo di IBD (Figura 17) [144]. E' doveroso far presente che questo studio non mostra se una dieta ad alto contenuto di proteine animali associata ad un adeguato consumo di fibre abbia comunque un impatto negativo sul microbiota intestinale.
Infine un ulteriore studio ha mostrato che un alto apporto proteico nella dieta aumentava il rischio di IBD, un fattore di rischio per l'insorgenza del CRC, ciò probabilmente in seguito all'infiammazione cronica che caratterizza la sindrome [145].
Figura 17 Diverso impatto di proteine vegetali e animali sul microbiota intestinale e sulla salute. SCFAs: acidi grassi a corta catena; TMAO: ossido di trimetilammina; Tregs: linfociti T regolatori; CVD: malattie cardiovascolari; IBD: sindromi intestinali infiammatorie.
Dieta ad alto contenuto di fibre
La maggior parte degli studi sulla fibra e il rischio di CRC affermano che un maggior apporto della prima riduca il rischio di sviluppare il secondo. Uno dei motivi per cui questo avviene è quello per cui la fibra aumenta il volume fecale, promuovendo così la peristalsi e diminuendo dunque il contatto tra la massa fecale e il colon. Inoltre, se la fibra non viene digerita nell'intestino tenue, i batteri la fermentano nel colon, aumentando a loro volta la massa fecale e diminuendo il tempo di contatto delle feci con le pareti intestinali e quindi accelerando l'escrezione delle sostanze tossiche in esse contenute [146].
Una dieta ad alto contenuto di fibre, in particolare dei cosiddetti MACs, ovvero i carboidrati accessibili dal microbiota, ossia la fibra fermentabile, promuove la crescita della flora intestinale benefica che lega gli acidi biliari e riduce i livelli di produzione di quelli secondari, oltre ad inibire la proliferazione dei batteri patogeni (Figura 18) [147]. La fibra viene inoltre idrolizzata da enzimi batterici nel colon producendo acidi grassi a corta catena (SCFAs) quali l'acido propionico, l'acido butirrico e l'acido acetico. I loro effetti sulle cellule dell'ospite sono ben documentati e coinvolgono recettori accoppiati a proteine G e istoni deacetilasi (HDAC) che regolano la trascrizione di geni coinvolti in patologie immunitarie e metaboliche. Inoltre, gli SCFAs mantengono stabile la composizione della flora batterica, inibendo nel contempo la proliferazione di cellule cancerose e promuovendo l'apoptosi [148, 149].
Il butirrato funge da grande risorsa energetica per le cellule epiteliali intestinali e svolge azione antitumorale attraverso più vie tra cui l'attivazione o inibizione di determinati
geni e l'aumento dell'attività antiossidante, e inibisce la formazione di composti reattivi azotati che svolgono un ruolo primario nella patogenesi dell'infiammazione e di CRC [150]. Il butirrato svolge appunto la sua attività antiproliferativa attivando la cascata apoptotica e bloccando la crescita del tumore attraverso iperacetilazione degli istoni [151] e sopprime il tumore potenziando l'espressione del gene per p53 e regolando le vie di segnale del fattore di crescita TGF-β [152]. Svolge inoltre azione antiinfiammatoria controllando mediatori come TNF-α e l'ossido nitrico [153].
In definitiva, secondo gli studi, un apporto di fibre minore di un certo valore ha effetti negativi per la salute, così come però un apporto maggiore di un altro valore non sembra aggiungere ulteriori effetti protettivi. Questo valore consigliato è quello di almeno 30g/die secondo la WHO e almeno 25g/die secondo le linee guida del SINU.
Figura 18 Divergenti scenari di una dieta ad alto contenuto di MACs ed una a baso contenuto di MACs. Nel primo scenario, una dieta ad alto contenuto di MACs e povera di zuccheri semplici, contribuisce maggiormente al metabolismo dell’ospite grazie alla produzione degli SCFAs come prodotti finali della fermentazione batterica. Oltre alle calorie, queste molecole svolgono diversi ruoli regolatori nella fisiologia umana e nella protezione dalle malattie cosiddette Occidentali. Nel secondo scenario, la classica dieta Occidentale a basso contenuto di MACs, termina in una minor produzione di molecole benefiche per l’ospite, ma anche nella selezione di batteri patogeni.
Diete popolari
Diverse diete popolari, tra cui la dieta occidentale, la dieta gluten-free, quella onnivora, vegetariana, vegana e la dieta Mediterranea, sono state studiate per capire le loro capacità di modificare il microbiota intestinale (Figura 19). In molti studi la dieta Occidentale (ad alto contenuto di grassi e proteine animali, povera in fibre) ha portato ad una diminuzione dei batteri totali e benefici, come le specie Bifidobacterium e Eubacterium, oltre ad essere collegata ad una produzione di nitrosamine che promuovono la genesi del cancro [154].
Un altro studio ha preso in considerazione la dieta gluten-free e ha notato come la popolazione di “batteri sani” diminuiva (Bifidobacterium e Lactobacillus), mentre la popolazione di batteri potenzialmente non salutari aumentava parallelamente alla riduzione di assunzione di polisaccaridi dopo aver iniziato questa dieta. Si è visto soprattutto un aumento nel numero di E. coli e di Enterobatteriacee totali, tra i quali possono essere inclusi batteri opportunistici patogeni [155].
Le diete vegetariana e vegana, ricche di alimenti di origine vegetale e fermentabili, non hanno invece mostrato grosse discrepanze con gli effetti di una dieta onnivora [156]; in questo ambito sono sicuramente necessari altri studi più approfonditi.
Tra tutte le diete quella Mediterranea sembra essere quella più sana e bilanciata. Si distingue per l'ottimo profilo di acidi grassi, ricco sia in monoinsaturi che polinsaturi, una grande quantità di polifenoli e altri antiossidanti, una gran quantità di fibra e altri carboidrati a basso indice glicemico e un buon apporto di proteine vegetali insieme a quelle animali. Ancora, sì distingue in particolar modo per il consumo maggiore di olio extravergine di oliva, frutta, verdura, cereali integrali, legumi, frutta a guscio e latticini; un consumo moderato di pesce, carne bianca e vino; e un basso apporto di carne rossa, processata e dolci [157]. Uno studio ha cercato di investigare i potenziali benefìci di una dieta Mediterranea paragonandola a quelle onnivora, vegetariana e vegana. Si è osservato che la maggioranza dei vegetariani e vegani, ma solo il 30% degli onnivori, sono riusciti ad aderire quasi completamente alla dieta Mediterranea, ed hanno individuato associazioni importanti tra l'aderenza alla dieta e l'aumento di SCFAs nelle feci, batteri Prevotella e altri Firmicutes. Coloro che invece non sono riusciti ad aderire alla dieta hanno mostrato aumentati livelli di ossido di trimetilammina, molecola associata a rischio cardiovascolare [158]. Altri studi hanno mostrato un miglior profilo lipidico e minor infiammazione in soggetti aderenti alla dieta Mediterranea [159].
Figura 19 Impatto delle diete più popolari sul microbiota intestinale e malattie cardiometaboliche (CVD). DM2: diabete mellito di tipo II.