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Cancro del colon retto, microbiota e nutrizione

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Magistrale in Scienze della Nutrizione

Umana

______________________________________________________________

Cancro del colon retto, microbiota e

nutrizione

Relatore: Chiar.mo

Tesi di Laurea di:

Prof. Gian Carlo Demontis

Silvia Toniolo

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Anno Accademico 2018-2019

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INDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO 1 Il cancro del colon retto... 5

1.1 Epidemiologia

... 7

1.2 Fattori di rischio e Fattori protettivi

... 9

1.3 Metodi diagnostici

... 10

1.4 Tasso di sopravvivenza a cinque anni

... 13

1.5 Terapia

... 14

CAPITOLO 2 Microbiota ... 16

2.1 Microbiota e omeostasi

... 18

2.2 Microbiota e CRC

... 19

2.3 Meccanismi coinvolti nell'interazione tra microbiota e CRC

... 21

CAPITOLO 3 Dieta e CRC ... 29

3.1 Effetti della dieta sull'avvento del CRC

... 31

3.2 Fitati ed effetti sulla salute umana

... 38

3.3 Studio in vitro su inositolo esafosfato e metalloproteasi

... 44

CONCLUSIONI ... 47

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INTRODUZIONE

<<Siamo quello che mangiamo>>. Spesso si sente questa affermazione, e sempre più spesso le ricerche confermano che la dieta, insieme allo stile di vita adottato da ciascuno, hanno veramente un ruolo importante, se non predominante, sulla nostra salute e sullo stato fisico della persona.

Parlando dunque di salute, una delle patologie più preoccupanti è sicuramente il cancro. E sempre più persone ne sono diagnosticate al giorno d'oggi.

Il cancro del colon retto però, sembra essere lasciato in ombra rispetto ad altri, probabilmente per la sua delicata tipologia. In realtà si tratta del terzo cancro nel mondo, così come in Italia. E proprio per la sua diffusione e il suo stretto legame con l'alimentazione ho deciso di affrontarlo.

Questa tesi riporterà in una prima parte in generale che cos'è il cancro del colon retto (CRC) e quindi la sua epidemiologia, i fattori di rischio e protettivi ad esso legati; come si fa diagnosi di CRC e la sua terapia.

Nella seconda parte verrà affrontato il tema del microbiota intestinale e di come una eventuale situazione di disbiosi possa essere collegata all'insorgenza di CRC, e quali sono i principali meccanismi coinvolti nell'interazione dei due. Dalle tossine e altri fattori virulenti batterici, ai derivati del metabolismo microbico, alla regolazione delle difese immunitarie, fino all'infiammazione e alla modulazione dell'equilibrio tra pro- e anti-ossidanti.

Infine nella terza, ed ultima parte, verrà affrontato più da vicino il ruolo della dieta, e più nello specifico di determinati nutrienti, nella genesi o prevenzione del cancro del colon retto. Sottolineando gli effetti sulla salute umana di un particolare micronutriente: l'acido fitico. E terminando con uno studio sugli effetti dell'inositolo su molecole pro-ossidanti.

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CAPITOLO 1

IL CANCRO DEL COLON RETTO

Il cancro del colon retto (CRC) è il terzo tipo di cancro in termini di prevalenza tra le patologie oncologiche [1]. Attualmente è il cancro più comune del tratto gastrointestinale, rappresentando il 13% di tutti i tumori maligni (Figura 1) [2], ed è considerato la seconda causa di morte al mondo, sia guardando agli uomini che alle donne affetti da cancro [3], sia in paesi sviluppati che sottosviluppati. Inoltre, ci si aspetta che superi addirittura il tasso di mortalità delle malattie del cuore negli anni a venire. E' una patologia prevalente tra i 65-74 anni, più tra le donne che tra gli uomini. E’ una patologia che viene ora diagnosticata frequentemente anche in pazienti più giovani, e ciò è dovuto a fattori di rischio come l'obesità, la sedentarietà, abitudini alimentari errate (alto consumo di grassi e proteine), il fumo.

Figura 1 Stimata incidenza globale nel 2018 del cancro del colon retto, entrambi i sessi, tutte le età. IARC.

Per quanto riguarda l’Italia, si stima che sia al secondo posto come frequenza, con una incidenza totale del 14% ed una mortalità del 7% (Figure 2 e 3).

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Figura 2 Primi cinque tumori più frequentemente diagnosticati e proporzione sul totale dei tumori (esclusi i carcinomi della cute) per sesso. Stime per il 2019 - AIOM. *Comprende sia i tumori infiltranti che non infiltranti.

Figura 3 Prime cinque cause di morte oncologica e proporzione sul totale dei decessi oncologici per sesso. Pool AIRTUM 2010-2015.

Nei pazienti con cancro del colon retto, i sintomi clinici dipendono dalla localizzazione, la dimensione e la presenza, o assenza, di metastasi. Possono essere presenti inoltre sintomi come dolori addominali, alterazione delle abitudini intestinali, cambiamenti nei movimenti intestinali, perdita di peso involontaria, nausea, vomito, anoressia e distensione addominale [4]. Il cancro distale causa un sanguinamento evidente, mentre un cancro prossimale presenta comunque sanguinamento, ma meno evidente in quanto si mescola con le feci; questo poi può portare ad anemia come sintomo secondario. Esistono inoltre delle relazioni secondarie che collegano la presenza di cancro del colon a linfoadenopatia periferica, specialmente del linfonodo di Virchow nello spazio sopra ventricolare sinistro, e ad epatomegalia, così come a perdita della massa muscolare dovuta a cachessia [5].

I modelli della carcinogenesi del cancro del colon retto sono vie di “soppressione” o di “modulazione”. La prima via, detta anche classica, è conosciuta come la via di instabilità cromosomica ed è presente nell'80% dei casi di cancro del colon retto casuali; mentre la seconda via, detta anche alternativa, è conosciuta come quella di instabilità dei microsatelliti, dove esistono un gran numero di mutazioni geniche, ed è presente nel

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soprattutto per quanto riguarda APC 60%, p53 70%, DCC 70%, KRAS 40% e BAX 50% [6].

Il cancro del colon retto generalmente inizia come polipo nella mucosa intestinale o come una lesione benigna che ha la capacità di trasformarsi in un adenoma maligno, ciò a seconda della sua istologia (Figura 4) e grandezza (Figura 5). Il 24% dei pazienti con polipi non trattati svilupperà il cancro [7].

Figura 4 Relazione tra grandezza e malignità.

Figura 5 Varietà istologica e associazione di malignità.

1.1 Epidemiologia

Secondo un programma di Epidemiologia, negli Stati Uniti sono stati stimati 132.700 nuovi casi di cancro colon-rettale nel 2015. E questo numero rappresenta l'8% di tutti i nuovi casi di cancro in quell'anno, con una stima di 49.700 morti a causa di questa patologia, con un tasso di mortalità di 8,1/100.000 abitanti. Questa mortalità si riferisce in particolare alle regioni sviluppate, mentre il tasso è significativamente minore in quelle meno sviluppate. Bisogna dire comunque che le diminuzione dell'incidenza registrata, probabilmente riflette l'aumento della diagnosi precoci di cancro grazie alla colonscopia, effettuata soprattutto negli adulti tra i 50 e i 75 anni. Difatti si nota come l'uso della colonscopia è aumentato sensibilmente nel 2013 da un 19,1% fino al 54% [8]. Il cancro del colon retto sembra essere causato da mutazioni spontanee o non ereditarie, errori nella traduzione del DNA, o da silenziamento di soppressori di oncogeni ed altre mutazioni di geni legati alla tumorigenesi (Figura 6) [9]. Così come anomalie cromosomiche, mutazioni geniche, cambiamenti epigenetici nei confronti di proliferazione, differenziazione, apoptosi e angiogenesi sono cause ulteriori.

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Ad esempio, nel cancro colon-rettale casuale l'attivazione dell'oncogene K-RAS nel cromosoma 12 mostra mutazioni soprattutto nei codoni 12 e 13 (rappresentanti il 95% di queste mutazioni), mentre il 5% sono nei codoni 61, 146, 154, e queste mutazioni sono presenti soprattutto nei pazienti con metastasi. Associazioni con il codone 12 invece, si ritrovano in una forma di cancro mucino; al contrario di quelle con il codone 13 che caratterizzano una forma non-mucina [10]. Inoltre, una mutazione del gene K-RAS può essere considerata un segno negativo per la prognosi, soprattutto se riguarda il codone 13, oltre ad essere considerata anche un biomarker che predice la responsività alla terapia con EGFR.

Il meccanismo genetico inizia con una mutazione che inattiva un soppressore tumorale, ossia il gene APC, responsabile della poliposi adenomatosa familiare e dell'85% dei cancri del colon retto senza correlazione di ereditarietà. Alcuni adenocarcinomi si sviluppano dopo una mutazione che attiva β-catenina (CTNNB1) regolata da APC, o da un secondo meccanismo iniziato dall'inattivazione di una famiglia di geni oncosoppressori coinvolti nella riparazione del DNA. Questi geni, conosciuti come geni MMR o geni mismatch, includono MSH2, MLH1 e PMS2, e li ritroviamo sia nella patologia ereditaria che casuale [11].

Tra le alterazioni somatiche quella della via di segnale glicoproteica WNT/β-catenina, associata a proliferazione ed omeostasi tissutale, e presente nel 95% dei casi di cancro del colon retto [12], e mutazioni a suo carico portano a malformazioni congenite, cancro ed osteoporosi.

Inoltre, alterazioni di un gene chiamato SMAD7 possono essere utili per capire la progressione del tumore; ne sono state trovate tre varianti (rs44939827, rs12953717, rs4464248) che, se presenti, aumentano il rischio di cancro del colon retto [13]. Ovviamente questi non sono gli unici errori genetici che influenzano il rischio di sviluppare CRC [14], ne esistono diversi e molti verranno scoperti in futuro. Un altro ancora infatti è il gene KISS1 che si è visto proteggere dallo sviluppo di metastasi: è essenziale nella loro soppressione e aumenta il tasso di sopravvivenza al tumore [15].

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Figura 6 Geni legati a CRC, loro funzioni e mutazioni.

1.2 Fattori di rischio e fattori protettivi

Tra i fattori di rischio, solo il 35% circa di questi è rappresentato da fattori di tipo ereditario. Nonostante ciò, la storia familiare ha una grande rilevanza nel rischio di sviluppare questo tipo di cancro [16]. Come abbiamo visto è associato a mutazioni implicate nella via di riparazione del DNA, come mutazioni in MLH1 e MLH2, che rappresentano circa il 90% delle mutazioni presenti tra famigliari affetti da cancro del colon ereditario, con o senza poliposi [17].

Storie di colite ulcerosa, Morbo di Crohn, storia personale di poliposi, cancro delle ovaie, dell'endometrio o del seno e diabete mellito, sono correlati ad un rischio maggiore del 30-50% di sviluppare CRC, mentre il 75% dei tumori maligni del colon e del retto si presentano senza relazione con questi fattori di rischio.

C'è poi da considerare la relazione controversa tra poliposi iperplastica e cancro. Polipi adenomatosi sono comuni negli adulti sopra i 50 anni, ma la maggior parte di essi non divengono maligni. Fattori di rischio sulla malignità dei polipi iperplastici include polipi di dimensioni uguali o maggiori a 10mm, o presenza di displasia o localizzazione nel colon ascendente. La via di propagazione è generalmente quella ematica o linfatica, e questo ne definisce inoltre la velocità e il tempo di evoluzione della malattia. Infine, sono stati riportati casi di impianto di polipi in seguito a manipolazioni chirurgiche come colectomie in laparoscopia [4].

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Tra i fattori protettivi invece vi sono l'assunzione di farmaci antiinfiammatori non steroidei, i quali riducono il rischio di cancro del colon retto andando a regolare una sovra espressione di EGFR, difatti nell'80% dei casi di CRC il suo gene è over-espresso e per questo rappresenta uno degli eventi primari della genesi di CRC. In particolare, un'aumentata espressione della ciclossigenasi COX-2 stimola l'attivazione del fattore di trascrizione AP-1 che lega il promotore di EGFR, e dunque inibitori selettivi della COX-2 possono essere usati per la loro attività preventiva nei confronti di CRC [18].

Uno stile di vita errato inoltre comporta un importante fattore di rischio e comprende: elevato consumo di carni rosse ed insaccati, farine e zuccheri raffinati, sovrappeso ed attività fisica ridotta, fumo ed eccesso di alcol. E' stato dimostrato invece che un consumo adeguato di fibra, ossia un adeguato consumo di cereali integrali, legumi, frutta e verdura, rappresenta un vero e proprio fattore di protezione [19].

1.3 Metodi diagnostici

I metodi di screening al giorno d'oggi puntano alla popolazione con un rischio moderato (Figura 7), con età dai 50 anni in su. Tra questi metodi vi sono il test di ricerca di sangue occulto nelle feci (TSOH) con periodicità di un anno; la rettosigmoidoscopia ogni 5 anni, con TSOH ogni 3 anni; o la colonscopia ogni 10 anni [20].

In Italia lo screening è uno dei metodi più efficaci per fare diagnosi precoce in quanto, generalmente, un cancro al colon retto si sviluppa a partire da polipi o tumori benigni dell’intestino, che impiegano 7-15 anni a trasformarsi in tumori maligni. Dunque, è molto importante lavorare in questo lasso di tempo, e lo si fa per l’appunto attraverso la ricerca di sangue nelle feci o la rettosigmoidoscopia. Si inizia con TSOH perché molto meno invasiva di una colonscopia, ma può dare falsi positivi: il sangue potrebbe derivare da piccole lesioni dovute a stitichezza o a emorroidi; inoltre il giorno dell’esame il polipo potrebbe non sanguinare e dare un falso negativo. Per questi motivi è importante ripetere l’esame con periodicità e una volta che questo esame risulti positivo, si effettua la colonscopia. Durante quest'ultima si conferma o esclude la presenza di polipi, che possono inoltre essere rimossi durante la seduta stessa [4].

In generale la diagnosi e la terapia di trattamento del CRC richiedono alti costi, rischi e discomfort per i pazienti rispetto agli altri test utilizzati per altre patologie. Oggi, però, la tecnologia ci ha permesso di sviluppare tecniche come la PCR che ci permette di identificare markers genetici biologici grazie a specifici test, meno invasivi di una colonscopia, allo scopo di identificare mutazioni in geni specifici correlati al cancro del

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colon retto. Ed attualmente uno dei markers per CRC nelle feci è il fattore di trascrizione pancreatico duodenale (PDX-1) [21]. Anche una ipoalbuminemia potrebbe rappresentare un semplice e significativo marker di cattiva prognosi, persino in seguito a resezione [22].

La rettosigmoidoscopia, invece, è un esame simile alla colonscopia ma osserva solo la porzione del retto dell’intestino, ed è quindi meno fastidiosa per il paziente; anche in questo caso si possono eliminare eventuali polipi osservati durante la seduta stessa. Per quanto riguarda una ricaduta della patologia, questa è associata ad un aumento di ACE nel siero, cosa che avviene nel 60-70% dei casi; valori di ACE che superano i 5mg/l sono da leggere come sfavorevoli per la prognosi del paziente. Allo stesso modo, la proteina SEPT9 è un biomarker conosciuto da oltre 10 anni come un preciso, affidabile e conveniente fattore di diagnosi del cancro del colon retto [23].

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1.4 Tasso di sopravvivenza a cinque anni

Il tasso di sopravvivenza è un valore che predice la prognosi del paziente, “a cinque anni” si riferisce alla percentuale di pazienti che sono vivi dopo cinque anni dal momento di diagnosi di CRC, tenendo ovviamente conto del tipo e stadio del tumore, e di altri fattori come il tipo di trattamento somministrato, le modificazioni genomiche delle cellule tumorali e la variabilità biologica individuale dei soggetti affetti.

Dunque, il tasso di sopravvivenza a 5 anni e a 10 anni di persone affette da CRC è rispettivamente il 65% ed il 58% [24]. In Italia rientriamo nel limite massimo come mostrato in Figura 8 [25].

Il tasso di sopravvivenza di questi pazienti varia a seconda del tipo e dallo stadio del tumore; pazienti allo stadio IIIA o IIIB hanno una migliore prospettiva di sopravvivenza rispetto quelli affetti da tumore allo stadio IIB.

Figura 8 Sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi (standardizzata per età) per il periodo di incidenza 2005-2009, maschi e femmine. Pool AIRTUM.

Uno studio ha analizzato la sopravvivenza al tumore allo stadio III, con la mutazione K-RAS presente, ed è risultata peggiore rispetto ai casi in cui la mutazione era assente. Un altro gene la cui espressione si è dimostrata essere direttamente correlata al tasso di sopravvivenza sono i geni KISS1 e KISSR; con l'espressione di questi geni il valore di sopravvivenza aumentano rispettivamente da 44,3% e 39,3% a 73,7% e 67,9% [26]. In generale il tasso di sopravvivenza a 5 anni varia dal 65% negli Stati Uniti, o 55% in altri

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Paesi sviluppati, al 14% in Africa, per esempio. Variano inoltre a seconda dello stadio del tumore: 90% se localizzato, 68% se localizzato ma con affezione del sistema linfatico, e 10% se disseminato e diagnosticato per tempo.

Bisogna tenere conto anche del fatto che l'aspettativa di vita si è allungata e questo porta ad un aumento del tasso di mortalità perché con l'età si assiste ad una maggiore suscettibilità a mutazioni pro-oncogeniche, immunosoppressione e comorbidità, e quindi c’è una maggiore possibilità di sviluppare CRC [27].

A proposito di tasso di mortalità, si nota una differenza tra sesso maschile e femminile, che vede il genere femminile leggermente più a rischio in quanto tende a sviluppare più frequentemente metastasi epatiche [28]. Il sito più comune infatti in cui i pazienti affetti da cancro del colon retto sviluppano metastasi è proprio il fegato, effetto dovuto sia a motivi anatomici che circolatori [29].

1.5 Terapia

Il tumore allo stadio 0 può essere trattato rimuovendo le cellule cancerose attraverso una colonscopia. Per gli stadi I, II e III invece, è necessario eseguire un'operazione chirurgica che prevede una colectomia del segmento coinvolto tenendo conto di un margine maggiore di 5 cm. Si esegue inoltre una linfoadenectomia e una biopsia di gangli sospetti appena all'esterno della resezione.

E' stato dimostrato che per il cancro del colon retto un approccio in laparoscopia è ugualmente sicuro di un approccio più tradizionale chirurgico a cielo aperto [30].

In pazienti con metastasi in organi distanti è stato dimostrato che l'aggiunta di irinotecan a Fluorouracil e Leucovorin prolunghi la vita dei pazienti; questa è infatti ad oggi considerata come la terapia standard d'attacco per pazienti con tumore allo stadio III e IV, insieme a chemioterapia per 6-8 mesi dopo l'operazione chirurgica [31].

Il Fluoracil continua ad essere il citostatico maggiormente usato nella terapia per il cancro del colon retto e coloro che lo utilizzano, o comunque si avvicinano al completamento della terapia standard, hanno una maggior percentuale di sopravvivenza.

Al momento è stato approvato dalla FDA una variante chiamata Bevacizumab (Avastin), il cui è ruolo è sotto studio per la sua capacità di diminuire i livelli di VEGF, ossia il principale regolatore dell'angiogenesi, prodotto sia da cellule sane che cancerose. Cinquanta studi preclinici hanno infatti dimostrato come anticorpi umani monoclonali

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contro VEGF possano inibire la crescita di eterotrapianti di tumori di origine umana [32, 33].

Oltre all'effetto antiangiogenico diretto, Bevacizumab sembra migliorare l'effetto della chemioterapia alterando la vascolarizzazione della zona cancerosa e diminuendo la pressione interstiziale all'interno della stessa area [34]. Inoltre, aggiungere Bevacizumab a IFL ha globalmente migliorato la sopravvivenza: paragonando il regime con solo IFL a quello con aggiunta di Bevacizumab è stato osservato un aumento della sopravvivenza senza progressione del tumore e della risposta ad esso in generale, dimostrandosi funzionare più come inibitore della crescita tumorale che come citoriduttore [35]. E' doveroso comunque riportare che l'uso di IFL, con o senza Bevacizumab, aumenta l'incidenza di trombosi, emorragie, proteinuria e ipertensione. Per i pazienti con cancro del retto al terzo stadio invece, si fa seguire generalmente sia chemioterapia che radioterapia in combinazione; è soprattutto indicato in quei casi in cui i margini della resezione chirurgica sono compromessi, come nel caso di aderenze o infiltrazioni a organi limitrofi o nello spazio retroperitoneale.

Infine, pazienti al quarto stadio del tumore, dove quest'ultimo ha raggiunto il fegato, si dovrebbero tenere in considerazione approcci terapeutici che mirano in particolar modo agli organi affetti; questi trattamenti includono rimozione chirurgica, chemioterapia o radioterapia, o crioterapia.

Pazienti con metastasi che presentano l'oncogene KRAS attivo, mostrano invece resistenza al trattamento con anticorpi anti-EGFR; difatti, pazienti con il gene KRAS mutato presentano una minor sopravvivenza di quelli che hanno il gene nativo privo dell'attivazione oncogenica [36, 37].

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CAPITOLO 2

MICROBIOTA

Il cancro del colon retto è un'associazione complessa tra cellule tumorali, cellule non neoplastiche e un grandissimo numero di microorganismi, il microbiota appunto. Quest'ultimo può essere correlato alla carcinogenesi via diversi meccanismi e potrebbe condurre allo sviluppo di nuovi markers prognostici e/o targets di strategie terapeutiche innovative [38].

Quindi che cos'è il microbiota? Il microbiota è l'insieme di approssimativamente 100 trilioni di microorganismi (inclusi funghi, virus e batteri) che risiedono nell'apparato digerente dell'uomo (Figura 9). La composizione del microbiota è piuttosto costante lungo il tubo digerente, mentre il numero assoluto di microrganismi varia considerevolmente tra la bocca e il retto [39]. Inoltre, differisce tra individui diversi. Viene acquisito durante le prime fasi della vita attraverso la flora presente sulla pelle della madre, vagina e feci, e matura principalmente nei primi due anni di vita del bambino, durante i quali si instaurano dei legami tra i processi fisiologici dell'ospite e i microorganismi introdotti dall'ambiente [40]. Dopo i primi stadi iniziali il microbiota si stabilizza e mantiene una composizione piuttosto costante, con alcune fluttuazioni durante la vita adulta dovute a cambiamenti nell'ambiente esterno ed eventuali patologie [41]. Negli anziani, invece, il microbiota cambia gradualmente, pur mantenendo funzioni simili [42].

Figura 9 Densità dei batteri nel tratto gastrointestinale. Raggiunge la massima densità nel colon. Sono elencati i principali anaerobi e aerobi.

L'acquisizione nei primi anni di vita di un microbiota vario e bilanciato è molto importante per lo sviluppo e maturazione di un sano sistema immunitario, come viene suggerito da studi su animali cresciuti in ambienti sterili nei quali il sistema immunitario presentava anormalità.

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La componente più numerosa del microbiota umano sono i batteri; questi possono essere identificati grazie ai nuovi approcci molecolari quali la tecnica del sequenziamento dell'RNA ribosomiale 16S, attuata su feci o su una semplice porzione di tessuto del tratto digerente da analizzare.

Una prima classificazione del microbiota si può fare sulla base della sua localizzazione: microbi all'interno del lume digerente prendono il nome di flora luminale, mentre quelli che penetrano gli strati della mucosa del tubo digerente prendono il nome di flora associata alle mucose [43]. Inoltre, la quantità di anaerobi rispetto agli aerobi è minore sulla superficie mucosale rispetto all'interno del lume. Viene considerata anche la flora fecale, che rappresenta i batteri presenti nel colon distale [44].

Al fine degli studi di ricerca di base è inoltre importante notare quanto la flora intestinale dei topi sia simile a quella umana, aumentando così la rilevanza per l'uomo degli studi condotti in modelli murini [45].

Normalmente, la flora commensale intestinale umana dovrebbe contare 50 diversi phyla e circa 1000 specie batteriche, tenendo conto che questo valore può variare da individuo a individuo a seconda di diversi fattori come lo stile di vita, la dieta e il genotipo dell'ospite [46]. Alcune specie batteriche sono comunque comuni a individui diversi e i tre phyla primari sono: Firmicutes (30-50%), Bacteroidetes (20-40%) e Actinobacteria (1-10%). I più rappresentati sono sicuramente i batteri aerobi, tra cui alcune specie sono Bacteroides, Eubacterium, Bifidobacterium, Fusobacterium, Peptostreptococcus a Atopobium; mentre tra gli anaerobi facoltativi vi sono Lactobacilli, Enterococchi, Streptococchi ed Enterobatteriacee [47]. E' inoltre importante tenere presente che la composizione può leggermente variare lungo il tubo digerente ma il rapporto generale tra Firmicutes e Bacteroidetes vede i primi prevalere sui secondi. Inoltre, durante la vita dell’individuo questo rapporto cambia, probabilmente a causa della maturazione e/o decadimento dell’organismo e dell’apparato digerente. Durante la vita infantile e quella anziana infatti il rapporto tra i due diminuisce rispetto alla vita adulta e vede i Bacteroidetes prevalere sui Firmicutes.

Infine, individui che stanno attraversando una perdita di peso, vedono il numero di Bacteroidetes aumentare rispetto allo stesso numero in soggetti obesi [48].

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2.1 Microbiota e omeostasi

Il microbiota intestinale rappresenta una naturale barriera difensiva nei confronti delle infezioni. Svolge numerosi ruoli protettivi, strutturali e metabolici nell'epitelio intestinale [49] e quindi ha un ruolo importante nel mantenere l'omeostasi in tale distretto (Figura 10).

Figura 10 Batteri commensali e loro funzioni protettive, strutturali e metaboliche.

Il ruolo fisiologico del microbiota è stato studiato principalmente in animali germ-free cresciuti in condizioni asettiche. Si è visto che questi animali sono effettivamente più suscettibili alle infezioni e presentano una ridotta vascolarizzazione, attività enzimatica digestiva, spessore delle pareti muscolari, una ridotta produzione di citochine e dei livelli delle immunoglobuline nel siero, placche del Peyer di piccole dimensioni e meno linfociti intraepiteliali. Inoltre si è visto che la semplice ricostituzione della flora intestinale nel topo germ-free è sufficiente ad influenzare l'espressione di vari geni dell'ospite che possono modulare l'assorbimento dei nutrienti, il metabolismo, l'angiogenesi, la funzione di barriera della mucosa, e lo sviluppo del sistema nervoso enterico [50], e soprattutto a reinstaurare il sistema immunitario della mucosa e i suoi componenti umorali. I batteri infatti modificano l'assortimento dei linfociti T e il profilo dei linfociti T-helper [51].

Questi dati suggeriscono che il microbiota e sue variazioni possono determinare cambiamenti nella risposta immunitaria degli individui.

Il ruolo strutturale del microbiota sull'epitelio intestinale invece, è ben evidente: i topi germ-free presentano villi intestinali più lunghi e cripte atrofizzate, più lento rinnovamento cellulare e minore angiogenesi. Inoltre, in questi modelli animali lo

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Continuando, il microbiota ricopre un ruolo anche attraverso diverse funzioni metaboliche [49]. Per esempio, può partecipare alla fermentazione anaerobica dei carboidrati con produzione di CO2, H2, CH4 e acidi grassi a corta catena (e.g. butirrato,

propionato e acetato); o alla fermentazione proteolitica di composti fenolici, ammine, ammoniaca, composti azotati e indoli. Questi effetti possono influenzare l'espressione di geni, la proliferazione e differenziazione delle cellule intestinali, e possono anche mediare la sintesi di vitamine, l'assorbimento di metalli e la produzione di muco [49]. L'attività metabolica è complessa e migliora la distribuzione e l'immagazzinamento dell'energia da fonti alimentari, regola il deposito del grasso, aiuta a provvedere substrati assorbibili sia per l'ospite che per tutto il microbiota, ed è coinvolto nella crescita e proliferazione dei batteri [52]. E' da notare anche che alcuni metaboliti prodotti, soprattutto in seguito a fermentazione proteolitica, possono essere tossici per l'ospite.

Infine, oltre alle funzioni immunitarie, strutturali e metaboliche, il microbiota ricopre un ruolo chiave nel prevenire la colonizzazione dell'intestino da parte di batteri patogeni ed assicurare quella di batteri positivi, detti commensali, attraverso interferenze microbiche [53]. I meccanismi specifici con cui questo avviene non sono ancora chiari, si pensa ad una competizione per i recettori di adesione, stabilizzazione della barriera mucosale, competizione per i nutrienti e produzione di sostanze antimicrobiche con targets specifici: i batteri patogeni.

2.2 Microbiota e CRC

La variabilità geografica dell'incidenza del cancro del colon retto mostra come esista un forte coinvolgimento dell'ambiente esterno e dello stile di vita dell’individuo, per esempio di una dieta ad alto consumo di grassi o l’obesità; più semplicemente vivere in un Paese occidentalizzato [54].

Sappiamo che può esistere o meno una predisposizione verso la carcinogenesi nell'individuo, ma un secondo fattore aggiuntivo scatenante la proliferazione cellulare sembra davvero provenire dall'ambiente che circonda il soggetto [55]. A questo proposito, negli ultimi decenni, viene data grande attenzione alle infezioni microbiche, e questi microorganismi sono ritenuti essere coinvolti nel 20% dei tumori, soprattutto nei casi di CRC [56]. E' interessante vedere come il numero di batteri nel colon è un milione di volte più grande di quello nell'intestino tenue e circa dodici volte più frequentemente

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si ha lo sviluppo di tumore nel primo piuttosto che nel secondo, e questo suggerisce un potenziale ruolo del microbiota nel cancro del colon retto [57].

Le prime osservazioni sono state fatte nel 1975 in uno studio che utilizzava topi germ-free, i cui risultati hanno portato alla formulazione di due ipotesi. La prima ipotesi mostra che un ambiente intestinale disbiotico con aspetti pro-carcinogenici è in grado di rimodellare il microbiota nella sua interezza, portando alla generazione di una risposta pro-infiammatoria e la seguente trasformazione degli epiteli fino alla formazione del cancro [58]. L'altra ipotesi parte dell'esistenza di “batteri drivers”, i danni dei quali innescano il cancro, inducendo trasformazioni epiteliali e ulteriori danni a carico del DNA e promuovono la proliferazione di “batteri passeggeri” che crescono preferibilmente in un microambiente canceroso [59]. Studi in modelli murini aventi alterate risposte infiammatorie e immunitarie suggeriscono che la disbiosi potrebbe essere sufficiente per promuovere il cancro [60, 61]. Questo potrebbe derivare dal fatto che diversi batteri possono interagire con svariate vie di segnale. Non è ancora certo quale sia la causa e quale l'effetto con precisione, ma è riconosciuto che il microambiente del cancro del colon retto è caratterizzato da risposte infiammatorie ed immunitarie dell'ospite che possono impattare la regolazione del microbiota, alterarne la composizione e favorire la crescita di batteri pro-carcinogenici piuttosto che altri [62]. La disbiosi quindi può essere il risultato di una selezione dovuta al microambiente tumorale, con l'emergenza di batteri patogeni che amplificano a loro volta la disbiosi [63].

Grazie alla tecnica di sequenziamento dell'RNA 16S dei batteri provenienti da feci o da tessuti del tubo digerente, numerosi studi hanno riportato la presenza di disbiosi in pazienti con CRC [64, 65]. Ed alcune specie batteriche sono state identificate e sospettate di svolgere un ruolo importante nella genesi del cancro del retto. Queste specie includono: Streptococcus bovis [66], quei ceppi di H. pylori [67] in grado di produrre CagA (citotissina associata a gene A) e VacA (citotossina A vacuolizzante), Bacteroides fragilis [66], Enterococcus faecalis [66], Clostridium septicum [68], Fusobacterium spp. [69] ed alcuni ceppi di E. coli [70], la maggiorparte dei quali appartenenti ai filogruppi B2 e D.

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2.3 Meccanismi coinvolti nell'interazione tra microbiota e CRC

I meccanismi di interazione tra il microbiota e lo sviluppo del cancro del colon retto sono riportati in Figura 11, e includono tossine derivanti da batteri, il metabolismo microbico, la modulazione delle difese dell'ospite e l'infiammazione, lo stress ossidativo e la regolazione dei sistemi antiossidanti.

Figura 11 Sospetti meccanismi con cui il microbiota intestinale partecipa alla genesi del cancro del colon retto.

Tossine e fattori virulenti batterici

Durante la loro evoluzione i batteri hanno progressivamente acquisito fattori virulenti che hanno conferito loro attività patogena. Per esempio, l'abilità di attraversare la barriera della mucosa intestinale, così come quella di aderirvi e invadere le cellule epiteliali intestinali, specialmente grazie all'uso di flagelli, pili e adesine [71]. La maggior parte degli effetti pro-cancerogeni e promuoventi le patologie dipendono da questi

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fattori di virulenza [62]. Un esempio è F. nucleatum che usa il fattore di virulenza Fad per aderire ed invadere le cellule [72], attivare poi il segnale della β-catenina e promuovere il CRC [73].

Le tossine potrebbero essere coinvolte nella genesi di questo tumore in quanto modulerebbero alcune vie di segnale dell'ospite, risultando poi nell'attivazione di quelle promuoventi la carcinogenesi. Alcuni esempi di quest'ultime sono CagA o VacA prodotte da H. pylori, esse aumentano l'infiammazione e l'incidenza del tumore [74] (Figura 12). B. fragilis e la sua tossina BFT ne sono un altro; BFT è una tossina metalloproteasi di cui esistono tre isotipi, ed uno studio recente ha mostrato esserci alti livelli di BFT in pazienti con CRC all'ultimo stadio, suggerendo così un possibile ruolo di questa tossina nella promozione e progressione di questo tipo di cancro. A livello molecolare, la tossina BFT lega un recettore epiteliale specifico, attivando le vie di Wnt e NF-κB, portando così ad un aumento della proliferazione cellulare, sintesi di mediatori pro-infiammatori negli epiteli e l'induzione di danno al DNA [75]. Inoltre, in alcuni modelli murini predisposti al CRC si è visto che BFT promuove l'attività di IL-17 carcinogenesi dipendente [76].

Figura 12 Meccanismi di azione della tossina CagA sintetizzata da alcuni ceppi patogeni di H. pylori.

Altre tossine microbiche, chiamate ciclomoduline, possono indurre danno al DNA ed interferire con la regolazione del ciclo cellulare e l'apoptosi [70]. Due ciclomoduline in particolare, CDT e colibactina, inducono rotture del doppio filamento di DNA, attivano

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determinano in ultimo l'arresto della fase G2/M e rigonfiamento cellulare [77]. La maggior parte dei batteri gram negativi coinvolti nel cancro del retto, produce CDT [78]; essa è costituita da diverse subunità, due delle quali permettono l'interazione tra il batterio patogeno e le cellule dell'ospite, mentre la terza subunità trasloca nel nucleo e svolge la sua azione di DNAliasi, danneggiando il DNA [79]. Infine, CDT induce la produzione di molecole pro-infiammatorie come NF-κB , TNF-α, IL-6 e COX-2. Dunque, combinando insieme materiale genetico danneggiato, interferenze nel ciclo cellulare e attivazione di mediatori pro-infiammatori, si genera instabilità genomica che eventualmente porta al CRC.

La colibactina invece, è una tossina che ha ricevuto attenzione per la sua attività inducente la formazione di ROS e si ritrova generalmente nella famiglia delle Enterobatteriacee [80]. Altre sue azioni sono uguali a quelle della simile tossina CDT: danneggiare il DNA e stimolare la produzione di molecole pro-infiammatorie.

E' interessante notare come i batteri che producono questo tipo di tossine sono una minoranza del microbiota, eppure analisi di campioni di tessuto umano di tumore del colon retto hanno rivelato una espressione elevata di queste tossine nel colon appunto [81].

Derivati del metabolismo microbico

Oltre ai fattori di virulenza dei batteri, sembrano ricoprire un ruolo molto importante nella genesi del CRC anche i derivati del loro metabolismo [82]. Queste attività metaboliche possono colpire diversi processi: la produzione di acidi biliari secondari che andrebbero a promuovere la tumorigenesi, l'attivazione o inattivazione di composti procarcinogenici provenienti dalla dieta e xenobiotici, il metabolismo degli ormoni e alterazione dell'infiammazione [83].

Le interazioni tra la dieta, gli acidi biliari e il microbiota intestinale sono complesse. Per esempio, una dieta ricca di grassi è legata ad una maggiore produzione di bile e quindi ad un maggiore rischio di sviluppare il cancro del retto [84]. Gli acidi biliari primari sono secreti nel lume intestinale e trasformati poi dal metabolismo batterico, attraverso enzimi come le idrolasi, in acidi biliari secondari che sono in seguito usati dai batteri stessi come fonte di energia; sono però correlati anche a proliferazione cellulare, danno al DNA e promozione del tumore, come riportato in uno studio su modelli murini. Inoltre, gli acidi biliari metabolizzati dai batteri sono responsabile della produzione di ROS e NOS, una cui esposizione cronica conduce ad instabilità genomica [85].

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Alcuni composti carcinogenici vengono inattivati nel fegato grazie alla glucuronizzazione e sono escreti tramite la via biliare, e dunque attraverso l'intestino. In quest'ultimo, soprattutto a livello del colon, questo processo può essere invertito dall'azione della β-glucuronidasi batterica; alcuni studi infatti hanno visto che inibire l'attività di questo enzima porta alla diminuzione di CRC in modelli di topo; inoltre i livelli di β-glucuronidasi nelle feci di pazienti affetti dal tumore sono sensibilmente più alti rispetto ai soggetti di controllo sani [86].

Ancora, al contrario della fermentazione batterica dei carboidrati che porta beneficio all'ospite, attraverso la formazione di acidi grassi a catena corta [87], la fermentazione delle proteine da parte dei batteri genera composti tossici e potenzialmente cancerogeni come fenolo, solfuro, ammoniaca e nitrosamine. Queste ultime, per esempio, possono portare ad alchilazione del DNA, e dunque mutazioni con effetti carcinogeni [88]. Anche i sulfidi stessi, prodotti nell'intestino dai batteri in seguito a riduzione dei solfati contenuti negli alimenti, sono enterotossici, soprattutto in quanto stimolano produzione di ROS [89].

Un consumo elevato o cronico di alcool è un importante fattore di rischio per diverse tipologie di cancro, incluso quello del colon retto. E il metabolismo batterico contribuisce alla sua tossicità attraverso l'azione dei batteri aerobi e facoltativi anaerobi, i quali convertono l'etanolo in acetaldeide. L’acetaldeide è risaputo essere un composto tossico e pro-cancerogeno che determina anomalie nella riparazione del DNA e degradazione dei folati, entrambi processi che sono stati correlati alla genesi del tumore. Questo ruolo è stato supportato da uno studio che ha visto come l’utilizzo di antibiotici (es. Ciprofloxacin) che uccidono prima di tutto batteri aerobi e anaerobi facoltativi, bloccava la trasformazione dell'etanolo in acetaldeide [90].

Regolazione delle difese dell'ospite e infiammazione

Come detto in precedenza la mucosa intestinale rappresenta una prima linea di difesa nei confronti della flora microbica commensale, dei batteri patogeni e di molecole di derivazione batterica. Le cellule dell'epitelio intestinale necessitano di poter individuare rapidamente la presenza di eventuali patogeni per poter poi instaurare una adeguata risposta immunitaria. Allo stesso modo però, devono poter mantenere e moderare quella stessa risposta e creare una tolleranza nei confronti dei batteri non patogeni [91]. Il mantenimento dell'omeostasi intestinale e di queste interazioni tra ospite e microbiota coinvolge i recettori dell'immunità innata come i TLRs o i NLRs che

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riconoscono particolari conformazioni di molecole appartenenti ai patogeni. L'attivazione di questi recettori conduce ad una risposta cellulare, inclusa l'attivazione delle vie di MAPK, NF-κB (Figura 13), o PI3K/AKT [92], le quali a loro volta possono indurre la produzione di citochine pro-infiammatorie e/o di peptidi antimicrobici, entrambi inclusi nell’attivazione della risposta infiammatoria.

Figura 13 Illustrazione schematica del meccanismi con cui alcuni batteri commensali limitano la via di segnale di NF-κB. Batteri patogeni come Salmonella thyphimurium attivano la IκB chinasi con la conseguente degradazione di IκBα e la traslocazione nel nucleo delle sue subunità p55 e p65 di NF-κB. Alcuni batteri commensali ostacolano questi effetti perché promuovono il trasporto di p65 fuori dal nucleo cellulare promuovendone l'associazione con PPARγ, e quindi bloccando il promotore della trascrizione. Altri batteri commensali inibiscono la degradazione di IκBα.

E’ ormai ben noto che pazienti affetti da sindrome dell'intestino irritabile, soggetti che è risaputo possiedono un maggiore rischio di sviluppare CRC, presentano una maggiore

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variabilità di composizione nel proprio microbiota. E dunque il ruolo dell'infiammazione nella relazione tra disbiosi e CRC è sempre più evidente [93].

L'infiammazione potrebbe inoltre essere legata ad una risposta avuta dell'ospite in risposta ai batteri durante l'instaurarsi del cancro stesso. E' già stato riportato da studi su modelli predisposti al cancro del retto, come BFT induca una risposta pro-infiammatoria da parte di linfociti Th17, coinvolti nello sviluppo del tumore ai primi stadi [76].

E. coli è uno dei batteri meglio associati con la sindrome dell'intestino irritabile, infatti una anormale adesione e invasione della mucosa intestinale è stata riportata in pazienti con IBS. Un altro studio ancora ha mostrato che E. coli associato a CRC può indurre nei macrofage l'espressione del gene pro-infiammatorio di COX-2, supportando l'ipotesi della modulazione batterica dell'infiammazione nel cancro del colon retto [94].

Stress ossidativo e modulazione delle risposte antiossidanti

Come già accennato la produzione di ROS in seguito ad attività batteriche sembra avere un forte legame con l'instaurarsi del CRC. Ovviamente l'induzione dei ROS non è solamente derivante da attività del microbiota, bensì anche dalle fisiologiche risposte immunitarie e infiammatorie [95]. La sintesi dei ROS è risaputo essere un importante meccanismo di difesa nelle cellule infette, contribuendo all'eliminazione dei batteri. È stato riportato in studi, sia in vitro che in vivo, che alcune specie di enterococchi, specialmente E. faecalis, producono radicali idrossilici [96]. Questi radicali sono potenti mutageni che causano rotture del DNA e mutazioni puntiformi, e tutti questi effetti possono portare ad instabilità genomica. Inoltre, questo batterio può indurre aneuploidia nelle cellule epiteliali del colon e l'uso di inibitori di ROS e NOS può prevenire questo effetto, supportando così il ruolo dei batteri nel generare stress ossidativo [97].

Il microbiota intestinale promuove anche la produzione di ossido nitrico nell'ospite e dei secondari NOS [98], in particolar modo attraverso l'attivazione dei macrofagi durante la risposta infiammatoria, i quali possono provocare danni al DNA. Uno studio su topi germ-free ha riportato che lattobacilli e bifidobatteri producono livelli significativi di NOS e che una dieta arricchita di nitrati ne aumenta la produzione [99].

Lo stress ossidativo è definito da uno sbilanciamento tra i livelli di molecole pro-ossidanti e l'efficacia delle difese antipro-ossidanti. Ed esso risulta in un danno cellulare irreversibile, soprattutto a carico del DNA e delle membrane cellulari [100]. Nel CRC i

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meccanismi che dovrebbero controbilanciare lo stress ossidativo sono alterati [101]; in particolare, sotto specifiche condizioni, come nel caso delle infezioni batteriche, questo bilancio tra pro e antiossidanti viene perso. Uno studio ha mostrato esserci una diminuita espressione della riparazione del DNA durante la risposta ossidativa in topi infettati con H. hepaticus [102]. Un altro studio, in vitro, ha dimostrato la capacità di alcuni ceppi enteropatogeni di E. coli di ridurre l'attività del sistema di riparazione dei mismatch del DNA in cellule epiteliali intestinali infette. Questa riduzione dell'attività del sistema MMR porta all'accumulo di mutazioni coinvolte nella genesi del cancro del colon retto [103].

Dunque, alterare la composizione del microbiota modula la genesi dei tumori, poichè i batteri intestinali possono sostenere l'iper-proliferazione di cellule epiteliali intestinali dotate di un alterato sistema della riparazione dei mismatch del DNA, e la via del MMR ha un ruolo di modulatore della differenziazione delle cellule nel colon [104].

Disbiosi e implicazioni cliniche

Come detto quindi, sembra ormai che il microbiota svolga un ruolo primario nella promozione e progressione del CRC, e ciò lo fa attraverso diversi meccanismi, tra cui infiammazione, metabolismo e genotossicità (Figura 14). Esistono quindi diversi metodi che considerano il microbiota come un potenziale bersaglio per prevenire il cancro del colon retto. Sicuramente l'uso dei prebiotici o i protocolli di trapianto di feci possono combattere la disbiosi e così reinstaurare la eubiosi in situazioni di patologie croniche, aiutando a ridurre tutti i precedenti meccanismi nominati che portano alla instaurazione del tumore [62].

Allo stesso modo, mirare a modificare la composizione del microbiota può portare benefici. Per esempio, si è visto come Lactobacillus acidophilus diminuisce l'infiammazione, previene o stimola una regressione della colite e della poliposi, ed infine, stimola l'espressione di geni oncosoppressori nelle linee cellulari del CRC [105, 106]. Ancora, alcuni commensali, come Bifidobacterium breve e Lactobacillus rhamnosus, inibiscono la produzione di citochine pro-infiammatorie e diminuiscono nell'ospite eventi legati al cancro come la metilazione del DNA e l'acetilazione degli istoni [107]. Risultati questi, che portano a voler studiare in maniera più approfondita la possibilità di usare i probiotici come approccio per la prevenzione del cancro del colon retto.

Infine, per poter somministrare terapie adeguate, è necessario fornire anche prognosi accurate. I fattori prognostici nel caso di CRC dipendono principalmente dai risultati

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morfologici ed istologici. Recentemente però c'è stato un significativo numero di lavori sul fatto di utilizzare il microbiota come fattore prognostico. Si è visto che un aumento della colonizzazione del colon da parte di E. coli sintetizzanti ciclomodulina è stato descritto in presenza di cancro in stadio avanzato, così come B. fragilis e F. nucleatum in un altro studio ancora [108]. Dunque, anche la composizione del microbiota potrebbe diventare un supporto per una prognosi accurata e così migliorare le strategie terapeutiche per il paziente, ovvero poter sceglierne una più o meno aggressiva.

Figura 14 Meccanismi che controllano le interazioni ospite-microbiota e l'associazione con lo sviluppo di CRC. Un microbiota eubiotico che sopprime attivamente i batteri patogeni e mantiene una relazione simbiotica con l'ospite, insieme a uno stato infiammatorio basso dell'organismo ospite, sono determinanti per mantenere l'omeostasi intestinale. Perturbazioni di questo equilibrio portano in ultimo ad un ambiente favorevole alla genesi del cancro: un ambiente disbiotico, infiammato, con una barriera intestinale inefficace.

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CAPITOLO 3

DIETA E CRC

Il genere umano ha co-vissuto e si è co-evoluto assieme al microbiota intestinale per milioni di anni, ma la simbiosi instauratasi tra loro è oggi messa a dura prova da cambiamenti degni di nota, sia nello stile di vita dell'ospite sia nell'ambiente in cui vive. L'uso degli antibiotici, le diete povere di carboidrati accessibili al microbiota, una eccessiva igiene, parti cesarei, hanno tutti un profondo effetto sul microbiota [109]. Ciò però che rende i cambiamenti nelle abitudini alimentari così importanti, è la velocità con cui sono avvenuti (e continuano ad avvenire) e a quanto vicino ad oggi si sono verificati. L’uomo è passato dall’essere un nomade cacciatore milioni di anni fa, alla nascita dell’agricoltura e dell’allevamento intorno ai 10000 anni fa, con l’introduzione dei cereali e più tardi del latte e i suoi derivati; mentre l’ultimo grande cambiamento nello stile di vita dell’uomo è segnato dalla Rivoluzione Industriale, accaduta meno di 200 anni fa; tempo che sembra grande, ma non abbastanza se rapportato ai due precedenti [110]. Diversi studi si sono concentrati sull’esaminare la co-evoluzione tra microbiota e ospite per esaminare l’impatto dell’Occidentalizzazione sul microbiota intestinale. E così, paragonando i profili dei microbioti tra popolazioni che vivono in maniera tradizionale e rurale con quelle dei Paesi Occidentalizzati, si notano importanti differenze che sembrano indicare come esso non si sia ancora adattato ai cambiamenti dietetici avvenuti solo un paio di centinaia di anni fa [111].

Così anche la concomitante emergenza nei paesi dell'Occidente di altre malattie quali IBD, IBS, cancro, asma e diabete, ha portato a pensare come la rottura della simbiosi tra ospite e microbiota intestinale possa contribuire all'insorgenza di queste patologie e prove a supporto di questa ipotesi stanno aumentando sempre più [109].

Ovviamente non possiamo non evidenziare il fatto che il cibo che mangiamo non nutre solo noi, ma è nutrimento anche per i batteri all'interno del nostro tratto gastrointestinale. Durante la co-evoluzione dell'uomo questi si sono rivelati essenziali per la salute e l'integrità del colon [112], e grazie alle moderne tecniche di sequenziamento del DNA si è potuto osservare la complessità del microbiota e delle funzioni da loro svolte, tra cui la produzione di numerosi composti biologicamente attivi, sia sulla mucosa intestinale che su organi distali dopo essere stati assorbiti ed essere entrati nel circolo sanguigno.

Sono stati quindi identificati i legami tra determinate composizioni del microbiota e situazioni di salute o malattia. La disbiosi è attualmente riconosciuta come una delle

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cause alla base della crescita di tumori, compreso quello del colon retto, e di altre patologie. Sempre maggiori prove, sia in vitro che in vivo, suggeriscono che la dieta selezioni determinate composizioni del microbiota: alcune selezionano per batteri patogeni ed altre per batteri commensali.

In particolare, sono state fatte delle analisi tra la distribuzione geografica di CRC e l'associazione con la dieta; queste hanno mostrato che circa il 90% dei tumori del retto possono essere ricollegati ad abitudini alimentari [113]. Sono fattori dietetici rilevanti un elevato consumo di carne rossa e processata, e un non sufficiente consumo di fibra, calcio, vitamina D e folati [114]. Circa il 60% dei casi di CRC si ritrovano infatti nei paesi Occidentalizzati dove la dieta è diventata ricca di carne, grassi e alimenti processati [115].

Detto questo, è importante fare due precisazioni per quanto riguarda il numero di casi di cancro rilevati nei diversi Paesi. Da una parte la popolazione va sempre più invecchiando e un soggetto anziano è più suscettibile a sviluppare il cancro; dall’altra, nei Paesi più poveri, il numero di questi casi di tumore potrebbero essere più bassi per un aumento della mortalità in età minori, ma soprattutto per la minore accessibilità a ricevere diagnosi.

Infine, anche studi sui flussi migratori sembrano sostenere l'ipotesi che esista un legame tra dieta e CRC. Per esempio, normalmente i giapponesi hanno una bassa incidenza di cancro del colon, ma dopo una sola generazione migrata alle Hawaii, l'adozione di una dieta occidentale ha portato all'aumento dell'incidenza di questo tumore a livelli simili a quelli dei locali [116].

Studi umani, studi preclinici ed epidemiologici hanno quindi ormai dimostrato questo legame tra microbiota intestinale e CRC [117], e che tra pazienti patologici e sani varia la composizione del microbiota [118]. Nei pazienti con CRC si nota un maggior numero di Fusobacterium nucleatum, Bacteroides fragilis e E. coli, mentre diminuisce quello di batteri come Bacteroidetes, Firmicutes, Echinococcus e Proteobacteria, tutti batteri che producono butirrato, le cui attività saranno più avanti descritte [119].

Di seguito si vedrà come i componenti della dieta possono influenzare il microbiota intestinale e, di conseguenza, aumentare o diminuire il rischio di cancro del colon retto (Figura 15).

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Figura 15 Interazioni tra dieta, microbiota intestinale e CRC. Mostra come alcuni composti nutrizionali vengono digeriti nell’intestino e il loro effetto sul microbiota. Per esempio il consumo di carne rossa a lungo termine può aumentare la proporzione di batteri patogeni, come Fusobacterium nucleatum (Fn), Escherichia coli (Ec), o Bacteroides fragilis (Bf), e i loro metaboliti possono causare disfunzioni della barriera intestinale, infiammazione e altri cambiamenti che aumentano il rishio di sviluppo di CRC; mentre una dieta ricca di fibre aumenta la percentuale di batteri probiotici, come Bifidobacterium (Bfb) e Lactobacillus (Lab), che promuovono la salute intestinale e prevengono dal CRC.

3.1 Effetti della dieta sull'avvento del CRC

Dieta ad alto contenuto di grassi

Sappiamo che l'assorbimento dei grassi necessita un aumento del flusso della bile e che una dieta ricca in grassi ha ripercussioni nel suo metabolismo; in particolare gli studi indicano che questo tipo di dieta aumenta la quantità di acidi biliari nelle feci [120]. Uno studio del 2000 ha confermato che un aumento di questi acidi nel colon promuove la nascita del tumore [121]. Nel 2011 dei ricercatori hanno condotto esperimenti sui topi per dimostrare questo collegamento [122]. Gli acidi biliari secondari si sono dimostrati anti-apoptotici e genotossici attraverso la generazione di specie reattive dell'ossigeno e la soppressione della risposta di p53 a eventuali danni a carico del DNA, portando così alla proliferazione cellulare [123]. Inoltre, in uno studio che utilizzava ratti ai quali era stato indotto il tumore dando loro acqua ricca in acidi biliari secondari, si è visto come la sua crescita si riducesse con la simultanea somministrazione di antiossidanti [124]. Certo non ci si può fermare ad uno studio soltanto, ed anzi i risultati non sono sempre in accordo; cosa che succede normalmente nella ricerca scientifica e, in questo caso, sprona la ricerca a continuare gli studi in questo campo. Quello che sappiamo è che attaccare

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selettivamente i sistemi antiossidanti delle cellule cancerose come aggiunta alla terapia è un’idea innovativa che merita ulteriori investigazioni.

Una dieta ricca in grassi, inoltre, può causare disbiosi e questo aumenta la permeabilità della mucosa intestinale, riducendone la sua funzione di barriera (Figura 16) [125]. In questo modo i batteri che sintetizzano LPS, possono entrare nel circolo sanguigno intestinale e causare infiammazione [126].

Figura 16 Granuli di mucina (in rosso) in cellule intestinali di topo nutrito con dieta tradizionale (sopra), rispetto a quelle di topo nutrito con dieta occidentale ad alto contenuto di grassi e zucchero (sotto).

Altri studi hanno trovato che l'attivazione dell'AMPK, l'infiammazione e lo stress ossidativo aumentano nell'ipotalamo di ratti nutriti con lardo rispetto a quelli nutriti con una dieta di controllo, mentre non vi sono cambiamenti in quelli nutriti con olio di pesce; questo suggerisce un legame tra una dieta ad alto contenuto di acidi grassi saturi e infiammazione dell'ipotalamo [127]. Altri ancora hanno dimostrato che in un ambiente infiammato, una dieta ad alto contenuto di grassi può far aumentare la concentrazione di E. coli, aumentare la permeabilità intestinale e promuovere la secrezione di TNF-α; ed una colonizzazione di un numero elevato di E. coli aumenta il rischio di CRC [128].

Carne rossa

Nonostante si tratti di un argomento ancora molto discusso, ormai si sa che un consumo eccessivo di carne rossa e carne processata aumentano il rischio di CRC [129]. Nel 2015 la IARC ha definito la carne rossa come “probabile cancerogeno per l'uomo” e la carne

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processata come “cancerogeno per l'uomo” [130]. Alcuni ricercatori hanno analizzato casi di CRC e il consumo di carne rossa dal 1996 al 2000, trovando una correlazione positiva tra essi; questo soprattutto quando la carne rossa veniva cotta ad alte temperature, cioè quando si formano ammine eterocicliche (HCAs) e idrocarburi policiclici aromatici (PAH), i cui derivati metabolici sono composti cancerogeni [131]. Questo ed un altro studio che ha trovato una correlazione positiva tra cotture ad alte temperature di carni rosse e cancro, suggeriscono come sia meglio fare attenzione a scegliere il tipo di cottura, evitando quelle a temperature eccessive che bruciano la materia prima.

La carne rossa è definita tale per il colore che le viene conferito normalmente dalla presenza al suo interno di mioglobina legante ferro eme. Uno studio sui ratti ha mostrato una relazione tra alti livelli di ferro eme e la promozione del cancro del colon retto attraverso effetti sia diretti che indiretti, come l'inibizione dell'apoptosi o l'iperplasia delle cripte e la proliferazione di cellule epiteliali cancerose [132].

Inoltre, la carne rossa contiene molti aminoacidi ricchi di zolfo, e promuove così la crescita di batteri che riducono questi elementi: convertono il gas H2 liberato dalla

fermentazione batterica dei carboidrati in un composto genotossico e infiammatorio, l'acido solfidrico H2S; quest'ultimo indebolisce l'attività antiossidante dei citocromi,

inibisce la sintesi di mucina, sopprime l'utilizzazione del butirrato, e promuove la metilazione del DNA generando radicali liberi [133].

Infine, un grande numero di studi ha riscontrato come il microbiota intestinale è in grado di produrre ossido di trimetilammina (TMAO) a partire dall’amminoacido l-carnitina, di cui la carne rossa è ricca, che è legato ad un maggior rischio cardiovascolare, oltre ad essere legato a infiammazione del tessuto adiposo e al cancro del colon retto [134].

In definitiva, per quanto riguarda la carne rossa, esistono evidenze che ne collegano un consumo esagerato al CRC, bensì non al cancro del retto, però nella sua valutazione vanno tenuti in considerazione anche i metodi di cottura a cui viene sottoposta e ad altri alimenti e nutrienti assunti al suo fianco nella dieta. Non si vuole attaccare un alimento in particolare bensì un suo consumo esagerato. A questo proposito la WHO consiglia un consumo di carne rossa settimanale che non superi i 700-750g (pesati a crudo). Per quanto riguarda le carni lavorate invece, il collegamento con il CRC, così come con il cancro del retto, è più evidente e se ne consiglia un consumo pari o minore ai 50g alla settimana [135, 136].

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Dieta ad alto contenuto proteico

Studi epidemiologici suggeriscono inoltre che una dieta iperproteica possa aumentare il rischio di CRC [137]; nonostante ciò, questa conclusione resta controversa [138]. Uno studio sui ratti ha paragonato gli effetti di amido resistente e proteine nei confronti di eventuali danni genetici alle cellule del colon, e i risultati ottenuti hanno suggerito che un aumentato introito di proteine abbia effetti deleteri sull'intestino, al contrario degli amidi resistenti che controbilanciano questi effetti avversi [139]. Altre ricerche hanno dimostrato che i danni al DNA aumentano a causa di diete iperproteiche, cosa che può facilmente portare a maggior rischio di sviluppare il cancro [140]. Altri, infine, hanno trovato come una dieta ad alto contenuto proteico causi cambiamenti significativi nell'ambiente del colon e nelle caratteristiche delle sue cellule, il chè suggerisce che una dieta ricca in proteine può interferire con il metabolismo e la morfologia del colon stesso [141].

Al contrario però alcuni studi hanno riportato che una dieta ricca in proteine possa addirittura ridurre il rischio di CRC [142]. Una possibile spiegazione potrebbe essere quella per cui un basso apporto di proteine porti ad una anormale metilazione del DNA, scatenando la disattivazione di geni oncosoppressori [143].

Uno studio inoltre ha confrontato come agiscono proteine di origine animale e proteine di origine vegetale sul microbiota intestinale; un aumento di proteine derivanti dal latte o di pisello hanno portato ad un aumento dei batteri commensali, mentre quelle vegetali hanno portato anche ad un aumento dei livelli di acidi grassi a catena corta, considerati positivi per la salute intestinale, oltre a generare cambiamenti nella composizione del microbiota migliorando il profilo di IBD (Figura 17) [144]. E' doveroso far presente che questo studio non mostra se una dieta ad alto contenuto di proteine animali associata ad un adeguato consumo di fibre abbia comunque un impatto negativo sul microbiota intestinale.

Infine un ulteriore studio ha mostrato che un alto apporto proteico nella dieta aumentava il rischio di IBD, un fattore di rischio per l'insorgenza del CRC, ciò probabilmente in seguito all'infiammazione cronica che caratterizza la sindrome [145].

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Figura 17 Diverso impatto di proteine vegetali e animali sul microbiota intestinale e sulla salute. SCFAs: acidi grassi a corta catena; TMAO: ossido di trimetilammina; Tregs: linfociti T regolatori; CVD: malattie cardiovascolari; IBD: sindromi intestinali infiammatorie.

Dieta ad alto contenuto di fibre

La maggior parte degli studi sulla fibra e il rischio di CRC affermano che un maggior apporto della prima riduca il rischio di sviluppare il secondo. Uno dei motivi per cui questo avviene è quello per cui la fibra aumenta il volume fecale, promuovendo così la peristalsi e diminuendo dunque il contatto tra la massa fecale e il colon. Inoltre, se la fibra non viene digerita nell'intestino tenue, i batteri la fermentano nel colon, aumentando a loro volta la massa fecale e diminuendo il tempo di contatto delle feci con le pareti intestinali e quindi accelerando l'escrezione delle sostanze tossiche in esse contenute [146].

Una dieta ad alto contenuto di fibre, in particolare dei cosiddetti MACs, ovvero i carboidrati accessibili dal microbiota, ossia la fibra fermentabile, promuove la crescita della flora intestinale benefica che lega gli acidi biliari e riduce i livelli di produzione di quelli secondari, oltre ad inibire la proliferazione dei batteri patogeni (Figura 18) [147]. La fibra viene inoltre idrolizzata da enzimi batterici nel colon producendo acidi grassi a corta catena (SCFAs) quali l'acido propionico, l'acido butirrico e l'acido acetico. I loro effetti sulle cellule dell'ospite sono ben documentati e coinvolgono recettori accoppiati a proteine G e istoni deacetilasi (HDAC) che regolano la trascrizione di geni coinvolti in patologie immunitarie e metaboliche. Inoltre, gli SCFAs mantengono stabile la composizione della flora batterica, inibendo nel contempo la proliferazione di cellule cancerose e promuovendo l'apoptosi [148, 149].

Il butirrato funge da grande risorsa energetica per le cellule epiteliali intestinali e svolge azione antitumorale attraverso più vie tra cui l'attivazione o inibizione di determinati

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geni e l'aumento dell'attività antiossidante, e inibisce la formazione di composti reattivi azotati che svolgono un ruolo primario nella patogenesi dell'infiammazione e di CRC [150]. Il butirrato svolge appunto la sua attività antiproliferativa attivando la cascata apoptotica e bloccando la crescita del tumore attraverso iperacetilazione degli istoni [151] e sopprime il tumore potenziando l'espressione del gene per p53 e regolando le vie di segnale del fattore di crescita TGF-β [152]. Svolge inoltre azione antiinfiammatoria controllando mediatori come TNF-α e l'ossido nitrico [153].

In definitiva, secondo gli studi, un apporto di fibre minore di un certo valore ha effetti negativi per la salute, così come però un apporto maggiore di un altro valore non sembra aggiungere ulteriori effetti protettivi. Questo valore consigliato è quello di almeno 30g/die secondo la WHO e almeno 25g/die secondo le linee guida del SINU.

Figura 18 Divergenti scenari di una dieta ad alto contenuto di MACs ed una a baso contenuto di MACs. Nel primo scenario, una dieta ad alto contenuto di MACs e povera di zuccheri semplici, contribuisce maggiormente al metabolismo dell’ospite grazie alla produzione degli SCFAs come prodotti finali della fermentazione batterica. Oltre alle calorie, queste molecole svolgono diversi ruoli regolatori nella fisiologia umana e nella protezione dalle malattie cosiddette Occidentali. Nel secondo scenario, la classica dieta Occidentale a basso contenuto di MACs, termina in una minor produzione di molecole benefiche per l’ospite, ma anche nella selezione di batteri patogeni.

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Diete popolari

Diverse diete popolari, tra cui la dieta occidentale, la dieta gluten-free, quella onnivora, vegetariana, vegana e la dieta Mediterranea, sono state studiate per capire le loro capacità di modificare il microbiota intestinale (Figura 19). In molti studi la dieta Occidentale (ad alto contenuto di grassi e proteine animali, povera in fibre) ha portato ad una diminuzione dei batteri totali e benefici, come le specie Bifidobacterium e Eubacterium, oltre ad essere collegata ad una produzione di nitrosamine che promuovono la genesi del cancro [154].

Un altro studio ha preso in considerazione la dieta gluten-free e ha notato come la popolazione di “batteri sani” diminuiva (Bifidobacterium e Lactobacillus), mentre la popolazione di batteri potenzialmente non salutari aumentava parallelamente alla riduzione di assunzione di polisaccaridi dopo aver iniziato questa dieta. Si è visto soprattutto un aumento nel numero di E. coli e di Enterobatteriacee totali, tra i quali possono essere inclusi batteri opportunistici patogeni [155].

Le diete vegetariana e vegana, ricche di alimenti di origine vegetale e fermentabili, non hanno invece mostrato grosse discrepanze con gli effetti di una dieta onnivora [156]; in questo ambito sono sicuramente necessari altri studi più approfonditi.

Tra tutte le diete quella Mediterranea sembra essere quella più sana e bilanciata. Si distingue per l'ottimo profilo di acidi grassi, ricco sia in monoinsaturi che polinsaturi, una grande quantità di polifenoli e altri antiossidanti, una gran quantità di fibra e altri carboidrati a basso indice glicemico e un buon apporto di proteine vegetali insieme a quelle animali. Ancora, sì distingue in particolar modo per il consumo maggiore di olio extravergine di oliva, frutta, verdura, cereali integrali, legumi, frutta a guscio e latticini; un consumo moderato di pesce, carne bianca e vino; e un basso apporto di carne rossa, processata e dolci [157]. Uno studio ha cercato di investigare i potenziali benefìci di una dieta Mediterranea paragonandola a quelle onnivora, vegetariana e vegana. Si è osservato che la maggioranza dei vegetariani e vegani, ma solo il 30% degli onnivori, sono riusciti ad aderire quasi completamente alla dieta Mediterranea, ed hanno individuato associazioni importanti tra l'aderenza alla dieta e l'aumento di SCFAs nelle feci, batteri Prevotella e altri Firmicutes. Coloro che invece non sono riusciti ad aderire alla dieta hanno mostrato aumentati livelli di ossido di trimetilammina, molecola associata a rischio cardiovascolare [158]. Altri studi hanno mostrato un miglior profilo lipidico e minor infiammazione in soggetti aderenti alla dieta Mediterranea [159].

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Figura 19 Impatto delle diete più popolari sul microbiota intestinale e malattie cardiometaboliche (CVD). DM2: diabete mellito di tipo II.

3.2 Fitati ed effetti sulla salute umana

Abbiamo visto come alcune tipologie di dieta e nutrienti interagiscono con il microbiota e quindi gli effetti che hanno sulla salute dell'ospite; ed in particolare sulla genesi o protezione nei confronti del cancro del colon retto. Si evince che una dieta occidentalizzata porta a disbiosi intestinale e predispone a diverse patologie. Una delle componenti nutritive maggiormente importanti per mantenere l'equilibrio tra ospite e microbiota e favorire la proliferazione dei batteri sani, sono i sopradetti MACs (di cui ne sono ricchi cereali integrali, legumi, frutta e verdura). Esiste però un composto contenuto in questi alimenti, soprattutto in cereali integrali e legumi, detto acido fitico, che suscita delle perplessità ed ora si vedrà quali sono queste perplessità, insieme a quali altri effetti positivi svolge [160].

Innanzitutto il corretto nome chimico per indicare l'acido fitico è acido mioinositol (1, 2, 3, 4, 5, 6) esafosforico (Figura 20).

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