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Effetti di luogo, origini sociali e strategie di inserimento lavorativo

Le interviste sono state realizzate durante un periodo esistenziale in cui i giovani elaborano un progetto di vita a partire dalle informazioni di cui dispongono, dalle proprie esperienze pregresse e dalle rappresen- tazioni sociali interiorizzate a proposito della società di appartenenza. I dati raccolti permettono di mettere in luce i diversi aspetti di un processo decisionale contrastato, in cui le speranze e i desideri si con- trappongono frequentemente agli affetti. Il contesto socio-economico dei territori interni dell’isola è una fonte di preoccupazione costante per i ragazzi e le ragazze intervistate nel corso della ricerca sul cam- po. La rappresentazione delle prospettive occupazionali va di pari passo, generalmente, con la consapevolezza che lo spopolamento sia un fenomeno irreversibile. Il circolo vizioso costituito da decremento demografico, disimpegno dello Stato e contrazione dei servizi pubblici,

pessimismo diffuso nei confronti del futuro e invecchiamento della popolazione, alimentano, agli occhi di questi ragazzi, una sfiducia nei confronti delle opportunità lavorative disponibili nel territorio. Ne discende un rapporto con il lavoro molto ambivalente: se da un lato, il lavoro è al centro dei progetti di vita quale vettore di integrazione sociale ed economica, fonte di reddito, di diritti e di dignità, la ricerca di un lavoro stabile e di qualità implica per molti degli intervistati la necessità di abbandonare il proprio paese.

Cioè essendoci la possibilità lavorativa… mi farebbe più che piacere rimanere qua. Ci sono gli amici, la famiglia, è un bel posto. Però il fatto è che… a malincuore, se vuoi stare bene devi andare via… per forza… È una cosa che proprio… è inconcepibile. Io ho amici di 25 anni che ancora chiedono i soldi ai genitori, alla madre, per mettere 10 euro di benzina… È una cosa molto brutta… Come puoi a 25 anni essere ancora alle dipendenze dei tuoi genitori… Non voglio arrivare assolutamente a quei livelli, io… (Intervista 21, M, 20 anni, disoccupato).

Questa scelta di vita è dolorosa per buona parte degli intervistati, in quanto il legame affettivo con il territorio, la famiglia e i network di relazioni locali è molto intenso. Inoltre, i giovani insistono spesso sui vantaggi della vita nei comuni rurali o montani: densità delle relazioni sociali, assenza di inquinamento, ritmi di vita “umani”, paesaggi in- contaminati, qualità dei prodotti enogastronomici. La scelta scolastica pone lo studente (e la famiglia) di fronte ad alternative drammatiche, che mettono in questione la sua identità sociale: quella passata (la sua storia familiare), quella presente (la sua rete di relazioni significative) e quella futura (la promessa di un avvenire, di uno status sociale, di un prestigio sociale). La scelta avviene dentro condizioni strutturali, cioè l’offerta formativa in un territorio (Pitzalis, 2012; Porcu, Pitzalis, 2019) e le risorse pertinenti, che consentono di realizzare una scelta in condizioni di svantaggio. A queste si aggiungono condizioni soggettive, che discendono dalle disposizioni del soggetto costruite nel corso dei processi di socializzazione nella famiglia e tra i pari.

Nei due territori presi in considerazione, la marginalità geografica si traduce in un limitato ventaglio di opportunità, che può allargarsi solo se si assumono maggiori costi (e rischi) personali e familiari. Se prendiamo come baricentro il comune di Sorgono (Mandrolisai), per esempio, le opportunità formative entro una distanza in linea d’aria di 30 km, indicate nel sito Eduscopio2, implicano spostamenti che superano

l’ora di tempo in automobile.

Tuttavia, in contrapposizione a una visione eccessivamente omoge- nea dei giovani dell’entroterra, i dati raccolti consentono di esplicitare pienamente l’eterogeneità delle situazioni: l’elaborazione di decisioni rilevanti concernenti l’emigrazione o la permanenza sul territorio, in relazione a un progetto lavorativo, avviene a partire da vincoli non soltanto legati al contesto socio-economico ma anche a una serie di variabili strutturali, quali i capitali economici, culturali e sociali delle famiglie di origine, oltre che le diseguaglianze di genere.

In effetti, la proiezione nel futuro mediante un progetto di inserimento lavorativo avviene in modi diversi, secondo le origini sociali: da una parte, i giovani appartenenti alle classi medio-alte e superiori tendono a posticipare l’ingresso nel mondo del lavoro a dopo l’ottenimento di un titolo di studio dell’insegnamento superiore, considerato come una credenziale necessaria per le professioni e i posti di lavoro stabili e qualificati; dall’altra parte, i giovani delle classi popolari, le cui famiglie dispongono di minore capitale economico e culturale, in conseguenza di performance scolastiche negative, stigmatizzate dal sistema scolastico e giustificanti l’orientamento verso le filiere professionali deprezzate, tendono a privilegiare un percorso di studi breve e professionalizzante, che permetta un accesso rapido al mondo del lavoro.

A partire da questi assunti epistemologici, sulla base dei dati raccolti e provando a lasciare ampio spazio al racconto dei nostri intervistati, presentiamo qui di seguito una serie di sei “figure” articolate intorno alle tre dimensioni della scelta scolastica, della relazione col territorio e del rapporto con il lavoro.

1.1. Primo caso.

Il futuro altrove. Il capitale culturale come trampolino di lancio

Rientrano in questo primo caso di figura i giovani originari di fa- miglie di classe media che possiedono un volume di capitale culturale relativamente più importante rispetto a quello economico (dipendenti dell’amministrazione comunale e regionale, insegnanti, tecnici di la- boratorio), e che hanno investito profittevolmente negli studi: dopo la frequentazione di un liceo classico o scientifico, la carriera è proseguita all’università a Cagliari. L’ottimo percorso scolastico, agevolato dalla trasmissione di un capitale culturale familiare, appare come un elemento decisivo nella costruzione di un futuro lavorativo altrove.

Per quanto riguarda l’esperienza scolastica, è sempre stata positiva, io ho sempre studiato bene. Il fatto che i miei genitori fossero insegnanti è stato uno stimolo, perché anche loro seguono l’ambiente scolastico. Quindi sono stata abituata fin da

piccola a studiare… Penso sia una cosa positiva, perché rimane nell’educazione la responsabilità e la disposizione allo studio (Intervista 27, F, 19 anni, studentessa).

Questi giovani aspirano a un posto di lavoro qualificato in un’azien- da privata o nel pubblico impiego, oppure desiderano diventare liberi professionisti. Come emerge nello stralcio d’intervista che segue, sin dall’adolescenza la carriera scolastica va di pari passo con un progres- sivo sradicamento dal territorio e dalla rete di relazioni amicali locale.

Il problema è che c’è molta poca vita, è questo il punto principale… […] Il fatto è che la maggior parte dei giovani sono tutti fuori per studiare, chi sempre in Sardegna, chi fuori all’estero, quindi disintegrato quello che era il mio gruppo […] Diciamo che il paese inizia ad andarti stretto a diciassette-diciotto anni quando in paese hai fatto tutto quello che si poteva fare (Intervista 25, M, 24 anni, studente).

D’altronde, i giovani intervistati, pur esprimendo un profondo attac- camento rispetto alle proprie origini, anche con riferimento alle relazioni sociali, si sono scontrati con l’inadeguatezza del proprio habitus in un contesto urbano e hanno dovuto calibrare attitudini, comportamenti e schemi di percezione, al fine di adeguarsi all’orizzonte sociale nel quale proiettano il proprio avvenire lavorativo. Anche in questo caso, la socializzazione scolastica nei licei, spesso distanti dal paese d’origine, è un prerequisito indispensabile al fine di evitare un’eventuale hysteresis di un habitus eccessivamente strutturato dalla cultura “paesana”.

Diciamo che ci si accorge subito che si è visto poco. Quando esci dal paese hai visto solo quello per quasi vent’anni della tua vita e ti ritrovi buttato in una cittadina medio-grande come Cagliari… ti trovi spaesato: i comportamenti e le interazioni in pubblico, le urla e gli schiamazzi come se fossi al bar del paese. Non sono neanche aspetti negativi, sono caratteristiche (Intervista 25, M, 24 anni, studente).

Questi giovani sono consapevoli che per perseguire i propri progetti lavorativi dovranno stabilirsi a Cagliari, nel “continente” o, in molti casi, all’estero. L’esperienza scolastica funge da trampolino per la car- riera lavorativa che si svolgerà ineluttabilmente in un “altrove”, più o meno distante socialmente e geograficamente dal comune di origine. L’inevitabilità della mobilità sociale è tanto meglio accettata quanto più la socializzazione con l’altrove è avvenuta precocemente, in quan- to già presente parzialmente nella generazione precedente, come nel caso di uno studente universitario il cui padre, dipendente pubblico, viaggia quotidianamente per recarsi sul luogo di lavoro a Cagliari. In conclusione, si tratta indubbiamente della categoria per cui la mobilità è meno problematica, quantomeno sul piano narrativo, dal punto di vista emotivo e relazionale.

1.2. Secondo caso.

Il radicamento nel territorio: l’accettazione dell’eredità

Tra i giovani originari di famiglie di lavoratori indipendenti (agricol- tori, pastori, piccoli imprenditori edili, commercianti), caratterizzate da una proporzione più rilevante di capitale economico rispetto a quello culturale, i figli maschi sono maggiormente suscettibili o di recuperare l’azienda paterna o di utilizzare il capitale economico ereditato per fondare una propria attività imprenditoriale.

Mi sono diplomato quest’anno e tra maggio-giugno avremmo dovuto aprire una pizzeria con un mio carissimo amico, mi aveva chiesto con i genitori se volevo lavorare con loro. Mi piaceva come idea, sono sempre andato molto d’accordo con loro e avendo sempre lavorato con la ristorazione pensavo che avrei fatto quello, anche perché diplomandomi avrei perso un po’ di tempo quindi cercare una stagione più avanti sarebbe stato difficile trovarla. Avremmo dovuto inaugurare la pizzeria a giugno, poi a luglio, ad agosto e alla fine i lavori richiedono sempre più tempo e la pizzeria ancora non è stata inaugurata (Intervista 29, M, 20 anni, lavoratore dipendente in attesa di avviare la propria attività imprenditoriale).

Il loro percorso scolastico, costellato di insuccessi e frustrazioni, esplicita una grande insofferenza nei confronti della cultura scolastica, amplificata dalla volontà di accedere rapidamente al mercato del lavoro: in primo luogo al fine di guadagnare già durante l’adolescenza un’indi- pendenza economica, in secondo luogo, in modo da avviare celermente dei progetti di natura professionale.

Nel caso di questo figlio di un imprenditore agricolo, diplomato, seppure al termine di un percorso scolastico irto di ostacoli, all’istituto professionale alberghiero, la strategia imprenditoriale è finalizzata a valorizzare le esperienze lavorative e la formazione scolastica nel settore della ristorazione, anche se, come espresso nel brano d’intervista di seguito riportato, non è esclusa una convergenza all’insegna del turismo rurale con l’azienda agricola paterna, nella quale si è già avuto modo di lavorare durante l’adolescenza.

[…] (cita il nome del suo paese d’origine) mi piace tantissimo. Volendo un domani, potrei lavorare lì o prendere in gestione l’azienda di mio padre con i miei fratelli e farci qualcosa assieme, sono idee che ci vengono. Mio padre ha un’azienda agricola con animali, vigna, orto e terreni. Farci un qualcosa un domani significherebbe considerare delle forme di turismo che ora sono più richieste, facendo qualcosa di interessante, diverso da quello che fa ora mio padre chiaramente (Intervista 29, M, 20 anni, lavoratore dipendente in attesa di avviare la propria attività imprenditoriale).

La limitatezza delle opzioni possibili, l’“ecologia” (Illouz, 2011) delle scelte scolastiche degli intervistati ha anche molto a che fare con

l’influenza della famiglia sulla scelta dei percorsi di studio. Ma per avere successo, la trasmissione di un’eredità richiede l’adesione a un modello e a un progetto: “ereditare significa rilevare delle disposizioni immanenti, perpetuare questo conatus, accettare di divenire lo strumento docile di questo ‘progetto’ di riproduzione” (Bourdieu, 1997, p. 712). L’eredità non è, infatti, un processo scontato e lineare ma è soggetta a contraddizioni specifiche, che derivano dalle possibili situazioni di crisi nel rapporto tra l’habitus (le disposizioni acquisite in famiglia), le aspettative “legittime” della famiglia e la struttura del campo (cioè le condizioni oggettive dell’offerta di lavoro e di istruzione in un contesto e momento dato). Ogni studente intervistato produce un discorso in cui prende forma – si prefigura – un differente spettro di possibili. In ogni intervista esso appare legato a un vissuto familiare e a un’e- sperienza situata in un contesto sociale, con la quale la studentessa/ studente deve fare i conti, a volte rimanendone schiacciata/o, a volte liberandosene (Pitzalis, 2019). L’habitus è infatti capacità incarnata e radicata nel sociale, porta la temporalità e la profondità del desiderio al centro dell’analisi sociale (Wacquant, 2014). Può essere quindi una risorsa di creatività perché composta di disposizioni eterogenee, anche in contrasto tra loro. Il peso delle condizioni soggettive – le disposizioni incorporate – si somma dunque con quelle oggettive – il mercato del lavoro e l’offerta formativa realmente disponibile. È in tal senso, che il possibile diventa probabile.

Nel seguente stralcio di intervista, a parlare è un maschio di classe popolare, socializzato precocemente al lavoro, che assume esplicita- mente l’eredità paterna di lavorare nella ristorazione. Gli stessi genitori sembrano considerare la scuola come un intralcio e spingono il figlio ad abbandonare un’esperienza scolastica descritta, dal ragazzo, come fallimentare, e luogo di conflitti anche tra pari. Per questo anche il fallimento scolastico non sembra costituire una fonte di frustrazione e di scissione. Non introduce, infatti, elementi di contraddittorietà o ambivalenza in un habitus che vede la scuola soltanto come un passag- gio obbligato prima di un rapido inserimento nel mondo del lavoro. Quest’intervista è emblematica: la trasmissione del “patrimonio” avviene

rigorosamente per via maschile e include quel “sapere pratico” – “è papà che ci insegna” – legato alla professione di chef e l’incorporazione di specifiche disposizioni che conducono il ragazzo ad aderire al “progetto” professionale che ha ereditato, nel quale la scelta scolastica non pare assumere un ruolo cruciale e, di conseguenza, il ritiro da scuola non è associato a una narrazione “di fallimento”. Inoltre, il rapporto con il lavoro è l’elemento cruciale. A differenza degli studenti di classe media,

qui l’intreccio con il lavoro è continuo, durante gli studi, durante le vacanze. È nel lavoro che il ragazzo trova una soddisfazione che fa da contraltare a un’esperienza scolastica dolorosa.

Mi hanno bocciato in prima e in seconda media, il terzo mi hanno dato un calcio in culo! Volevo iscrivermi all’Ipsia a XXX però i miei non me l’hanno permesso […] per loro non aveva senso che studiassi. In famiglia siamo un po’ tutti chef e lavoriamo nella ristorazione. Mio fratello prima lavorava al ristorante, anche quello che c’è a casa adesso sta ancora lavorando in un ristorante, ha fatto il maître per un casino di anni. Tutti e due maître! I fratelli di papà sono tutti e due chef, tutti e due! [Quindi siete una famiglia di chef sostanzialmente?] I maschi sì, è papà che ci insegna. Comunque, ho fatto le scuole qua all’alberghiero già sapendo che non era cosa mia, infatti sono stati tre anni un po’ movimentati e non sono riuscito a proseguire con lo studio. Ho lasciato due mesi la scuola perché sono andato da mio fratello a P., doveva ristrutturare casa e io per farmi qualche soldo sono andato. Sono andato e ho lavorato lì due mesi, poi sono ritornato da mamma e papà, ho perso l’anno e loro mi hanno consigliato di lasciar perdere […] All’al- berghiero è stata un’esperienza scolastica bruttissima! […] Alla fine, ho deciso di ritirarmi ed è arrivata l’estate, stavo già lavorando un po’ in campagna. Appena è arrivata l’estate sono partito per la stagione, sono andato a lavorare. Lavoro e vado spedito, il maître mi guardava e mi lasciava fare: […] Io dovevo solo andare a ritirare i piatti, apparecchiare e sparecchiare. Mi piaceva! (Intervista 31, M, 19 anni, disoccupato).

1.3. Terzo caso.

La scelta scolastica come dramma sociale

La scarsità di alternative si traduce in un generale disorientamento nella scelta del percorso scolastico e dunque una più debole capacità di “aspirare”. Il tema della scelta scolastica come motivata dalla vici- nanza è, infatti, presente in quasi tutte le interviste raccolte. Problemi legati ai trasporti, alla limitata offerta formativa in zone affette da importanti fenomeni di spopolamento, sono al centro delle scelte dei giovani intervistati. Queste tensioni emergono pienamente in seno alle famiglie di classe media di piccoli imprenditori (artigiani, agricoltori, imprenditori edili, commercianti), in cui la trasmissione del capitale economico avviene più frequentemente in modo indiretto nel caso delle figlie. Anche in relazione alle loro migliori performance scolastiche, le ragazze sono maggiormente orientate verso il proseguimento degli studi superiori, e questo permette di convertire il capitale economico in capitale culturale.

L’attività [agricola], no, non credo, perché mio padre ci ha sempre spronato a studiare e dare il meglio di noi per trovare un futuro che ripaghi bene nella vita.

Non credo che siamo interessati comunque a fare quel lavoro (Intervista 34, F, 19 anni, studentessa).

Peraltro, i dati raccolti permettono di mettere in luce una tensione, che assume la forma di una scarsa fiducia nei confronti delle proprie competenze imprenditoriali, tra il desiderio di seguire le orme paterne, aprendo una propria attività, e il conformismo rispetto alla scelta, soste- nuta dalla famiglia stessa, del proseguimento degli studi. A differenza delle giovani studentesse appartenenti alle famiglie in possesso di un capitale culturale relativamente più alto, le giovani originarie di famiglie di piccoli imprenditori mostrano di avere meno interiorizzato le esigenze della carriera lavorativa e mantengono un attaccamento più solido con il territorio di origine, soprattutto attraverso un investimento rilevante nelle relazioni sentimentali “serie”.

Mi sono fidanzata, è stato in seconda, quindi tre anni fa, e sono cresciuta molto con la mia relazione. Sono anche stata molto criticata, ho saputo che molta gente riteneva che mi fossi fidanzata troppo presto e che dovevo ancora crescere. Io però l’ho trovata proprio una crescita per me essermi fidanzata. Siamo cresciuti insieme praticamente (Intervista 34, F, 19 anni, studentessa).

D’altronde, nonostante un percorso scolastico positivo, seppure meno frequentemente svoltosi nei corsi di studio liceali, le studentesse hanno dei dubbi concernenti il proprio futuro lavorativo. Convinte di non poter proseguire l’attività paterna, spesso confuse rispetto alle proprie strategie di inserimento professionale, sembrano considerare il proseguimento degli studi come un destino inevitabile, anche se non propriamente voluto.

Mhmm, no io non lo continuerei. È bello lavorare la terra però io personalmente non continuerei con questo ambito. [Perché?] È un lavoro troppo duro comunque. Mi piace conoscere queste cose, ma non ci lavorerei... Non mi ci vedo a lavorare la terra come fa mio padre. [Dopo il diploma alla scuola agraria cosa hai intenzione di

fare?] Dopo il diploma non ho un’idea su cosa fare. Ce ne sono tante di idee. Per

esempio io vorrei arruolarmi come carabiniere, però la vedo un po’ difficile come cosa. [Carabiniere? Perché è difficile?] Perché comunque è difficile entrare, quindi penso che proverò comunque e se non riesco mi iscriverò all’università. Però non ho ancora deciso. [Non lo sai ancora, ma se scegliessi l’università quale percorso

ti piacerebbe fare?] Mah tipo… allora o qualche corso tipo estetista o qualcosa

di simile. Oppure iscrivermi all’università, per esempio nell’ambito di scienze dell’educazione, però ancora non ho idee precise… Ci voglio pensare quest’anno durante la scuola, e poi vediamo come va… Certo è che ci sono molte cose che si possono fare ma sono un po’ confusa… (Intervista 40, F, 18 anni, studentessa).

Questo stralcio d’intervista è particolarmente rivelatore delle contrad- dizioni insite nel percorso delle studentesse orientate verso il prosegui-

mento degli studi da famiglie che dispongono di un volume di capitale economico proporzionalmente superiore a quello culturale. La tensione tra la fedeltà rispetto ai valori familiari (testimoniata dall’amore per la terra e dalla scelta di un istituto agrario) e l’impossibilità di accogliere, in quanto donna, l’eredità, si traduce in un’adesione strumentale al totem del proseguimento degli studi senza che si riesca, almeno tem- poraneamente, a delineare una strategia professionale chiara e definita. Nel caso di una ragazza di un piccolissimo paese, con il padre e la madre impiegati, quindi con una buona stabilità economica, ma un modesto capitale economico e culturale, il percorso della studentessa è caratterizzato da difficoltà nel rapporto con la scuola. Un forte di- sorientamento rispetto agli obiettivi di studio emerge dalle “diverse” alternative prese in considerazione – un alberghiero, l’agrario, l’artisti- co – e dalle ragioni di una scelta che sono sempre estranee all’oggetto di studio e che prendono invece in considerazione gli aspetti personali, relazionali e familiari. Infine, il fallimento scolastico conduce a una continua riduzione delle aspirazioni.

Perché io alla fine non volevo andarci al liceo […] Già il primo anno mi hanno