Micropropulsione per Microsatellit
1.3 EFFETTI DI RIDUZIONE DI SCALA
La recente tendenza nella tecnologia spaziale indica un incremento nella miniaturizzazione dei sistemi e sottosistemi, incluso i sistemi di propulsione. Tra gli ovvi benefici che si ottengono dalla miniaturizzazione dei singoli dispositivi l’aspetto più importante è dovuto alla riduzione della massa del singolo sottosistema, con conseguente impatto sulla riduzione di massa del satellite stesso e quindi sul costo di lancio, che attualmente interessa all’incirca il 30% del budget dell’intera missione. Per quanto riguarda i sistemi di propulsione, risulta di vitale importanza analizzare i fenomeni di riduzione di scala al fine di comprendere quali sono i requisiti fisici che consentono di ottenere la riduzione del livello di spinta disponibile.
Innanzitutto analizziamo il rapporto spinta – massa del sistema. È bene precisare che su tale grandezza ci sono diverse opinioni dovute sostanzialmente al fatto che in un sistema di micropropulsione oltre il 95% della massa è costituita da propellenti e serbatoi e di conseguenza il rapporto spinta – massa risulta inversamente proporzionale alla pressione del serbatoio e non dipende dalla riduzione delle dimensioni del sistema. In ogni modo soffermandosi solo sul rapporto spinta – massa del thruster, e non dell’intero sistema, una prima analisi ci porta a dire che tale rapporto aumenta al diminuire delle dimensioni caratteristiche del sistema. Osservando infatti che la spinta è proporzionale al quadrato della dimensione caratteristica considerata e la massa (volume moltiplicato per la densità del materiale di realizzazione) è proporzionale al cubo della stessa si ha [15]:
2 3
1
F L
Ovvero il rapporto spinta – massa risulta inversamente proporzionale alla dimensione caratteristica. Quindi riducendo le dimensioni aumentano i benefici. Quanto appena detto risulta valido solo nel caso di assenza di processi combustivi. Considerando infatti la camera di combustione converrebbe suddividere la lunghezza del thruster in due zone, la camera di combustione e il divergente (Ld). La lunghezza caratteristica della camera (L ), pari al * rapporto tra il volume della camera di combustione e la sezione di gola, dipende principalmente dal tempo necessario al propellente per completare la combustione ovvero il tempo di residenza. Come conseguenza si ha che L non è una quantità scalabile illimitata, * poiché di fatto dipende dalle proprietà chimiche – fisiche del propellente.
La massa del sistema, camera di combustione più divergente, risulta proporzionale a:
(
)
2 * 2 d p M π D t L πD L L σ ∝ ⋅ ⋅ ⋅ ∝ ⋅ + (1.3)( )
1 2 e d g d A L A tg α = (1.4)dove t rappresenta lo spessore della parete di un certo materiale, avente carico di snervamento
s
σ , necessario a bilanciare la pressione in camera, mentre L può essere scritto come d
nell’espressione 1.4, semplicemente effettuando considerazioni di natura geometrica tra la sezione di uscita (A ), la sezione di gola (e A ) e l’angolo (g αd) del divergente.
Poiché come detto il parametro L non è una quantità scalabile a piacimento, il rapporto * spinta – massa, risulta anch’esso non scalabile del tutto, quanto meno per quanto riguarda la camera di combustione. Inoltre il rapporto spinta – massa non dipende neanche dalla pressione, come facilmente intuibile, poiché se la spinta dipende dalla pressione anche la massa del sistema dipende dalla pressione nella stessa maniera.
Tornando all’analisi dei fenomeni di riduzione di scala in microthruster senza combustione, la spinta F generata dall’espansione di un gas propellente attraverso una geometria convergente – divergente risulta proporzionale alla pressione totale del gas all’interno della camera (p ) e all’area minima o sezione di gola (0 A ) che il flusso incontra g
2
0 g 0 g
F ∝ p A⋅ ∝ p d⋅ (1.5) Dove con d , si è indicato il diametro della sezione di gola. Quindi una riduzione del g
livello di spinta può essere ottenuto in due diversi modi: • riducendo la pressione in camera;
• riducendo le dimensioni di gola.
L’espressione 1.5 denota come la riduzione di un fattore 100 del livello di spinta può ottenersi o riducendo la pressione totale di un fattore 100 oppure riducendo le dimensioni di un fattore 10. Per comprendere se sia meglio diminuire il livello di pressione o le dimensioni in gioco risulta conveniente effettuare un’analisi sul numero di Reynolds, definito dall’equazione 1.6 e meglio approfondito nel capitolo 2, il quale fornisce un’indicazione sull’efficienza del nozzle in termini di perdite viscose.
0 0 Re g g g g g x g u d p d T ρ μ ⋅ ⋅ ⋅ = ∝ (1.6)
Nell’espressione 1.6, x rappresenta un valore positivo generalmente compreso tra 1.2 e 1.5 a seconda del gas considerato, e tiene conto del fatto che la viscosità nei gas aumenta all’aumentare della temperatura di ristagno. In un’analisi degli effetti di scala, al fine di limitare le perdite viscose, sarebbe meglio mantenere costante il numero di Reynolds. Ovviamente tale osservazione è in contrasto con la riduzione del livello di spinta. Per comprende questo analizziamo tre casi, sempre riferiti ad una riduzione del livello di spinta pari a 100. Come visto precedentemente, per una pressione di ristagno costante, la riduzione di un fattore 10 delle dimensioni di gola implica si una riduzione della spinta di un fattore 100 ma anche un diminuzione di un fattore 10 del numero di Reynolds, a meno di non diminuire la temperatura del gas con conseguenze negative in termini di impulso specifico. Nel caso si riduca di un fattore 10 la pressione di ristagno, bisognerà ridurre di un fattore 10 anche il diametro di gola, al fine di garantire una riduzione del livello di spinta di un fattore 100. Tale diminuzione comporterà comunque una riduzione del numero di Reynolds di un fattore 10 10⋅ , maggiore rispetto al caso precedente e quindi meno performante. L’ultimo caso, decisamente il peggiore, vede la riduzione di un fattore 100 della spinta riducendo di un
fattore 100 la pressione di ristagno (sezione di gola inalterata) con conseguente diminuzione di un fattore 100 del numero di Reynolds.
Riassumendo in tabella 1.4 quanto detto fin ora, appare evidente che, al fine di mantenere l’efficienza del thruster il più possibile alta, conviene intervenire sulla riduzione delle dimensioni geometriche del dispositivo, piuttosto che sulla pressione. Ovviamente per avere la costanza del numero di Reynolds come effetto della riduzione della spinta, si può pensare di mantenere costante il prodotto p d0⋅ , ad esempio riducendo il diametro di gola di un g fattore 100 e aumentando la pressione di ristagno del medesimo fattore. Tuttavia questa ipotesi non vede riscontro nella realtà poiché in primo luogo, come vedremo in seguito, le microvalvole utilizzate e presenti al momento per ottenere ciò non consentono simili livelli di pressione e in secondo luogo il serbatoio in cui è stivato il propellente raggiungerebbe livelli inaccettabili in termini di volume occupato e massa.
Fattore di riduzione del livello di spinta (effetto) Riduzione diametro di gola (causa) Riduzione dell’area di gola (causa) Riduzione pressione di ristagno (causa) Riduzione numero di Reynolds (conseguenza) 10 100 NO 10 10 10 10 10 10⋅ 100 NO NO 100 100
Tabella 1.4: Impatto sul numero di Reynolds della riduzione del livello di spinta.
Nella trattazione vista fin ora, non si è tenuto conto dell’effetto della temperatura totale del gas anche se appare evidente dall’espressione 1.6, come un aumento della temperatura produca un ulteriore diminuzione del numero di Reynolds. Tuttavia poiché l’aumento della temperatura del gas è diretta responsabile dell’incremento dell’impulso specifico, pare conveniente discutere meglio tale parametro.
Senza entrare troppo nei dettagli, una trattazione esaustiva sull’impulso specifico verrà affrontata in seguito, l’impulso specifico per un dato propellente è direttamente proporzionale alla temperatura del gas stesso. L’aumento di temperatura quindi comporta benefici sulle performance del sistema di propulsione se tutta l’energia termica disponibile ai fini propulsivi
(oltre all’energia in pressione) viene convertita in energia cinetica. Cerchiamo quindi di capire, in termini di effetti di scala, cosa avviene aumentando la temperatura del sistema.
Considerando un microdispositivo, di lunghezza dx avente diametro D e spessore di parete t, il rapporto tra l’energia termica necessaria a scaldare il fluido all’interno del dispositivo (Qfluido) e l’energia termica necessaria a scaldare una porzione del dispositivo stesso (Qdisp) alla medesima temperatura può essere scritte come:
4
fluido fluido fluido disp disp disp
Q Cp D Q C t ρ ρ ⋅ ∝ ⋅ ⋅ (1.7)
Se il fluido in esame è un gas e il materiale considerato un allumino, il rapporto tra le densità, quantità non scalabile, è circa 10-4. Per quanto riguarda il rapporto diametro –
spessore parete, mentre nei dispositivi aventi dimensioni caratteristiche standard (non micrometriche) è pari a 102 - 103, bilanciando il rapporto tra le energie termiche, nei
microdispositivi è sostanzialmente pari ad un valore unitario. In conclusione il calore necessario a scaldare, o raffreddare, un gas è molto più piccolo se confrontato col calore necessario ad ottenere il medesimo effetto sul canale. Di conseguenza è la temperatura del canale a controllare i meccanismi di scambio di calore nei microdispositivi.
Lavorare con un gas caldo, su parete fredda non risulta poi cosi conveniente ai fini dell’efficienza totale del sistema poiché parte di questa energia viene persa ai fini propulsivi per scaldare la parete. Nei limiti di bilancio termico globale sarebbe meglio lavorare con gas e parete calda. Ovviamente tale operazione necessita di una potenza termica maggiore, poiché di fatto scaldo una zona avente sezione maggiore, rispetto alla potenza termica necessaria al riscaldamento locale del gas. Nei microdispositivi inoltre, sia le perdite di calore per irraggiamento che per convezione aumentano per effetto dell’elevato rapporto superficie – volume [6,7,8]. Per cercare di stimare il transitorio necessario al gas per portarsi alla temperatura di parete o viceversa, consideriamo un dispositivo in silicio, avente conducibilità termica k pari a 148 W/(m·K) e lunghezza caratteristica s L , che scambia calore con l’esterno s
ad un coefficiente di scambio termico per convezione h [W/(m2·K)], e valutiamone il numero
di Biot, definito come:
s s h L Bi k ⋅ = (1.8)
Poiché tale valore per i microdispositivi è < 0,1, indicando una temperatura all’interno del solido uniforme, è possibile utilizzare il lumped capacitance method [7] per valutare il rateo
di trasferimento di calore per convezione ottenendo la 1.9:
(
)
3 s 2 s s s s s dT L C hL T T dt ρ = − − (1.9)Dove ,ρs Cs sono rispettivamente la densità (2330 kg/m3) e il calore specifico del materiale (710 J/(kg·K)) alla temperatura uniforme T e T è la temperatura del fluido. La s
soluzione dell’equazione 1.9 può essere scritta nel seguente modo a partire da un temperatura iniziale T del materiale, equazione 1.10: i
( )
cost t s i T t T e T T ⎛ ⎞ −⎜⎝ ⎟⎠ − = − (1.10) cost s s32 s s L C hL ρ =Per quantificare il transitorio sono state effettuate delle simulazioni, i risultati sono mostrati in figura 1.3 - 1.5, per valutare l’andamento della temperatura di parete nel tempo di un microdispositivo, nel caso di parete fredda (T=300 K) e fluido caldo (T=800 K) e di parete calda (T=800 K) e fluido freddo (T=300 K).
In primo luogo, figura 1.3, è stato valutato il riscaldamento della parete del microdispositivo nel tempo a partire da una condizione iniziale di flusso interno al dispositivo a temperatura T=800 K e parete a T=300 K avente lunghezza caratteristica Ls =10 micron. Il transitorio necessario per giungere alla medesima temperatura è molto piccolo (inferiore al secondo) tanto più il coefficiente di scambio termico per convezione aumenta e tanto più la lunghezza caratteristica è bassa. Questo implica che le potenze termiche scambiate sono notevoli, e che quindi gran parte dell’energia termica viene dissipata. Successivamente si è cercato di quantificare il transitorio necessario al raffreddamento della parete, soggetta al raffreddamento per effetto dell’ambiente circostante, considerando sia la medesima lunghezza caratteristica, sia una lunghezza caratteristica maggiore, Ls = mm, riportate rispettivamente 1 in figura 1.4 e 1.5.
Figura 1.3: Distribuzione di temperatura a parete del dispositivo nel tempo (riscaldamento).
Figura 1.5: Distribuzione di temperatura a parete del dispositivo nel tempo (raffreddamento).
Il risultato a cui si giunge è che il transitorio t, necessario alla parete per raggiungere la temperatura dell’ambiente circostante parete è direttamente proporzionale alla lunghezza caratteristica del dispositivo. Inoltre per trasferire energia dal flusso alla parete e dalla parete all’ambiente circostante nel più alto tempo possibile bisognerebbe lavorare con elevate temperature di parete. Ovviamente ciò è in forte contrasto sia con la temperatura limite del materiale sia col bilancio termico complessivo del sistema. Infatti una temperatura di parete troppo elevata comporta uno scambio termico per irradiazione elevato che potrebbe danneggiare eventuali componenti o sistemi posti in prossimità del condotto. Quanto detto e visto fin qui mostra chiaramente come l’aumento dell’impulso specifico, ottenibile con l’incremento di temperatura del fluido, sia un aspetto delicato dal punto di vista del bilancio energetico dell’intero sistema. Concettualmente possiamo dire che l’aumento della temperatura del flusso comporto benefici per quanto riguarda l’impulso specifico, rispetto ad un gas a più bassa temperatura, ma al tempo stesso un calo della sua efficienza, poiché di fatto parte del calore non viene utilizzato a scopi propulsivi ma dissipato a causa delle perdite di calore.
Un ultimo aspetto da considerare negli effetti di riduzione di scala di notevole importanza è il rapporto potenza – massa del sistema. Poiché la sorgente primaria di potenza disponibile in un microsatellite è dovuta ai pannelli solari, possiamo dire che la potenza è proporzionale all’area dei pannelli stessi. Per quanto riguarda la massa essa è funzione, a parità di densità, del volume del satellite. Pertanto il rapporto potenza – massa segue la seguente legge di proporzionalità [15]: 2 0 3 1 P L P M L L η ρ ⋅ ⋅ ∝ ∝ ⋅ (1.10)
Dove η è il rendimento dei pannelli solari,P è il flusso termico del sole ed L è la scala dei 0
pannelli solari, paragonabile alla dimensione caratteristica del satellite. L’incremento di tale rapporto implica un aumento della funzionalità dl satellite rendendo possibile un aumento della strumentazione a bordo dello stesso a parità di potenza disponibile ovvero una riduzione della potenza utilizzata a parità di funzionalità.
1.4 CONCLUSIONI
Le tematiche affrontate nel presente capitolo hanno riguardato sostanzialmente la classe di satelliti che, in virtù delle loro masse, dimensioni e potenze disponibili, appartengono alla categoria di microsatelliti, motivandone da un punto di vista di impiego e costi il loro crescente sviluppo nell’industria aerospaziale e nella comunità scientifica. L’approccio di miniaturizzazione dei sistemi mediante lo sviluppo di tecnologie tipo MEMS rende possibile lo sviluppo di sistemi altamente integrati tra loro con la peculiarità di ridotte masse e potenze in gioco, con ovvi vantaggi non solo nei costi di progettazione ma anche nei costi di messa in orbita e di intera missione relativi ai microsatelliti, in opposizione ai tradizionali satelliti.
La possibilità concreta di realizzare costellazioni di microsatellite a basso costo, rende il mercato appetibile a tutti coloro che vedono nell’industria aerospaziale un mercato fiorente dal punto di vista della piccola progettazione a basso tempo.
La categoria dei microsatelliti, legata sostanzialmente a missioni in orbita bassa di tipo LEO, necessita di sistemi di micropropulsione in grado di fornire spinte ovvero momenti atti a contrastare le inevitabili forze di disturbo (gravità, resistenza aerodinamica, coppie di
disturbo,ecc.). Attualmente la comunità scientifica individua in due categorie di sistema di propulsione, di tipo elettrico e di tipo chimico, i sistemi in grado di assolvere tale compito. Se da una parte però i propulsori elettrici forniscono segnali positivi in termini di impulso specifico garantendo un maggiore Δv di missione, dall’altro le potenze in gioco non rendono tali sistemi, al stato attuale, utilizzabili per satelliti aventi masse inferiori ai 20 kg. Ecco quindi che la risposta può venire dai tradizionali sistemi a gas che, con l’avvento delle microtecnologie, risultano in grado di fornire livelli di spinta paragonabili ai propulsori elettrici ma con una modestissima potenza impiegata. Ovviamente come in molte discipline i requisiti di missione risultano fondamentali al fine di meglio definire quale sistema sia preferibile e perché. L’analisi degli effetti di riduzione di scala permette di valutare i vantaggi ma anche svantaggi derivanti dall’esigenza di disporre di livelli di spinta sempre più bassi. Se da una parte infatti la riduzione del livello di spinta comporta benefici in termini di basse potenze disponibili e masse via via sempre minori, dall’altra pone problematiche relative alle perdite di natura viscosa derivanti da flussi a basso numero di Reynolds e di natura termica, con conseguente impatto sull’efficienza del sistema stesso. Ancora una volta quindi il giusto compromesso risulta commisurato ai requisisti di missione.