CAP IV L’ONERE DELLA PROVA TRA VE RITA’ E VEROSIMIGLIANZA DEI FATTI.
24. S EGUE L A VERSIONE “ ESTREMA ” DELLE TESI SCAN DINAVE : LA TEORIA DELLA VEROSIMIGLIANZA PREVALEN-
TE
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Le più recenti dottrine svedesi giungono ad un punto estremo, af- fermando che nei casi in cui la legge non prevede espressamente un certo grado di verosimiglianza, né sussistono ragioni specifi- che perché il giudice lo ricostruisca, occorre comunque evitare il ricorso alla regola sull’onere della prova, che meno di ogni altra garantirebbe un risultato giusto. Spingendo alle estreme conse- guenze la teoria sul grado di verosimiglianza, si sostiene pertanto che, in mancanza di meglio, il giudice deve limitarsi ad accertare una sia pur leggera prevalenza di verosimiglianza delle prove: così sarebbe sufficiente per considerare provato un fatto il 51%. Anche un solo grado di verosimiglianza in più del 50% rende più vicino alla verità il fatto probandum di una parte piuttosto che quello dell’altra e di conseguenza sarebbe consentita al giudice una decisione razionalmente meglio motivata di quella presa in base alla regola sull’onere della prova. In tal senso si parla di Ö-
nel sistema italiano si potrebbe parlare di principio della preva- lenza (o della verosimiglianza prevalente).
Questo principio, a ben vedere, svolge la stessa funzione della regola sull’onere della prova, cioè la funzione di una “norma di chiusura” del sistema. Infatti, mediante la norma sull’onere della prova il giudice è posto nella condizione di pronunziare in ogni caso, anche quando egli non sia in grado di formarsi il proprio convincimento circa l’esistenza dei fatti rilevanti. Mediante l’
Überwiegensprinzip – parimenti – il giudice viene posto nella
condizione di giungere comunque ad una decisione, risultando di scuola il caso in cui non sia possibile stabilire una prevalenza sia pur minima (1%) tra le prove.
La teoria esposta ha esercitato una notevole influenza nell’esperienza tedesca 213, anche se secondo parte della dottri-
213 Vedi ad es. KEGEL, Der Individualanscheinsbeweis und die Verteilung der
Beweislast nach überwiegende Warscheinlichkeit, in DasUnternehmen in der Rechtsordnung. Festschrift für Kronstein, Karlsruhe, 1967, pag. 321 ss.; WAL-
TER, Freie Beweiswurdigung, cit., pag. 173 ss; MUSIELAK, Die Grundlagen der
Beweislast im Zivilprozeß, cit., pag. 109 ss.
Una certa eco si riscontra pure negli ordinamenti anglosassoni, ove comunque già in seguito ad una evoluzione autonoma, la valutazione delle prove è trattata in termini di calcolo matematico di chance.
Nel processo civile, infatti, si richiede all’attore di provare il fatto con «preponde-
rance of evidence», mentre il principio del «beyond reasonable doubt» continua
ovviamente a valere per il processo penale. (Sul punto, con riferimento all’ordinamento italiano, v. Cap. VI, § 32).
In questo contesto non manca neanche chi (vedi EGGLESTON, Evidence, Proof,
na214 la mera prevalenza di verosimiglianza non soltanto rende inapplicabile la regola sull’onere della prova ma esclude altresì la rilevanza del principio del libero convincimento, in quanto il giu- dice deve decidere anche se in realtà non possiede alcun ele- mento di convinzione diverso dalla “mera” prevalenza.
In particolare, secondo alcuni autori215 l’applicazione pratica del principio della verosimiglianza prevalente può portare a risultati insoddisfacenti nel caso in cui due ipotesi di fatto abbiano gradi di verosimiglianza solo lievemente diversi, e quello in cui esse abbiano valori diversi, ma entrambi assai bassi.
Nel primo caso, in cui ad es. l’ipotesi VX abbia un grado di vero- simiglianza del 80%, e l’ipotesi FX (o VY incompatibile) del 70%, ci si può chiedere se una differenza del 10%, poco rilevante nelle grandezze in questione, sia una base razionale sufficiente per considerare attendibile la prima ipotesi e scartare la seconda. Nel contesto in esame la risposta è affermativa: è razionale infatti considerare vera l’ipotesi più probabile, anche se lo scarto è ri-
abituale, ritiene che il fatto affermato in giudizio, in assenza di ogni prova, presenta più probabilità di essere vero piuttosto che falso.
214 Vedi ad es. PRÜTTING, Gegenwartsprobleme der Beweislast, cit., pag. 72 ss. 215 Vedi ad es. MOTSCH, Vom Prozess als Beweis zum Überwiegensprinzip, in
Gedächtnisschrift für J. Rödig, Berlin-Heidelberg-New York, 1978, pag. 334 ss.;
dotto. Ovviamente possono esistere contesti216 in cui questo crite- rio di decisione può risultare insoddisfacente per le ragioni più varie217, ma ciò non dimostra che esso sia in linea di principio ir- razionale. Ciò dimostra solo che possono esistere ragioni per cui esso è poco adeguato per scopi determinati, e che quindi possono indurre ad adottare criteri di altra natura. Peraltro, laddove queste ragioni non vi siano, e altri criteri non siano chiaramente formu- lati o non siano giustificatamente da privilegiare, il criterio della verosimiglianza (o probabilità) prevalente può ragionevolmente essere applicato anche quando la prevalenza derivi da uno scarto non particolarmente rilevante.
L’altro problema sorge, come si è detto, quando entrambe le ipo- tesi presentino gradi di verosimiglianza assai bassi. Se ad es. l’ipotesi VX presenti un grado di verosimiglianza del 30%, e l’ipotesi FX del 20%, il criterio in esame implica che si scelga VX come ipotesi attendibile, ma ciò porta ad assumere come “ve- ra” un ipotesi sul fatto che in realtà è (in termini assoluti) scar-
216 Vedi ad es. il nostro ordinamento, ed in genere tutti i sistemi in cui esiste una
regola esplicita che disciplina la ripartizione dell’onere della prova.
217 Prima fra tutte quella secondo cui spetterebbe al legislatore, e non al giudice, il
compito ripartire tra le parti il rischio del mancato chiarimento della situazione di fatto, nonché quello di stabilire i requisiti della prova, cioè quale debba essere il grado di prova necessario per considerare il fatto provato.
samente probabile. Questo inconveniente è reale e rilevante, ma esso non dimostra che il criterio in esame sia in generale irrazio- nale. Esso può essere infatti evitato prevedendo un limite minimo di verosimiglianza al di sotto del quale non è ragionevole consi- derare attendibile l’ipotesi sul fatto. In sostanza si può mantenere il criterio della probabilità prevalente con l’avvertenza che l’ipotesi che esso individua può essere assunta a base della deci- sione solo se essa è di per sé attendibile almeno al livello mini- mo (definito da un valore di verosimiglianza complessivo almeno pari al 50%). Se nessuna delle ipotesi sul fatto supera questo li- vello ci si trova in una situazione non identica ma analoga a quel- la in cui tutte le ipotesi valgono 0: di conseguenza la controversia dovrà essere decisa applicando la regola dell’onere della prova. Nelle ipotesi in cui non si ravvisa una evidente verosimiglianza si ritiene, pertanto, preferibile l’applicazione della regola tradizio- nale sull’onere della prova.
In ogni caso, la dottrina tedesca218, pur ritenendo (difficilmente applicabile) inapplicabile la versione “estrema” della teoria scan-
218 Vedi ad es. SCREIBER, Theorie des Beweiswertes für Beweismittel im Zivilpro-
zess, cit., pag. 13 ss.; SCHNEIDER, Beweis und Beweiswürdigung, cit., pag. 7 ss.;
dinava sulla verosimiglianza (Überwiegensprinzip), accoglie pressoché unanimemente la tesi secondo cui il convincimento del giudice non deve collegarsi alla verità, intesa come raggiungi- mento della certezza interiore, ma alla verosimiglianza. 219