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3. L'EMIGRAZIONE ITALIANA NELLE COLONIE: DUE AUTRICI ITALIANE EMIGRATE

3.2.3. Elementi che ritornano: viaggi, nomi, personaggi

I romanzi di Erminia Dell'Oro seguono un percorso similare, con personaggi e situazioni che si richiamano da un romanzo all'altro. Di certo, il primo elemento che ritorna è quello del viaggio, inteso sia in termini metaforici, come «il tentativo di ridisegnare la percezione del tempo e dello spazio, dell'identità come percezione di sé con l'Altro»642, sia come viaggio per sete di avventura, o come vera e propria emigrazione, per bisogni economici e per le leggi razziali. Benché le storie dei romanzi siano sempre agganciate alla realtà della loro autrice o a situazioni di cui lei stessa era venuta a conoscenza (racconti di amiche, come il caso di Sellas, protagonista de L'abbandono), è costante il riferimento alla storia internazionale che si dispiegava soprattutto negli anni '30 sotto l'Italia fascista. Molti dei suoi personaggi sono ebrei, e la presenza in sottofondo dell'ebraismo è stata analizzata come un fattore di instabilità, fonte di continua erranza, intesa come elemento costitutivo dell'essenza umana, che passa da padre in figlio, di generazione in generazione, simbolo di una «diaspora infinita […]. Il destino dell'erranza, che comporta quasi sempre un'infelicità diffusa e un senso di nostalgia perenne, accomuna l'autrice ai propri personaggi: la Dell'Oro ritrova nella cultura ebraica materna il simbolo del movimento perpetuo e lo estende ai protagonisti delle proprie opere trasformandolo in uno degli aspetti principali dell'uomo»643. Il viaggio, inoltre, è causa di solitudine, non sempre ben vissuta dai protagonisti. La condizione di solitudine come intrinseca nell'uomo e nel mondo è ben descritta nell'incipit de L'abbandono, dove perfino l'universo capisce di essere «solo, e per sempre»644. Come ha notato Maria Rosa Cutrufelli, la solitudine è una maledizione che, potremmo dire in maniera verghiana, «incombe su quanti, consapevolmente o in tutta innocenza, per la casualità del destino, rompono gli schemi di una società costruita su rigide contrapposizioni e barriere inviolabili»645. L'immagine letteraria dell'arcobaleno è impiegata dalla Dell'Oro come soluzione per lenire la solitudine del cosmo, malinconico per aver perso «quella scia di colori che lo aveva sfiorato» e ritorna ciclicamente alla fine del romanzo, a lenire la pena e la

642 M. Venturini, «Toccare il futuro». Scritture postcoloniali femminili, in R. Derobertis (a cura di), Fuori centro:

Percorsi postcoloniali nella letteratura italiana, cit., p. 121; Eadem, Controcanone, cit., p. 98 e seguenti.

643 Ivi, p. 60.

solitudine di Sellas, rimasta definitivamente sola, senza neanche più il ricordo di Carlo.

Ne L'abbandono, il viaggio è una costante che riguarda non solo l'italiano Carlo che va in cerca di un futuro economicamente più florido, ma anche Sellas, la giovane eritrea che lascia il suo piccolo villaggio all'età di dodici anni per costruirsi una vita più solida. La coppia che fa da contraltare a Carlo e Sellas è costituita dalla, ormai, vecchia Elsa e dall'ingegnere italiano: entrambi gli uomini delle coppie hanno abbandonato le giovani eritree innamorate, ma mentre l'ingegnere ha portato con sé la figlia nata da quella relazione, anche grazie alla sua pelle candida, che non le avrebbe creato alcun problema in Italia, Carlo lascia moglie e figli per paura delle ripercussioni del regime, che aveva imposto la legge contro il madamato646. Questa stessa legge fu istituita per la paura che le donne indigene non solo fiaccassero l'animo degli uomini italiani che avrebbero dovuto combattere e costruire il glorioso impero mussoliniano in Africa, ma anche che fossero causa di contaminazione della razza, con la nascita di figli deboli e malati. L'addomesticamento del genere femminile e il disciplinamento della sessualità della donna rientrano nel discorso nazionalista del mantenimento della purezza della razza, come analizza Anne McClintock, che mostra come la famiglia fosse il luogo in cui ogni differenza razziale doveva essere eliminata, per consentire la crescita e lo sviluppo della sola genealogia dei colonizzatori647. Come analizza Sandra Ponzanesi648, l'incontro tra il bianco colonizzatore e la donna nera (spesso chiamata “Venere nera”) all'inizio del colonialismo era considerato normale, specialmente per la mancanza di donne europee all'interno delle colonie. Tuttavia, il diffondersi di un cospicuo numero di individui meticci assunse presto i tratti di una vera e propria minaccia, poiché questi erano più simili ai colonizzati e mai abbastanza bianchi per somigliare ai colonizzatori. Essi costituivano un pericolo per la salute politica interna alle colonie poiché infrangevano, di fatti, i netti confini tra padroni e indigeni, costituendosi come un gruppo sociale inclassificabile, che minava la sicurezza dell'impero. Nel suo saggio, Ann Laura Stoler crea un forte collegamento tra quello che lei definisce «colonial order of things» e la sessualità649. Proprio perché il métissage era diventato una minaccia, «the paramount danger to racial purity and cultural identity in all its forms», si decise di inviare nelle colonie donne europee, che iniziarono ad incarnare perfettamente il ruolo di portatrici di quella moralità occidentale e borghese, al di fuori della quale tutto il resto era considerato devianza e degenerazione. Le donne europee avevano il compito, quindi, di ridefinire i confini tra colonizzatori e colonizzati, resi

646 Cfr. S. Ponzanesi, The Color of Love: Madamismo and Interracional Relationships in the Italian Colonies, in «Research in African Literatures», Vol. 43, N. 2, Summer 2012, pp. 155-172.

647 Cfr. A. McClintock, Imperial Leather: Race, Gender, Sexuality in the Colonial Contest, Routledge, New York- London, 1995.

648 S. Ponzanesi, Paradoxes of Postcolonial Culture. Contemporary Women Writers of the Indian and Afro-Italian

Diaspora, State University of New York Press, New York, 2004, p. 148.

649 A. L. Stoler, Making Empire Respectable, in A. McClintock, A. Mufti, E. Shoat (a cura di), Dangerous Liaison.

sfumati dai meticci, e furono direttamente responsabili della diffusione del razzismo e dell'inasprirsi dell'incontro coloniale. Anche Erminia Dell'Oro conferma questa realtà, confessando:

A me si diceva sempre di non frequentare le ragazzine meticce. “Guai a te se avrai amiche meticce”, sentivo dire dalle altre madri, “perché sono tutte delle puttanelle”. Questo mi è rimasto molto impresso come un senso di colpa650;

C'erano anche delle suore, e io me le ricordo bene. Probabilmente erano venute ad Asmara senza nessuna cultura: era orribile vedere come trattavano le bambine meticce. Dicevano loro cose tremende: “Tu sei il frutto del peccato, devi redimerti”651.

All'interno de L'abbandono, è rappresentata sia la scena delle suore che obbligano Marianna a radersi i capelli, sia il continuo disprezzo che le signore da bene e le madri eritree provano verso di lei. Situazione che si ripresenta anche ne La gola del diavolo, dove la bambina meticcia, Cettina, è allontanata e vista con sospetto dalla famiglia di Lù. Possiamo considerare, quindi, anche i meticci come delle vittime del colonialismo, il cui potere si esplica nella capacità di creare una struttura sociale grazie alla produzione del discorso, di cui teorizzava Foucault: «la formulazione effettiva del discorso cerca di cogliere il suo potere d'affermazione; e con ciò intendo non un potere che si opporrebbe a quello di negare, ma il potere di costituire ambiti d'oggetti, a proposito dei quali si potranno affermare o negare proposizioni vere o false»652.

Il rapporto tra Carlo e Sellas è esemplificativo proprio della relazione tra colonizzato e colonizzatore, come analizza Lidia Curti: «Her love for him turns into rancor and hate, a kind of metaphor of the feelings of the East Africans towards the ex-colonizers»653. Inoltre, i due si incontrano al faro, luogo di confine tra mare e terra654, quindi all'incrocio di due mondi, nello spazio da Bhabha definito ibrido, ovvero: «lo spazio supplementare al di là dei confini della Nazione, in cui culture diverse pur adiacenti e contigue non si sommano né si contrappongono, ma danno vita a nuove forme di significato e nuove strategie di identificazione»655. Lo spazio, in questo caso, anticipa la caratteristica della protagonista della seconda parte del romanzo, Marianna, meticcia, anche lei ibrida, nata dall'unione tra Carlo e Sellas. Il romanzo, infatti, non si limita a raccontare il

650 E. Dell'Oro, Il colonialismo italiano in Eritrea, cit., p. 57. 651 D. Comberiati, La quarta sponda, cit., p. 98.

652 M. Foucault, L'ordine del discorso, cit., p. 53.

653 L. Curti, Female literature of migration in Italy, cit., p. 65.

654 M. Venturini, «Toccare il futuro». Scritture postcoloniali femminili, cit., p. 115.

655 H. K. Bhabha, Nazione e Narrazione, citato in L. Curti, La voce dell'altra, cit., p. 152. «È negli interstizi – emersi dal sovrapporsi e dal succedersi delle differenze – che vengono negoziate le esperienze intersoggettive e collettive di appartenenza ad una nazione, di interesse della comunità e di valore culturale». Idem, I luoghi della cultura, cit.,

rapporto proibito tra un colonizzatore e una giovane eritrea, ma dedica ampio spazio all'analisi delle conseguenze che la paura e le leggi razziali hanno generato sulla vita di Marianna e della sua famiglia. In questo senso, lo spostamento del focus, nella seconda parte del romanzo, da Sellas alla figlia è necessario, per la scrittrice, non solo per affrontare e condannare la drammatica condizione dei meticci, ma anche per creare, attraverso il personaggio di Marianna, la figura di una donna capace di fronteggiare il suo destino, di creare la propria autonomia e di ricostruire la sua storia. Infatti, Marianna, una volta diventata grande, dopo aver subito l'odio della madre che nel viso della figlia ritrovava incessantemente il ricordo di Carlo che l'aveva abbandonata, e dopo aver deciso di partire per l'Italia, ripercorre la storia di Carlo Cinzi e scopre la verità che le era stata nascosta da Sellas. Le sue caratteristiche di resistenza e dinamismo e la sua capacità di saper parlare l'italiano rendono Marianna un soggetto postcoloniale, nata dall'incontro coloniale, di cui ora è costretta ad essere sofferta testimonianza vivente.

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