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Emozioni e corpo tra tecnica e pratica teatrale

Gli attori agiscono sul palco, ne occupano uno spazio e grazie al volume del loro corpo influiscono sulla componente scenica. Nel Novecento chi interpreta un personaggio assume il ruolo di performer. La performance rappresenta la messa in pratica di azioni che risultano inusuali, rispetto alle attività che si svolgono nella vita di ogni giorno, mettendo in risalto delle abilità come il canto o la danza. In questo frangente il performer è un attore capace di attirare la curiosità del pubblico. Non si seguono più i manuali del passato come il testo di Luigi de Sommi: Quattro dialoghi in materia di rappresentazione scenica del 1589 o il Prontuario delle pose 50 sceniche di Alamanno Morelli del 1854. Nel Prontuario delle pose sceniche gli insegnamenti sono 51 indirizzati ad affinare la modulazione della voce ed esprimere con maggior enfasi la mimica facciale e la postura del corpo. Per l’attore romantico dell’Ottocento l’obiettivo è di affascinare lo spettatore grazie alla gestualità estrema e alle emozioni portate agli eccessi, mentre la corporeità viene rilegata a strumento secondario. Nel Novecento, invece, il corpo assume il ruolo di protagonista della rappresentazione drammatica, l’attore deve riconquistare il suo statuto originario e la sua fisicità poiché la corporatura si trasforma e diventa un mezzo concreto, capace di esprimere i sentimenti in modo immediato. Il cinema e la televisione hanno influito nel creare una nuova forma di azione teatrale e hanno modificato anche gli interessi del pubblico che osserva la scena, il cinema infatti ha prima affiancato e successivamente sostituito il teatro. Il mezzo cinematografico rispecchia il principio di

Leone De’Sommi (1525-1590), ha scritto i fondamenti per la storia del teatro moderno con i Quattro dialoghi in materia di

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rappresentazioni sceniche, giunti a noi grazie ad un manoscritto datato tra il 1556 e il 1589. In questo elaborato Leone

De’Sommi propone il primo manuale di tecniche recitative e di messa in scena. Se inizialmente il lavoro svolto dall’attore è per lo più basato sull’improvvisazione, nella seconda metà del secolo questo impiego assume un carattere di rilievo con la conseguente necessità di stabilire un codice di regole e comportamenti da seguire all’interno delle scene. Leone De’Sommi all’interno del manuale i Quattro dialoghi in materia di rappresentazione scenica, stila un’analisi accurata dell’intonazione della voce, della dizione che deve essere precisa e non rapida, del linguaggio del corpo, della cura dei costumi e del trucco. Nella seconda metà del Cinquecento viene richiesto sulle scene il maggior realismo possibile, realismo che deve essere dato tanto dalla recitazione quanto dall’apparato scenografico in cui si prediligono gli sfondi a carattere urbano, preferibilmente vedute di esterni con l’uso dell’illuminotecnica.

Ferruccio Marotti, Leone De’Sommi, Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, Milano, Il Polifilo, 1968.

Alammano Morelli (1812-1893) scrive il manuale: Il prontuario delle pose sceniche. Elaborato in forma dialogica,

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assembla le note, le osservazioni e i precetti per permettere all’attore di avere delle basi tecniche e delle regole da seguire per migliorare la propria esecuzione drammatica. Alamanno Morelli spera in un rinnovamento della scena e auspica la nascita di una nuova drammaturgia nazionale capace di contrapporsi al modello francese. Alamanno Morelli, Manuale dell’artista drammatico: Cinque dialoghi per Alamanno Morelli col prontuario delle pose sceniche ed

verosimiglianza con il dato realistico, Charles Dullin nel 1927 dice che: “Il cinema con la sua verità ha ucciso il naturalismo” tuttavia la vera complicazione arriva con il mezzo televisivo 52

poiché la televisione ha la capacità di catturare e mostrare la realtà nel suo farsi agli occhi dei telespettatori, trasmettendo le notizie e le immagini in tempo reale. La fisicità nella recitazione è un tema importante, lo stesso Vittorio Gassman descrive l’utilità che si ricava dal saper usare il corpo nella messa in scena. Nella sua autobiografia: Un grande avvenire dietro le spalle, infatti, racconta come all’inizio della sua carriera il saper gestire la sua altezza sul palco si sia rivelata una problematica, tanto è vero che nell’audizione che ha sostenuto per entrare nell’Accademia d’arte drammatica, alcuni dei suoi docenti avevano mosso un’obiezione ad ammetterlo ai corsi proprio per via della sua alta statura. Altezza, voce e fluidità nei movimenti sono tre elementi chiave che vanno presi in considerazione quando si parla di recitazione e che, autori come Kostantin Stanislavskij, Vsevold Mejerchol’d, Adolphe Appia, Gordon Craig, Jerzy Grotowski ed Eugenio Barba hanno analizzato nei loro scritti.

Stanislavskij da forma alla regia teatrale e alla ricerca, quasi ossessiva, di un metodo capace di agire sulle emozioni in modo da controllarle. La regia compare con la compagnia teatrale fondata dal duca Giorgio II di Meininger insieme a Ludwig Chronegk, tra il 1874 e il 1890. I Meninger pongono le basi per una nuova capacità espressiva in cui subordinano gli allestimenti e arginano l’impulso anarchico dell’attore quando recita sul palco. Richard Wagner in maniera analoga si interroga sulla possibilità della creazione di un’opera d’arte unitaria e specifica la sua idea:

Danza, musica e poesia, le arti sorelle, passarono dall’abbraccio in cui erano nate alla competizione. La scena del Dramma, che attraverso la loro presenza congiunta, si era rivelata come la piattaforma più idonea per captazione del sensorio umano, si frantumò (…). La parola poetica non può rimanere una parola scritta essa ha bisogno del corpo umano come suo supporto di una fisicità che liberandosi dallo spazio della scena secondo il ritmo plastico e la vocalità che le è particolare, riceva dalla musica il quoziente necessario a trasformare questo ritmo e vocalità in un dinamismo espressivo e in tessuto melodico, atto a colpire le corde del sentimento (…). In questo modo un’ideale circolarità verrebbe a stabilirsi tra parola, musica e danza: la prima come strumento di trasmissione delle idee trovando nella seconda una lingua per tutti gli uomini capace di comunicare quanto di più impenetrabile vi è nell’intuizione dell’artista ed entrambe usando come espressione plastica della rappresentazione teatrale . 53

Luigi Allegri, L’artificio e l’emozione: l’attore nel teatro del Novecento, Roma Bari, Laterza, 2009, p. 11

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Richard Wagner, Musica dell’avvenire, Milano, Bocca, 1893, p.22

Per Stanislavskij è necessario rendere la scena aderente alla realtà sia dal punto di vista dimensionale che topografico grazie all’osservazione diretta. Stanislavskij cerca di conferire autenticità all’espressività dell’attore, eliminando gli stereotipi, i cliches e l’effetto di straniamento recitativo. Per il Teatro d’arte di Mosca, Stanislavskij, chiama a lavorare una troupe di dilettanti non influenzati dalle tecniche e metodologie tipiche di quel tempo, disponendo degli attori come se fossero dei manichini e sottoponendoli ad una serie di pratiche fisiche e mentali. Stanislavskij cerca di effettuare una rigenerazione morale nei confronti della figura dell’attore con annessa una riqualificazione estetica dell’opera teatrale. Nel suo teatro, Stanislavskij, non ammette una graduatoria di importanza per coloro che recitano ed il teatro assume le fattezze di un santuario. Il dettato registico e l’interpretazione fluiscono nella memoria affettiva, infatti, nell’attimo in cui l’attore cessa di recitare secondo copione, incomincia a vivere il dramma identificandosi con il protagonista. Nella stessa maniera in cui il personaggio principale dell’opera riflette in modo spontaneo l’anima di colui che recita, cade l’angoscia di un emozione che altrimenti apparirebbe discontinua, e sempre a metà strada tra il meccanico richiamo delle risorse del lavoro ed i pochi momenti di verità generati dalla voce e dal gesto dettati dall’inconscio.

Stanislavskij analizza la recitazione d’istinto, propone un’analisi in cui delimitando entro lo spazio delle azioni fisiche anche quello interiore, si genera una forma di concentrazione in cui si rimuove un significato negativo, un agente, che causa disturbo e che altrimenti rischierebbe di disorientare l’attore nello svolgersi dello spettacolo. Una difficoltà è data dalla contrazione muscolare che impedisce all’interprete un completo dominio del proprio corpo influendo sulla resa espressiva, da qui il volere da parte dell’autore, di togliere ogni possibile impedimento per dare sfogo al flusso emotivo dell’interprete. La creatività si sposta dall’interno verso l’esterno, se l’identificazione con il personaggio implica il non recitare ma il vivere, la conseguenza diretta è un ribaltamento, su se stesso, delle situazioni di cui il protagonista della storia è portatore. L’attore immagina se stesso nei panni di dramatis persona, finisce per interrogarsi dall’esterno sulle emozioni che dovrebbe provare per far emergere ciò che realmente percepisce. Il sé dell’attore genera l’immagine addormentata che è presente in se stesso, grazie alle circostanze che sono date dalla scena, le quali permettono di dare origine ad un movimento interiore sublimato nell’inconscio. Colui che recita estrapola dal copione un sottotesto plasmato sul propio vissuto emozionale e suoi propri ricordi. Il lavoro necessario per elaborare un carattere, diventa una ricerca interiore, sfruttando la memoria inconscia si da il via al processo di reviviscenza che altro non è che il momento costruttivo basato sulle leggi

spirituali, fisiche e sulle verità del sentimento degli esseri umani. Non bisogna cedere all’impulso di una recitazione d’istinto, ma bisogna disciplinare le emozioni e soggiogarle alle necessità richieste dall’opera d’arte. Risulta inevitabile mettere in scena una spontaneità controllata, l’identificazione tra attore e personaggio deve seguire le regole del transfert emotivo così da arginare un ipotetico spostamento della personalità di chi interpreta in quella del personaggio descritto dal copione:

L’attore vive, piange e ride, in scena, ma piangendo e ridendo osserva il suo pianto e il suo riso. In questa duplice vita, in questo equilibrio tra vita e finzione sta l’arte dell’attore . 54

Nella poetica simbolista compaiono due diverse interpretazioni della fisicità: la prima parla della fisicità di corpi ed oggetti che posti al contrario della dimensione spirituale implicano di conseguenza una de-teatralizzaione, nella seconda il teatro non può abbandonare la sua dimensione scenica-visiva. Stanislavskij elabora quattro regole che un attore deve rispettare se vuole una resa ottimale della sua performance sul palco: per prima cosa deve avere un impatto con il personaggio che si appresta ad interpretare, successivamente deve fare un’analisi del carattere, poi deve adoperarsi per la creazione ed animazione di circostanze esteriori nei confronti della trama della storia ed in fine deve dare forma alle circostanze interiori del dramma. L’incontro tra il personaggio della storia e chi lo interpreta viene sottoposto ad analisi: il disegno diventa il corpo umano ed il libro si trasforma nel palcoscenico. In una lettera per Aleksej Ivanovic datata febbraio 1937, Stanislavskij scrive nei confronti del suo testo appena pubblicato: Il lavoro dell’attore sul personaggio:

Il mio libro non ha pretese scientifiche. Ci sono sensazioni creative che non possono essere cancellate senza un grande danno per l’arte stessa. Quando qualcosa di interiore (l’inconscio) si impossessa di noi, non ci rendiamo più conto di ciò che ci succede. E’ dagli altri che l’attore viene a sapere che cosa ha fatto in scena in quei momenti e sono i migliori momenti del nostro lavoro . 55

Secondo l’autore quando un attore si trova davanti ad un testo da analizzare deve prima leggerlo e poi studiarlo rispettando sette livelli di conoscenza: esteriore, dei fatti, del quotidiano, della psiche, del fisico, delle sensazioni dell’interprete e dell’estetico. Ciò che poi

Kostantin Stanislavskij, Il lavoro dell’attore, Roma bari, Laterza, 1968, p. 328

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Kostantin Stanislavskij, Il lavoro dell’attore sul personaggio, Roma bari, Laterza, 1988, p.XV

conta è l’immaginazione di chi, secondariamente, andrà ad interpretare il copione. L’immaginazione deve essere alla base di ogni azione altrimenti non può esistere la creazione. Un altro autore che si dedica allo studio della fisicità del corpo nello spazio è Mejerchol’d, il quale crede che il lavoro dell’attore deve essere lasciato libero rispetto al volere imposto dal regista, secondo lui non deve mancare il momento dello sviluppo del soggetto. Vsevolod Mejerchol’d propone la tecnica del teatro mobile in cui gesti, movimenti, non devono essere limitati per un volere registico, si scontra contro il modello di plasticità statuaria per recuperare la corporeità dell’attore e della spazialità del palco e propone un ritorno all’origine del teatro in quanto binomio tra danza e pantomima. Mejerchol’d lavora alla creazione di uno spettacolo totale generato dalla somma di musica, pittura e danza. Lo spazio scenico appare talmente ridotto che agli attori risulta impossibile mettere in atto un genere di scena naturalistica, l’unica recitazione che viene permessa ricorda immagini che si staccando dal fondale come dei basso rilievi che prendono vita, la loro gestualità appare lenta e quasi astratta.

Nel testo: I primi tentativi di teatro della Convenzione inserito nella raccolta Sul teatro, Mejerchol’d afferma:

E’ necessario scandire fluidamente le parole (…). Il tono deve essere sempre sostenuto, le parole devono cadere come gocce in un pozzo profondo (…) . 56

Il sipario non viene più utilizzato in modo da poter usufruire di tutto il perimetro del proscenio e lo spettacolo viene posto a stretto contatto con il pubblico in quanto non vi sono elementi di divisione tra la scena e la platea. La recitazione, di conseguenza, subisce una modifica, non si basa più sulla resa psicologica ma si pone in un rapporto di mediazione con lo spettatore. Chi recita diventa un attore bio-meccanico, Mejerchol’d si sofferma nello studio della gestualità e nel potenziale fisico del corpo che si esprime tramite la biomeccanica e gli esercizi ginnici-acrobatici che permettono di ri-funzionalizzare l’elasticità corporea. Nel 1917, l’autore, aderisce alla rivoluzione russa e nel 1922 tiene una conferenza L’attore del futuro mentre negli anni che vanno dal 1918 al 1939 propone l’Ottobre Teatrale grazie al quale inserisce nello studio del teatro materie come: la tecnica del movimento, la dizione musicale del dramma, la commedia dell’arte per valorizzare le azioni fisiche, la pantomima e il corpo come elemento cardine della narrazione drammatica. Nell’Ottobre Teatrale la formula

Luigi Allegri, L’artificio e l’emozione: l’attore nel teatro del Novecento, op.cit., p.80

impegnata per descrivere la recitazione è data dalla somma delle azioni dell’attore e dalla materia che viene trattata: N = A1 + A2 (N indica chi recita, A1 sta a rappresentare il costruttore che impartisce un azione e definisce il compito da svolgere e A2 indica il corpo dell’attore) . Questa formula costruttivista prevede che colui che interpreta un ruolo riesca ad 57

organizzare personalmente il materiale utile per rendere al massimo l’espressività del propio corpo. Nel Novecento si assiste ad una lotta tra emozione e corporeità, è necessario studiare il proprio fisico e la muscolatura al fine di sapere con precisione come esso si pone e appare nella posizione assunta sul palcoscenico.

Con Appia e Craig il problema dell’unità teatrale viene risolto nel tentativo di dare origine ad un’unica espressione estetica. L’atto scenico ed il movimento si uniscono contro l’uso della parola scritta, la quale, deve essere eliminata in favore di un’espressione dettata dallo spazio fisico della rappresentazione. Appia propone una messa in scena funzionale allo “strumento corporeo” e Craig elabora alcune teorie legate al tema della super marionetta come: “un’animazione dell’inorganico” per mezzo di un corpo organico.

Entrambi gli autori concordando nell’eliminazione dello scenario pittorico che assume il ruolo di antipodo nei confronti dell’espressione, inoltre, viene abolito il fondale dipinto con finalità illusionistiche. La pittura deve trasformarsi diventando: colore, ritmo, linee dinamiche e la luce si evolve in illuminazione mobile, chiaro e scuro che plasmano il nuovo spazio teatrale. Il principio di realtà viene superato in cambio di un ambiente ideale che assume le fattezze di un non-luogo poetico. Appia idealizza il corpo umano come un corpo collettivo, il fisico dell’uomo unito alla musica può accedere al valore universale dato dalla forma, mentre Gordon Craig vuole eliminare ogni residuo di umanità nei movimenti dell’attore che deve trasformasi in manichino, oggetto spersonificato.

Appia coniuga al movimento la musica poiché essa libera da ogni necessità di significato. L’attore diventa intermediario tra la partizione ritmica e la forma da mettere in scena, sono i movimenti del corpo di chi interpreta che scandiscono lo spazio della rappresentazione che diventa luogo praticabile e tridimensionale. Protagonista assoluta è la luce, fluida e attiva genera giochi di ombre e di vita, modifica i rapporti cromatici delle forme degli oggetti e porta nuovi significati. Il movimento, per Appia, non è più un mero elemento ma diventa una modalità dell’essere umano. Appia progetta nel 1909 gli Spazi ritmici ovvero delle proposte di scenografie dove è lo spazio, in quanto protagonista, che prende vita tramite ritmo, musica e

Ivi, pp. 81-86

colore. Il contrasto è creato dallo scontro di forme arrotondante come quelle del corpo umano e da prismi e volumi dei materiali inanimati.

Craig, invece, si concentra nella creazione di un teatro cinetico-visivo dove il naturalismo deve essere cancellato insieme all’attore-soggetto. La super marionetta in quanto oggetto privo di vita e di anima, prende il posto di chi recita sul palco. La marionetta è l’unica che può permettere di restituire al linguaggio scenografico una configurazione di genere simbolico. Per Craig il ruolo della regia è di essenziale importanza, quando il regista interpreta in realtà attiva il circuito dell’immaginazione. Il problema che l’autore deve affrontare è il rapporto che si crea tra il testo e la traslazione visiva: linee e colori diventano espressioni di stati d’animo, la linea per via della sua capacità di comunicare tensione ed il colore per le sue qualità di chiaroscurali. Con il suo lavoro, Craig, cerca di oggettivare una dinamica interiore dove ogni possibilità comunicativa deve essere originata dal movimento. La sua ricerca si focalizza sulla creazione di un teatro astratto capace di colmare il divario tra organico e geometrico. Craig propone il principio del parallelismo e il principio del contrasto grazie alla combinazione degli effetti ottici: trova il vivente grazie alla luce, rende percepibile il pulsare della vita e cerca di stabilire, poi, quale sia l’elemento normativo dell’essere organico. Craig rifiuta la fisicità umana per una resa estetica ed identifica due tipi di movimento: il movimento del due e del quattro, che assumendo la forma del quadrato, viene associato al genere maschile mentre il movimento dell’uno e del tre che ricorda l’idea del cerchio, richiama il genere femminile. Il danzatore effettuando questi movimenti può percepire se stesso come forma pura:

Recitare non è un’arte, è quindi intatto parlare dell’attore come di un’artista, perché tutto ciò che è accidentale è nemico dell’artista. Arte è in antitesi assoluta con il caos. All’arte si giunge di proposito. Tutta la natura umana tende verso la libertà e uomo reca nella sua stessa persona la prova che come materiale per il teatro egli è inutilizzabile. Nel teatro moderno poiché ci si serve come materiale del corpo di uomini e donne, tutto quel che si rappresenta è di natura occidentale. Le azioni fisiche dell’attore, le espressioni del volto, il suono della voce, tutto è in balia dei venti delle sue emozioni e se è vero che questi venti spirano in continuazione attorno all’artista, non ne turbano mai l’equilibrio (…). Attore succube dell’emozione, come per il momento così succede per le espressioni del volto la mente lottando riesce per un momento a far muovere gli occhi o i muscoli del volto secondo la propria volontà ma appena riesce per pochi istanti a tenere il volto in soggezione, subito viene sopraffatto dall’emozione. Alla voce accade la stessa cosa, l’emozione

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