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Un enorme campo di concentramento

1.Iraq delendum est

1.3 Un enorme campo di concentramento

Con la risoluzione 661 del 6 agosto 1990 le Nazioni Unite imposero tramite il Consiglio di Sicurezza, organo volto a promuovere la pace e la sicurezza globale, un embargo all'Iraq, proibendo l'importazione e l'esportazione di qualsiasi prodotto, anche di prima necessità. Lontano dalle proclamazioni del proprio Statuto, volto a difendere gli inermi, le United Nations hanno preso parte alla costruzione di un immenso campo di concentramento, rendendosi responsabili della distruzione sociale ed economica, nonché fisica, di un intero popolo:

«Devastato dal cataclisma dei bombardamenti e privato della possibilità di ricevere dall'esterno il necessario per l'assistenza e la sopravvivenza della popolazione, con un embargo su tutti i prodotti, compresi i medicinali e il cibo, impossibilitato ad acquistare e a ricevere i pezzi di ricambio per ricostruire le infrastrutture, specialmente quelle per la depurazione delle acque e per l'energia elettrica, l'Iraq rimarrà isolato dal resto della comunità internazionale per oltre undici anni, come un enorme campo di concentramento. L'Unicef e le organizzazioni internazionali umanitarie forniscono il dato terribile della morte di oltre 500 000 bambini sotto i cinque anni: vittime della conseguenza dell'embargo, a una media di 4000-6000 bambini al mese.»441

Dietro la scusa di dover contrastare il riarmo da parte del dittatore Saddam, le Nazioni Unite hanno di fatto legalizzato il perpetrarsi di un genocidio442, laddove la Carta su cui

si fondano proibisce di far morire di fame e di malattie le popolazioni, per qualsiasi finalità, politica, economica o militare che sia. Un rapporto della Fao dell'ottobre 1997

441Ivi, p. 32.

442Cfr. Halliday, Denis J., «The Deadly and Illegal Consequences of Economic Sanctions on the People of Iraq», Brown J. World Affairs, n. 229, 2000.

constata che dall'imposizione delle sanzioni nell'agosto del 1990, la penuria alimentare e la malnutrizione sono diventate gravi e permanenti443. Non solo, tutta l'attività

economica è crollata, e con essa la vita sociale. Tra il 1990 e il 1999 si assistette ad una svalutazione della moneta nazionale del 20 000%, la situazione sanitaria venne fatta ricadere a quella di inizio secolo, furono oltre 8000 le scuole costrette a chiudere. L'impossibilità di ripristinare le infrastrutture essenziali distrutte dai bombardamenti “umanitari” rendeva impossibile la ripresa economica del paese. La speranza di vita precipitò vertiginosamente da 61 a 46 anni per gli uomini e da 64 a 57 per le donne444.

Con la risoluzione 986 del 15 agosto 1991, denominata “Oil for Food”, petrolio in cambio di cibo, le Nazioni Unite permettono all'Iraq di vendere petrolio in cambio di beni essenziali quali medicinali e viveri. La “benevolenza” delle United Nations si palesa ancora una volta in tutta la sua falsità. Il piano si dimostra infatti insufficiente e inadeguato: la razione giornaliera autorizzata non copre infatti tutta la popolazione e non è nemmeno una razione sufficiente per quanti possano beneficiarne. Le persone che riescono a sopravvivere rimangono prive del necessario apporto di vitamine e proteine, mancanza che causa spesso gravi patologie. Nel rapporto del 12 agosto 1999445 l'Unicef

conferma la morte di 90 000 bambini l'anno in Iraq, vittime dell'embargo; la mortalità infantile è passata dal 23 per mille nel 1990 al 130 per mille nel 1998.

L'Occidente si lava ancora una volta le mani, chiude gli occhi di fronte ai propri misfatti e accusa l'Iraq di non distribuire correttamente i medicinali inviatigli: la verità è che non vi sono i mezzi per farlo, dai pezzi di ricambio per i veicoli alle ferrovie inesistenti. Nelle condizioni in cui versa l'Iraq annientato dai bombardamenti degli Stati Uniti e dei suoi alleati, bombardamenti, ricordiamolo, avallati dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, è impossibile distribuire le medicine in maniera adeguata446. Ma il

programma “Oil for Food” non permette di dirottare il denaro per la ricostruzione e le

443Benjamin, Jean-Marie, op. cit., p. 97. 444Ibid.

445Iraq Child and Maternal Mortality Surveys, disponibile all'indirizzo <http://fas.org/news/iraq/1999/08/990812-unicef.htm> (febbraio 2016).

446Come ricorda lo stesso funzionario Onu Michael Stone, citato in: Ahmed, Nafeez Mosaddeq, op. cit., p. 94.

infrastrutture del paese, della sua rete idrica o di smaltimento dei rifiuti, per la riabilitazione del settore dell'elettricità, per la ricostruzione degli ospedali447. L'Iraq non

può infatti disporre liberamente dei soldi provenienti dalle vendite del petrolio: questi vengono depositati su un conto della Banque Nationale de Paris presso l'Onu e possono essere utilizzati solo per comprare cibo e medicinali dall'estero. Per di più il ministro iracheno della sanità, Omaid Methat Mubarak, denunciò le mosse meschine di Stati Uniti e Gran Bretagna nel creare sistematicamente problemi sull'approvazione dei contratti firmati con le società, grazie al sistema delle “trattenute”, per il quale un membro della Commissione per le Sanzioni può ritardare l'approvazione di una richiesta e solo quello stesso membro della Commissione può sbloccarla448. Questo quanto

avvenne con la fornitura di sacche di sangue e kit per la trasfusione: quando la concessione di questi ultimi, precedentemente impedita, venne finalmente sbloccata, le sacche di sangue in precedenza concesse avevano già raggiunto la data di scadenza449.

Altro esempio sconcertante è dato dal rifiuto della Gran Bretagna di spedire in Iraq vaccini per uso pediatrico, con il pretesto che Saddam avrebbe potuto usarli per fabbricare armi di distruzione di massa450 (tra l'altro questo avvenne nel 1999, quattro

anni dopo che l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica riconobbe che l'Iraq non era in grado di fabbricare armi di distruzione di massa, come ribadiremo in seguito). Intanto, però, la propaganda occidentale esaltava gli “aiuti umanitari” concessi amorevolmente dalle nazioni più sviluppate ai popoli “per natura” o “per cultura” più svantaggiati, secondo i dettami dei più puri principi della civiltà liberal-democratica. «Circa sedici miliardi di dollari in aiuti umanitari sono stati messi a disposizione del popolo iracheno l'anno scorso», asserì il ministro degli Esteri britannico Peter Hain proferendo una spudorata menzogna: alcuni documenti ufficiali dell'Onu riferiscono che tale cifra fu distribuita su quattro anni451 – la magica moltiplicazione dei pani e dei pesci

447Benjamin, Jean-Marie, op. cit., p. 110.

448Cfr: Herring, Eric, «Between Iraq and a hard place: a critique of the British government's case for UN economic sanctions», Review of International Studies, n. 28, 2002, pp 39-56.

449Benjamin, Jean-Marie, op. cit., pp. 63-64. 450Ahmed, Nafeez Mosaddeq, op. cit., p. 95. 451Ivi, p. 96.

del sistema mediatico. La beffa della disinformazione non finisce qui: di tale cifra, infatti, buona parte finì in risarcimenti al Kuwait e a compagnie petrolifere, lasciando all'Iraq la misera somma di 100 dollari all'anno a persona452.

Quello che sembra non arrivare agli occhi del pubblico, meravigliato dalle straordinarie capacità della “guerra chirurgica”, è che la nazione irachena è stata distrutta dalle potenti armi degli Stati del Primo Mondo, che lo hanno deliberatamente riportato «a uno stile di vita degno dei tempi di Abramo»453. Prima della guerra del

Golfo l'Iraq era infatti tra i paesi arabi più avanzati, dal punto di vista economico, tecnologico e sociale. Basti ricordare che alcuni ospedali raggiungevano il livello di quelli svizzeri e che l'elettricità era gratuita per i villaggi più poveri del paese. Oltre all'annientamento provocato dai bombardamenti si è sparso sulle rovine dell'Iraq il sale dell'embargo, privando il popolo iracheno di qualsiasi diritto alla ricostruzione. La risoluzione 692 del 20 maggio 1991454, anzi, istituì la United Nations Compensation

Commission (Uncc), commissione dell'Onu con il compito di stabilire i risarcimenti dovuti dall'Iraq per pagare i danni di guerra. I commissari incaricati di stendere i rapporti sulle somme dovute dall'Iraq vennero scelti dal segretariato esecutivo, le cui decisioni vennero dirette niente di meno che dai rappresentanti degli Stati Uniti455. Il

governo iracheno, non adeguatamente rappresentato e informato circa le richieste presentate contro di esso, fu costretto a pagare miliardi di dollari senza che gli venisse fornita una spiegazione adeguata: altro eclatante segnale della corruzione delle Nazioni Unite, organismo di fatto manipolato dagli Stati Uniti. Mentre la popolazione irachena venne costretta a morire di fame, grandi compensi veniva pagati a ricchi uomini d'affari, o rinforzavano le finanze di diversi governi: durante i dieci anni della sua esistenza, l'Uncc ha ricevuto richieste di compensazione dell'ordine di 320 miliardi di dollari, 180 dei quali destinati al solo Kuwait (cifra che equivale a nove volte il prodotto interno

452Ibid.

453Benjamin, Jean-Marie, op. cit., p. 157.

454Disponibile all'indirizzo <http://daccess-dds- ny.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/596/28/IMG/NR059628.pdf?OpenElement> (febbraio 2016).

lordo dell'Iraq secondo il budget nazionale del 1989)456. La nazione irachena fu costretta

a pagare la remunerazione dei commissari e dei loro consulenti senza poter accedere ai loro rapporti. Di fronte a tali vessazioni non è difficile comprendere come Saddam sia diventato ancora più popolare, a discapito degli intenti dichiarati dagli USA e dai loro alleati, non solo tra gli iracheni ma anche tra molte altre popolazioni arabe.

Denis Halliday, ex coordinatore umanitario Onu in Iraq, e il suo successore Hans von Sponeck, si dimisero entrambi in segno di protesta contro le sanzioni, definendole “genocidarie”457. Il genocidio è stato infatti inequivocabilmente definito dal diritto

internazionale come “l'insieme di quelle azioni mosse dall'intenzione di distruggere, interamente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. La stessa Assemblea delle Nazioni Unite definisce il genocidio un crimine internazionale, e ne prescrive la punizione sia che questo sia messo in atto in tempo di pace, sia che avvenga in tempi di guerra458. Viene qui infatti garantito che «le persone accusate di genocidio o

di uno degli altri atti elencati nell’articolo III saranno processate dai tribunali competenti dello Stato nel cui territorio l’atto sia stato commesso, o dal tribunale penale internazionale competente rispetto a quelle Parti contraenti che ne abbiano riconosciuto la giurisdizione»459: evidentemente le carte in tavola cambiano quando tra i protagonisti

delle vicende in causa figurano le nazioni più potenti...

La giustificazione di un tale accanimento sulla popolazione irachena fu quello di impedire al dittatore Saddam il riarmo, in particolare si disse di voler interdire la possibilità che l'Iraq potesse dotarsi di armi di distruzione di massa. Ancora una volta si trattò di slogan propagandistici che poco avevano a che fare con la realtà dei fatti. Con la risoluzione 687 del 3 aprile 1991 le Nazioni Unite istituirono una Commissione speciale, la Unscom, diretta prima da Rolf Ekeus e poi da Richard Butler, con lo scopo di ispezionare le capacità biologiche, chimiche e balistiche dell'Iraq. La metà dei

456Ibid.

457Ahmed, Nafeez Mosaddeq, op. cit., p. 88.

458Il riferimento è alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, adottata dall'Assemblea Generale il 9 dicembre 1948. Il testo della presente è reperibile all'indirizzo <http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/Scheda_paese/Libano/Pdf/Convenzione _contro_genocidio.pdf> (febbraio 2016).

quarantaquattro ispettori facenti parte della Unscom erano americani, esperti in fisica nucleare, certo, ma anche fedelissimi alla Cia. Nel dicembre 1998, l'Iraq espulse gli ispettori Unscom accusandoli di spionaggio per conto dei servizi segreti americani, facendo levare un forte coro di proteste in tutto l'Occidente. Ripresero allora i bombardamenti su Baghdad, giustificati quali rappresaglie contro l'Iraq per non aver lasciato lavorare l'Unscom liberamente. Dopo grandi sacrifici per ricostruire il possibile e dopo che l'Iraq ebbe rispettato tutte le risoluzioni Onu imposte, ancora la tragedia. A cinque settimane l'amara conferma da parte di alcuni membri dello stesso Unscom e da altri funzionari delle Nazioni Unite: Butler e il suo entourage erano al soldo della Cia. Per otto anni i servizi segreti americani fornirono informazioni strategiche ai servizi segreti americani, in piena violazione della Carta delle Nazioni Unite che vieta ai membri delle sue commissioni di fare spionaggio per conto di qualsivoglia paese membro. Tra le informazioni rivelate dall'Unscom ve ne erano per di più alcune che nulla avevano a che fare con lo scopo della Commissione, come un rendiconto dettagliato del complesso delle risorse idriche irachene460.

Sotto l'ala protettrice dell'Onu, organizzazione che dovrebbe essere al servizio di tutte le nazioni, si ripresero i conflitti bellici utilizzando la scusa meschina della mancata collaborazione di Saddam con una Commissione che era al servizio di Washington. Non vi fu alcun passo indietro dell'Onu, solo goffe scuse: Richard Butler non venne mai chiamato in causa dal tribunale amministrativo dell'Onu, nonostante il suo contratto con le Nazioni Unite imponesse di porsi al solo servizio della comunità internazionale461. Peraltro in un rapporto dell'Aiea (Agenzia Internazionale per l'Energia

Atomica) del 1995 – tre anni prima della ripresa dei bombardamenti – si riconosceva che l'Iraq non era assolutamente in grado di produrre armi di distruzione di massa. Tale rapporto, che dimostra il rispetto dell'Iraq degli impegni presi verso l'Onu, venne presentato ai membri del Consiglio di Sicurezza nell'aprile 1995462, che ne erano dunque

a piena conoscenza. Le sanzioni economiche, intraprese dal punto di vista ufficiale per

460Benjamin, Jean-Marie, op. cit., p. 88. 461Ivi, pp. 104-105.

impedire il riarmo di Saddam, potevano già essere tolte nel 1995, il che lascia ben intendere l'imponente solco tra i fini pubblicamente proclamati e quelli realmente perseguiti. La fine dell'embargo dovette invece attendere ancora: fu infatti rimosso solo nel 2003, ovvero ben 13 anni dopo la tragica risoluzione 661. Finiva l'atrocità delle sanzioni economiche, ma riprendevano gli “interventi umanitari” per deporre il dittatore Saddam, e per assestare gli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati in Medio Oriente.

Conclusioni

L'obiettivo che ci si era posti all'inizio del presente lavoro era di sondare l'effettiva capacità dell'Onu di aver aperto la strada ad un orizzonte globale pacificato, fatto di collaborazione e scambio tra le diverse nazioni. Quanto si è voluto mettere in questione è che l'Organizzazione delle Nazioni Unite costituisca realmente un imparziale organismo disinteressatamente devoto a salvaguardare gli interessi di ogni Stato e a tutelare il benessere di ogni popolo, secondo i dettami dei più “puri” valori della civiltà umana.

Fin dal primo capitolo è emersa la vacuità del progetto delle Nazioni Unite in relazione al tentativo di porre fine ai contrasti tra individui e tra nazioni che sorgono dai pregiudizi innescati dal “mito della razza”. La continua ricaduta su spiegazioni di matrice psicologico-esistenziale fanno perdere di vista la radice ultima del problema, costituita, come visto, dalle forme materiali di dominio e sfruttamento. La mancanza di una seria presa in considerazione di questo genere di argomentazioni frantuma la possibilità di giungere ad una soluzione del problema, mettendo in luce la sostanziale inconsistenza dei piani onusiani di costruzione di una comunità internazionale contrassegnata da relazioni di collaborazione e amicizia. Una tale prospettiva risulta inconcepibile anche dal momento che le United Nations fanno buon viso a cattivo gioco: se da un punto di vista teorico i fini proclamati annunciano la volontà di sradicare dai rapporti interindividuali il pregiudizio di razza, sul piano storico-concreto la realtà che dall'Onu viene appoggiata è radicalmente un'altra. Gli scopi delle Nazioni Unite si rispecchiano nella sua stessa struttura e nel suo mistificante funzionamento: nemmeno quanti ingenuamente sono convinti delle buone intenzioni dell'organizzazione possono nascondersi l'evidente anomalia rappresentata da un'Assemblea dove ogni Stato ha un voto e un Consiglio di Sicurezza dominato da cinque membri permanenti dotati di un ingiustificato plusvalore giuridico rappresentato dal diritto di veto. Che l'istituzione qui

presa in esame sia ben lungi dall'essere un democratico town meeting mondiale è emerso senza lasciare grande margine di contestazione dagli svariati esempi che di volta in volta sono stati chiamati in causa. Se ne riporti alla memoria ancora uno: quando lo Yemen, tra gli Stati più poveri al mondo, in quanto membro temporaneo del Consiglio di Sicurezza, nel novembre 1990 votò contro la proposta statunitense di una risoluzione per l'uso della forza contro l'Iraq, il Segreterio di Stato americano Baker asserì che si sarebbe trattato del voto più costoso che lo Yemen avesse mai potuto esprimere: in effetti, pochi giorni dopo, gli Stati Uniti operarono un taglio drastico degli aiuti economici verso quella nazione, a riprova della democraticità delle United Nations. Questo avvenimento, come tutti gli altri che si sono ricordati nel presente elaborato, dipingono un quadro ben diverso da quello della cooperazione pacifica tra Stati prospettato nello Statuto dell'Onu. L'orizzonte globale promosso dalla fondazione e dall'operato delle Nazioni Unite rafforza e legittima un sistema binario di diritto internazionale, dove la giustizia è solo quella che viene sancita dai più forti, dove il diritto di contestazione di fronte alla spirale di abusi in cui le popolazioni lavoratrici del mondo e i paesi dominati vengono spinte dalla cavalcante globalizzazione economica viene ridotto ai minimi termini, demonizzato o soffocato dalle reti della propaganda e della disinformazione. L'imperante cultura ufficiale inonda le coscienze dell'opinione pubblica del sentimento di dover intervenire nei più disparati contesti geo-politici a difesa di diritti umani che vengono ambiguamente proclamati “universali”. La breve disamina in merito ha messo in luce come la qualità ecumenica di tali diritti sia stata più volte contestata, in nome di altre forme valoriali o della loro stessa intrinseca contraddittorietà. Anche concedendo che vi sia un certo nucleo di diritti fondamentali ampiamente condivisi, si è voluto mostrare senza mezzi termini come non sia l'interesse verso questi ad animare i cosiddetti “interventi umanitari”. La stessa composizione ossimorica di questi termini evidenzia la lontananza degli interventi armati così legittimati da qualsivoglia intenzione umanitaria. Che l'obiettivo a gran voce acclamato sia la salvaguardia dei diritti dell'uomo o l'espansione della forma politica democratica, gli scopi realmente conseguiti si legano sempre agli interessi economico-strategici delle

grandi potenze mondiali. La finalità della salvaguardia della pace e della sicurezza internazionale non è certo credibile quando a farsene carico sono proprio coloro che insieme fabbricano e vendono la maggior quantità di armi nel mondo. La retorica della responsibility to protect di cui l'Onu si fa portavoce cela a fatica i tentativi delle superpotenze di accaparrarsi il controllo di zone strategiche, in particolar modo di quelle che garantiscono alti rifornimenti energetici e petroliferi: è il caso dell'intervento in Iraq, di cui si è brevemente trattato, ma anche quello, ad esempio, della lotta al terrorismo internazionale che ha portato all'intervento in Afghanistan. Non molto diverse sembrano le coordinate che oggi coronano i bombardamenti sulla Siria. Questo tragico scenario di “guerra giusta globale” può difficilmente corrispondere al quadro esposto nel preambolo della Carta dell'Onu di pacifica convivenza tra le nazioni che possono così «live together in peace with one another as good neighbors». A discapito di quanto la buona cultura liberal-democratica vorrebbe farci credere, la maggior parte delle aggressioni – tra le più brutali della storia – sono anzi state condotte sotto la bandiera dell'Onu o da coalizioni che dall'Onu hanno ricevuto un tacito sostegno. Quanti ancora continuano a richiamarsi al lato “buono” delle Nazioni Unite, quello dei proclami sul ripudio della guerra e delle dichiarazioni sui diritti dell'uomo, farebbero bene a considerare come proprio questo aspetto di dignità e autorevolezza abbia consentito alle grandi potenze, in particolare agli Stati Uniti, di essere legittimate nei loro interventi neo-coloniali.

Che il “nuovo ordine globale” assomigli in maniera sinistra al “vecchio ordine globale” non era affatto sfuggito, lo abbiamo visto, a Frantz Fanon. La sua capacità di analisi e le sue amare denunce dei nuovi meccanismi di sfruttamento subentrati al giogo coloniale ci hanno aiutato nell'opera di desacralizzazione della retorica umanista portata avanti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. Le sue riflessioni sul razzismo quale strumento di oppressione economica e politica hanno permesso di svelare le ambiguità