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di Enrico, il figlio ribelle di Federico morto suicida in prigione: cfr S ALIMBENE D E A DAM , Cronica,

ed. G. Scalia, cit., p. 122. Non conosciamo il testo della predica, ma solo che essa fu incentrata sul passo biblico in cui si parla della volontà di Abramo di sacrificare suo figlio. La scelta della citazio- ne, a quanto pare, fu considerata da alcuni come un atto d’accusa contro Federico, ma non dovette es- sere questa l’interpretazione data dallo stesso Federico, che chiese all’autore una copia della predica: cfr. E.KANTOROWICZ, Federico II, cit., p. 408; G.BARONE, Federico II e gli Ordini, cit., p. 616; H. HOUBEN, La predicazione, cit., p. 272. Sul personaggio cfr. F.MORETTI, Luca Apulus, un maestro francescano del sec. XIII, Bitonto 1985.

80

Cfr. supra, p. 35, nota 46. Per quanto riguarda le consonanze verbali tra i due componimenti in onore di Federico II e di Pier della Vigna, segnalate da R.M.KLOOS, Nikolaus von Bari, cit., pp. 143 e 147, va detto, tuttavia, che esse possono anche essere giustificate dalla comune citazione degli stes- si passi biblici, senza necessariamente supporre l’identità degli autori.

81

R.M.KLOOS, Nikolaus von Bari, cit., p. 151.

82

Annales Erphordenses fratrum praedicatorum, in Monumenta Erphesfuntensia saec. XII, XIII,

XIV, ed. O. Holder-Egger, MGH, SS. rer. Germ. in usum schol., 42, Hannover-Lipsia 1899, p. 104:

«predicans plures super sancte fidei invasores cruce signavit, pronuncians ibidem, quod Fridericus quondam imperator in Longobardia quendam religiosum pontificem tam ignominiose atque crudeliter caude caballi alligari preceperit...». Cfr. H.HOUBEN, La predicazione, cit., p. 272.

83

Vita S. Rosae virginis auctore incerto, in AA. SS. 42, Septembr. II, 1868, cap. III, pp. 437: «in simplicitate nempe cordis Christum Jesum quotidie gentibus praedicabat, bonis bona pronuntiando aeterna et malis supplicia sempiterna. Contra haereticos autem horribiliter saeviebat, et eorum haere- ses argumentis sensibilibus confutabat...». Per questo motivo S. Rosa venne poi espulsa da Viterbo dal «praepositus civitatis» insediato «per imperatorem haereticum Federicum». Cfr. E. KANTO-

di pronunciare prediche, sia pure di carattere non dottrinale, anche laici84, e, addi- rittura, pare che lo stesso Federico II abbia utilizzato quel mezzo espressivo85. A quanto ci racconta Ruggero di Wendover, infatti, in occasione della sua incorona- zione gerosolimitana del 1229 – che Ruggero riferisce come «autoincoronazione» – Federico «cum esset excommunicatus, intravit ecclesiam santi Sepulchri in Ierusa- lem et ibi ante maius altare propria manu se coronavit; et ita coronatus resedit in cathedra patriarchatus et ibi predicavit populo, excusando malitiam suam et acu- sando ecclesiam Romanam, imponens ei, quod iniuste processerat contra eum»86. Il Liber Censuum ci riferisce, poi, che nel giorno di Natale del 1239, ossia nel mo- mento in cui si fece più aspro il conflitto tra sede papale e trono imperiale, lo svevo avrebbe pronunciato un’orazione nel duomo di Pisa: «Tusciam quasi fugitivus in- gressus, et ad Pisanam civitatem se cursu velocissimo conferens, in die Nativitatis Dominice in civitate ipsa tum ex sui presentia tum ex causis aliis supposita inter- dicto, civibus de tanta presumptione stupentibus, in majori ecclesia per suos apo- statas publice fecit profanari divina in Ecclesie sacrosancte convitium, sua retexens eloquia imperiali modestia deformata»87. Purtroppo non ne possediamo il testo, e quindi non possiamo dire niente di certo88, ma è probabile che queste orazioni, sia quella di Gerusalemme, esplicitamente chiamata «predica» dalla fonte da noi uti- lizzata, sia quella del duomo di Pisa, non fossero prediche, ma piuttosto conciones, ovvero discorsi politici pubblici la cui pratica venne diffondendosi soprattutto in età comunale sotto la spinta del rilancio della retorica classica, della diffusione del- la tecnica dell’ars dictandi e della formalizzazione teorica della tecnica della predi- cazione89.

84

Cfr. G.G.MEERSSEMAN, Dossier de l’ordre de la pénitence au XIIIe siècle, Fribourg/Suisse 1961,

p. 282; R.RUSCONI, Predicazione, cit., pp. 96 ss.

85

Si hanno notizie soprattutto per il periodo in cui partecipò alla crociata: si veda, ad es., MGH,

Const., II, n. 123, p. 167 rr. 30 e 42 [BF 1739 Z]; MATT.PARIS., Cronica maj., MGH, SS, XXVIII, ed.

F. Liebermann, p. 125 rr. 23 ss.; cfr. W. VON DEN STEINEN, Das Kaisertum Friedrichs des Zweiten nach den Anschauungen seiner Staatsbriefe, Berlin-Leipzig 1922, p. 15. Per una breve disamina delle

varie occasioni in cui i sovrani medievali fecero uso della predica cfr. D.PRYDS, Rex praedicans: Ro-

bert d’Anjou and the Politics of Preaching, in De l’homélie au sermon, cit., pp. 242-45.

86

ROGER. DE WENDOWER, Flores historiarum, ed. F. Liebermann, MGH, SS, XXVIII, Hannover

1888, pp. 65 s.

87

Vita Gregorii IX, cit., cap. 34, p. 34. Cfr. H. WIERUSZOWSKI, Vom Imperium zum nationalen Kö-

nigtum. Vergleichende Studien über die publizistichen Kämpfe Kaiser Friedrichs II. und König Phi- lipps des Schönen mit der Kurie, München-Berlin 1933 [Beiheft der Historischen Zeitschrift, 3], p.

136.

88

Non possediamo il testo neppure di quelle orazioni che furono tenute in sua vece, come, ad es., quella pronunciata da Pier della Vigna in risposta alla scomunica che Gregorio IX, nel 1239, lanciò contro Federico II: cfr. HB, Pierre, pp. 29 ss.

89

Cfr. E. ARTIFONI, Sull’eloquenza politica nel Duecento italiano, «Quaderni Medievali», 35 (1993), pp. 57 s. (una redazione di questo saggio si trova anche in Federico II e le città italiane, cit., pp. 144-60); si veda, inoltre, anche ID., Retorica e organizzazione del linguaggio politico nel Duecen-

to italiano, in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento [Atti del Convegno intern.

La scarsa conoscenza della personalità dell’autore e dell’occasione in cui com- pose la sua predica lascia insolute molte questioni. Ma, in ogni caso, Nicola da Bari non sembra essere stato influenzato in maniera molto incisiva dalla propaganda or- ganizzata da Federico. In quest’ultima il solenne misticismo che la contraddistin- gue viene ottenuto in maniera assolutamente diversa, con citazioni dalle Sacre Scritture meno opprimenti, con richiami che consentono una maggiore libertà nella creazione di immagini mitizzanti: la parola biblica viene utilizzata soltanto come punto di partenza, come una fonte autorevole destinata ad essere corroborata con interpretazioni che facciano leva su elementi provenienti da tradizioni diverse. In Nicola da Bari, invece, il testo biblico costituisce l’unico riferimento possibile: tut- to ciò che viene detto si muove esclusivamente entro i limiti dell’esegesi del verbo. Nella sua predica sembra che le atmosfere irrazionalmente immaginifiche ed esca- tologico-sibilline, tipiche della propaganda organizzata negli ambienti più vicini al- l’imperatore, siano del tutto assenti. Nell’affermazione velatamente riproposta da Nicola dell’eternità della dinastia imperiale sveva non si può leggere l’influenza dei vaticini diffusi nel XIII secolo quando mancano tutti gli altri elementi che la ri- cezione di essa deve necessariamente presupporre90. Del resto, non bisogna dimen- ticare che quelle profezie sibilline, che costituiscono la base per gran parte della propaganda imperiale, hanno origini comuni a quelle bibliche, e, quindi, non può sorprendere che Nicola, ispirandosi esclusivamente alle Sacre Scritture, giunga ad affermazioni apparentemente consonanti con quelle che si ritrovano nei documenti prodotti dalla corte federiciana: affermazioni che, comunque, pur essendo, nella predica, piuttosto diffuse rimangono poco approfondite.