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Introduzione

Il testo che ci accingiamo a introdurre è tradito solamente nella recensione leidense degli Hermeneumata Pseudodositheana, in appendice alle 13 sententiae propriamente

276 E’ interessante notare come, a distanza di poche parole, il significato di un medesimo vocabolo possa cambiare radicalmente a seconda che esso venga impiegato con funzione vocativa oppure referenziale: qui kuvrio" è un tecnicismo giuridico, e indica l’uomo che, in Egitto e nelle province di lingua e cultura greca, svolgeva il ruolo di tutore o custode nei confronti della donna (v. Grubbs 2002, pp. 34-37).

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dette. Esso si presenta come una lettera – con ogni probabilità non autentica – che Adriano avrebbe scritto alla madre nel giorno del proprio compleanno.

La vita privata dei personaggi pubblici è da sempre – oggi come nell’Antichità - oggetto di e curiosità per molti. Tale interesse si manifesta stesso attraverso la composizione di scritti apocrifi, relativi proprio ad aspetti della vita privata di personaggi celebri, ai quali non di rado è attribuita anche la paternità di questi scritti.

L’imperatore Adriano, ovviamente, non fa eccezione, e ricordare come la tendenza appena descritta si innesti nella lunga e vitale tradizione del genere dell’epistolografia apocrifa sarà utile per tentare un primo approccio al nostro testo.

I ritrovamenti papiracei e la letteratura antica ci offrono varie testimonianze relative ad epistole adrianee, ma poche riguardano gli affari personali dell’imperatore, e la maggior parte di queste ultime sono di controversa autenticità.

Uno -di essi è CIL XIV 3579, un’iscrizione recante un discorso funebre tenuto da un genero alle esequie della suocera: l’oratore è stato identificato con Adriano, mentre oggetto dell’elogio funebre sarebbe Matidia Augusta, suocera dell’imperatore, morta prima del 119 d.C.277

Una lettera che sarebbe stata indirizzata, in greco, ad Antonino Pio, per esempio, si trova nel P. Fayyum 19;278 essa conterrebbe le ultime riflessioni dell’imperatore in punto di morte. Filostrato, invece, riferisce di aver avuto accesso a un testamento vergato di proprio pugno da Adriano e relativo all’amministrazione dell’impero. Su questo documento gravano, tuttavia, forti sospetti; alcuni indizi, infatti, fanno pensare che possa trattarsi di un’esercitazione di retorica. In questa direzione punta ad esempio il fatto che, sul papiro, il testo sia vergato prima da una mano esperta – magari quella di un insegnante – e che di seguito sia ricopiato solamente l’inizio ad opera di un’altra

277 V. Alexander 1938, p. 170. 278

Bücheler, nel terzo volume dei suoi Kleine Schriften, pp. 278-279, appare scettico: «epistulam quasi indecem rerum gestarum Antonino misit, saltem misisse creditus est iam ante quam secundum a Chr. saeculum pervenit ad finem». Bollansée 1994, invece, non solo reputa che la lettera sia un documento autentico, ma si spinge a ipotizzare che essa possa costituire l’inizio dell’autobiografia di Adriano. Leggermente sbilanciato verso la tesi della autenticità è anche Alexander 1938, p. 170, che richiama un

parallelo di Dione (DC 69.17.3

«e[sti ge aujtou' kai; ejpistolh; aujto; tou'to ejndeiknumevnh, o{son kakovn ejstin ejpiqumou'ntav tina ajp oqanei'n mh; duvnasqai») relativo a una lettera nella quale Adriano esprime il proprio desiderio di morire.

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mano; anche il parallelismo fra la lunghezza della vita di Adriano e quella dei suoi genitori sembra tipico di un esercizio di composizione.

Qualora il P. Fayyum contenesse realmente un esercizio scolastico, ci troveremmo di fronte a un parallelo interessante per la nostra epistula.

Testo

cai're mh'ter kallivsth kai; timiwtavth, o{sa ga;r su; qeoi'" eu[ch/ uJpe;r ejmou', ka/gw; ta; aujta; uJpevr sou eu[comai: hJ ga;r sh; eujsevbeia kai; semnovth" pavnta poiei': caivr w dev, nh; to;n JHrakleva, o{ti ta; uJp!ejmou' ginovmena pavnta soi ajrestav eijsin kai; ej painetav. Oi\da" ou\n, mh'ter, th;n shvmeron hJmevran genevqliovn mou ei\nai, kai; ojfeivl omen koinh'/ deipnh'sai: eja;n qevlh/" ou\n ejnorwvteron meta; tw'n ajdelfw'n mou lelou mevnh/ e[rcou: Sabivnh ga;r eij" ajgro;n w{rmhsen, ajlla; sfurivda aujth; e[pemyen. Blevp e ou\n i{na tavcion e[lqh/", i{na dunhsovmeqa th;n eujktai'an eij" e}n qrhskeu'sai

__________________________

cai're] caure LH kaire SM | mh'ter edd. mhthr codd. | eu[ch/] eice codd. | soi LH sou SM | oi\da" ou\n mh'ter edd. oide" oun mhthr codd. | Sabivnh H Sabivna LHM | verbis i{na tavcion desinit M

Gaude, mater optima et carissima, quantum enim tu deos oras pro me, et ego eadem pro te oro; tua enim pietas et castitas omnia facit. Gaudeo tamen, per Herculem, quoniam quae a me fiunt omnia tibi grata sunt et laudabilia. Scis ergo mater hodiernum diem natalem meum esse, et debemus invicem cenare: si vis, ergo, tempore cum sororibus meis lota veni. Sabina enim in villa profecta est, sed sportellam ipsa misit. Vide ergo ut celerius veniatis, ut possimus optabilem in unum celebrare.

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facit LH fecit SM | post invicem commune add. L | Sabina LH Savina SM | in villa LH in billa S in villam M | verbis ut celerius desinit M | veniatis codd. venias Boecking

Traduzione

Salve carissima madre, tu che/perché preghi gli dei per me, e anche io faccio lo stesso per te. Il tuo amore, infatti, e la tua dignità, possono ogni cosa. Gioisco, per Ercole, perché tutte le mie azioni ti danno conforto e sono per te degne di lode. Dunque, madre, sai che oggi è il mio compleanno, e dobbiamo cenare insieme. Se vuoi, dunque, vieni fra poco, dopo il bagno, con le mie sorelle. Sabina, infatti, è andata

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in campagna, ma ha mandato un canestro (di vivande?)/regalo?. Allora, cerca di venire al più presto, così possiamo celebrare (insieme?) la ricorrenza.

Commento

caivrw de; caivrw de; caivrw de;

caivrw de; / gaudeo tamen: il significato concessivo assunto da tamen nel latino classico appare fuori luogo in questo caso. Tamen potrebbe essere un errore da glossario, ossia una traduzione meccanica di dev. Tuttavia, esistono altri casi, tutti piuttosto tardi, in cui tamen non è impiegato nell’accezione tradizionale, ma come semplice connettivo, per introdurre una nuova sequenza, con una funzione simile, insomma, proprio a quella svolta dal greco dev: cfr. Greg. Tur. Iul. 2 «haec autem ut ad

sepulchrum martyris ab ipso aedituo cognovi, fideliter retuli. Praebet tamen huic operi testimonium Sollius noster».279

mh'ter kallivsth kai; timiwtavth mh'ter kallivsth kai; timiwtavth mh'ter kallivsth kai; timiwtavth

mh'ter kallivsth kai; timiwtavth / mater optima et carissima: a prima vista, i vocativi latini appaiono decisamente più idiomatici rispetto a quelli greci; tuttavia anch’essi, per quanto non diffusi come le forme di optimus e carissimus, godono di una certa attestazione nella letteratura papiracea.

Anche l’ultilizzo di vocativi di aggettivi al grado superlativo, come appunto kallivsth e timiwtavth, sembrerebbe caratteristico del greco di età imperiale: nelle apostrofi presenti nei papiri documentari, in particolare, gli aggettivi superlativi sembrano aver soppiantato i corrispondenti aggettivi al grado positivo. Eleanor Dickey280 imputa anche questo slittamento a un’influenza esercitata dalle convenzioni epistolari latine: in latino, infatti, l’indebolimento dei superlativi di alcuni aggettivi (e.g. carus, bonus, dulcis) quando utilizzati al vocativo, rispetto al loro significato referenziale, è un fenomeno ben attestato e facilmente tracciabile.

In questa prospettiva, particolarmente problematico risulta timiwvtate, che, a differenza di altri vocativi come fivltate e glukuvtate, corrispondenti rispettivamente

279 V. anche Adams 1976, p. 33. 280 Dickey 2004, p. 517.

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a carissime e dulcissime, non sembrerebbe avere un contraltare latino;281 l’uso di questo vocativo è comunque tipico del greco imperiale, dal momento che le prime attestazioni risalgono al I secolo d.C.282 Per attestazioni di timiwvtate in papiri sub-

letterari, cfr. BGU 1.248.22, O.Florida 4.12, P.Alex.Giss. 38.20, P.Brem. 5.15, 10.15, 22.14, P.Gen. 1.7.16, 2.103ii.29, P.Giss. 27.11, 66.15, 91.10, P.Mich. 11.623.7, P.Oxy 42.3057.30;

ejnwrovt ejnwrovt ejnwrovt

ejnwrovteron eron eron eron / tempore: L’avverbio greco è di uso tardo e particolarmente raro.283 meta; tw'n ajdelfw'n mou

meta; tw'n ajdelfw'n mou meta; tw'n ajdelfw'n mou

meta; tw'n ajdelfw'n mou / cum sororibus meis: questo riferimento alle sorelle di Adriano potrebbe essere un indizio del carattere spurio di questa lettera: tutte le fonti a nostra disposizione, infatti, menzionano una sola sorella.

oi\de oi\de oi\de

oi\de"""": volgarismo generalmente corretto dagli editori. sfurivda

sfurivda sfurivda

sfurivda / sportellam: sportella è una variante di sportula, altro diminutivo – più diffuso - di sporta; propriamente, sia sportula che sportella indicano un piccolo cestino, ma acquisirono per estensione il significato di “presente”, “offerta”, “dono di piccola entità, in cibo o in denaro” quello appropriato anche nel nostro caso;284 la presenza di questo diminutivo, comunque, contribuisce a dare un’impronta colloquiale alla lettera.285

Infine, si segnala che esistono attestazioni di sfuriv" (e la variante spuriv") utilizzato nella medesima accezione del latino sportula: cfr. Arr. Epict. 4.10.21 «dwvdeka desma; rJavbdwn kai; tri;" h] tetravki" ejpi; bh'ma kaqivsai kai; kirkhvsia dou' nai kai; spurivsin deipnivsai») e LSJ s.v. spuriv" «used to translate the Latin

sportula».

281 Dickey 2004, p. 517, suggerisce honestissime. 282

La prima attestazione in assoluto è in Joseph.Contra Apionem 2.1.

283 Cfr. LSJ s.v. e[noro". In questa circostanza, sarebbe stato lecito aspettarsi, piuttosto, un prwivterwon (v. Gìl e Torallas 2010, p. 101).

284 Cfr. e.g. Svet. Nero 16.2 «publicae cenae ad sportulas redactae», Plin. Epist. 2.14.4 «in media

basilica tam palam sportulae quam in triclinio dantur».

285 Sportella si trova nell’epistolario di Cicerone (Cic. fam. 9.20.2), nel Satyricon (Petron. 40.3 e 40.8), in Apicio (Apic. exc cib. 1.4.2, 6.8.10, 8.6.6, 8.7.3, 8.7.4), nella Mulomedicina Chrionis (Chiron. 9.856).

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Sabina: si tratta della moglie dell’imperatore.

tavcion tavcion tavcion

tavcion / celerius: l’uso del comparativo con significato equivalente rispetto al grado positivo è un colloquialismo: cfr. Vitae Patrum 3.108 e 5.14.1, in cui citius traduce il greco tacevw".

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