1. F1750 pevnte povda" kaiv h{misu F1756 quinque pedes et semis ____________________________
povda" Cuiacius pode" codd.
Siamo nella prima sententia: un tale chiede ad Adriano di poter essere arruolato nella coorte pretoria, e l’imperatore gli chiede quale sia la sua statura per assicurarsi che corrisponda alle misure richieste. Nella risposta dell’aspirante pretoriano qui proposta, si potrebbe mantenere la lezione povde"dei codici, spiegandola come un’errata traduzione dal latino al greco: il traduttore, infatti, non capendo che pedes è un accusativo di misura, potrebbe averlo inteso, e quindi tradotto, come un nominativo.
1. F1788-1800
{Osti" i{ppton aijtei' dhmovsion, ejxhmar thmevno" ei\nai ojfeivlei: ta; loipa; de; z wh'/ sh'/ dokimasei"
F1805-7 qui equum petit publicum, emendatus esse debet, cetera autem vitae tuae probabis
Il genitivo latino vitae tuae è stato scambiato per un dativo e tradotto come tale. 2. F1815ss. levgontov" tino" eJauto;
n uJponoqeuqh'nai uJpo; ijdivwn ajpeleuqevr wn, kai; e[cein i[dia ejrgasthvria, ejn oiJ" pragmateuvontai ejk tw'n auJtou' crhmav twn
F1822 ss. Dicente quodam se circumventum
a suis libertis et habere suas tabernas, in quibus negotiantur de suis pecuniis
La preposizione greca retta dal verbo pragmateuvw non appare adeguata: ci saremmo aspettati piuttosto un periv,136 mentre il latino sembra più accettabile.137 Probabilmenteejkè frutto di un errore da glossario.
3. F1830 ei[ tina a[lla gegovneisan divkaia F1837 si qua alia fuissent iusta
4. F1930 ta; uJp! ejmou' ginovmena pavnta soi ajrestav eijsin F1940 quae a me fiunt omnia tibi grata sunt
136cfr. LSJ s.v. pragmateuvomai.
44
La versione greca mantiene il verbo al plurale, contrariamente alla consuetudine del greco che, come è noto, a soggetti neutri plurali abbina di solito verbi al singolare. Prendiamo ancora in considerazione il testo della lex de parricidiis:
5. F1949
meta; ejcivdnh" kai; piqhvkou kai; ajlevktoro" kai; kunov", ajsebw'n zwvwn ajsebh;ajsebh;ajsebh;ajsebh; " a[nqropo"
" a[nqropo"" a[nqropo" " a[nqropo"
______________________________
ajsebw'n zwvwn Boecking asebis codd. | zwvwn Boecking zwi" L zwoi" SH
F1956 cum vipera et simia et gallo et cane, impiis animalibus impius homo
Il dativo greco presente nei codici si spiega con una traduzione errata dal latino: il traduttore non ha infatti compreso che impiis animalibus è appositivo rispetto a quanto immediatamente precede (cum vipera et simia e. q. s.),138 e ne ha tratto una resa meccanica.
6. F1762 [o{n] eij" liqotomiva" beblhvkei F 1768 (quem) in lautumias miserat 7. F1774pavsa" ta;" oujsiva" auJtou' deda
panhvkei
F1779-80 omnes facultates suas expenderat
8. F1797 diabolh; pareiselhluvqei F1804 crimen intervenerat
9. F1830
ei[ tina a[lla gegovneisan divkaia
F1837 si qua alia fuissent iusta 10. F1880 ouj pareschvkei trofei'a F1888 non praestiterat alimenta Come si evince dalla casistica qui riportata, al piuccheperfetto latino corrisponde sistematicamente quello greco. L’uso di questo tempo, però, è idiomatico del latino e non del greco, specie quello di koinhv, dove tende a scomparire.
Morfologia Morfologia
1. F1950 ejzeugmevnhn melanw'n bow'n / F1957 iunctum nigris bovis
______________________________ bovis LS bubus H bobus Boecking
138Vale la pena notare come la presenza, in uno stesso testo, e addirittura nel giro di poche righe, di errori di traduzione sia dal latino al greco che dal greco al latino costituisca un esempio assai significativo del numero di retroversioni cui deve essere stato soggetto il testo degli Hermeneumata, e dell’estrema difficoltà, se non dell’impossibilità, di ricostruire in maniera completa le tappe di questi rimaneggiamenti.
45
Il dativo bovis, normalizzato da parte della tradizione e da Boecking, è attestato nella
Mulomedicina Chironis (Chiron. 9.948 bovis autem potione da lene valde), ed è perfettamente compatibile con la tendenza, diffusa nel latino tardo ma non solo,139 da
parte dei sostantivi maschili e neutri ad appiattirsi sulla seconda declinazione, più regolare.
2. F1952 ajnovsion e[rgon / crudelem opus
L’aggettivo latino, presente al maschile dalla tradizione, è emendato in crudele al Boecking, ma, la correzione non sembra necessaria: la presenza di aggettivi maschili riferiti a sostantivi neutri è ampiamente attestata nella bassa latinità ed è una delle prime spie del processo di semplificazione che porterà alla scomparsa del neutro nelle lingue romanze; inoltre, opus è considerato maschile anche in CIL XI 1162 omnem
opus).140
3. F1935 Blevpe ou\n i{na tavcion e[lqh/" / Vide ergo, ut celerius veniatis L’avverbio celerius, formalmente di grado comparativo, ha qui significato positivo. Si tratta di un fenomeno attestato sin dalla commedia (già in Plaut. Merc. 930 troviamo
abi hinc intro ocius) e può essere ricondotto a un’esigenza, tipica della lingua dell’uso, di maggiore espressività; in realtà, anche se manca un secondo termine di paragone esplicito, quest’uso del comparativo implica comunque un’opposizione, una polarità: sia l’espressione che stiamo prendendo in considerazione che il passo plautino che abbiamo citato sono infatti un invito a muoversi in fretta e a non essere troppo lenti.141
Anche tavcion, nel greco della koinè, ha perso il suo originario valore comparativo, e pertanto non si può dire quale delle due lingue abbia influenzato l’altra.
Sintassi
Accusativo e ablativo con preposizione
Uno dei cambiamenti più rilevanti che interessarono la fase più tarda della storia della lingua latina fu la tendenza a impiegare l’accusativo come casus universalis.
139Doppioni del tipo os / ossum e vas /vasum si trovano già a partire da Plauto. In queste oscillazioni bisogna probabilmente una tendenza verso la semplificazione che, in tutte le lingue, caratterizza il parlato o l’uso.
140V. F
LAMMINI1990, p. 16, con ulteriore esemplificazione.
141Cfr. A
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Questo fenomeno è, probabilmente, il risultato dell’influenza congiunta di due processi, uno fonetico, l’altro sintattico. Il fattore fonetico è senz’altro da individuare nella caducità cui, da sempre, era soggetta la nasale –m in fine di parola:142 la caduta di
m finale, infatti, impedisce, in molti casi,143 di distinguere fra accusativo e ablativo singolare. Una spiegazione di natura meramente fonetica, tuttavia, non rende conto di espressioni come cum sodales, cum tirones, documentate già dalle iscrizioni pompeiane.144 È più ragionevole supporre, dunque, che la caducità di m finale abbia accelerato un mutamento di natura sintattica; tale mutamento, inizialmente confinato nelle varietà substandard o colloquiali della lingua – come quelle documentate, appunto, nei graffiti pompeiani – e diffusosi man mano in epoca tarda anche nei testi scritti, andrà individuato nello spostamento della funzione sintattica dalla desinenza alla preposizione.
Se la funzione sintattica del complemento non è più indicata dal caso, ma dalla preposizione, non solo viene favorita la tendenza all’impiego di un unico caso obliquo – l’accusativo -, ma è anche possibile che accusativo e ablativo diventino intercambiabili, specialmente in dipendenza da preposizioni che reggono entrambi i casi: in altre parole, accade sia che l’accusativo venga impiegato per veicolare nozioni originariamente proprie dell’ablativo, sia che, viceversa, l’ablativo si trovi – magari per ipercorrettismo, anche in circostanze che avrebbero richiesto un accusativo.
Il fenomeno è riscontrabile nelle Sententiae in alcuni casi isolati, mentre generalmente accusativo e ablativo sono impiegati in maniera corretta:
F1750-1753
ejn tosouvtw/ eij" th;n politikh;n strat euvou, kai; ejavn kalo;" stratiwvth" e[sh/, trivtw/ ojywnivw/ dunhvsh/ eij" to; praitwv rion metabh'nai
F1757-1759 Interim in urbanam milita et, si bonus miles fueris, tertio stipendio poteris in praetorio transire.
F1773-1774 F1778-1779 in quo omnes facultates
142 Basti pensare all’elisione cui, nelle sequenze metriche, sono soggetti i vocaboli con terminazione in –m.
143 Sas 1937, Löfstedt 1961, pp. 226-228 e Adams 1976, pp. 51-52 rilevano una maggiore incidenza nel fenomeno nelle terminazioni in –am.
47
ejn w/J ajpavsa" ta;" oujsiva" auJtou' deda panhvkei
suas expenderat
F1950-1951
kai; eij" a[maxan ejzeugmevnhn melanw'n bow'n katenecqh'nai pro;" qavlassan
F1957-1958 et in plaustrum iunctum nigris bovis deportaretur ad mare
Alla luce di quanto ditto finora, potremmo affermare che l’accusativo viene utilizzato in due circostanze – in urbanam e in plaustrum - che avrebbero richiesto un ablativo, mentre l’ablativo di in pretorio è ipercorrettistico: i due casi sono, di fatto, intercambiabili, in quanto la funzione del complemento risiede nella preposizione in.
È bene, però, interrogarsi anche sul testo greco che, in tutte e tre le occorrenze che abbiamo preso in esame, ha eij" + accusativo; potrebbe trattarsi di una resa meccanica di in, mgari dovuta alla consultazione di un glossario che riportava solo eij" - e non anche ejn - come possibile traducente della preposizione latina. La storia della lingua greca, tuttavia, registra un ampliamento delle funzioni di eij" che, nelle fasi più tarde, può esprimere anche concetti, come lo stato in luogo, originariamente legati ad altre preposizioni.145 È possibile, dunque, che a determinare occorrenze come quelle che abbiamo isolato abbia contribuito, accanto ai due fenomeni che abbiamo già individuato – caducità di m finale, accentramento delle funzioni sintattiche dai casi alle preposizioni - una permeabilità fra le nozioni stesse di moto a luogo e stato in luogo. Per ulteriori approfondimenti su questo terzo fattore, che agisce altrove nel testo delle Sententiae Hadriani, cfr. il paragrafo successivo.
Quod/Quia/Quoniam + ind. Vs aci.
Le sententiae mostrano una predilezione assoluta per il costrutto infinitivo. Quia è infatti del tutto assente, mentre quod viene impiegato soltanto con funzione di relativo. L’unica congiunzione subordinante dichiarativa che troviamo è quoniam, che viene
145
Cfr. LSJ s.v. eij", I.2 «later used like ejn»; cfr. LXX Nu. 34.35 «τὴν γῆν εἰς ἣν ὑµεῖς κατοικεῖτε», Ps. Luc. Asin. 1 « οἰκεῖν εἰς τὰ Ὕπατα», Ael. VH 7.8 «εἰς Ἐκβάτανα ἀποθανεῖν». Occorre, tuttavia, che il medesimo Liddel-Scott sottolinea come una certa elasticità nell’uso di eij" non sia limitata solo all’epoca tarda, dal momento che la preposizione può trovarsi anche in dipendenza da «verbs expressing resting a place, when a previous motion into or to is implied». Cfr. e.g. Hom. Od.4.51 «ἐς θρόνους ἕζοντο», ossia “presero posto sui seggi (dopo esservi saliti)”, e Hdt. 5.38 « αὐτὸς ἐς Λακεδαίµονα ἀπόστολος ἐγίνετο», cioè “il messaggero si trovava a Sparta (dopo esservisi recato)”.
48 preferita all’infinito in soli due casi:
1. o frontisth" <eipen> oti o koinwno" autou apwn eih curator dixit quoniam socius eius absens esset
2. cairw de nh ton hraklea oti ta up!emou ginomena panta soi are sta eisin
gaudeo tamen per herculem quoniam quae a me fiunt omnia tibi grata sunt Probabilmente, tuttavia, il secondo esempio andrà escluso dalla nostra statistica, dal momento che, come è noto, i verba sentiendi possono reggere sia proposizioni dichiarative che proposizioni causali, e non sempre, come nel nostro caso, il confine può essere tracciato con nettezza.146 Se escludessimo la proposizione retta da gaudeo, avremmo dunque un unico caso di dichiarativa con quoniam.
Questo dato, comune a tanta documentazione non-letteraria e substandard,147 dovrebbe forse consigliare un ridimensionamento della pervasività che di solito si attribuisce al fenomeno del passaggio dai costrutti infinitivi a quelli con congiunzione in epoca tarda e nel latino popolare. D’altronde già Herman, autore di quelli che sono tuttora i contributi fondamentali sulla questione, sottolinea che «la construction infinitive du
type acc. c. inf.ne disparaît pas complètement des textes latins».148
Alla luce di queste considerazioni, saremmo portati a credere che l’unica occorrenza di
quoniam dichiarativo possa essere stata influenzata dal greco o{ti; è anzi sospetta la pressoché totale assenza della congiunzione greca in funzione dichiarativa, mentre troviamo sempre l’infinito: ancora una volta, il testo di partenza sembra essere quello latino.
Ordo verborum
Il sintagma: determinante e determinato. Osserviamo, per quanto riguarda la
successione fra nome e aggettivo attributivo, una distribuzione sostanzialmente bilanciata di sequenze AN e NA, senza irrigidimenti nell’uno o nell’altro senso. Per
146Herman1963, p. 35 ritiene che i verba dicendi abbiano, a un certo punto della storia della lingua, ammesso la possibilità di essere completati da congiunzioni dichiarative proprio per l’influsso analogico dei verba sentiendi del tipo laetor, gaudeo, dolo, che potevano essere costruiti in entrambi i modi 147V. A
DAMS1977, pp. 61-63.
148H
49
quanto riguarda gli aggettivi possessivi, emerge una netta preferenza per la collocazione post-sostantivale (18 casi contro soli 7 di collocazione presostantivale), conformemente alla norma individuata dalla prosa classica;149 le occorrenze in
posizione presostantivale150 potrebbero peraltro essere state influenzate dal greco: esse riguardano soltanto il pronome di terza persona e corrispondono sempre al greco i[dio" in posizione attributiva, e dunque sempre collocato prima del sostantivo. Venendo infine alla posizione del genitivo, il quadro appare ancora più netto: esso segue sempre il nome al quale si riferisce, tratto comune ai testi sub-standard conservati su papiro.
La frase semplice: verbo e oggetto151Le sententiae si uniformano sostanzialmente al
pattern OV, prediletto dalla prosa classica, contrariamente a quanto solitamente accade nei testi di lingua sub-standard e nei papiri documentari; tale preferenza si manifesta sia nelle proposizioni indipendenti (10 casi di sequenze OV contro 6 di sequenze VO) sia, soprattutto nelle subordinate (24 casi di OV contro 10 di VO): da questo punto di vista, dunque, l’ordo verborum delle sententiae non presenta tratti innovativi. Bisogna comunque notare che, nonostante una tendenza preferenziale sia chiaramente individuabile, esiste tuttavia una certa oscillazione fra ordine OV e ordine VO, anche all’interno della medesima proposizione,152 il che fa supporre che anche l’ordine VO, pure abbastanza riscontrabile nelle sententiae, fosse percepito come accettabile.153 E’ bene offrire un quadro separato della situazione dei pronomi clitici, la cui posizione è soggetta a ulteriori vincoli rispetto ai complementi formati da sostantivi. Essi si collocano per lo più nelle medesime sedi in cui abitualmente li troviamo anche nella prosa classica: generalmente all’inizio della frase, subito dopo il primo elemento, che
149E’ facile tuttavia intuire che si tratta di tendenze di massima, e che anzi, come giustamente afferma MAROUZEAU1953,un’eventuale statistica«ne conduirait qu’à faire constater une égalité approximative des deux ordres, ce qui donnerait l’impression de l’indifférence».
150Cfr. F1760to;n i[dion ajpeleuvqeron / F1766 ut suum libertum; F1772 peri; iJdivou uiJou' / F1777 de suo filio; F1814 uJpo; ijdivwn ajpeleuqevrwn / F1822 a suis libertis; F1815 i[dia ejrgasthvria / F1815 suas tabernas.
151
Non stiamo utilizzando il termine “oggetto” nella sua accezione più tradizionale e ristretta: con tale espressione vogliamo infatti indicare qualsiasi complemento che soddisfi la reggenza del verbo, il che include anche espressioni intransitive.
152cfr. F1769-1770 quid quaeris perdere hominem et congiarium auferre?
153Tali oscillazioni ci vietano inoltre di supporre che il mantenimento del tradizionale ordine OV sia un tratto conservativo artificioso, frutto della volontà da parte del compilatore di aderire a un modello stilistico percepito come più prestigioso, come è stato supposto per spiegare la persistenza rigida e costante dell’ordine OV in altri testi substandard (cfr. MOLINELLI-RIZZI 1991, p.119)
50
può essere un connettivo (F1780 ideo enim te genuit e F1913 ut te obsequentem filiis tuis faciam), un pronome (F1872 qui se dicebat patrem eius esse; F1921 ipse me neglegit); in ogni caso, sia da soli che in espressioni preposizionali (F1781 cura ergo ne iterum de te apud me queratur) essi tendono a collocarsi nelle immediate adiacenze del verbo, generalmente precedendolo, pur con qualche oscillazione.
Il periodo: principale e subordinata.154 L’ordine privilegiato, soprattutto per quanto
concerne le proposizioni di natura dichiarativa e completivo-volitiva, è di gran lunga quello che alla principale fa seguire la subordinata, corrispondente all’ordine VO della frase semplice. Nel nostro caso, è interessante osservare che la preferenza per tale
pattern si manifesta in modo molto più deciso nell’ambito del periodo che in quello della frase semplice.
Lessico
I prestiti latini presenti nella versione greca sono, in larga maggioranza, relativi a cariche militari e amministrative o a istituti giudiziari propri di Roma e dell’impero romano: kenturivwn, pavtrwn.
Le Hadriani Sententiae riflettono l’influsso esercitato dal latino sul greco per quanto riguarda le convenzioni epistolari155 e, in generale, la scelta dei vocaboli tipicamente utilizzati come vocativi nella documentazione non letteraria, come le petizioni o le lettere su papiro.156 Le formule vocative della versione greca delle
Sententiae 12 e 13 e dell’Epistula ad matrem (e.g. kuvrie, mh'ter kallivsth kai; timiotavth), infatti, sebbene a prima vista meno idiomatiche della versione latina, non sono imputabili a una resa estemporanea e
154Abbiamo escluso dalla nostra analisi tutti gli accumuli di subordinate dipendenti dai petente quodam che introducono le petitones; il campione si è quindi ridotto sostanzialmente a una ventina di proposizioni di natura dichiarativa o completiva. Le proposizioni di altra natura (ipotetica, relativa, temporale, consecutiva, interrogativa) dipendenti dai verbi principali sono rappresentate in numeri troppo esigui per essere utilizzate nella compilazione di una statistica o nella definizione di una tendenza preferenziale.
155 Ad esempio, la formula conclusiva ejrrw'sqai se eu[comai è, con tutta probabilità mutuata sul latino
valere te opto, cfr. Dickey 2004, pp. 506 e 508, e il commento di Parsons a P.Rain Cent. 164.15. 156 Nei testi della letteratura greca di età imperiale, infatti, la scelta dei vocativi non fa registrare una discontinuità significativa rispetto al passato; questo dato, però, deve essere interpretato alla luce della volontà imitativa, da parte degli scrittori di lingua greca di età imperiale, nei confronti dei modelli di prosa classica.
51
iperletterale nel processo di traduzione dal greco al latino, ma ad alcuni mutamenti interno al greco verificatosi in età imperiale, e relativo all’uso dei vocativi.
L’uso del vocativo kuvrie, ad esempio, rappresenta un elemento di discontinuità rispetto al greco cosiddetto classico: nei testi del V-IV secolo, infatti troviamo un’unica attestazione in Pindaro,157 e il fatto che questa unica occorrenza si trovi circoscritta in un registro poetico piuttosto solenne non lascia presupporre che kuvrie potesse trovare spazio nel linguaggio parlato di quel periodo o in altri documenti per noi perduti; la società greca dei secoli V e IV a.C. era infatti relativamente egualitaria, e gli uomini di nascita libera usavano il semplice vocativo del nome proprio per rivolgersi l’uno all’altro; basileu' era il termine con il quale ci si rivolgeva ai monarchi non greci, mentre nei documenti di età ellenistica, godono di
una certa diffusione anche i vocativi di
strathgov", hJgemw'n, dioikhthv", ejpistavth".158 Kuvrie risulta, invece, ben attestato nei papiri documentari di età imperiale (lettere e petizioni) e in alcune fonti letterarie dello stesso periodo. Oltre che per la cesura netta rispetto ai periodi classico ed ellenistico, l’utilizzo di kuvrie nel greco di età imperiale si segnala per essere impiegato non soltanto per rivolgersi all’imperatore o alle autorità, ma anche a parenti, e amicie, con funzioni e significato analoghi a quelli di vocativi classici come fivltaste o bevltiste; in generale, esso non sembra denotare particolare rispetto o deferenza.159 Anche testimonianze letterarie di età imperiale confermano il quadro offerto dalle lettere e dalle petizioni: anche nelle conversazioni fra amici e conoscenti citate da Epitteto vengono impiegati di frequente termini come kuvrie o ajdelfev,160 e lo
157
Pindar. Pyth. 2.58
«to; ploutei'n de; su;n tuvca/ povtmou sofiva" a[riston. tu; de; savfa nin e[cei", ejleuqevra freni; pepa rei'n, pruvtani kuvrie polla'n me;n eujstefavnwn ajguia'n kai; stratou'». Peraltro, in questa occorrenza il significato del vocativo appare perfettamente sovrapponibile a quello assunto da kuvrio" quado è impiegato nella sua funzione referenziale, come dimostrano i genitivi che da esso dipendono; non c’è pertanto alcuna continuità con le accezioni veicolate da kuvrie in età imperiale.
158 Questi vocaboli, pur non essendo molto attestati con funzione di vocativo durante il periodo noto come classico (V-IV secolo a.C.), rappresentano l’adattamento alle strutture del potere dell’Egitto tolemaico da parte della lingua greca, e dunque il loro uso non evidenzia, a differenza di quello dei vocativi di kuvrio" e despovth", un mutamento strutturale.
159 Cfr. LSJ s.v. kuvrio" III.B.b «later kuvrie as a form of respectful address, sir».
160 Troviamo kuvrie in 1.29.48, 2.7.9, 2.7.12, 2.15.15, 2.16.13, 2.20.30, 3.10.15, 3.22.38, 3.23.11, 3.23.19, 4.1.57.
52
stesso Epitteto riporta addirittura che kuvria era il vocabolo correntemente utilizzato per rivolgersi alle donne dai quattordici anni in su.161
Lo sviluppo e la diffusione di queste accezioni di kuvrie e di devspota sono stati inquadrati162 all’interno di una tendenza generale, riguardante anche il latino domine, che avrebbe portato a un indebolimento del significato di questi termini: un processo analogo, insomma, a quello che ha interessato, nella storia delle lingue moderne, vocaboli che originariamente significavano “padrone” e che col passare del tempo sono diventati semplici titoli di cortesia.163 Questa ricostruzione, pur avallata da uno studioso illustre come Svennung, lascia alcuni aspetti irrisolti: non spiega, infatti, come mai sia stato coniato un nuovo vocativo, kuvrie, quando devspota, nella sua accezione “indebolita” avrebbe potuto svolgere funzioni analoghe, né come mai la frequenza d’impiego di questi due vocativi abbia conosciuto parabole differenti; 164
inoltre, nel caso di domine, l’indebolimento sembra imputabile più allo scarto fra l’uso vocativo e quello referenziale del termine che non a un indebolimento progressivo legato a un fattore cronologico.
Questi due cambiamenti – mutamento semantico e, conseguentemente, maggiore