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Promozione dell’equità in sanità e programmazione aziendale: evidenze da uno studio di caso esplorativo

2. Equità in sanità: elementi concettuali e strument

Il principio di equità in sanità, ampiamente dibattuto in letteratura, è par- ticolarmente articolato (Lane et al. 2017). Sotto il profilo normativo, es- so attiene alla sfera della giustizia sociale, qualificandosi come princi- pio volto a garantire pari diritti e opportunità di salute ai cittadini (Brave- man e Gruskin 2003). Infatti, secondo un’accezione ampiamente condi- visa, perseguire l’equità in sanità significa ridurre il più possibile le diffe- renze di salute derivanti da fattori considerati non solo evitabili, ma an- che ingiusti1 (Whitehead 1992).

Muovendo sul piano di una definizione più “operativa”, è possibile di- stinguere tra equità nella salute ed equità nei servizi (per es., Braveman 2006; Whitehead 1992). La prima accezione (i.e., equità nella salute) riguarda l’assenza di sistematiche disparità nello stato di salute osserva- bile in diversi gruppi di persone che, variamente posizionati nella gerar- chia sociale, si caratterizzano per l’essere avvantaggiati ovvero svantag- giati in termini di ricchezza, potere e/o prestigio (Braveman e Gruskin 2003). Pertanto, al fine di identificare l’esistenza di situazioni di dispari- tà, occorre segmentare l’analisi dello stato di salute della popolazione in gruppi omogenei opportunamente costruiti in relazione a variabili sociali quali, per esempio, la deprivazione economica, l’istruzione, l’età, il ge- nere, il luogo di residenza, l’appartenenza etnica o religiosa (Boeckxsta- ens et al. 2011). Questa visione sociale dell’equità è divenuta un tema

1 Ad esempio, le differenze nella salute riconducibili a fattori biologici o a lecite scelte di vi-

ta, come praticare attività sportive, non sono considerate inique. Viceversa, sono considerate inique le differenze nella salute dovute alla presenza di barriere all’accesso ai servizi ovvero all’esposizione a condizioni di vita non salubri.

centrale, in quanto le disparità nello stato di salute sono biunivocamente collegate ai vantaggi ovvero agli svantaggi sociali caratterizzanti diver- si gruppi di persone (Braveman 2006; Costa et al. 2014). In altri termi- ni: da un lato, l’essere in una posizione sociale più o meno avvantaggia- ta implica la possibilità di trovarsi in uno stato di salute più o meno ele- vato; dall’altro lato, l’iniquità nella salute pone, a propria volta, gruppi già socialmente svantaggiati in una condizione di ulteriore svantaggio.

La seconda accezione (i.e., equità nei servizi) ha per oggetto speci- fico l’erogazione dei servizi sanitari e socio-sanitari, da cui dipendono gli esiti di salute. Nonostante le differenze riscontrabili in letteratura con riferimento a questa dimensione di analisi, l’equità nei servizi è anzitut- to comunemente intesa in termini di equità di accesso, con l’obiettivo di promuovere la rimozione delle barriere che determinati gruppi di perso- ne (ancora una volta identificabili in base a variabili sociali, quali quelle sopra richiamate) possano sperimentare nell’accedere ai servizi dispo- nibili (Whitehead 1992). Più in particolare, l’equità di accesso ai servi- zi sanitari e socio-sanitari è intesa non solo con riferimento alla quantità dei servizi offerti, ma anche alla loro qualità (Cattacin et al. 2013; Lane et al. 2017). Inoltre, un’ulteriore dimensione di analisi dell’equità nei ser- vizi concerne l’utilizzo dei servizi disponibili (Cattacin et al. 2013; Lane et al. 2017; Whitehead 1992). Trattasi di un aspetto differente dal pre- cedente, in quanto diversi gruppi di persone, pur godendo di pari op- portunità di accesso, possono sperimentare differenti tassi di utilizzo dei servizi in relazione a ragioni di carattere sociale (es. livello di istruzio- ne). Da ultimo, e in senso ancor più ampio, l’accezione di equità nei ser- vizi sanitari giunge a includere anche i meccanismi di allocazione delle risorse e di finanziamento (Braveman e Gruskin 2003). Lungo tale linea di pensiero, si distinguono l’equità orizzontale, volta a garantire pari di- stribuzione di risorse a parità di bisogni, rispetto all’equità verticale, che si caratterizza per una differente distribuzione di risorse a fronte di diffe- renti livelli di bisogno (Barsanti e Nuti 2014).

Muovendo dagli aspetti concettuali all’analisi degli strumenti utili ai fini della programmazione, numerosi contributi propongono l’utilizzo dell’He- alth Impact Assessment quale approccio di valutazione degli impatti deri- vanti da interventi pubblici sullo stato di salute della popolazione (Birley 2011; Scott-Samuel 1996). Tipicamente, esso è finalizzato a supporta- re le decisioni riguardanti la definizione e attuazione di una determina- ta proposta di intervento pubblico al fine di massimizzare gli impatti po- sitivi sulla salute della popolazione di riferimento e di minimizzare quelli negativi, migliorando nel contempo la distribuzione degli effettivi positivi tra diversi gruppi sociali. Si tratta di uno strumento che può essere appli- cato a diversi ambiti, quali l’edilizia sociale, i trasporti e – evidentemen- te – i servizi sanitari e socio-sanitari. L’utilizzo dell’Health Impact Asses- sment può avvenire prima, durante o dopo l’applicazione della proposta oggetto di analisi (Mindell et al. 2003), a seconda che lo scopo della va-

lutazione sia, rispettivamente, il supporto al processo decisionale prece- dente l’attuazione dell’intervento, l’identificazione di eventuali azioni di miglioramento in itinere, oppure il monitoraggio degli esiti di salute che si manifestano in seguito alla sua attuazione. In ogni caso, l’applicazio- ne di tale strumento, in ragione dell’analisi relativa alla distribuzione de- gli effetti di salute tra diversi gruppi sociali, assume chiara rilevanza nel- la riduzione delle disparità di salute e nella promozione di equità socia- le (Povall et al. 2013).

In aggiunta all’Health Impact Assessment, sono state proposte ulterio- ri metodologie in cui il riferimento all’equità emerge come specifico ed esplicito oggetto di valutazione, offrendo, di conseguenza, una maggio- re focalizzazione rispetto al tema. Tra queste si ravvedono:

– l’Health Equity Impact Assessment (Povall et al. 2013) e l’Equity Focused Health Impact Assessment (Harris-Roxas et al. 2014; Sim- pson et al. 2005), che applicano in maniera sistematica e struttu- rata la metodologia dell’Health Impact Assessment al fine di valu- tare l’impatto differenziale di salute generato da un determinato intervento pubblico nei confronti di specifici gruppi all’interno del- la popolazione, laddove tali differenze siano evitabili e ingiuste, proponendo di conseguenza interventi migliorativi;

– l’Health Equity Audit, che valuta l’equità di diffusione dei servizi e delle risorse nella popolazione in relazione ai bisogni di diversi gruppi sociali e aree territoriali, così da identificare le azioni pri- oritarie da sviluppare al fine di offrire servizi equi in relazione ai bisogni (Aspinall e Jacobson 2005).

Nella letteratura di matrice aziendale, l’analisi dell’equità in sanità rappresenta, tuttavia, un tema ancora poco studiato, a discapito della sua rilevanza. In particolare, a fronte di alcuni recenti lavori che affron- tano il tema della valutazione delle performance di equità delle azien- de sanitarie (Borgonovi 2005; Cooper et al. 2009; Davis et al. 2013; Mussari 2011), appare ampiamente inesplorato lo studio di come l’equi- tà – lungi dal qualificarsi come solo principio guida – possa essere pie- namente valorizzata nell’ambito dei processi organizzativi e decisiona- li (Barsanti e Nuti 2014).

A questo proposito, è interessante analizzare la distanza che può sus- sistere tra pratica etica in vitro e pratica etica in vivo2. Con pratica in vi-

tro si fa riferimento alla promozione di un principio attraverso proces- si di sensibilizzazione culturale, nonché la sua inclusione nei documen- ti programmatici e l’affermazione della sua importanza per l’organizza- zione. Si tratta di un passaggio preliminare fondamentale che, tuttavia, non è latore di effetti concreti finché l’affermazione del principio non si traduce in pratiche agite in vivo all’interno dell’organizzazione. Infatti,

2 Nel campo degli esperimenti in ambito clinico e sociale, i concetti di in vitro e in vivo si

riferiscono, rispettivamente, allo svolgimento di un esperimento all’interno di un laboratorio (in vitro) e all’esame e osservazione di un evento direttamente ove esso si verifica (in vivo).

è la fase in vivo della pratica che genera cambiamenti reali, rappresen- tando la condizione necessaria affinché un dato principio etico esca dal campo del pensiero e della cultura astratta per entrare a far parte dell’a- gire organizzativo.

Lungo tale linea di pensiero, Gehman et al. (2013) mettono in luce i complessi processi attraverso cui i principi emergono e si diffondono nell’organizzazione, sino a tradursi pienamente nell’agire organizzati- vo. Tra gli altri, gli autori evidenziano l’importanza di progettare specifi- ci strumenti relativi all’applicazione di un dato principio, diffondendone poi l’attuazione anche attraverso il loro inserimento nella programmazio- ne aziendale. La progettazione degli strumenti riflette la pratica etica in vitro, mentre la loro attuazione nell’organizzazione riflette la pratica eti- ca in vivo, evidenziando se e come un dato principio, riflesso e trasmes- so tramite gli strumenti applicativi, si è diffuso all’interno dell’organizza- zione. Con particolare riferimento al tema dell’equità, l’analisi di se e come i principi emergono e si diffondono in un’organizzazione attraver- so specifici strumenti permette, quindi, di studiare opportunità, tensioni e difficoltà che si celano intorno alla valorizzazione dell’equità come prin- cipio cardine per le aziende sanitarie.