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L’EROE DELL’EPOS, L’EROE DEL NOVEL, L’EROE DEL MONDO

CAPITOLO 1 – Strumenti

1.3 L’EROE DELL’EPOS, L’EROE DEL NOVEL, L’EROE DEL MONDO

Dopo aver definito cosa si intende con la nozione personaggio, dopo aver analizzato i procedimenti per la sua caratterizzazione e aver distinto alcuni tipi di eroe, ora si procede

26 Idem, p. 15

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ripercorrendo sinteticamente alcune sue fasi di caratterizzazione che risultano più significative relativamente al parallelo modificarsi del genere letterario ospitante.

In primis, sembra utile distinguere, all’interno dei personaggi costituiti da “gruppi di parole”, tra gli eroi dell’epos e quelli della prosa quotidiana. Mazzoni nel suo Teoria del romanzo bene sintetizza la riflessione di Hegel proposta nelle Lezioni di Estetica su questa metamorfosi. Gli eroi dell’epos sono, a suo avviso, autonomi e universali: autonomi perché la loro azione non esprime un’abitudine o una legge, ma è un primum; sono universali perché la loro azione esprime valori collettivi. I personaggi della prosa, invece, secondo Hegel sono dipendenti e particolari: sono dipendenti nel senso che esistono all’interno di un ambiente che li condiziona e li definisce; sono particolari perché rappresentano solo un frammento particolare dell’intero, le loro azioni non cambiano il destino della comunità, ma condizionano solo la sfera privata del personaggio. Per chiarire, Mazzoni riporta un passaggio di Hegel tratto dall’Estetica

L’individuo, come appare in questo mondo della prosa quotidiana, non è attivo in base alla propria totalità, e può essere compreso non in base a se stesso, ma a ciò che è altro. Infatti l’uomo singolo viene a dipendere da influenze esterne, leggi, istituzioni statali, rapporti civili, che egli già trova, e a cui deve piegarsi.28

Chiaramente questa differenza rispecchia le diverse società rappresentate nelle opere, nate all’interno di contesti socio-economici molto diversi. Mentre gli eroi dell’epos si muovono in una società organica e comunitaria, segnata dalle gesta dei sovrani, gli eroi romanzeschi sono inseriti in una società disorganica, amministrata e verrebbe da aggiungere individualistica, in cui la storia è data dallo sviluppo delle contraddizioni antagonistiche tra gli Stati e tra le classi all’interno delle logiche economiche della capitalismo. Mazzoni sintetizza:

Nell’età eroica, pochi individui straordinari agiscono a nome di tutti; nel mondo della prosa, ogni persona agisce per scopi personali e la vita è governata da abitudini, leggi e istituzioni che danno, alle gesta dei singoli, un significato esclusivamente particolare.29

Vediamo, quindi, che sono due gli aspetti che segnano lo spartiacque tra questi due tipi di personaggi: da un lato gli eroi dell’epos sono individualità universali che con il loro agire determinano la legge, mentre nei personaggi romanzeschi l’eccezionalità è indebolita; dall’altro

28 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, Bologna, il Mulino, 2011, p. 272

27 lato, rifacendosi alla teoria della divisione degli stili, gli eroi della tradizione classica appartengono all’universo del sublime, mentre i personaggi agiscono nel comico e anzi ibridano il sublime e il comico fino a farli, addirittura, convivere nello stesso “corpo”, dando esempio di una commistione degli stili che, in epoca classica, era inconcepibile. Parafrasando Stara, potremmo dire che il mondo in cui sono immersi gli eroi romanzeschi è quello in cui l’individuo è oppresso da una società che possono contrastare solo in due modi: o scegliendo la distanza, rinchiudendosi nell’interiorità che porterà, alla lunga, al ripiegamento su sé stessi; o scegliendo la collisione, la rivolta contro il sistema, che li rende prigionieri.

In seguito Stara, nella sua riflessione sulla metamorfosi tra un tipo e l’altro, riprende la proposta avanzata da Ian Watt, nel suo volume del 1957 Le origini del romanzo borghese, dove mette bene in luce i principali procedimenti narrativi del romanzo, collegandoli all’ascesa della classe borghese e al consequenziale ampliamento del pubblico dei libri. In particolare per ricostruire l’immagine “dell’uomo” romanzesco, il critico italiano riprende da quello inglese cinque figure che vanno a incidere o sul livello della narrazione, o su quello del discorso, o su entrambi. La prima figura indagata si sviluppa sul piano della narrazione e viene definita abolizione dell’eccesso di realtà: sta a significare che i personaggi sono costruiti assolutamente simili al vero, tanto da confondere il lettore non professionista. La seconda figura, in equilibrio tra il piano della narrazione e quello del discorso, viene detta denegazione romanzesca: nel romanzo, per la prima volta nella storia della narrativa, hanno legittimità personaggi provenienti dalle classi più povere della società, ma il resoconto della loro vita e le loro parole vengono sottoposte alla censura dell’autore stesso. Tale compito di mediatore viene affidato al narratore. La terza figura, presentazione della particolarità realistica, incide, sul piano del discorso, come le due che successivamente descriveremo. Rispetto a questa, la riflessione di Watt parte dai nomi propri, argomento su cui ci siamo soffermati anche precedentemente. Mentre i nomi degli eroi dell’epos assumono un valore simbolico, i nomi dei personaggi romanzeschi ne sono privi. Questa mancanza, insieme all’introduzione dell’uso del cognome, li rende più vicini alla realtà del lettore. Piano piano il personaggio acquisisce sempre più motivi realistici. La quarta figura, che Stara definisce l’indiscrezione romanzesca, mette in luce la facoltà del lettore di romanzi di osservare i personaggi alternativamente da fuori e da dentro, questa libertà di movimento è tale che molti autori concentrano la loro lente più sui motivi che vanno a caratterizzare l’intimità dei personaggi. Ultima figura affrontata da Stara è quella che passa sotto il nome di ipercausalismo o onnipotenza dei pensieri. Con essa si intende la tendenza del romanzo a dare eccessiva importanza alla coerenza complessiva delle azioni dei personaggi. A costituire il

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punto di partenza per ogni sviluppo dell’intreccio, devono essere l’esperienza pregressa del personaggio e il suo carattere attuale (passioni, ideologia, stati d’animo, sentimenti). Tale eccessiva ricerca di coerenza trascinerà il personaggio verso un nuovo tipo di incredibilità. Se, quelle descritte, sono le componenti che caratterizzano, sul piano della narrazione e su quello del discorso, il personaggio romanzesco dal suo esordio, vediamo che i motivi che lo compongono non rimangono stabili fino ad oggi. Questi vengono indagati di Stara nelle posizioni sviluppate all’interno del dibattito critico, che si fa più ricco e consapevole sul finire dell’800 e in età contemporanea. Egli indica in tre linee la ricostruzione dell’idea di personaggio susseguita allo tsunami che ha attraversato il genere romanzesco dalla metà dell’800 all’età contemporanea. Infatti, all’interno di questo arco di tempo, il romanzo e i suoi personaggi sono dovuti passare al vaglio della Storia, un storia che ha visto, dal 1848 in poi, sempre più un protagonismo delle masse, il cui orizzonte si andava separando dalle aspirazioni della nuova classe borghese in ascesa, nel cui alveo il romanzo aveva tratto le sue origini. Una storia che ha anche conosciuto l’orrore e le barbarie dei due conflitti mondiali, avvenimenti che, con i corpi, hanno deflagrato anche l’idea dell’uomo e del soggetto. Ovviamente ne hanno subito una forte influenza anche il genere romanzesco e i suoi protagonisti, che hanno per compito quello di offrire al lettore la rappresentazione della visione del mondo e dell’uomo del proprio autore. Come si diceva, Stara individua in tre linee di ricostruzione la reazione del romanzo alla catastrofe che si è abbattuta sul genere e che ha messo a dura prova secondo la critica lo stesso statuto del personaggio. La prima linea proposta dal critico italiano è quella che chiama linea del percepire e così definisce:

Fare del personaggio il centro di percezione privilegiato del romanzo, delegando ad esso molte delle mansioni che erano appartenute al narratore, comporterà nel corso del Novecento l’approfondirsi di una prima linea di modificazione della sua fisionomia tradizionale da mettere sotto il segno, per riprendere ancora la terminologia di Genette, della “modalità”: diventerà necessario insomma riscrivere gli estremi di quel contratto narrativo che dal Settecento, fin oltre la metà dell’Ottocento, aveva tenuto distinte, come abbiamo visto, le responsabilità del narratore da quelle del personaggio rispetto alla storia raccontata.30

Lungo questa linea, anche sul piano linguistico, la tradizione verrà innovata con l’introduzione di strumenti come il flusso di coscienza e la focalizzazione ristretta che vanno a minare le articolazioni sintattiche del discorso per rendere l’immediatezza del pensiero e della percezione

29 di singoli personaggi, resi sempre più evidentemente strumenti funzionali. Infatti, nella battaglia critica tra il prevalere dell’aspetto illusionistico (mimetico) e quello costitutivo-funzionale (diegetico), se i primi proponenti di questa linea, come James, cercavano un equilibrio, nello sviluppo di tale linea il personaggio verrà considerato un “effetto testuale” da analizzare attraverso la scomposizione dei suoi “mezzi costitutivi”.

La seconda linea di dissoluzione del personaggio tradizionale del novel, detta linea dell’agire, mette in crisi una delle figure caratterizzanti l’eroe romanzesco che prima abbiamo chiamato ipercausalismo o onnipotenza dei pensieri. Infatti, quello che viene messo in dubbio è la causalità diretta che metteva in relazione le varie azioni del personaggio tra loro ed esse con la sua interiorità. Nel novel, come aspetto caratterizzante rispetto al romance, c’è proprio una richiesta di verosimiglianza, una logica generale governata dai nessi di causa-effetto che da un lato bandiva le risoluzioni arbitrarie dell’intreccio e dall’altro garantiva anche una coerenza del personaggio rispetto ai suoi comportamenti e alle sue parole. Messo in crisi questo nesso, che da Aristotele a Hegel si era mantenuto saldamente, si presentano due alternative: la prima tutta rivolta all’interiorità, dove la narrazione ha come unico sviluppo lo scavo nell’intimità del personaggio che cercherà così di ricostruire una conoscenza di sé stesso per arrivare a teorizzare l’impossibilità dell’azione. La seconda alternativa, invece, è tutta rivolta all’azione: l’aspetto illusionistico sarà eliminato in favore di un personaggio la cui vita interiore è stata annullata e che è ufficialmente messo al servizio dell’intreccio. Il lettore potrà osservarlo solo dall’esterno e la carica di complicità tra i due è cancellata per cedere il passo ad un osservazione oggettiva da parte del lettore dell’agire del personaggio.

La terza linea, di cui ci parla Stara, è quella definita linea dell’essere, che mette al centro della sua ricerca il nuovo legame profondo che unisce l’autore e i suoi personaggi. All’interno di questa, nel Novecento, prendono consistenza due orientamenti: il primo cercherà di ripristinare l’aspetto illusionistico del personaggio attraverso l’introduzione di elementi ricavati dalla biografia dell’autore con lo scopo di ridare verosimiglianza agli occhi del lettore alla formula compositiva tradizionale. Il secondo orientamento, opposto al primo, cercherà di dare consistenza al nuovo patto narrativo tra autore e lettore attraverso al costruzione di personaggi che, rifiutando l’autobiografismo, si svilupperanno su una base di esperienze e di vissuto dell’autore, ma rimanendo, distinti da esso, sul piano della finzione.

All’interno delle tre linee ora esposte, Stara inserisce le posizioni dei vari critici e autori che si sono resi protagonisti del dibattito in merito alla nozione del personaggio tra la fine dell’Ottocento e il Novecento. Le posizioni si rivelano molto diversificate anche all’interno

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della stessa linea, offrendo molteplici strade per ripercorrere la storia di questa nozione. Ciò dimostra quanto essa sia viva, proprio perché soggetta al mutamento dovuto allo sviluppo delle contraddizioni storiche e al dibattito che ne deriva, solo la stasi decreta la morte di un’idea, di una lingua, di una nozione.

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