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Eroi naufraghi, poeti, vagabondi

Nel documento “¿Mi patria es mi lengua?” (pagine 36-39)

I. INTRODUZIONE

3. I PERSONAGGI

3.1. Eroi naufraghi, poeti, vagabondi

il desiderio di libertà che solo una vita «sin timón y en delirio»23 pare poter offrire e il sentimento di solitudine e instabilità che ne deriva, e al quale sembrano comunque sempre condannati, i protagonisti di Bolaño vivono un’esistenza all’insegna della contraddizione che è cifra del tempo presente: «equilibrados en sus desequilibrios, coherentes en sus vidas fueras del sistema, yendo a configurar identidades que se dirigen hacia la deriva» (Bolognese, 2009: 167).

3.1. Eroi naufraghi, poeti, vagabondi

Marginalità è una delle parole chiave per definire i protagonisti della letteratura di Bolaño. Essi infatti camminano ai confini di una società della quale non possono e non vogliono far parte e della quale sono vittima: «no somos de esta parte de DF, venimos del metro, de los subterráneos del DF, de la red de alcantarillas, vivimos en lo más obscuro y en lo más sucio, allí donde el más bragado de los poetas no podrá hacer otra cosa que vomitar» (Bolaño, 2017b: 60). Si sentono «extraños en el mundo» (Bolognese, 2009: 171), esseri che seguono «el camino de los perros, allí donde no quiere ir nadie» (Bolaño, 2013: 32). Senza radici e senza patria, conducono una vita nomade, sono «héroes sin hogar […] vagabundos que viajan sin afincarse realmente en ninguna parte» (Aínsa in ivi: 203), che si muovono perché non hanno motivi per fermarsi; ovunque vadano, infatti, portano con sé il loro senso di inadeguatezza che non li fa sentire da nessuna parte a casa. Il viaggio, invece di contribuire alla formazione dell’identità, nelle opere di Bolaño assume prevalentemente l’aspetto di un moto perpetuo fonte d’indefinizione e precarietà, un viaggio circolare, che non porta da nessuna parte e che, come afferma Bolognese, in realtà «encubre un estado de parálisis» (ivi, 166). Emblematica di questo girovagare esistenziale senza fine è l’immagine di Auxilio Lacouture che «vagaba por el DF como un duende (me gustaría decir como un hada, pero faltaría a la verdad), y bebía y discutía y participaba en tertulias» (Bolaño, 2017b: 23): parole con cui, cercando di dare un senso alla sua erranza, non fa altro che mettere in risalto ancor di più il vuoto che la affligge e guida le sue azioni. Altro esempio parlante del radicale senso di disorientamento che sperimentano è l’incipit della “Parte di Amalfitano”:

23 «Si he de vivir que sea sin timón y en delirio» è un verso del poeta Mario Santiago che Bolaño cita come epigrafe del romanzo La pista de hielo (2003).

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No sé a qué he venido a hacer a Santa Teresa, se dijo Amalfitano al cabo de una semana de estar viviendo en la ciudad. ¿No lo sabes? ¿Realmente no lo sabes?, se preguntó. Verdaderamente no lo sé, se dijo a sí mismo, y no pudo ser más elocuente (2017a: 221).

O ancora:

No pensaba quedarse mucho tiempo en Santa Teresa. Hay que volver ya mismo, se decía, ¿pero adónde? Y luego se decía: ¿qué me impulsó a venir aquí? ¿Por qué traje a mi hija a esta ciudad maldita? ¿Porque era uno de los pocos agujeros del mundo que me faltaba por conocer? ¿Porque lo que deseo, en el fondo, es morirme? (ivi: 266).

Il viaggio, intorno al quale si organizza la maggior parte dei romanzi di Bolaño, è quindi caratterizzato dall’impossibilità di raggiungere l’oggetto della propria ricerca, di trovare risposte o di recuperare le proprie radici: la verità, che i personaggi-detective di Bolaño inseguono invano, non è che una chimera.

Il territorio liminale che abitano i personaggi bolañeschi è una prigione che li costringe all’esclusione e al rifiuto, ma allo stesso tempo offre loro un punto di osservazione privilegiato della realtà, e quel distanziamento che permette di leggere con un’altrimenti impossibile lucidità – al limite della follia – il mondo circostante. Questo si ricollega all’idea che Bolaño ha della letteratura come garanzia di esilio permanente (cfr. 2.2.1.): non a caso, infatti, le sue opere sono costellate di poeti, giornalisti, scrittori, critici, accaniti lettori, personaggi che vivono nutrendosi di letteratura e che trovano in essa l’unica zattera di salvezza, in un mondo in cui viaggiano perennemente alla deriva.

Un altro elemento che non fa altro che relegare ancora di più ai margini la maggior parte dei personaggi è il loro essere latinoamericani, figli di un continente dominato da un clima di incertezza sociale e politica che provoca un perenne senso di sconforto e paura; la terra delle promesse incompiute, dove ogni speranza sembra spegnersi come, del resto, «se apagan muchas cosas en Latinoamérica» (2017b: 50) perché «la muerte es el báculo de Latinoamérica y Latinoamérica no puede caminar sin su báculo» (ivi: 58).

Il loro vagabondaggio non è solo fisico, ma anche emotivo e mentale, costantemente in bilico tra instabilità e libertà, tra lucidità e follia. Individui che hanno paura di impegnarsi in relazioni durature, ma allo stesso tempo tentano di stabilire legami affettivi per trovare rifugio dalla propria angoscia esistenziale. «A los personajes les asusta la soledad, pero al mismo tiempo, la consideran como la forma suprema de libertad, pues tienen más miedo a las incognitas que comporta un vínculo personal que a la certeza del vacío de la nada» (Bolognese, 2009: 228). Sono, inoltre, “viajeros del intelecto”, o

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“chincuales”, parola che, come spiega il decano della facoltà di Lettere e Filosofia di Santa Teresa ad Amalfitano,

tiene como todas las palabras de nuestra lengua, muchas acepciones. En principio designa los puntitos rojos, ¿sabe?, que dejan en nuestra piel las picadas de las pulgas o de las chinches. Esas picadas causan escozor y la pobre gente que las padece no para de rascarse, como es lógico. De ahí viene una segunda acepción, la que designa a las personas inquietas, que se contorsionan y se rascan, que no dejan de moverse y ponen nerviosos a los involuntarios espectadores que los contemplan. Digamos, como la sarna europea, como los sarnosos que tanto abundan en Europa y que contraen esta enfermedad en los aseos públicos o en esas horrendas letrinas francesas, italianas y españolas. Y de esta acepción viene la última acepción, la acepción guerrista, como si dijéramos, que designa a los viajeros, a los aventureros del intelecto, a los que no se pueden estar quietos mentalmente (2017a: 271; corsivo dell’autore).

Questi “aventureros del intelecto”, dei quali il professore cileno è un degno rappresentante, forse proprio perché si avventurano in territori impervi, si trovano molto spesso a costeggiare le sabbie mobili della follia. Non a caso, infatti, temendo di impazzire, si interrogano con una frequenza che sfiora l’ossessione circa la propria sanità mentale e vengono considerati squilibrati da chi li circonda. Persi in un universo che non vogliono o non possono capire, relegati ai margini della società, «los locos [...] deambulaban como fichas de un azar aún más enloquecido» (Bolaño, 2017d: 453). Bolaño suggerisce l’idea della follia come unico modo logico di comprendere una realtà che ha perduto ogni forma di razionalità e nella quale quindi coloro che vengono considerati pazzi sono forse, invece, i detentori di una coraggiosa lucidità che permette loro di accettare ciò che i cosiddetti sani di mente, per timore, rifiutano (cfr. Bolognese, 2009: 249).

Il loro aggirarsi in questo limbo sociale, mentale e relazionale rende sfumati anche i contorni dei loro corpi, facendoli assomigliare più a ombre, a fantasmi che a uomini e donne in carne e ossa, talmente inconsistenti e vaghi che a volte ci fanno dubitare persino della loro esistenza: indefiniti e inafferrabili come lo è la loro identità. Anche la loro personalità è altrettanto fumosa: «Llama la atención el poco interés que concede al mundo subjetivo de sus personajes […] su escritura no depende de la introspección, sino del recuento de datos» (Villoro, 2008: 84).

La marginalidad, indiscutiblemente, agota y quita tiempo para la introspección y más allá de la abrumadora fijeza parlante de la palabra escrita, de la proliferación de los relatos –que parece ser la única tabla de salvación– el hombre se esfuma, su identidad se evapora, sólo persiste su conflicto (López Badano, 2012: 517-518).

Nel documento “¿Mi patria es mi lengua?” (pagine 36-39)