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L’ERRORE MATERIALE

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Sommario : §1 Premesse generali - § 2 Una possibile lettura dell’art. 625 bis Cod. proc. pen. - § 3 Ricognizione casistica delle decisioni della Cassazione in materia

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§1 Premesse generali.

L’art. 625 bis Cod. proc. pen, come abbiamo già rilevato, disciplina due istituti che, sebbene uniformati nella fonte normativa, sono tuttavia eterogenei.

Se, infatti, il ricorso straordinario per errore di fatto appartiene al

genus delle impugnazioni, il ricorso straordinario per errore materiale

è un rimedio di carattere correttivo esperibile contro errori od omissioni evidenziabili dallo stesso tenore della decisione, non incidenti, tuttavia, sul contenuto sostanziale dell’atto.

Com’è stato osservato, “il ricorso per errore di fatto sottende la logica del controllo propria dei mezzi di impugnazione, mentre il ricorso per errore materiale persegue la correzione della pronuncia poiché inficiata da un lapsus espressivo che manifesta malamente, all’esterno, la volontà formatasi: nell’un caso (ricorso per errore di fatto), il ricorrente tende alla rimozione sostitutiva del provvedimento, deducendone la sostanziale ingiustizia, nell’altro (ricorso per errore materiale), l’istante punta all’emenda correttiva della pronuncia, di cui ne condivide ordito e contenuti, ma non la manifestazione esteriore” ( 138).

La correzione dell’errore materiale rappresenta, quindi, un completamento del giudizio, laddove la revocazione per errore di fatto

! G. Ranaldi, Il ricorso straordinario per cassazione: ambiti operativi e rapporti con i rimedi

138

costituisce un mezzo di impugnazione di un decisum, per così dire, perturbato e sospetto di essere ingiusto.

Detto rimedio, “non ha pertanto né la struttura né la finalità di un mezzo di gravame, atteggiandosi piuttosto come sollecitazione rivolta al giudice che ha emesso il provvedimento ad esercitare i suoi poteri officiosi di emenda” ( 139).

Il rimedio approntato dall’art. 625 bis Cod. proc. pen. ha, dunque, natura correttiva, essendo funzionale alla rimozione della situazione di apparente incertezza del provvedimento, senza peraltro incidere in alcun modo sulla sua sostanza né sostituire la decisione.

Attivabilità d’ufficio (art. 625 bis Cod. proc. pen. comma terzo) e assenza di limiti temporali alla relativa esperibilità (comma quarto) connotano, in ragione dei differenti tratti sistematici dei rimedi, la correzione dell’errore materiale rispetto al ricorso per errore di fatto. Non avrebbe senso, infatti, proprio perché l’errore materiale riguarda l’aspetto estrinseco e meramente documentale della decisione, parlare di un’efficacia sanante su tali aspetti correlata al decorso del tempo ( 140); d’altro lato, la natura “neutrale” del rimedio, non contrastante

con la tutela del giudicato, ma rivolta, a presidio delle esigenze di certezza dell’ordinamento, alla sola chiarificazione del decisum, non varrebbe in ogni caso a giustificare la necessità di un’iniziativa rimessa esclusivamente alla disponibilità della parte.

! G. Fumu, sub art. 6 legge 26 marzo 2001 n. 128, cit., pag. 427.

139

! L’art. 391 bis Cod. proc. civ., introdotto con la legge 26 novembre 1990, n. 353 (in Foro.it.,

140

1996,I,pag.2231, con nota di T. Luzzi, E’ incostituzionale la previsione di un termine per la

proposizione dell’istanza di correzione degli errori materiali), è stato dichiarato parzialmente

incostituzionale con la sentenza n. 119 del 18 aprile 1996, nella parte in cui prevedeva, al pari dell’errore di fatto, un termine per la proposizione dell’istanza di correzione degli errori materiali contenuti nella pronunce del giudice di legittimità, argomentando dalla diversa natura dei due istituti ed osservando che l’esperibilità senza limiti cronologici dell’istanza di correzione appare essere in linea con l’esigenza di porre in chiaro l’effettivo contenuto della decisione, svisato nella sua documentazione grafica.

L’errore materiale, investendo l’atto nella sua esteriorità, è comunemente definito come la svista, il manifesto divario tra l’effettivo pensiero del giudice e la sua manifestazione estrinseca, palesandosi, in senso positivo, mediante l’errore, in senso negativo mediante l’omissione, riparabile mediante semplici operazioni di adeguamento sostitutivo o integrativo.

La corrente definizione ( 141), adottata anche in ambito civilistico, di

divergenza evidente tra l’ideazione e l’intendimento del giudice e la sua materiale esteriorizzazione, non in grado di incidere sul contenuto sostanziale della sua decisione ( 142), ovvero di mancata rispondenza

tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica, costituisce usuale bagaglio espressivo delle innumerevoli pronunce in tema di correzione ( 143).

Tale definizione, generalmente adoperata per le fattispecie governate dall’art. 625 bis Cod. proc. pen, ripropone fedelmente le categorie concettuali già elaborate dalla giurisprudenza con riferimento al

! Suggestivo, ma improprio, perché fuorviante, appare il richiamo all’errore motivo riferito

141

non più al negozio giuridico, sebbene alla categoria dell’errore motivo: infatti, il contenuto della decisione giurisdizionale non è frutto un’attività discrezionale rimessa alla libera determinazione della volontà del giudice, essendo l’ordinamento a governare presupposti ed effetti giuridici dei provvedimenti giurisdizionali, a fronte della cui ricorrenza il provvedimento del giudice è giuridicamente obbligato.

! In ambito civile, per tutte, cfr: Cass., 7 novembre 2005, n. 21521; Cass., Sez. Un., 27 giugno

142

2002, n.9438, Cass., 24 luglio 2012, n. 12692.

! Con riferimento al rimedio di cui all’art. 625 bis Cod. proc. pen, cfr.: Cass. Sez. F., 7

143

settembre 2001, n. 42794, Schiavone, CED 220181; Cass., Cass., Sez. VI, 5 dicembre 2001, Padalino, CED 220951; Cass., Sez. Un.,30 aprile 2002, n. 16103, Basile,CED 221281; Cass., Sez. I, 13 novembre 2001, n. 45731, Salerno, CED 220373.

disposto di cui all’art. 130 Cod. proc. pen. in tema di correzione degli errori materiali ( 144).

Invero, la modifica apportata dal legislatore del 2001 si inseriva in un tessuto ordinamentale che già provvedeva a disciplinare, in vari modi, l’errore materiale.

La nuova norma non nasceva, in altri termini, in terra incognita. Esisteva, infatti, una fitta trama di ipotesi tipizzate di errore materiale, suscettibili di consentire la correzione di errori materiali in alternativa al rimedio impugnatori.

Numerose sono le disposizioni normative previste nel codice di rito, dirette ad adeguare, attraverso un correzione, per così dire, “funzionale” dell’atto, il deficit rappresentativo del documento medesimo.

Si tratta, in particolare, delle fattispecie di cui all’art. 66 comma terzo Cod. proc. pen. (in tema di rettificazione delle generalità dell’imputato); all’art. 535 comma 4 Cod. proc. pen. (in punto di condanna alle spese); all’art. 547 (in tema di correzione della sentenza); all’art. 668 Cod. proc. pen. (in ordine alla condanna per errore di nome); all’art. 619 primo e secondo comma Cod. proc. pen. (con riferimento all’erronea indicazione di norme o agli errori di diritto privi di valenza decisiva, ovvero all’errata indicazione della specie o quantità della pena dovuta ad errore di denominazione o di computo; fattispecie che vengono tendenzialmente ricondotte alla correzione dell’errore materiale); all’art. 624 comma secondo Cod. proc. pen.

! Sull’istituto in generale, cfr.: R. Fonti, La correzione dell’errore materiale, in Trattato di

144

Procedura Penale , diretto da G. Spangher, I, II, Gli atti, Torino, 2008, pag. 147; E. Farinelli, sub art. 130, in Codice di Procedura Penale Commentato, a cura di A. Gaito, Torino, 2012, pag.

130; L. Marafioti, Correzione e integrazione dei provvedimenti del giudice, in EG, IX, Roma; L. Marafioti, Correzione di errori materiali, in Digesto Pen, VI, Torino, 1992, pag. 533; G. Sorrenti, sub art. 130, in Commento al nuovo codice di procedura penale, a cura di M. Chiavario, II, Torino, 1990,pag. 127.

Accanto a tali ipotesi specifiche, la norma di riferimento avente carattere generale in tema di errore materiale è rappresentata dall’art. 130 Cod. proc. pen.; norma che si pone in termini di sostanziale continuità col disposto di cui all’art. 149 Cod. proc. pen. 1930.

Non v’era contrasto sulla utilizzabilità, ritenuta pacifica, del rimedio anche con riguardo alle pronunce rese dal giudice di legittimità, che ha continuato a sottolineare come “l’errore materiale, già emendabile con la procedura di correzione prevista dall’art. 130 c.p.p., consiste in un errore che non incide sul processo formativo della decisione e determina, semplicemente, la mancata corrispondenza tra la volontà e la sua estrinsecazione grafica, tant’è che l’art. 130 c.p.p. subordina la possibilità di interventi correttivi alla condizione che l’errore o l’omissione materiale non sia stato causa di nullità e che dall’eliminazione dell’errore non derivi una modifica essenziale del provvedimento,confermando, così, che la correzione non costituisce impugnazione” ( 145).

Come abbiamo già avuto modo di rilevare, il ricorso alla procedura per la correzione degli errori materiali di cui all’art. 130 Cod. proc. pen. era stato utilizzato dalla giurisprudenza della Cassazione, attraverso una dilatazione in via pretoria dei relativi confini normativi, anche al fine di porre rimedio alle situazioni più eclatanti ed intollerabili di errori nella lettura degli atti interni del giudizio di legittimità ( 146).

L’entrata in vigore dell’art. 625 bis Cod. proc. pen. ha necessariamente posto, quindi, all’interprete (anche) il problema del coordinamento tra detta norma e la disposizione in tema di errore materiale dettata dall’art. 130 Cod. proc. pen.

! Cass., Sez. I, 13 novembre 2001, n. 45731, Salerno, CED 220373.

145

! Vedi sul punto le considerazioni svolte nel Capitolo I.

Ci si è, pertanto, subito interrogati sul discrimen, se esistente, tra l’area di applicabilità della procedura di cui all’art. 130 Cod. proc. pen. e il rimedio di cui all’art. 625 bis Cod. Proc. pen.

Non sono mancati innanzi tutto spunti critici in dottrina in ordine alla opportunità dell’intervento normativo in parte qua.

In particolare, è stato rilevato come “il nuovo art. 625-bis C.p.p, restringendo l’ambito oggettivo (provvedimenti inerenti ad una condanna) e soggettivo (condannato e procuratore generale) della richiesta de qua – nonché fissandone, ancorché non a pena di decadenza, i termini per la presentazione (centottanta giorni dal deposito del provvedimento) e finalità (a favore del condannato) - inserisce dunque nella procedura di correzione perniciose ambiguità, che possono trovare soluzione solo ignorando il “meno” introdotto dalla novella, valorizzando il “più” preesistente” ( 147).

E ciò sul presupposto che l’ordinamento avesse già strumenti operativi del tutto adeguati per far fronte ai casi di errore materiale verificatisi dinanzi al Supremo Collegio.

D’altro lato, abbiamo visto come le stesse pronunce del giudice di legittimità sopra citate ( 148) si limitino ad affermare lapidariamente

che per la nozione di errore materiale si deve far riferimento all’art. 130 Cod. proc. pen.

Essendo coincidenti, come si rileva in detti arresti giurisprudenziali, le nozioni di errore contenute nelle due norme, di fatto si avrebbe soltanto l’assorbimento del generale rimedio dell’art. 130 Cod. proc. pen. nell’istituto di cui all’art. 625 bis Cod. proc. pen., allorquando la correzione attenga ai provvedimenti emessi in Cassazione.

! G. Fumu, sub art. 6, cit., pag. 427 .

147

! Vedi nota 6.

Il modello dell’errore materiale ,in questa prospettiva, risulta, dunque, del tutto affine all’errore materiale considerato dall’art. 130 Cod. proc. pen. e la norma di cui all’art. 625 bis Cod. proc. pen., di fatto, finisce con l’essere ridotta ad una sorta di doppione, fatti salvi i profili di specialità in punto di legittimazione sopra considerati.

Altra dottrina, non ha mancato di osservare che “con la previsione dell’errore materiale tra i casi di ricorso straordinario, si è voluto annettere a quell’errore materiale una più ampia portata operativa. In tal senso depone lo stesso art. 625 bis c.p.p. che, a differenza dell’art. 130 dello stesso codice, non limita la correzione al fatto che la stessa non debba comportare una modificazione essenziale dell’atto e (…) della sentenza” ( 149).

In tal modo, secondo tale chiave interpretativa, il legislatore avrebbe fornito copertura a tutte le ulteriori ipotesi incidenti sul merito della decisione, non rientranti nella specifica previsione dell’errore di fatto dell’enunciato normativo; lettura che, peraltro, contiene il rischio di applicazioni estensive, nel solco della già segnalata “applicazione pretoria” dell’istituto di cui all’art. 130 Cod. proc. pen. .

Premesse queste complessive e sintetiche considerazioni, occorre, a questo punto, prendere le mosse proprio dall’art. 130 Cod. proc. pen., che costituisce un ineliminabile termine di rapporto, al fine della risoluzione della problematica sopra impostata.

Detta disposizione assume, invero, una posizione centrale in materia di correzione dell’errore materiale, in quanto paradigma normativo di carattere generale.

! Così F. R. Dinacci, Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, cit., pag. 909. Sulla

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non sovrapponibilità dei due concetti di errore di fatto vedi anche: P. Bruno, Innovazioni e

modifiche al giudizio di cassazione, op. cit., pag. 142; A. Diddi, Presupposti e limiti del ricorso straordinario per Cassazione, op. cit., pag. 464; V. Ceccaroni, Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, op. cit. pag. 624.

La norma non contiene in positivo alcuna definizione dell’errore materiale, indicato soltanto in negativo come quello che non determina nullità e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell’atto.

L’art. 130 Cod. proc. pen. al comma primo testualmente recita: “la correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta modificazione essenziale dell’atto, è disposta anche d’ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento”.

Nel tessuto della disposizione legislativa di carattere generale, non è dato rinvenire alcuna tipizzazione delle fattispecie determinanti l’errore materiale, ma soltanto il riferimento ai predetti presupposti. La correzione degli errori materiali, chiarisce la littera legis, è, dunque, consentita solo in presenza dei due richiamati requisiti negativi.

Non esistendo, quindi, quanto alla norma generale, un principio di tassatività degli errori materiali suscettibili di correzione, risulta devoluto all’apprezzamento del giudice stabilire se i caratteri essenziali dell’atto vengano o meno modificati dalla correzione richiesta.

La giurisprudenza è intervenuta per chiarire nel concreto l’area operativa dell’errore materiale, sia pure con notevoli oscillazioni al suo interno.

Il primo requisito (assenza di nullità) appare chiaro, in quanto espressivo del rapporto di reciproca esclusione tra l’istituto in questione e quello delle impugnazioni: possono essere corrette soltanto le irregolarità, vale a dire quelle difformità dal modello legale alle quali il codice di rito non ricolleghi la sanzione della nullità. Come chiaro esempio di mera irregolarità possiamo enunciare, ad es., le ipotesi, tipizzate dall’art. 547 Cod. proc. pen., di mancanza o

incompletezza dei requisiti formali della sentenza, di cui all’art. 546 primo comma Cod. proc. pen.

Oltre alle fattispecie specificamente disciplinate, meritano esame le diverse ipotesi scrutinate dal giudice di legittimità.

In aderenza a quelli che sono i confini dell’argomento di tesi, ci limiteremo in questa sede esclusivamente a passare in rassegna le decisioni maggiormente significative ai nostri fini specifici, rivolti alla verifica, come si è detto, dell’ambito operativo dell’art. 625 bis Cod. proc. pen. .

In questa prospettiva, occorre rilevare come sia stata ammessa la correzione, dopo aver escluso che l’errore sia sanzionabile con la nullità, con riferimento:

a) alla omessa o incompleta ovvero difforme trascrizione nell’originale della sentenza del dispositivo letto in pubblica udienza e inserito negli atti processuali ( 150);

! In tal senso, cfr.: Cass., Sez. IV, 28 0ttobre 2003, n. 49485, Rossi, CED 227071; Cass., Sez.

150

V, 18 febbraio 2009, n. 17696, CED 243615; Cass.,Sez. VI, 3 marzo 2008, n. 12308, Bolognini, CED 239329; Cass., Sez. V, 9 marzo 2011, n. 13094, P.G. in proc. Colonna, CED 249849; Cass., Sez. V., 18 febbraio 2009, n. 17696, Martucci, CED 243615. Fondamento comune delle citate pronunce è che la sanzione della nullità, prevista dall’art. 546 comma terzo Cod. proc. civ. per il caso in cui manchi o sia incompleto il dispositivo nei suoi elementi essenziali, va esclusa, dal momento che, in presenza delle indicate situazioni di fatto (lettura in pubblica udienza del dispositivo, inserito negli atti processuali), non v’è alcuna incertezza sul contenuto della decisione ma solo una mera deficienza grafica del dispositivo traslitterato nella sentenza, sanabile con la procedura correttiva ex art. 130 Cod. proc.pen. Quanto alle ipotesi di difformità,

cfr.: Cass., Sez. III, 19 novembre 2008, n. 125, Bassirou; Cass., Sez. III, 27 gennaio 1998, n.

2150, Pagliaro, CED 210171. Contra Cass., Sez. I, 27 giugno 2002, Melluso, CED 25805; Cass., Sez. VI, 8 ottobre 1993, n. 2760, Negro; Cass., Sez. II, 15 maggio 2012, n. 20958; CED 252837 . In tali arresti , la Corte, premesso che la nullità della sentenza,prevista dal terzo comma dell’art. 546 Cod. proc. pen. per la mancanza assoluta del dispositivo riguarda esclusivamente il documento-sentenza redatto dal giudice allo strumentale fine di indicare le ragioni della decisione adottata, laddove la mancata lettura del dispositivo in udienza comporta l’inesistenza della sentenza, rileva che la mancanza del dispositivo, ritualmente letto, nella sentenza-documento, determina comunque la nullità, non suscettibile di emenda mediante il ricorso allo strumento processuale di cui all’art. 130 Cod. proc. pen.

b) alla mancanza di sottoscrizione del giudice estensore, in presenza della sottoscrizione del presidente del collegio giudicante ( 151).

Il secondo requisito negativo previsto dall’art. 130 Cod. proc. pen. comporta che possano essere corretti solo gli errori la cui eliminazione non comporti una modificazione essenziale della decisione, tale da stravolgerne il contenuto.

E’ stato chiarito in giurisprudenza che “in tema di correzione degli errori materiali, la modificazione essenziale dell’atto, preclusiva del ricorso a tale procedura, va riferita al cambiamento del contenuto sostanziale del provvedimento, tale da implicare una diversa valutazione del giudice” ( 152).

E’ stato ulteriormente precisato che “può farsi ricorso al procedimento di correzione degli errori materiali, prevista dall’art. 130 Cod. proc. pen., quando l’intervento correttivo sia imposto dalla necessità di armonizzare l’estrinsecazione formale della decisione con il suo reale e intangibile contenuto, perché, in tal caso, la correzione è incapace di incidere sulla decisione assunta e non si risolve in una modificazione essenziale o nella sostituzione di una decisione già presa” ( 153).

Ciò è del tutto coerente con la natura tipica del rimedio correttivo, rivolto unicamente all’emenda chiarificatrice della decisione ed insuscettibile di alterare il decisum, in quanto diretto a rimuovere una

! In tal senso, cfr.: Cass., Sez. I., 23 febbraio 1993, n. 763, Pesce, CED 193660; Cass., Sez.5

151

novembre 1998, n. 1794, Vitaloni, CED 212517; Cass., Sez. VI, 7 luglio 2003, n. 34089, Bombino, CED 226328; Cass., Sez. III, 6 marzo 2013, n. 17067, Ascioti, CED 255291. Si osserva in dette pronunce come la nullità della sentenza in caso di mancata sottoscrizione del giudice, ai sensi dell’art. 546 comma terzo Cod. proc. pen., sussista solo quando detta mancanza sia completa, il che non si verifica quando, pur mancando la sottoscrizione del giudice estensore, via sia però quella del presidente del collegio giudicante, risolvendosi in tal caso la mancanza in una mera irregolarità, suscettibile di sanatoria mediante la procedura di correzione degli errori materiali. Per l’ipotesi opposta, cfr.: Cass., Sez. VI, 12 maggio 2008, n. 36158, Campolo, CED 241645.

! Cass., Sez. III, 23 gennaio 2008, n. 11763, Lesi, CED 239249.

152

! Cass., Sez. I., 25 gennaio 2005, Canalicchio, CED 232939.

situazione di apparente incertezza; rimedio come tale ontologicamente contrapposto al sistema impugnatorio, che mira alla sostituzione della decisione gravata.

In altre parole, la decisione può reputarsi immune da vizi e suscettibile di essere corretta o integrata, laddove sia soltanto male esplicitata nel suo supporto documentale, quando, cioè, l’errore o l’omissione emergano nella loro materialità dallo stesso testo del provvedimento, in presenza di chiari ed inequivocabili dati testuali che consentano di ritenere che il provvedimento presenti un vizio di forma o di contenuto e non errore di giudizio o di valutazione ( 154).

L’errore de quo, stante la sua materialità ed immediata apparenza, deve emergere, in altre parole, dal testo della sentenza, dal medesimo supporto documentale, a differenza dall’errore di fatto revocatorio, che risulta solo dagli atti e dai documenti di causa.

E’stato osservato in dottrina che la correzione in questi casi dell’atto “è necessaria per rimuovere un situazione di incertezza; essa tuttavia non tocca l’essenza della decisione, in quanto il provvedimento non contiene errores in iudicando che possano costituire motivo di impugnazione” ( 155).

Il concetto di modificazione essenziale, fornito dal legislatore in termini generali, ha costituito oggetto di continuo scrutinio, non sempre con uniformi risultati, da parte della Cassazione.

E’ stata ammessa la correzione ai sensi dell’art. 130 Cod. proc. pen, sul presupposto che non sussisteva la modificazione essenziale del

! In tal senso, cfr. M. Gialuz, Il ricorso straordinario, op. cit., pag. 401, che parla, al riguardo

154

di “errore contestuale” per significare la percepibilità prima facie dell’errore dal testo del provvedimento.

! Così A. Capone, Errore materiale e di fatto, cit. pag. 668. L’autore distingue tra le mere

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irregolarità, del tutto innocue, dal momento che il contrasto tra le espressioni linguistiche contrastanti si risolve in maniera manifesta, senza bisogno di correzione, poiché dalla lettura complessiva del provvedimento appare chiaro a quale delle due si deve attribuire efficacia, e le contraddittorietà innocue, che richiedono, per l’appunto, l’operazione rettificatoria per elidere la

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