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UNA GIUSTIFICATA BIPARTIZIONE DELLA TESI: L’ERRORE DI FATTO

Sommario:

§1 Considerazioni preliminari - § 2 Verso una

definizione del concetto di errore di fatto - § 3 Ulteriori corollari - § 4 Una fattispecie controversa: l’omesso esame di un motivo di ricorso -

!

§1 Considerazioni preliminari.

Il codice di procedura penale sino all’introduzione del nuovo rimedio straordinario non ha conosciuto una definizione normativa di errore di fatto pari a quella contenuta nell’art. 395 n. 4 Cod. proc. pen.

Pare necessario far precedere alcune considerazioni di carattere generale circa le esperienze relative all’errore di fatto nell’ambito degli altri ordinamenti processuali, anteriormente all’intervento del 2001, concretizzatisi nell’introduzione del nuovo rimedio ex art. 625 bis Cod. proc. pen.

Si può premettere che sul versante sostanziale la figura dell’errore di fatto, invece, trovava già la sua disciplina nell’art. 47 del Codice penale quale causa di esclusione della colpevolezza.

Diversamente dall’errore di diritto, previsto dall’art. 5 Cod. pen. come inescusabile, salvo che non derivi da ignoranza inevitabile ( 92), l’errore

di fatto, comportando un difetto di conoscenza di uno degli elementi costitutivi del fatto di reato è idoneo ad escludere il dolo e quindi ad impedire la perfezione della fattispecie criminosa difettando

! Con la sentenza 24 marzo 1988 n. 364, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità

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dell’art. 5 Cod. pen. dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale, l’ignoranza inevitabile. Sul punto cfr. F. Mantovani, Ignorantia legis scusabile ed inescusabile, in Riv. it. dir.

proc. pen. 1990, p. 379; T. Padovani, L’ignoranza inevitabile sulla legge penale e la declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 5 Cod. pen., in Legislazione pen. 1998, p. 449.

l’elemento soggettivo del reato, vale a dire la coscienza e volontà di porre in essere il fatto tipico.

Quando l’agente vuole un fatto materiale diverso da quello vietato dalla norma, non vuole porre in essere quel fatto criminoso, e pertanto, non sussistendo il dolo del reato, non potrà esser punito per il reato doloso ma eventualmente per il reato colposo ove previsto dalla legge. Nel sistema penalistico, anche l’errore su una legge extrapenale, laddove cagioni un errore sul fatto che costituisce reato, soggiace alla stessa disciplina dell’art. 47 comma 1 Cod. pen., essendo identici gli effetti psicologici ultimi dell’errore.

Un’espressa disciplina dell’errore di fatto era già contenuta nell’ambito del processo civile dall’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ.: “qualora l’errore risulti dagli atti o documenti della causa e purché lo stesso non concerna un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, le parti sono legittimate a proporre la richiesta di revocazione, quale rimedio impugnatorio che consente di scardinare l’intangibilità del giudicato”.

L’istituto della revocazione nei confronti delle sentenze del giudice di legittimità è stato oggetto dell’intervento di cui alla legge 353/90, che ha introdotto l’art. 391 bis Cod. proc. civ. sulla spinta di due pronunce additive della consulta: la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 395 prima parte n. 4 Cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede la revocazione delle sentenze della cassazione rese su ricorsi basati su vizio di cui all’art. 360 n. 4 Cod. proc. civ. e affette da errore di fatto ( 93); la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 395 Cod. proc. pen.

nella parte in cui non prevede la revocazione delle sentenze della

! Così C. cost, 30 gennaio 1986 n.17, in Foro it., 1986, I, p. 313 con nota di A. Proto Pisani; la

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Corte costituzionale estende la revocazione per errore di fatto ex art. 395 n. 4 Cod. proc. pen. alle sentenze della cassazione.

cassazione per errore di fatto in tutte le ipotesi in cui la stessa corte sia giudice del fatto ( 94).

La relativa nozione di errore revocatorio non ha determinato alcun problema ricostruttivo da parte della cassazione civile, stante anche la definizione normativa contenuta nel predetto art. 395 n. 4 Cod. proc. pen., secondo cui è revocabile la sentenza effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa quando “la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un fatto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

Merita ripercorrere alcuni arresti della giurisprudenza della Corte di Cassazione civile, che risulta sul punto consolidata.

E’ ius receptum che l’errore di fatto che può dar luogo alla revocazione consiste, non già in un preteso inesatto apprezzamento o valutazione delle prove, delle allegazioni delle parti o delle norme di legge, (errore di giudizio), quanto piuttosto in una falsa percezione di ciò che emerge dagli atti di giudizio che non solo non era controverso ma anche incontrovertibile, e non poteva quindi dar luogo ad apprezzamenti di alcun genere; tale errore deve avere pertanto il carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive e tanto meno di particolari indagini ermeneutiche ( 95).

Secondo la giurisprudenza civile pacifica, l’errore di fatto deducibile ai fini della revocazione consiste in una mera svista di carattere materiale, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, la quale

! C. cost, 31 gennaio 1991, n. 36, in Foro it., 1991, I, p. 1033.

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! Sul punto, Cass., Sez. Un., 28 maggio 2013 n. 13181; Cass., 13 gennaio 2013 n. 918; Cass.,

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abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti o documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti risulti positivamente accertato.

Costante è l’asserzione che deve trattarsi di un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa ed interpretativa del giudice: l’errore di fatto rilevante presuppone dunque il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché la realtà desumibile dalla sentenza non sia frutto di valutazione o di giudizio.

Conseguenza immediata di tali assunti è quella dell’inammissibilità del rimedio della revocazione rispetto ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza, ma che richiedono per essere apprezzati lo sviluppo di ragioni induttive o indagini ermeneutiche, ovvero errori non decisivi in se stessi perché suscettibili di esser valutati nel più ampio contesto delle risultanze di causa o infine errori non consistenti in vizi di assunzione del fatto, bensì in erroneo governo di un criterio di valutazione di modo che la decisione non derivi dall’ignoranza di atti o documenti ma da un’erronea interpretazione degli stessi ( 96).

Afferma ancora la Cassazione civile con uniformità di accenti che la pronuncia del giudice può ritenersi affetta da errore di fatto, tale da comportare la revocazione, solo quando tra l’erronea percezione della realtà e la sentenza esista un rapporto di causalità necessaria, tale che, una volta individuato l’errore, cada il presupposto o i presupposti necessari sui quali è fondato il dictum ( 97).

! Così Cass., 7 marzo 2001, n. 3303

96

! Sul punto cfr. Cass., 23 gennaio 2009, n. 1666; Cass., 5 ottobre 2007, n. 20917; Cass., 22

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In questa prospettiva, il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, postula un nesso di carattere logico giuridico, nel senso che occorre stabilire se la decisone della causa sarebbe dovuta essere diversa in mancanza di quell’errore per necessità logico-giuridica ( 98).

Il giudice di legittimità ha ribadito che l’errore di fatto revocatorio non sussiste nell’ipotesi in cui l’errore riguardi norme giuridiche sia di diritto sostanziale che processuale, posto che la falsa percezione di norme che contemplano la rilevanza giuridica di un fatto, integra gli estremi dell’error iuris, sia che questa attenga all’obliterazione delle norme medesime, (riconducibile alle ipotesi della falsa applicazione), sia che si concentri nella distorsione della loro effettiva portata (riconducibile alle ipotesi della violazione) ( 99).

Compiuta questa breve rassegna sul versante del processo civile, l’orientamento giurisprudenziale può esser adeguatamente sintetizzato con il rilievo che l’errore di fatto legittimante la revocazione deve necessariamente riguardare atti interni, cioè quelli che la corte esamina direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e/o delle questioni rilevabili di ufficio e deve avere carattere autonomo nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza medesima con consequenziale esclusione di prospettazioni afferenti errori di diritto ovvero errori di fatto incidenti sulla sentenza di merito anziché su quella direttamente di legittimità, ovvero ancora prospettazioni involgenti di questioni già proposte e decise con efficacia di giudicato ( 100).

Per tutte cfr. Cass., 18 febbraio 2009, n. 3935; Cass., 21 aprile 2006, n. 9396.

! Così, Cass., 3 giugno 2002, n. 8023

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! A tal proposito, cfr. Cass., 20 maggio 2002, n. 7334.

Le osservazioni compiute con riferimento alla cassazione civile non possono, a nostro avviso, considerarsi “ultra petita”.

Invero, il legislatore del 2001, con tecnica normativa approssimativa, non ha fornito alcuna nozione dell’errore di fatto, rimettendo all’interprete e principalmente alla giurisprudenza il gravoso compito di definire i confini concettuali e giuridici dell’errore idoneo a determinare la caducazione della res iudicata.

Ed è fin troppo ovvio sottolineare la particolare delicatezza di tale operazione ermeneutica, dal momento che, vertendosi in tema di eccezione alla regola dell’inoppugnabilità delle sentenze del giudice di legittimità, il rischio di un’interpretazione estensiva, idonea a porre le basi per l’abnorme introduzione di un ulteriore grado di giudizio nel merito, con conseguente proliferazione di ricorsi strumentali, avrebbe potuto determinare ulteriori ricadute estremamente negative sul sistema processuale penale.

In realtà, l’attività di ricognizione della nozione di errore di fatto non avviene in assenza di chiari indici di riferimento.

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§ 2 Verso una definizione del concetto di errore di fatto.

In via di prima approssimazione, si può convenire che l’errore di fatto copre l’area concettuale situata tra l’errore materiale, cioè, tra il mero

deficit espressivo, non incidente sulla ratio decidendi, e l’errore di

interpretazione e di valutazione.

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La stessa espressione evoca, da un punto di vista generale, almeno due dicotomie: quella tra errore di fatto ed errore di diritto, ovvero quella tra errore di percezione o errore di fatto revocatorio ed errore di giudizio.

Secondo un’impostazione recepita nell’ambito della teoria generale del diritto, il giudizio di fatto va separato da quello di diritto: “il primo

presuppone un’attività di carattere conoscitivo, fondata su prove ed elementi di prova, mirante ad accertare la verità o la falsità dei fatti della causa, che dà luogo ad enunciati descrittivi dotati di un valore di verità intorno all’esistenza o inesistenza di tali fatti; il secondo presuppone un attività ermeneutica, fondata su criteri interpretativi, mirante ad individuare il significato proprio di una norma e le conseguenze giuridiche che ne discendono nel caso concreto, che dà luogo ad enunciati prescrittivi dotati di validità intorno alla qualificazione giuridica della fattispecie controversa e agli effetti giuridici della decisione” ( 101).

Stando a tali linee interpretative, l’errore di fatto dovrebbe essere configurato come errore relativo alla premessa conoscitiva, coincidendo con la falsa ricostruzione del fatto principale, descritto nel solco della norma da applicare.

In realtà, è stato obiettato come il ragionamento sotteso alle premessa cognitiva è permeato di valutazioni giuridiche, e ciò tanto più ove la premessa conoscitiva si traduce in un enunciato che – almeno quando vengano in rilievo errores in iudicando e il vizio di motivazione – è assai poco fattuale.

In astratto, è difficile separare in vitro l’accertamento del fatto dal giudizio normativo per gli ineliminabili reciproci intrecci: tale distinzione ha un notevole valore sul piano teorico in quanto consente di spiegare razionalmente il ragionamento giudiziale, mentre si mostra meno utile quando si deve individuare ex post un vizio della sentenza.

Tanto che lo stesso legislatore ordinario tende a prescindere dall’antitesi tra error iuris ed error facti: invero, gli stessi motivi di impugnazione vengono dal legislatore specificamente indicati, di regola, senza fare riferimento all’errore di diritto.

! Così M.Taruffo, Giudizio (teoria generale), in Enc. giur. Treccani, XV, Roma, 1989, p.2-3.

La giurisprudenza, coadiuvata dalla dottrina, ha infatti all’atto pratico escluso la bontà di tale prima dicotomia come mezzo di risoluzione dell’ambiguità interpretativa del nuovo art. 625 bis Cod. proc. pen., non aiutando, questa, in alcun modo a spiegare i limiti cognitivi della Cassazione, che sono determinati dalla legge mercé la specificazione dei motivi di ricorso ( 102); non potendo, tale dualismo, a maggior

ragione, definire chiaramente un vizio che non è in alcun modo specificato dal codice.

Si è sostenuto in dottrina che ad escludere l’opportunità di interpretare l’errore di fatto come error facti in iudicando in contrapposizione all’error facti iuris in iudicando vi è poi un ulteriore argomento decisivo: “se davvero l’art. 625 bis Cod. proc. pen. prevedesse la riparabilità dell’errore di giudizio sul fatto in cui sia incorsa la cassazione e non, invece, dell’errore di giudizio sul diritto, tale disciplina sarebbe assai discutibile sotto il profilo della ragionevolezza. Come potrebbe spiegarsi la scelta di consentire l’impugnazione per far valere un error in iudicando assai marginale – qual’è l’errore di ricostruzione dell’accadimento materiale – e di negarla per contro con riguardo ad un error in iudicando – quale l’errore nell’interpretazione o nell’applicazione di una disposizione di legge – che si presenta ben più grave, in quanto commesso dall’organo chiamato a svolgere la funzione nomofilattica e di unificazione della giurisprudenza?” ( 103).

Pare pertanto lecito concludere che il codice, quando nell’art. 625 bis Cod. proc. pen. parla di errore di fatto, intende riferirsi non all’errore

! Proprio l’incertezza della distinzione logico concettuale tra fatto e diritto ha spinto la

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dottrina a cercare criteri alternativi, sulla scorta dei quali separare le questioni sottoponibili al sindacato della S.C. da quelle affidate al giudizio “sovrano” dei giudici di merito.

! Così M .Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione, cit., p.226.

che fa da pendant all’errore di diritto, bensì all’errore definito dall’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ.

Ulteriori elementi militano a sostegno di tale conclusione.

Si può aggiungere infatti che, ai fini specifici, un necessario ed ineludibile indice di riferimento è costituito dal nucleo essenziale del ragionamento sviluppato dalla Corte Costituzione nella sentenza interpretativa di rigetto n. 395/2000.

Pronuncia che, come abbiamo sopra rilevato, ravvisava chiaramente nell’errore di tipo percettivo in cui incorra il giudice di legittimità, e dal quale sia derivata la compromissione del diritto al controllo di legittimità, il vulnus ai canoni costituzionali di cui agli artt. 111 e 24 Cost., che doveva necessariamente trovare rimedio.

Partendo dal ragionamento seguito dalla Consulta, deve convenirsi che l’unico terreno sul quale può realizzarsi un ragionevole bilanciamento tra i contrapposti valori costituzionali in gioco, vale a dire, da un lato, l’esigenza che il processo abbia termine con una pronuncia conclusiva e, dall’altro, il diritto al processo in cassazione, è quello dell’errore percettivo, che si manifesta, per così dire, a monte del vero e proprio giudizio.

Diversamente opinando, infatti, vale a dire consentendosi di rimettere nuovamente in discussione la valutazione compiuta dal giudice di legittimità, si finirebbe per introdurre un ulteriore grado di giudizio, sacrificandosi proprio l’esigenza costituzionalmente tutelata di por fine al processo.

Anzitutto, è stato rilevato come l’equilibrio di tale impostazione poggi su solide basi costituzionali, rimarcando l’esigenza che da un lato “la lite vada via via restringendosi e ad un certo punto si chiuda, qualunque sia il grado di esattezza della sua ultima decisione” ( 104);

! Così Cass., Sez. Un. Civ., ord. 14 febbraio 1983, Arneodo Allemanno c. Allemanno, in Giur.

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dall’altro che si garantisca il diritto al processo in cassazione, il pieno rispetto del contraddittorio e la stessa giustizia sostanziale del provvedimento.

E in tale prospettiva, occorre ribadire che la disciplina approntata dal legislatore attraverso il ricorso straordinario di cui all’art. 625 bis Cod. proc. pen., lungi dall’apparire come una soluzione semplicemente compatibile con il dettato costituzionale, finisce in realtà per essere una scelta, per molti aspetti, costituzionalmente imposta, nel quadro dei diritti che coinvolge, ad un tempo, il principio di uguaglianza, quello di effettività della difesa in ogni stato e digrado del processo, il diritto alla riparazione degli errori giudiziari, nonché quello al controllo effettivo in sede di legittimità di tutti i provvedimenti. Orbene, è innegabile che l’art. 625 bis Cod. proc. pen. non contenga alcuna espressa definizione della nozione di errore di fatto, limitandosi la disposizione ad una semplice enunciazione descrittiva.

Ma appare evidente al contempo come le precise indicazioni del giudice delle leggi da un lato, i consolidati confini attribuiti all’errore di fatto in ambito processuale civile dall’altro, non potessero cadere nel mondo dell’indifferente giuridico al momento dell’introduzione del nuovo rimedio straordinario, posto che, come abbiamo notato poc’anzi, la nozione di errore di fatto va determinata in via di esclusione.

Dall’esame dei lavori preparatori dell’art. 625 bis Cod. proc. pen. risulta inoltre che era stato proposto di inserire un comma quinto contenente l’esatta definizione dell’errore di fatto negli stessi termini di cui alla norma processualcivilistica.

Ed anche tale circostanza, del pari, può ritenersi idonea ad evidenziare in via conclusiva che il modello al quale il legislatore si è ispirato nell’introduzione del concetto di errore di fatto all’interno della nuova

disposizione, è proprio quello nella norma dell’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ.

Al termine di questa breve disamina introduttiva, dobbiamo rilevare che l’interprete, chiamato a ricostruire la nozione di errore di fatto rilevante ai fini del ricorso straordinario, non si muove al buio, sussistendo evidenti criteri orientativi idonei a colmare il vuoto definitorio.

Criteri in un certo senso “unidirezionali” verso la nozione già elaborata in seno alla giurisdizione civile.

Le Sezioni Unite, a norma da poco entrata in vigore, si sono subito fatte carico di compiere una completa disamina ricostruttiva dell’istituto ex art. 625 bis Cod. proc. pen., spinte anche dall’esigenza di dire quanto prima possibile una parola chiara per evitare poco auspicabili derive giurisprudenziali in un settore così delicato e foriero di ricadute sull’intero sistema processuale.

Sin dai primi arresti giurisprudenziali la Cassazione, a sezioni semplici, ha chiarito che l’errore di fatto è di tipo meramente percettivo, consistendo una svista o in un equivoco incidente sugli atti interni al giudizio di legittimità il cui contenuto è percepito in modo difforme da quello effettivo ( 105).

La Corte ha subito assunto quale parametro di riferimento la definizione posta dall’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ., chiarendo che il modello dell’errore di fatto che legittima il ricorso straordinario è del tutto affine all’errore revocatorio di cui all’art. 391 bis Cod. proc. civ. ed è riconoscibile dalla circostanza che la decisione è fondata sulla decisione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o che è supposta l’esistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita,

! A tal proposito Cfr.: Cass., sez. I, 13 novembre 2001, n. 45731, Salerno, CED 220373;

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Cass., sez. VI, 30 ottobre 2001, n. 39946, Botteselle, CED 220293; Cass., sez. F., 7 settembre 2001, n. 42794, Schiavone, CED 220181.

in piena rispondenza con il motivo di revocazione prefigurato dall’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ.

Una simile impostazione è stata condivisa dalle Sezioni Unite secondo cui “l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità ed oggetto del rimedio previsto dall’art. 625 bis Cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la corte sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso” ( 106).

In questa prospettiva, l’errore di fatto deve essere inteso in senso stretto nella sua dimensione meramente percettiva, essendo i suoi confini rigidamente segnati dalla circostanza che in esso fa assoluto difetto qualsiasi implicazione valutativa dei fatti.

Lo sviamento della volontà del giudice, in altre parole, deve risultare di oggettiva immediata rilevabilità, nel senso che il controllo degli atti processuali deve far trasparire, in modo diretto ed evidente, senza

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