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Nella parte di testo da noi edita ricorrono vari errori dello scriba, particolarmente frequenti nell’ultima colonna di testo. Si tratta per lo più di omissioni (col. 105, 19; col. 106, 11; col. 107, 11; col. 108, 10- 11; col. 109, 24; col. 110, 14; col. 112, 1, 2-3, 7, 10), ma vi sono anche ripetizioni (col. 110, 24 e forse anche col. 104, 10), una sincope (col. 110, 9), errori grammaticali (col. 105, 13; col. 108, 8-9), fonetici (col. 108, 18 e forse anche col. 109, 21) e di altro tipo (col. 104, 1-2, 4-5; col. 105, 18; col. 108, 9; col. 109, 5; col. 112, 10, 24). Si registrano solo tre correzioni, eseguite dalla stessa mano e con lo stesso calamo e inchiostro del testo principale. Di esse, una è effettuata nello spazio interlineare al di sopra delle lettere errate (col. 105, 13: upall·ouç‚Ü ;ª ≥á ≥麢 ≥ v, attestata dal solo apografo oxoniense) e due modificando la lettera errata direttamente nel testo durante la sua redazione (col. 112, 10: · ≥‚ ;k ve 24: ·k‚ ;a v).

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Cfr. per la parte da noi edita, col. 104, 8; col. 105, 10; col. 110, 8, tutti attestati dai soli disegni.

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Per la classificazione delle paragraphoi nei papiri ercolanesi, si veda Del Mastro 2001.

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14. EDIZIONI

Come già accennato, di PHerc. 1020 sono state edite e studiate soltanto le ultime otto colonne di scrittura, corrispondenti ai frr. I-III n; Oxf. Ld; coll. I-IV n Arnim (= coll. 104-112 della presente edizione),131 una porzione decisamente esigua rispetto alla quantità di testo conservato.132 Prima dell’editio princeps di H. von Arnim, risalente al 1890,133 le incisioni in rame di quattro colonne di scrittura (coll. 108- 112), approntate prima del 1824 da Raffaele Biondi,134 e di altre tre (coll. 104-106), eseguite tra questa data e il 1853 da Francesco Biondi e Vincenzo Orsini,135 erano state stampate nel 1875 nella

Collectio altera dei Voluminum Herculanensium quae supersunt.136

Come lo stesso studioso riconobbe e come era assai comune in quell’epoca, l’edizione di von Arnim non si basava sull’autopsia del papiro, che egli non ebbe mai occasione di vedere, ma era fondata, da una parte, sulle incisioni napoletane e, dall’altra, su riproduzioni fotografiche degli apografi oxoniensi messegli a disposizione, per intercessione di Hermann Usener, dal filologo britannico Ingram Bywater.137 Quest’ultima opportunità gli permise, tra l’altro, di accedere al disegno di O Ld (col. 107), una colonna mancante in N, la cui ricostruzione egli incluse nella sua edizione. A von Arnim non sfuggì la maggiore attendibilità degli apografi oxoniensi, realizzati subito dopo lo svolgimento del volume, rispetto ai disegni napoletani e la loro collazione gli permise di stabilire un testo critico ricco di importanti intuizioni testuali che conservano ancora oggi molto del loro valore. Tuttavia, egli, indotto dall’erronea numerazione progressiva degli apografi oxoniensi in cifre arabe da parte dei bibliotecari di Oxford, antepose arbitrariamente la col. IV n (= col. 112), l’ultima del papiro in assoluto, alle altre sette colonne di testo (frr. I-III n; Oxf. Ld; coll. I-III n = coll. 104-110). All’inizio del secolo successivo Wilhelm Crönert,138 un po’ ingenerosamente per la verità,

131

Si osservi che, stando alla nostra ricostruzione del rotolo, tra le coll. 110 e 112 è andata perduta una colonna di testo (col. 111).

132

Cfr. supra, pp. 32-33. 133 Si veda Arnim 1890.

134 Si veda Inventario 1824: “Rami 4”. 135

Si veda Inventario 1853: “Rami 6”. I frr. 2 e 3 sono incisi nella medesima tavola. 136

X, Neapoli 1875, pp. 112-117. 137

Si veda Arnim 1890, p. 473. 138 Crönert 1901, pp. 548-550.

Michele Alessandrelli-Graziano Ranocchia PHerc. 1020, Coll.104-112

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rimproverò a von Arnim di non aver valorizzato sino in fondo la testimonianza degli apografi oxoniensi e soprattutto di non essersi fondato sull’autopsia del papiro, sulla base della quale ora egli avanzava un pugno di nuove letture.139 Alcune di queste furono accolte nel nuovo testo critico che von Arnim pubblicò nel 1903 nel secondo volume della sua monumentale collezione dei frammenti degli Stoici antichi,140 collocandolo tra le testimonianze crisippee concernenti la dialettica (SVF 2. 131). In essa si offrivano nuove letture e integrazioni con alcuni progressi testuali, ma in certi punti il testo stampato nell’editio princeps rimaneva per varie ragioni preferibile.

Bisognerà attendere l’inizio degli anni Ottanta per assistere alla pubblicazione, da parte di Mario Capasso,141 della prima edizione, accompagnata da traduzione, di una limitata porzione di testo basata sull’esame diretto dell’originale. Si tratta di col. 108, celebre per la definizione di filosofia in essa contenuta a cui si è già fatto riferimento. Grazie all’uso dei microscopi binoculari, disponibili nell’Officina dei Papiri Ercolanesi dall’inizio degli anni Settanta, Capasso ha confermato sostanzialmente il testo di von Arnim, emendandolo in un paio di punti. In particolare, lo studioso italiano ha dimostrato che la nova lectio kat∆ ∆A≥r≥i≥ªçtºo≥tevlhn di Crönert, recepita da von Arnim nel 1903 e che aveva indotto lo stesso Crönert ed Ettore Bignone142 a far risalire nientemeno che al giovane Aristotele il concetto stoico di infallibità del sapiente, era in realtà destituita di ogni fondamento. Due anni più tardi lo stesso Capasso stampò una nuova versione del testo di questa colonna e della colonna successiva (= col. 109).143 Pochi anni dopo, nel 1985, Mariano Baldassarri ristampò il testo di tutte e otto le colonne nel secondo volume della sua raccolta di frammenti e testimonianze sulla logica stoica continuando erroneamente ad anteporre, come von Arnim, col. 112 alle rimanenti sette colonne.144 E, pur mostrando di ignorare il lavoro di Capasso, egli tentò, non sempre con successo, di migliorare il testo in qualche

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Riserve sul testo stampato da H. von Arnim ha espresso anche Long 1978, pp. 108-110. 140 Si veda Arnim 1903. 141 Capasso 1982. 142 Bignone 19732, vol. 1, p. 195 ss. 143 Si veda Capasso 1984, pp. 83-84. 144 Si veda Baldassarri 1985.

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punto. Ad ogni modo, anche la sua edizione, come quelle di von Arnim del 1890 e del 1903, non era basata sull’autopsia del manoscritto originale, ma si affidava “come a garanti”145 all’autorità dello stesso von Arnim e di Crönert. Lo stesso dicasi del nuovo testo critico incluso da Karlheinz Hülser in Die Fragmente zur Dialektik der

Stoiker,146il quale, se da una parte tiene nel debito conto il contributo testuale di Capasso, dall’altra, oltre ad ereditare da von Arnim l’erronea collocazione di col. 112, si esime dall’avanzare nuove proposte testuali. In ogni caso, tutti gli sforzi ecdotici ed ermeneutici degli studiosi si sono concentrati sempre e soltanto sulle ultime otto colonne conservate del papiro, le uniche a suo tempo trascritte dai disegnatori. Le rimanenti 38 colonne di testo non sono state sinora mai fatte oggetto di studio.

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