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L’esigenza di un piano regolatore.

Nel 1929 fu bandito il concorso per la realizzazione di un Piano Regolatore della città di Pisa e Marina di Pisa.

Come abbiamo visto in precedenza, ne furono stilati diversi per un migliore sviluppo di Marina, anche se non possiamo parlare di veri e propri Piani, in quanto consistettero più che altro in una assegnazione di preselle, per permettere uno sviluppo omogeneo della località attraverso la

regolamentazione della costruzione degli edifici e dei tempi della loro realizzazione, disattendendo le previsioni di crescita uniforme e non

consentendo di apportare piccole variazioni, se non con la compilazione di un altri piani non in continuità con le scelte iniziali. Ma il caso di Marina non era l’unico, in un’Italia ricca di città il cui sviluppo disattendeva le prospettive prefissate dagli organi amministrativi.

Verso la fine dell’Ottocento l’urbanistica era vista più come un’ancella della cultura architettonica , ma già dagli inizi del novecento si infiammò il

dibattito intorno a questa disciplina, soprattutto in funzione di una maggiore comprensione e previsione dei fattori inerenti alla crescita e trasformazione delle città e, parallelamente, alle esigenze di una società in continua evoluzione. Il problema di fondo, comune più o meno a tutti i vecchi piani regolatori, stava nell’avere la pretesa di creare uno strumento stabile e determinato di

trasformazione, in tempi stretti e con un buon margine di previsione36; ma per

fare questo occorreva la compresenza di più competenze che rispecchiassero la diversità dei modi di concepire gli spazi umanizzati espressa dalla realtà,

problema fortemente sentito in primis dall’autorità politica, filtro delle varie esigenze della collettività.

Gli anni della definizione teorica e organizzativa di questa disciplina

(soprattutto nel periodo compreso fra le due guerre) la videro come terreno di scontro fra diverse culture tecniche (specchio delle nuove esigenze della città e del suo territorio)soprattutto sul piano delle competenze: Architetti, ingegneri, igenisti, storici dell’arte, i quali cercarono sin dagli inizi del secolo di definire un linguaggio tecnico e legislativo, per arrivare negli anni venti alla creazione di un corpus teorico disciplinare .

L’evoluzione degli anni successivi, porterà alla definizione di strategie atte ad una realizzazione dei propri obbiettivi, capaci di adattarsi al mutare degli scenari politici. Grazie a questi dibattiti, si andò sempre più definendo la figura

dell’”Architetto Integrale”, termine che si deve a Gustavo Giovannoni, personaggio che più di tutti individuò nel binomio scienza-tecnica/arte la formula vincente della nuova disciplina, più completa e soprattutto variabile, capace di colmare il divario tra quadro teorico e spazio reale che muta con la società e con le sue esigenze.

Gustavo Giovannoni fu una figura importantissima nell’evoluzione

dell’Urbanistica e si deve a lui la realizzazione, alle soglie degli anni venti, di scuole (nasce nel 1920, la scuola Superiore di Architettura di Roma, prima istituzione universitaria di architettura in Italia, nata dalla fusione della sezione

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di architettura civile del corso di studi di ingegneria, con i corsi superiori di architettura delle Accademie di Belle Arti), albi, sindacati, atti a definire il profilo culturale e professionale dell’architetto.

La sua attività si svolge in diversi periodi storici, dal primo ventennio del novecento, nell’Italia Giolittiana, e in quella Fascista del secondo ventennio. Si laureò nel 1895 alla facoltà di ingegneria a Roma, per poi prendere la

specializzazione, l’anno successivo, all’istituto superiore di Igene Pubblica; subito dopo divenne assistente presso la cattedra di Architettura tecnica e generale sempre nella stessa città37.

In questi primi anni di formazione, Giovannoni s'indirizzò verso gli aspetti più tecnici inerenti l’architettura; proprio in questi anni si accese un forte dibattito in ambito architettonico (soprattutto per ciò che concerneva il destino delle città e dei suoi centri storici) fra le fazioni dei Novatori e Conservatori, gli uni, soprattutto ingegneri e igenisti, convinti dell’esigenza di costruire ex novo, gli altri, storici dell’arte, della necessità di conservare una testimonianza strorico- artistica del passato, recuperando le vecchie strutture.

Inizialmente Giovannoni sembrò avvicinarsi più alla fazione dei novatori, ma furono i corsi di Arte medievale e moderna di Adolfo Venturi (in cui Venturi diede una forma stabile alla sua disciplina universitaria, creando una consistente base metodologica per poterla raccordare all’apparato amministrativo e dare legittimità alla figura dello storico dell’arte) che gli fecero capire l’esigenza di una formazione più completa per la figura dell’architetto.

Nel 1903 entrò a far parte dell’Associazione Artistica tra i Cultori

dell’Architettura di Roma , di cui facevano parte pittori, scultori, architetti e

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diplomati di Belle Arti; l’associazione era volta alla creazione di una nuova figura di tecnico-artista e come si apprende nello statuto societario, uno degli obbiettivi principali fu quello di

“ ..promuovere lo studio e rialzare il prestigio

dell’architettura”38 per poter mettere fine alla supremazia degli

ingegneri e della cultura tecnica .

Giovannoni, che nella sua prima formazione poteva definirsi un “Tecnico”, non rinnegò le sue origini, cosciente dell’esigenza di trovare una strada intermedia fra le due culture per poter formare una figura professionale completa e sensibile alle diverse esigenze di una nuova società ;

potremo dire che proprio in seno a queste divergenze Giovannoni trovò un ambito di confronto con gli storici nella questione del recupero dei monumenti, nella loro analisi scientifica e del loro recupero architettonico.

Nel 1903 intervenne al II° Congresso di Scienze Storiche, svoltosi a Roma, dove elencò le teorie per un corretto metodo d'approccio al restauro dei monumenti, evidenziando la necessità di una maggiore conoscenza del monumento, della sua storia (facendo riferimento a fonti attendibili) per poi procedere ad un esame diretto dell’edificio, sottolineando l’importanza di un buon bagaglio di conoscenze sia storico-artistiche che tecniche atte a formare un’ideale figura di “Ingegnere-Umanista”.Giovannoni iniziò a creare così un apparato metodologico che negli anni successivi trovò applicazioni in diversi campi teorici e pratici.

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Esso considerava il monumento sia nella sua forma individuale sia nel suo insieme edilizio, e proprio partendo da questo concetto che iniziò a parlare di “Ambiente”39.

Nel 1913 pubblicò due articoli sulla rivista “Nuova Antologia”, dove pose le basi per la teoria del “Diradamento Ambientale” inerente ai problemi del

recupero dei centri storici, dando una soluzione alle esigenze di conservazione e modernizzazione, con il concetto di “Accordo “ o “Innesto del nuovo

sull’antico”, creando così, con la pratica del diradamento (consistente

nell’abbattimento di quartieri malsani di scarsa importanza storica, al fine di dare più respiro ai centri storici e valorizzare i monumenti) creando una base per un più ampio programma urbanistico di sviluppo della città40.

L’Edilizia cittadina, o Urbanistica, fu l’ambito in cui Giovannoni trovò un terreno di collaborazione e confronto fra le diverse esigenze dei tecnici e degli storici.Tutte queste questioni furono trattate nel volume “Vecchie città ed edilizia nuova” dove, oltre ai principi di “Accordo” e “Diradamento”, si preoccupò dei problemi dell’espansione urbana dando indicazioni fondamentali sul metodo più adatto di compilare un piano regolatore,

sottolineando come questo debba essere “..un concetto unico in cui si fondono le varie condizioni igeniche, sociali, economiche, di movimento, di estetica, e le varie fasi ora indicate nel progetto unico.”41

Compilò un elenco di dodici punti, indicati come fase dello studio

dell’agglomerato urbano, sottolineando il fatto che un piano regolatore non si esaurisce con la sua compilazione, ma accompagna attraverso il suo

39 G. Giovannoni, 1931. 40 G. Giovannoni, 1931. 41 G. Giovannoni, 1931.

programma lo sviluppo cittadino, essendo esso stesso soggetto a mutazioni in proporzione all’esperienza accumulata nello scontro con una miriade di

situazioni variegate che la realtà gli pone di fronte. Facendo un confronto con le leggi Italiane in materia di piani, del 1865 e del 1885, evidenziò l’arretratezza di queste, attaccando la prassi di separare il piano regolatore di sistemazione interna, corrispondente al piano vero e proprio, da quello d'ampliamento, creando norme differenti per la gestione di ognuno. Progredendo in questa maniera, le varianti che via via si sarebbero presentate, sarebbero state gestite isolatamente, senza nessuna continuità con il programma originale, rompendo così l’unità dell’azione e cozzando in molti casi con le norme stabilite dal primo piano.

Come risposta a questa prassi, Giovannoni sostenne l’esigenza di un’ “Unità di studio per le regioni esterne e le interne, che parta da un piano regionale, cioè dal collegamento con le comunicazioni esteriori e dal coordinamento coi prossimi centri minori vecchi e nuovi, per giungere ai quartieri

dell’ampliamento ed alla sistemazione della città esistente e che, come si

accennato, consideri insieme i tracciati delle vie ed i circuiti cinematica e risolva insieme tutti i problemi tra loro interdipendenti nell’organismo di una città.” Questa fase sarebbe stata preceduta da un iniziale schema di massima che, a differenza dei vecchi piani, non avrebbe avuto limiti temporali; sarebbe stato ben distinto dalla graduale esecuzione dei singoli piani , considerando tutta l’area in cui i fabbricati si sarebbero estesi ( per evitare che una futura area edificabile fosse soggetto di attività indisciplinate) , e soprattutto creando collegamenti con le linee tracciate dal piano regionale, tenendo in

Avendo tracciato così le arterie principali, le quali sarebbero rimaste immutabili, si sarebbe potuto giungere gradualmente alla creazione dei singoli quartieri, le cui esigenze, condizionate dalle più svariate situazioni, sarebbero state trattate al momento più opportuno senza condizionare le linee dello sviluppo

cittadino.“Deve dunque presiedere al piano regolatore una certa larghezza, che lo renda adatto a tutte le eventualità, sia di fattive iniziative politiche o

industriali, sia di stanca o tarda attuazione; e forse in questo la maggiore importanza è assunta dagli elementi inibitori forniti dalla divisione in zone, dalla ubicazione di parchi, e istituzioni, ed edifici, e impianti speciali.”42

Il concorso per il Piano Regolatore della città e Marina di Pisa.

Il 1 Agosto del 1929, venne presentato il bando di concorso per il Piano

regolatore di Pisa e Marina, il quale si instaurò in un periodo fondamentale per l’applicazione delle teorie di Gustavo Giovannoni che definirà la compilazione di quest’ultimo come una “lezione di Urbanistica.”43

Giovannoni fu chiamato a far parte della giuria giudicatrice dal podestà di Pisa l’On. Guido Guidi Buffarini, insieme al senatore Corrado Ricci, nella veste di

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G. Giovannoni, 1931.

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presidente della commissione giudicatrice, Ghino Venturi,l’architetto che nel 1924 s’impose al collegio giudicante del concorso per la decorazione dell’Aula Capitolina a Roma44, l’ingegnere Pietro Cuppello e Francesco Bernieri

ingegnere capo del comune di Pisa.

Furono stabilite, in vari punti, delle direttive che i partecipanti avrebbero

dovuto rispettare , queste non furono altro che delle applicazioni delle teorie di Giovannoni per ciò che concerneva la realizzazione di un piano regolatore che avesse come punto di partenza un “Piano di massima”; si legge nel punto D dell’articolo 1 del bando: “D) Lo studio del Piano regolatore dovrà partire da uno schematico studio di piano regionale, e comprenderà la determinazione delle principali arterie di viabilità, la designazione delle diverse zone

fabbricative, a cui si attribuisce diverso tipo edilizio; e nei quartieri

dell’ampliamento dovrà ottemperare ai moderni criteri dell’urbanistica per quanto si riferisce all’ampiezza delle vie, alla distribuzione delle piazze e dei giardini, alla assegnazione delle aree per pubblici edifici.”45, e nel punto

successivo:” E) Il progetto che si richiede non può essere che di larga massima: concorso di idee e di schemi programmatici più che di piani particolareggiati, che potranno essere preparati in un secondo tempo, esaminando le molteplici condizioni della realtà, in collaborazione tra il vincitore e gli uffici municipali. Delle convenzioni già in corso e dei piani regolatori già esistenti si comunica ciò che rappresenta vincoli ormai indissolubili; chè, del resto, un piano

regolatore fin qui vigente può essere annullato da un altro piano regolatore più perfetto, più completo, più rispondente alle condizioni che solo da pochi anni i

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Architettura e Arti Decorative, fascicolo II, ottobre 1924.

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moderni concetti dell’urbanistica ed i criteri del rispetto dell’ambiente storico sono venuti ad imporre. Perfino le convenzioni già avviate per l’attuazione possono essere modificate od addirittura riscattate allorquando rappresentino ostacoli disastrosi al sano, decoroso e logico sviluppo cittadino.”46Per quanto

riguarda la marina di Pisa leggiamo: ”F) Quanto al Piano regolatore della

Marina di Pisa, che rappresenta un tema completamente a parte, avendo stabiliti i confini del suo sviluppo, si desidera che siano conservati tutti gli elementi di vegetazione ivi esistenti: e, nei riguardi dell’opportuno sviluppo, sia progettata una suddivisione il più possibile netta tra il quartiere tranquillo e aristocratico dei villini (possibilmente uniti a gruppi anzichè disseminati sporadicamente in minuscole unità isolate), ed il quartiere, pieno di movimento, delle invasioni domenicali della città, dei diporti, dei bagni, del traffico.”. E nell’articolo 4: ” Art. 4. - Per quello che riguarda la Marina di Pisa, il Piano regolatore che si domanda è destinato a creare la Marina Nuova che dovrà sorgere a fianco della strada litoranea, recentemente iniziata e da costruirsi fino al confine del

Comune di Livorno in prosecuzione della via della Repubblica Pisana, per una lunghezza di 6000 metri, dal termine attuale del Paese di Marina, su di un’area della Tenuta di Tombolo che si estende in larghezza per 300 metri, a monte della detta strada, e fino alla zona demaniale della battigia del mare a valle. Il Piano regolatore, pure prevedendo l’estensione della Marina Nuova per tutta la lunghezza litoranea di 6000 metri, potrà intanto essere limitato al primo tratto di strada fino ad oggi eseguito, lungo circa 2000 metri a partire dall’attuale confine di Tombolo”.

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Come possiamo apprendere dal bando, Marina di Pisa era destinata a

svilupparsi più a sud, proprio a causa dell’azione erosiva delle mareggiate, che negli ultimi anni avevano messo a dura prova l’avvenire della località turistica. Fu proprio questo il compito che si prefissero i compilatori del bando, creare un polo turistico separato dalla zona abitata, la Marina Nuova, che sarebbe sorta lungo la strada litoranea verso Livorno. Lo sviluppo di Marina avrebbe quindi puntato più sulla creazione d’infrastrutture atte alla nascita di un nuovo polo turistico, lasciando a parte la zona abitata comprendente i villini, nella quale si sarebbe cercato di rendere più uniforme il quartiere, evitando di creare unità isolate. E’molto importante il fatto che i vecchi piani regolatori sarebbero stati tenuti in considerazione nel momento della sua esecuzione, serbandosi il diritto di poterli cambiare qualora le esigenze del momento lo avessero

richiesto; infatti, per ciò che concerneva il vecchio nucleo di Marina non vi erano in serbo grandi cambiamenti, le regole stabilite dal capitolato di vendita dei vecchi piani rimase immutato, tranne che per gli obblighi inerenti ai tempi di costruzione, per i quali furono stabiliti nuove scadenze, ma, come già era avvenuto in passato, non furono così incisivi come ci si aspettava. Molto importante fu la decisione di lasciare immutata la vegetazione della località, anche se, come vedremo poi, una delle possibili scelte del piano vincitore del concorso, il gruppo 3STP, comprendeva il diradamento d'alcune zone della pineta proprio in funzione della creazione di nuove arie di svago per il turismo. Per quanto riguarda gli altri gruppi partecipanti al concorso, si segnala quello formato dall’ingegner Cesare Chiodi e dagli architetti Giuseppe Merlo e

Giuseppe Valtolina, provenienti da Milano, che vinse il secondo premio con il progetto indicato con il nome C.M.V; questo proponeva un ottimo schema per

ciò che concerneva il piano regionale, ma non altrettanto per quello urbano nel quale lo sviluppo dei nuovi quartieri seguiva, a detta della commissione

giudicatrice, delle direttive di espansione troppo simmetriche e artificiose, più adatte a città di pianura di nuova fondazione che non ad un vecchio nucleo urbano come Pisa. Il terzo premio fu aggiudicato ex aequo fra i progetti “Spes nutrit patientiam”,dell’architetto veronese Ettore Fagioli, e dell’ingegner Gino Steffanon di Pisa, e il progetto “P8” del gruppo di urbanisti romani composto da Gino Cancellotti, Eugenio Fuselli, Luigi Lenzi, Eugenio Montuosi, Luigi Picconato, Alfredo Scalpelli, Roberto Lavagnino, Giuseppe Nicolosi e Cesare Valle47. Una menzione d’onore fu assegnata al gruppo “Forma urbis Pisarum”

formato da Alpago Novello e Muzio e al gruppo di formato fagnoni, Bianchini e Chiaramonti, che ottiene la prima menzione48.

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Architettura e Arti Decorative, fascicolo VIII, aprile 1931.

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21) Progetto di sistemazione di Marina del gruppo “Spes nutrit

22) Progetto di sistemazione di Marina gruppo “P8” da Architettura e

Progetto 3P-ST.

Questo il nome del gruppo d'architetti romani vincitori del concorso per il Piano Regolatore della città e della Marina di Pisa, nome tratto dall’iniziale del cognome di ognuno dei componenti del gruppo: l’architetto Mosè Luciano Tufaroli.,laureatosi nel 1926 alla facoltà di architettura di Roma, dove insegnò per otto anni Elementi di composizione architettonica49; Mario Paniconi,

(Roma 1904-1973), architetto che nel 1929 costituì a Roma con Giulio Pediconi (1906-1999), un attivo studio professionale.

L'attività dei due architetti negli anni Trenta fu volta alla ricerca di una sintesi tra la corrente razionalista e il monumentalismo di regime (fontana della Sfera al Foro Italico; piazza a forma d'esedra all'E 42, in collaborazione con Muzio; villa Pantanella).

Le opere del dopoguerra, nonostante il tentativo di un aggiornamento, restano legate a schemi classicisti (chiesa di S. Gregorio VII; sedi dell'IMI e dell'UIC; sede centrale dell'INPS, in collaborazione con M. Raffo).50

Concezio Petrucci, opera tra la fine degli anni Venti e la metà dei Quaranta, in un periodo d’intenso dibattito sui contenuti dell’architettura. Sembrerebbe incarnare la figura dell’«architetto integrale» auspicata da Gustavo Giovannoni, capace di sintetizzare competenze artistiche e tecniche affrontando le varie scale d'intervento. Nato nel 1902 in provincia di Foggia, studia nella Scuola Superiore di Architettura di Roma, dove si laurea nel 192651.

49

G.Isola, M.Cozzi, F.Nuti, G.Carpelli, 1994.

50

E42: utopia e scenario del regime, cataloghi Marsilio, Venezia, 1943.

51

Nel 1931 diviene titolare della cattedra d'Edilizia Cittadina e Arte dei giardini52

(dal 1933 denominata Urbanistica) nella appena istituita Scuola Superiore di Architettura di Firenze, la cui impostazione ricalca il modello romano giovannoniano.

L’approccio di Petrucci al problema urbano è confrontabile con le posizioni di Giovannoni ma il fondamento teorico si arricchisce della grande esperienza acquisita in soli venti anni di attività.

Petrucci incarna, seppure per breve tempo, la figura del nuovo tecnico-

funzionario capace di grandi sintesi, dirigendo l’Ufficio Urbanistico del comune di Bari dal ’30 al ’33. In quell’occasione elabora il piano per la città vecchia e il Piano Regolatore Generale. Redige numerosi piani regolatori e realizza tra il 1936 e il 1940 i centri rurali di Aprilia, Fertilia, Pomezia e Segezia; Petrucci realizza le quattro città a distanza di pochissimi anni. Nel 1936 e nel 1938 è vincitore, con l’architetto Tufaroli e gli ingegneri Paolini e Silenzi (gruppo 2PST) dei concorsi di Aprilia e Pomezia nell’Agro Romano53; nel 1936 progetta

Fertilia in Sardegna, con Miraglia, Tufaroli e Paolini.

Tra il 1939 e il 1942 realizza Segezia54, in Puglia, questa volta autonomamente

su incarico diretto dell’ONC (Opera Nazionale Combattenti).

Si tratta di centri a carattere rurale tutti della medesima grandezza (3000 abitanti nel centro e 9000 nel territorio circostante).

Alfio Susini, nato nel 1900 al Cairo. Tra il 1918 e il 1919 lavora presso il “Comitè de Conservation des Monuments de l’Art Arabe”, subito dopo è

52 C. PETRUCCI, , 1943. 53 C. PETRUCCI, 1936, pp. 142-149, p. 147. 54 M. Piacentini, pp. 174-181, p. 180.

impiegato in un organismo statale addetto al rilievo degli edifici di

Gerusalemme, Giaffa e Nazareth; nel 1920 lavora presso il “Ministero dei Lavori Pubblici” egiziano, nello stesso anno s'iscrive a Roma alla “Regia Scuola di Architettura” dove si laurea nel 1927; dal 1928 inizia la sua carriera

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