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Marina di Pisa: la Marina Nuova degli anni '30.

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IL territorio storico di Bocca d’Arno.

Bocca d’Arno e le sue origini.

Il tratto di costa dov’è collocata Marina di Pisa è stato interessato nei secoli dall’azione erosiva del mar Tirreno, il quale ne ha mutato la conformazione con continui

avanzamenti e arretramenti.

Secondo il Mazzanti l’evoluzione del litorale Pisano, ha seguito una progressione della linea di riva dall' VIII-V secolo a.C. fino al 1830, come desunto dalla carta corografica Inghirami1, stilata proprio in questi anni, la

prima carta geograficamente esatta della Toscana, dalla quale si può notare di quanto fosse più avanzata la riva, rispetto a quella attuale, di pressappoco un chilometro sulla parte destra di Bocca D’Arno e circa cinquecento metri sul lato sinistro, subendo poi un successivo arretramento che interessò la costa sino ai nostri giorni. Dalla cronaca del viaggio di Beniamino Tudelense del 933, apprendiamo che Pisa sarebbe stata lontana dalla costa circa sei

chilometri; leggiamo infatti:” la città è priva di mura, sorge a circa sei miglia dal mare, vi si accede in nave grazie al fiume che la attraversa”2.

In altri resoconti si apprende che nel 1406 la foce dell’Arno era distante circa nove chilometri; nella prima metà dell’Ottocento invece, dai primi rilievi fatti per la compilazione delle carte geografiche militari della Toscana, risulta che in linea retta la distanza corrispondeva a dodici chilometri3.

1 R. Mazzanti, 1994, p. 401. 2 Binyamin da Tutela, 1988, p.18. 3 P.Bertelli,, p. 111.

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1) Carta Inghirami (1830) con linea tratteggiata corrispondente alla riva attuale, da R. Mazzanti.

Grazie a questi dati si è ipotizzato che il mare sia arretrato di almeno cinque chilometri nell’arco di novecento anni, prima di arrestarsi sulla costa dove sarebbe sorta la Marina di Pisa.

Agli inizi del XVII secolo la linea di costa si era fermata sul primo cordone sabbioso ad ovest del Lamone, corrispondente alla zona sud dell’Arno, sul lato occidentale del Cotone dei Ginepri, ai piedi della Torre Riccardi, nella zona a nord dell’Arno. Grazie alle mappe del Catasto del periodo

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Leopoldino-Ferdinandeo risalenti al 1825, la linea di riva si può collocare molto più precisamente, ed infatti fu proprio da queste carte che venne compilata la carta dell’Inghirami4, dove si può notare la posizione molto più avanzata della

costa.

Sin dai tempi della Repubblica, la pianura pisana fu oggetto di recupero e bonifica ; infatti già intorno all’anno 1000 il “sinus pisanus”, antico nome dato alla laguna posta a sud-ovest identificata come l’antico porto della città, e la laguna Paduloseri, posta a nord-ovest, iniziarono ad interrarsi rendendo necessario lo spostamento nel porto nella zona dove poi sorgerà Livorno5.

Anche il Serchio deviò il suo corso direttamente al mare da Ripafratta, lasciando la pianura prossima alla città perennemente immersa dalle acque, mentre la laguna rendeva sempre più difficile la navigazione.

Con la perdita del porto, Pisa iniziò la sua fase decadente, che portò conseguentemente ad una carenza di mezzi atti a porre rimedio allo stato sempre più fatiscente della sua pianura, la quale assunse, nelle zone più prossime alla città, sempre più l’aspetto di un pantano; contemporaneamente vi fu un costante arretramento della linea di costa; l’unico collegamento della città con il porto, identificato allora in prossimità del Caput Labronis, rimase il fiume.

Con il passare del tempo il problema dei terreni palustri nei dintorni di Pisa si estese a tutta la pianura a causa delle difficoltà che il suolo aveva nel far

scolare le acque, rendendolo cosi umido e palustre.

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R. Mazzanti, 1994, p. 403.

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Per porre rimedio a questo problema, già dal 1160 fu creata l’istituzione pisana dei Consoli del Mare, addetti da una parte al potenziamento marittimo,

dall’altra alla creazione di diverse opere idrauliche per il risanamento della pianura e della laguna.

Furono creati così diversi fossi che potessero permettere un maggior scolo delle acque, per evitare in caso di piena del fiume che i campi venissero allagati. Tutte queste opere furono poi trascurate a causa delle numerose guerre in cui era impegnata la Repubblica verso la fine del XII secolo,

soprattutto con l’odiata rivale Firenze, la quale attraverso la casata dei Medici, subentrò alle istituzioni pisane atte al recupero della pianura.

Sin dagli esordi, la politica medicea si preoccupò del miglioramento dei territori e dei corsi d’acqua del regno per ottenere conseguentemente un riscontro commerciale6.

Da una parte si premeva in questa direzione per le cattive condizioni idrologiche del territorio (frequenti esondazioni dell’Arno), dall’altra si puntava ad un recupero del terreno coltivabile e al rilancio commerciale , il quale avrebbe avuto una nuova direttrice verso Pisa e Livorno; già al tempo di Lorenzo il Magnifico, nel 1475, fu istituita un’Opera della Reparatione del Contado7, volta alla gestione del contado Pisano, che rimarrà attiva sino al

1509, data che segna la ribellione di Pisa nei confronti di Firenze. In questo quadro è importante rilevare il ruolo dell’Ufficio dei Fossi8, organo creato

decentrato a Pisa, attraverso il quale i Medici provvedettero alla sistemazione e

6 R. Fiaschi, 1938. 7 P. Rupi, A.Martinelli,, 1997. 8 E. Fasano Guarini, 1980, p. 30.

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gestione del contado, mentre per il resto del regno i lavori pubblici sarebbero stati gestiti dall’Ufficio dei Capitani di Parte Guelfa .

Organi con funzioni analoghe all’Ufficio dei Fossi, si ritrovavano a livello locale anche fra ‘400 e ‘500, ma fu grazie a Cosimo I che questo ottenne più stabilità e potere nel territorio Pisano e di Val D’Arno, acquisendo anche una funzione tattica nella gestione politica del territorio.

A partire dal 1547 con la “Provvisione Facta Sopra la Reparatione et Opera de’ Fossi nella Ciptà di Pisa et Contado” e nel 1551, con la “Deliberatione Fatta per lo Illustrissimo et Eccellentissimo Duca di Firenze sopra le cose di Pisa” , l’Ufficio dei Fossi iniziò a funzionare a pieno regime , assumendosi così il compito di bonificare i terreni della valle Pisana, deviando ,dove era necessario, il corso del fiume. Nel 1583 con la riforma voluta dal granduca Francesco I, l’ufficio venne messo ancora più sotto la sua diretta

supervisione, snellendo l’apparato burocratico, mentre nel 1587 Ferdinando I emanò un nuovo corpo di “Leggie, Costituzioni et Ordini” volte alla

regolamentazione dei vari compiti di controllo riguardo alla pubblica igiene , per il mantenimento degli argini e dei fossi9.

Fu grazie a lui che si eseguì il cosiddetto taglio Fernandeo.

Sino al 1606, la foce dell’Arno aveva un’altra ubicazione rispetto a

quella attuale dove uno dei due rami, sfociava molto più a sud dell’attuale sbocco10, virando bruscamente a mezzogiorno dopo aver superato il lato

occidentale del Caseggiato di Cascine Nuove, spuntando ai Bufalotti e

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P. Rupi, A.Martinelli,, 1997.

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avviandosi lentamente verso il mare. Nel 1606 Ferdinando I, preoccupato dal fatto che i venti di libeccio potessero influire negativamente sul normale deflusso del fiume verso il mare decise di deviare il corso del fiume.

Vi furono infatti due grosse inondazioni nel 1547 e nel 1557; soprattutto la seconda provocò ingenti danni allagando tutta la campagna,

conseguentemente alla rottura degli argini e dei ripari.

Si cercò di porre rimedio rialzando la pianura con i detriti depositati dal fiume, ma il danno era comunque ingente; molti pozzi erano colmi di terra, senza contare il danno apportato ai campi; ciascun contadino dovette provvedere a riscavare i pozzi e risistemare i propri terreni11.

A quel tempo l’Arno raggiungeva all’interno della città di Pisa la larghezza di 130 braccia ed alla foce di oltre un miglio, interrandosi molto facilmente presso la riva del mare e impedendo il normale deflusso della acque e rendendo così molto difficile la navigazione.

Ferdinando I allora decise di deviare il corso del fiume, tagliandolo con una chiusa all’altezza dei Bufalotti e facendo scavare un nuovo alveo; la foce così venne girata verso maestrale di circa un chilometro e mezzo, in direzione nord-ovest rispetto a quella originaria, per una spesa complessiva di 8000 scudi prelevati dal Monte di Pietà di Firenze12.

Leggiamo in data 13 Aprile 1606, una lettera rivolta proprio agli ufficiali del Monte di Pietà di Firenze affinché anticipino la somma per lo svolgimento dei lavori:

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R. Fiaschi, 1938.

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“S.pli Off.li de Monte di Pietà di Firenze

Avendo col parere di molti periti l’Officio de Fossi di Pisa disegnato con il beneplacito nostro di fare un taglio vicino alla bocca di foce D’Arno che mette in mare per divertire che al tempo delle piene et inondazioni detto fiume non tenga in collo e regurciti mantenendo l’altezza dell’acqua, il qual effetto seguendo viene reputato non solamente necessario per il benessere della città e territorio di Pisa, ma ancora di rimanente de terreni dello stato confinanti ad Arno, o, ad altri fiumi che poi entrano in Arno, quali gonfiano e conseguentemente danneggiano quando Arno tiene in collo. Però ci è parso espediente commettersi che dei denari della Comunità o altri luoghi pubblici che sono sopra il vostro Monte, quali però non ricevino meriti, e stiano non a frutto accomodiate parimenti senza frutto e merito alcuno sino alla soma (SOMMA) di scudi ottomila per spendersi da detto Officio in detta et in niuna altra causa quantunque maggiore più utile, e più reputata causa fusse, e questa per anni dui o tre al più: Nel qual tempo sarà fatta detta opera et allora si delibererà del modo di rimborsare il detto Officio per chè vi faccia detta restitutione com’è conveniente. Voi così eseguite questo ordine nostro quale vogliamo sia registrato al libro di detto Officio de fossi che tale è la nostra

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mente e però Habbiano firmato la presente in Pisa13

2) Schema delle variazioni subite dall’Arno in epoca storica, da P. Venturucci .

Ci sono pareri discordanti per quanto riguarda le dimensioni della vecchia foce e conseguentemente la quantità di terreno colmato, in funzione soprattutto dell’individuazione dello sbocco originario, anche se l’ipotesi più attendibile la colloca nella parte sud di Marina corrispondente al tratto compreso fra

l’Istituto di Padre Agostino da Montefeltro e la tenuta di Tombolo. L’antico letto del fiume, prese il nome di Lama Ferdinanda e da acquitrino che era, venne bonificato e reso coltivabile. Assunse la forma di un triangolo con vertice i Bufalotti, per lati il nuovo e il vecchio corso del fiume e per base la costa, sulla quale in seguito sorgerà Marina di Pisa. Non ci sono molte notizie

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riguardo agli insediamenti presenti in questo territorio situato nella parte meridionale della tenuta di S.Rossore.

Fra il caseggiato di Torretta e il mare esisteva sin dal 1100, una chiesetta chiamata Santa Croce in Foce d’Arno, un convento e un piccolo ospedale per portare i primi aiuti ai naviganti ammalati. Sulla riva sinistra del fiume, era collocata una torretta presidiata da soldati pisani, presumibilmente a 250 metri più a nord rispetto al viale che da Cascine Nuove conduce alla spiaggia del Gombo; questa era di forma quadrangolare, di dimensioni modeste. La sua presenza era necessaria per il fatto che la distanza fra la torre del Serchio, più a nord, e quella di Bocca D’Arno sull’altra riva del fiume più a sud, era di circa dieci chilometri e mezzo. Di tutte e due rimangono delle testimonianze, il barbacane della prima, incorporato nel vecchio fabbricato di Torretta e parte della seconda, incorporata anch’essa nella casa padronale Appolloni14.

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3) Torre di Bocca D’Arno, da R. Manetti.

Per quanto riguarda la spiaggia si parla di piccole capanne di pescatori, i quali approfittavano dei viaggiatori che approdavano su queste coste per vendere parte del loro pesce. Le torrette, che sino al 1606 erano servite da avamposto di difesa per il litorale pisano, persero la loro funzione primaria a causa

dell’arretramento del mare, trovandosi così troppo distanti dalla foce e dalla costa.

Nel 1737 prese possesso della Toscana il primo discendente della dinastia dei Lorena, Francesco II, e fatto verificare dal capitano del genio militare Warren il sistema di difesa del litorale decise di creare un nuovo avamposto difensivo,

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un fortino, di forma esagonale, distante dal mare 40 -45 pertiche e 20 dalla riva dell’Arno.

S'iniziò a costruire nel 1759, e fu portato a termine nel 1761; le dimensioni corrispondevano a metri 67 da un angolo all’altro15.

Avrebbe dovuto assolvere, oltre alle funzioni di difesa, anche a quelle di scalo, di presidio sanitario e almeno inizialmente di dogana. Si hanno notizie di questo fortino sino al 1925, periodo durante il quale fu utilizzato dalla Guardia di finanza.

Per quanto riguarda le costruzioni nei suoi pressi, si presume dalla carta del Diletti che la prima casa sia stata costruita intorno al 177016.

Al di là della vecchia torre invece iniziò a svilupparsi una piccola comunità di coloni addetti alla coltivazione dei terreni della zona chiamata Lama

Ferdinanda, che assunse il nome di Arno Vecchio. Benché fosse staccata da San Rossore, entrò a far parte della giurisdizione dei Medici e successivamente dal 1737 dei Lorena, i quali nella persona di Pietro Leopoldo I, contribuirono in modo fondamentale al suo sviluppo.

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R. Manetti, 1991.

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4) Planimetria della zona di Boccadarno con indicazione del Fortino, da R. Mazzanti.

Il granduca aveva un forte interesse nei riguardi dell’architettura, e proprio per questa sua passione diede avvio ad un'attenta amministrazione di

contenimento della spesa pubblica, obbiettivo fondamentale del suo ampio programma di riforme riguardante l’intero apparato statale e la ristrutturazione dell’assetto del territorio. Nel 1769 visitò il territorio Pisano, per rendersi conto di persona delle condizioni e della gestione del luogo. Nel 1789 stilò un “Conto Generale” dove venivano annotati i vari capitoli di spesa dedicati alle

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opere pubbliche, comprese le gratificazioni impiegate per la costruzione di abitazioni nel territorio pisano17.

Sin dal periodo mediceo la tenuta della vecchia Torretta fu data in affidamento ad un certo Manzi, unico affittuario di tutto il podere. L’arciduca annotate tutte le manchevolezze, riguardanti soprattutto la regimentazione delle acque del vecchio corso, decise di riorganizzarlo, ritenendo il luogo troppo grande per un unico affittuario. Dalle piante disegnate dall’ingegner Giovanni Caluri (che dal 1805 al 1821, ricoprirà questo ruolo presso l’ufficio dei Fossi di Pisa)18

si apprende come la tenuta sia stata divisa in cinque poderi, con un bel appezzamento di terreno da coltivare e con altrettante case progettate dal Caluri stesso; il tutto intorno alla vecchia torretta adattata a casa colonica.

5) La tenuta di Arno Vecchio da una ricostruzione delle carte di G.Caluri del 1780, da P. Bertelli. 17 C. Cresti, 1987. 18 C.Cresti, L. Zangheri, 1978.

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Queste famiglie non costituiranno il primo nucleo da cui si formerà un secolo dopo la colonia costiera; la loro presenza fu una base fondamentale per la scelta del territorio su cui sarebbe sorta la nuova località. Nel 1781 Pietro Leopoldo concesse in enfiteusi al signor Lazzero Appolloni e a tutta la sua progenie, la tenuta di Arno Vecchio per 550 scudi all’anno; ottanta anni dopo i nipoti, con regolare contratto, ne divennero i proprietari sino al 1925, periodo durante il quale furono fatte molte concessioni al Comune di Pisa sulla fascia costiera. Già nei primi dell’Ottocento gli Appolloni costruirono una casa colonica nei pressi della dogana per ospitare le famiglie dei contadini, ma fu soprattutto grazie alle proprietà curative del mare che s'iniziò a formare una prima colonia sul litorale. Già alla fine del Settecento, Giovan Domenico Ceccherini, era solito portare bidoni d'acqua marina per il convento del San Matteo, per l’Ospedale e per gli orfanotrofi di Pisa, in modo da permettere agli ammalati di trarre giovamento dalle proprietà curative dell’acqua. Nel 1817 riuscì ad ottenere in affitto dall’amministrazione granducale un appezzamento di terreno in prossimità del Fortino, dove costruì la casa in cui nacque

Baldassarre Ceccherini, considerato il vero fondatore di Marina di Pisa. Il padre di quest’ultimo, Gaetano, la adibirà a ricovero annuale per moltissimi scrofolosi, giunti sino a qui attirati dalle benefiche qualità dell’acqua di questo mare. Nel 1838 il Granduca Leopoldo fece costruire una strada che potesse rendere più agibile il transito verso la spiaggia del Gombo per i cittadini pisani, i quali ormai, vi si recavano non solo per curare la salute, ma anche per

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l’autorizzazione per la costruzione di due baracche ad uso di bagno pubblico nella spiaggia del Gombo, sulla riva sinistra dell’Arno.

Nel 1840, stipulò un contratto con l’ospedale di Pisa per allestire altri bagni ad uso esclusivo degli ammalati. Seguirono poi sino al 1848, la costruzione di un altro fabbricato e di una palazzina adibita a pensione. Con l’avvento del re d’Italia Vittorio Emanuele II, tutte queste strutture passarono nelle mani della casa reale Savoia; la strada che conduceva alla spiaggia del Gombo fu chiusa, a causa dei continui passaggi di comitive nel parco, riserva di caccia del re. Fu stipulato un contratto di cessione del terreno e delle strutture in possesso della famiglia Ceccherini a favore della Lista Civile, organo che si preoccupava dell’amministrazione dei beni della Casa Reale, beni che furono permutati con un appezzamento di terreno nei pressi del forte di Boccadarno, dove la Lista Civile possedeva un tratto di costa confinante con la proprietà della famiglia Appolloni.

La vecchia strada che conduceva alla nuova spiaggia, però non consentiva un facile transito; per ovviare a questo problema la Casa Reale mise a

disposizione un piccolo battello a vapore, che con una spesa contenuta avrebbe permesso un facile accesso. Qui i Ceccherini crearono nel 1869 il primo stabilimento balneare della futura località: i ”Bagni Ceccherini” più grande di quello poco prima situato sulla spiaggia del Gombo19.

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La nascita di Marina e lo sviluppo tra Otto e Novecento.

Il primo Piano Regolatore occupò una parte del possedimento, per costruire una via più agevole, proprio in prossimità del forte, al confine con la proprietà Appolloni; questo sarà il primo tratto della futura via Maiorca.

Gli altri tratti della strada, chiamata oggi viale D’Annunzio, saranno resi transitabili nel 1878.

Viste le potenzialità della zona, nel 1872 il Comune di Pisa decise di

acquistare dalla famiglia Appolloni il tratto di litorale che sarebbe servito alla costruzione del primo tronco stradale, del fabbricato della zona di Boccadarno e di tutto il terreno ad lui annesso.

Il piano regolatore fu presentato dall’ingegner Francesco Bernieri20; esso

prevedeva tre piazze, due semicircolari e una rettangolare, affacciate su una strada costeggiante tutto il mare; due strade interne, parallele al litorale e una decina di stradine perpendicolari intersecanti le tre vie.

Da questa zona furono ricavate centoquaranta preselle rettangolari, che

furono assegnate gratuitamente a patto di rispettare alcuni obblighi previsti dal Capitolato di cessione. Questi obblighi prevedevano la costruzione di una villetta su due piani con quattro stanze per ognuno.

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Il progetto sarebbe stato approvato solo previa presentazione alla giunta comunale. La cessione veniva fatta in modo gratuito, ma alcuni obblighi impedivano che il terreno fosse oggetto di una mera speculazione. L’acquirente non avrebbe potuto né cedere né alienare il terreno, se non avendo portato a termine i lavori, i quali sarebbero dovuti iniziare entro il 1 gennaio 1873 e terminare entro diciotto mesi, pena il sequestro da parte del comune.

Coloro che entrarono in possesso di queste prime preselle, provenivano esclusivamente da Pisa: per lo più si trattava di grossi commercianti, imprenditori edili e avvocati. Baldassarre Ceccherini ne ottenne sei, con il permesso di poter costruire un edificio con quaranta stanze, al posto di sei edifici con otto stanze ognuno. Purtroppo le aspettative non ebbero il riscontro voluto, infatti fra tutti coloro che chiesero la concessione di una presella, soltanto dodici conclusero i lavori entro il termine stabilito. Queste villette apparivano isolate fra loro in un tratto di circa dodici

chilometri. Lo stesso comune non potè essere troppo esigente nel chiedere l’ultimazione dei lavori, in quanto la costruzione delle strade interne procedeva a rilento e nelle piazze, abbandonate a se stesse, non vi era l’ombra

d'urbanizzazione.

Valutata la situazione, la giunta comunale iniziò a concedere una serie di proroghe che si susseguirono per molti anni, cercando però di mettere il veto di iniziare i lavori entro il 1 gennaio 1876.

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8) Piano regolatore di Marina di Pisa 1876, zona prossima alla foce, da P. Venturucci.

Benché lo sviluppo urbanistico procedesse a rilento, la località iniziò ad essere frequentata dai pisani, che da questo momento in poi iniziarono a recarvisi annualmente durante la stagione estiva. Proprio per questo motivo, e per favorire il suo sviluppo, nel 1890 il Comune stabilì che entro 15 giorni tutti i possessori delle preselle avrebbero dovuto mettersi in regola, pena la perdita delle concessioni. In linea con questa politica, nel 1891, furono

concesse all’ingegner Francesco Benedetto Rognetta, presidente della Società Italiana per le Ferrovie economiche e Tramviarie a Vapore della provincia di

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Pisa, quarantacinque preselle, per la costruzione di una Tramvia a vapore che consentisse il collegamento fra Pisa e Marina.

Fu data una proroga di dieci anni per gli obblighi imposti dal Capitolato. Il progetto della nuova linea fu presentato al consiglio comunale dal prof. Ulisse Dini, che evidenziò sia gli alti costi dell’impresa, sia gli innumerevoli vantaggi che si sarebbero potuti trarre da essa.

La linea Pisa-Marina fu inaugurata il 18 giugno 1892 e risolvette in buona parte i problemi di comunicazione fra le due località.

9) Pianta dell’area della stazione della tramvia a vapore Pisa-Marina del 1893, da P.Venturucci.

Oltre alle quarantacinque preselle ne furono aggiunte altre quattro, che la società rivendette a privati.

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Altre quattro furono concesse nel 1874 a Padre Agostino da Montefeltro per la costruzione di un orfanotrofio che sorse al confine con la tenuta di

Tombolo. Dopo queste concessioni, a favore della tramvia e dell’istituto di Padre Agostino, i terreni appresellati del piano regolatore del 1872 iniziarono a scarseggiare.

Nel 1892 l’ingegner Corsani, capo dell’ufficio d’Arte del Comune, procedette al completamento del piano regolatore del 1872, contenente dieci lotti

edificabili su cui sarebbero sorte delle preselle indicate dalla lettera “A” alla “K”, tutte comprese fra la pineta e la tenuta Appolloni. Presente nel nuovo progetto, il tracciato della tramvia e una chiesa (mai costruita) ubicata subito alle spalle di Piazza Gorgona.

Le innovazioni sono essenzialmente da rapportare all’apertura su piazza delle Baleari di una strada in direzione della pineta; nei pressi del mare fu costruito uno scalo in corrispondenza dei bagni.

Un fattore molto importante da considerare, è l’arretramento della pineta, a causa dei disboscamenti eseguiti in seguito alla costruzione degli isolati lungo mare e di parte di via Maiorca, mentre la linea di battigia risulta essere ancora distante da via della Repubblica Pisana21.

Le regole di cessione del nuovo Piano regolatore, corrispondevano a quelle del vecchio Capitolato;

l’unico cambiamento consisteva nel fatto che da quel momento in poi le preselle sarebbero state cedute dopo riscossione di una somma da stabilire secondo i casi.

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In questi anni si assistette ad un forte sviluppo della località, la quale, oltre agli stabilimenti balneari, iniziò a fornirsi di attività commerciali, ristoranti, caffè, trasformandosi così in una meta molto ambita dai Pisani durante la stagione estiva. Alla fine del 1895 però il mare riprese l’azione erosiva che nei secoli aveva condizionato molto la conformazione del luogo, destando

preoccupazioni sul futuro della spiaggia e dei bagni sorti sopra di essa. Questa sarà una delle cause che contribuiranno alla decadenza della località marittima.

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Nel 1899, per iniziativa di alcuni abitanti di Marina, si formò un’associazione chiamata “Pro Marina”, la quale all’inizio ebbe il compito di promuovere attività culturali, attrazioni turistiche ecc, ma con il passare del tempo assunse il ruolo di intermediario fra la comunità e l’amministrazione comunale in funzione dei lavori di tutela e recupero delle coste e soprattutto per ciò che concerneva i lavori di mantenimento di strade, piazze, etc.

Agli inizi del Novecento anche la giunta si rese conto della necessità di un’azione diretta per dare la spinta necessaria all’urbanizzazione; scaduto l’ultimatum per la costruzione delle preselle concesse gratuitamente, rientrò in possesso di quelle dove non era stato rispettato l’obbligo imposto dal

capitolato.

Queste, insieme ad alcuni lotti non venduti dal piano regolatore del 1892, furono messe all’asta e vendute nel giro di qualche settimana. Una delibera del 18 marzo 1905 recita: «Rilevato che oltre le tredici preselle del tram, la stessa società ha venduto altre sei preselle, i numeri 31, 41, 43, 44, 45 e 138 che alla scadenza del termine del 31.12.1904 si è verificato che non era stata costruita una casa , invita il sindaco a notificare alla società, il rientro in possesso, da parte del comune di tutte e diciannove le preselle»22; ma benché il Comune

avesse ripreso possesso di questi terreni e recuperato altri diciotto lotti tra il lungomare e via Moriconi, occorreva creare nuovi spazi edificabili; non potendo direzionare lo sviluppo a sud dove era collocata la tenuta di

Tombolo, né a nord dove erano collocati i possedimenti Ceccherini e della

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contessa Flora Douglas Fenzi (che nel 1903 aveva acquistato i possedimenti della famiglia Ceccherini attorno al fortino) ed essendo il litorale collocato a ponente, l’unica possibilità stava nel ridurre parte della pineta alle spalle di Marina.

Così nel 1905 si procedette ad un’altra modifica del piano regolatore,

concernente un’appresellamento di 13.635 metri quadri da cui si ricavarono tredici lotti numerati dal 159 al 171;

si creò così la terza strada parallela al litorale, che assunse il nome di Via dell’Ordine di Santo Stefano.

Riportiamo qui il Capitolato per la vendita a pubblico incanto delle ventisei preselle fabbricative del 1905:

Art.1.- Le preselle che il comune pone in vendita all’asta pubblica, e le relative indicazioni, la superficie e il prezzo in base al quale sarà aperta l’asta, sono rappresentate e risultano dal disegno e dal prospetto qui allegati.

Art.2.- Ciascuna delle dette preselle forma un lotto separato da vendersi a corpo e non a misura.

Art.3.- L’incanto avra luogo nei modi e con le norme stabilite nel relativo avviso.

Art.4.- L’acquirente di ciascuna presella ha l’obbligo di costruire su di essa un fabbricato decoroso a forma di villino per uso di comoda abitazione.

Questo fabbricato potrà impiantarsi in confine con le vie e piazze, o meglio nell’interno della presella.

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In ogni caso dovrà elevarsi (da terra alla gronda del tetto) non meno di metri 9,50 su di una pianta estesa non meno di metri quadri 120,00.

Per i villini da costruirsi sulle preselle 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166, 167, 168,169, 170, 171, lungo la via dell’Ordine di Santo Stefano è prescritto che essi debbano rimanere isolati e che perciò non possano elevarsi in confine delle diverse proprietà, dovendo rimanere sempre tra un villino e l’altro una distanza non inferiore ai 6 metri.

Art.5.- Tutte le facciate del fabbricato, comunque rivolte verso le vie o verso l’interno della presella, dovranno presentare uno scomparto luci e una forma e decorazione regolarmente e accuratamente soddisfacenti all’estetica del luogo, che il comune, con opportuno riferimento alla posizione delle preselle, intende rigorosamente tutelare.

Art.6.- In confine delle strade dove non prospetti un fabbricato dovrà prospettare un muro di cinta alto non più di metri 2,60 sul piano del

marciapiede stradale, convenientemente decorato, o meglio una cancellata di bella forma, posata su basamento in muratura alto sul marciapiede non più di metri 1,20, e coronato con panchina in pietra.

Art.7.- Agli effetti del pieno voluto soddisfacimento delle prescrizioni

contenute negli articoli 4, 5, e 6, l’acquirente di ogni presella dovrà presentare al comune i disegni regolari e completi di progetto di tutte le costruzioni che si propone di eseguire.

I disegni dovranno essere firmati da un architetto o da un ingegnere esercente, e dovranno comprendere:

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Una planimetria generale in scala 1:200; La pianta di ogni piano del fabbricato Tutti i prospetti

Prospetti delle cancellate e muri di cinta verso le vie

Piante e prospetti di ogni costruzione accessoria al servizio.

E il comune potrà imporre le modificazioni o variante che riterrà opportune in ordine alle disposizioni del presente capitolato, e per tutto ciò che si riferisce all’igiene e all’estetica delle costruzioni.

Art.8.- L’acquirente non potrà intraprendere alcun lavoro senza avere ottenuto l’approvazione del progetto dell’On. Giunta Comunale.

Art.9.- L’acquirente è ancora obbligato ad osservare tutte le prescrizioni

contenute nel vigente regolamento municipale per il regime delle acque di scolo e delle acque potabili, approvato dalla R. Prefettura il 25 settembre 1898.

Art.10.- L’acquirente riceverà il terreno nello stato e con le piante in cui trovasi, e nella misura precisa risultante nella pratica attuazione, da eseguirsi dall’Ufficio Tecnico Comunale, dell’appresellamento dimostrato dal tipo allegato al

presente capitolato; senza avere al riguardo alcuna ragione di protesta verso il comune anche per il caso che la misura stessa risultasse un poco diversa da quella indicata nel prospetto di cui all’art.1.

Art.11.- Entro quindici giorni dalla aggiudicazione ogni acquirente, sotto pena della perdita della cauzione provvisoria e della caducità dell’acquisto, dovrà stipulare il regolare atto di compra e vendita, le cui spese si intendono tutte a lui di carico.

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Art.12.- La presentazione dei disegni prescritti all’art.7. dovrà essere fatta entro due mesi dalla data della stipulazione dell’atto di compra e vendita.

L’esecuzione completamente ultimata e riconosciuta conforme al progetto approvato, delle costruzioni prescritte agli art. 4, 5e 6dovrà aver luogo entro sei mesi dalla data dell’approvazione del progetto.

Art.13.-

L’inadempimento delle tassative prescrizioni contenute nell’articolo precedente determinerà ipso facto e ipso jure la decadenza della concessione.

In tal caso la presella tornerà senz’altro in libera proprietà del comune,

rimanendo a suo vantaggio tutti i lavori eseguiti dall’acquirente e la somma da lui pagata per l’acquisto.

Art.14.- Conforme pure risulta dall’art.8., si intende stabilito che anche dopo che siano soddisfatti gli obblighi di cui agli articoli 4, 5 e 6 l’acquirente, divenuto proprietario, non potrà eseguire lavori di modificazioni delle

costruzioni eseguite o comunque di nuove opere senza averne prima ottenuto regolare permesso da parte del comune, seguendo le norme dell’art.7.

Art.15.- Per l’altimetria della costruzioni in confine con le strade e piazze, gli acquirenti dovranno attenersi alle misure e livelli che saranno loro indicati dall’Ufficio Tecnico Comunale.

Art.16.- Il comune si riserba la facoltà di approvare e accettare a

soddisfacimento degli obblighi di cui all’art.4. un fabbricato che non abbia il carattere di villino, e quindi in vista delle speciali dimensioni e condizioni del

(30)

fabbricato stesso, di accordarne un termine più lungo per l’ultimazione dei lavori.

Art.17.- All’atto del deliberamento ciascun acquirente dovrà raddoppiare la cauzione provvisoria, depositata a garanzia dell’asta, per costituire così la cauzione definitiva, la quale gli sarà restituita all’atto della stipulazione del contratto e cioè quando sia pagato il prezzo dell’acquisto e le spese del contratto.

Art.18.- L’Amministrazione del comune, per fatto della vendita delle preselle, non si intende obbligata alla immediata costruzione delle strade e dei

marciapiedi ad esse circostanti; e si riserba piena facoltà di procedere a tali opere nel tempo e nel modo che meglio le convenga a comodo di bilancio23.

Pisa, 20 aprile 1905 L’Ingegnere capo

F.Bernieri.

23

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L’espansione nel 1909 sarebbe arrivata anche a sud, verso la pineta di Tombolo, ancora di proprietà della famiglia Appolloni.

Il comune di Pisa entrò in trattative, riuscendo ad ottenere 28 ettari di pineta al prezzo di 130.000 lire, aggiungendo lo svincolo gratuito delle preselle 101 e 102, già concesse agli Appolloni nel 1872, benché in così tanti anni non fosse stata portata a termine la costruzione del villino.

11) Appresellamento della vecchia società del tram, da P. Bertelli.

I rapporti fra la comunità Marinese e Pisa non procedevano però di pari passo con lo sviluppo della località: la Pro Marina entrò più volte in contrasto con la giunta comunale in merito alla creazione delle infrastrutture e dei servizi

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fondamentali di cui la comunità aveva bisogno; servizi di pubblica igiene, di polizia municipale e servizi tecnici.

Il 24 marzo del 1913 fu recapitato al sindaco un lungo memoriale dove venivano denunciate la mancanza di un servizio farmaceutico, di una scuola, dell’illuminazione pubblica, di un regolamento che disciplinasse il commercio ambulante e di un piano regolatore della spiaggia. Il comune, dal canto suo, continuò a sostenere la mancanza di fondi per l’esecuzione di questi lavori e in tutta risposta ottenne un altro memoriale dove fu evidenziato il divario

esistente fra le entrate e le uscite del comune nella gestione di Marina: circa 44.000 lire, rispetto alle 98.000 incassate fra tasse, sovrimposte comunali, etc. A parte questi screzi, l’avvenire di Marina appariva molto florido, grazie alla creazione di moltissime attività economiche. Oltre ai bagni, possiamo trovare pensioni, ristoranti, cafè, macellerie, mercerie, imprese edili, agenzie d’affari, tutte atte a rendere più piacevole il soggiorno dei numerosi abitanti e

villeggianti. Sino al 1914, e anche dopo l’entrata in guerra dell’Italia, la vita proseguiva immutata. La comunità non sembrava essere per niente

condizionata dagli avvenimenti che in quel periodo sconvolgevano l’Europa, ma nella primavera del 1916 furono chiamati al fronte moltissimi giovani e, con l’arrivo dei primi feriti, ci si rese conto dell’entità del problema. Dalle retrovie giunse un gran numero di soldati per ricevere le cure nell’Ospizio Marino adibito ad ospedale militare dalla Croce Rossa. I tempi sembrano maturi anche per la costruzione di uno stabilimento industriale.

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Gli stabilimenti Gallinari e le modifiche del Piano Regolatore.

Nel 1917 la società Industrie Aeromarittime “Gallinari” trattò con Sante Ceccherini per l’acquisto del terreno dove sarebbero sorti i nuovi cantieri. Questi furono ubicati fra il viale e la vecchia strada di Marina, dalla Via

Maiorca al confine con il possesso Appolloni, più una striscia di terreno lungo l’Arno. Da questo momento in poi, l’aspetto di questi luoghi subirà un brusco cambiamento.

La Gallinari si occupava della costruzione di idrovolanti militari e in merito a ciò ricevette dei contributi dall’aeronautica militare per favorire la creazione dei suoi stabilimenti. I primi capannoni sorsero lungo il fiume dove in passato si trovavano le bilance da pesca dei Ceccherini; questi Hangar furono

terminati nel 1918, con un successivo ampliamento nel 1919, grazie

all’acquisto dei possedimenti della contessa Fenzi. Ora, al posto del bosco e della villa dove aveva vissuto Dannunzio, sorse una fila di grigie costruzioni. Non fu l’unica zona a subire dei cambiamenti e soprattutto a veder scomparire parte della pineta.

Nello stesso anno prese il via un’altra modifica del piano regolatore con

l’appresellamento di quattordici lotti ubicati nella zona esterna di via dei Mille, la nuova parallela a via dell’Ordine di Santo Stefano, ma non venne venduta neanche una presella. Nello stesso anno si misero all’asta tutte quelle situate

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lungo questa strada, subito dietro via dell’Ordine di Santo Stefano, e nel 1920 le 50 poste sul lato della pineta24.

La guerra e la ripresa dell’erosione costiera portarono ad una serie di circostanze che causarono la perdita di interesse nei confronti della località. La mancanza di un qualsiasi tipo d’intervento per la tutela delle coste, dirottò la folta comunità turistica verso la Versilia; anche molte delle grandi famiglie che costruirono le prime ville abbandonarono Marina per non farvi più ritorno.

Finita la guerra, le industrie Gallinari subirono un calo di commesse;

purtroppo non si pensava ancora ad un utilizzo differente degli aerei rispetto a quello militare.

Proprio quando s'ipotizzava un riadattamento dei cantieri per la costruzione di navi, la società entrò in contatto con l’ingegnere tedesco Claudio Dornier, il quale nel 1921 fondò con un gruppo di imprenditori, la Società Anonima Italiana di Costruzioni Meccaniche, che nello stesso anno rilevò le industrie Gallinari.

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12)Ampliamento del Piano Regolatore del 1919 e 1920, da A.S.P

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La produzione s'indirizzò sulla costruzione di idrovolanti utilizzati a scopo bellico. Nel 1923 la società cambiò nome da S.A.I in C.M.A.S.A, Costruzioni Meccaniche Aeronautiche Società Anonima, sigla che renderà gli stabilimenti di Marina famosi in tutto il mondo.

13) Il cantiere della C.M.A.S.A, da P. Venturucci.

Nel 1926 il Comune di Pisa compilò un piano regolatore per la gestione di tutto l’arenile posto di fronte alla via della Repubblica Pisana, in modo da poter regolamentare le concessioni a privati degli spazi destinati alla creazione di stabilimenti balneari; la responsabilità dell’arenile comunale ricadeva sul

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Comune di Pisa, mentre per quanto riguardava quello demaniale, entrava in ballo la Regia Capitaneria di Livorno.

Il compito che si prefiggeva il Comune di Pisa, era di dare un certo decoro alla spiaggia, monitorando, come già accadeva per le richieste di costruzioni sulle preselle, tutti i progetti riguardanti gli stabilimenti balneari.

Nel maggio del 1926 la giunta comunale affidò alla ditta di Saverio Parisi i lavori per la costruzione della strada litoranea Marina-Calambrone.

Si faceva molto affidamento sulla zona interessata, soprattutto per la bellezza della spiaggia.

14) Planimetria Strada litoranea Marina-Calambrone, da A.S.P.

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15) I danni provocati dall’erosione, da P.Berrtelli.

L’appresellamento sul margine della nuova strada si sarebbe svolto conformemente alla valorizzazione dei terreni appartenuti alla tenuta Appolloni e alla casa reale, e molte delle nuove costruzioni sarebbero sorte nella pineta. L’anno successivo si costituì un consorzio fra le amministrazioni provinciali di Pisa e Livorno per la costruzione e l’ esercizio di una linea

tranviaria elettrica che collegasse le due città. Il 18 dicembre 1928 il sindaco di Pisa Ugolini scrisse al ministro dei lavori pubblici: «Marina di Pisa, chiusa nei suoi attuali confini, chiede di espandersi verso Livorno, dove non si spingono le corrosioni del mare che irradiano dalla foce dell’Arno fortemente

danneggiato, con progressiva sempre più grave minaccia per l’attuale paese, dove sarà presto migliorato il retrostante territorio per benefico effetto dei prossimi lavori della concessa bonifica delle tenute reali di Tombolo e

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Coltano. Perciò con l’intento di avvicinare le due città sorelle, Pisa si propone di provvedere alla costruzione di una nuova strada litoranea da Marina al Calabrone (confine Livorno) su cui impiantare una linea tranviaria Pisa-Marina»25.

Il 20 dicembre 1928 fu stilata la convenzione e il capitolato del consorzio interprovinciale Pisa-Livorno per le linee ferro-tramviarie e allo stesso tempo il comune di Pisa fece atto di rinuncia della convenzione fatta nel 1891 con la Società Italiana per le Ferrovie economiche e Tramviarie a Vapore. Nel 1929 si procedette all’abbattimento di un tratto di pineta per la costruzione della stazione di Marina.

La bonifica del bacino di Tombolo fu un’operazione fortemente voluta dal regime, il quale dava molta importanza a questa zona. Proprio in questi anni si svilupparono le colonie marine dove moltissimi bambini poterono recarsi a turni di quindici giorni per gruppo. In tutti questi anni Marina di Pisa si era sviluppata sulla base del piano regolatore del 1872, ripreso e corretto più volte. Quello di cui si sentiva l’esigenza ora era di un nuovo piano, più organico, che rispecchiasse i propositi di creare nuovi poli di attrazione turistica. Si arriva così al piano regolatore bandito nel 1929.

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Gabriele D’Annunzio.

Gabriele D’Annunzio fu, tra i tanti personaggi illustri che frequentarono Marina di Pisa, sicuramente il più importante, e se si cerca un motivo fra i tanti che spinsero il poeta ad adottare la Marina di Pisa come luogo di riposo e ispirazione per le sue poesie, certamente lo si può legare a colei che per prima ce lo portò, Eleonora Duse. La famosa attrice teatrale aveva già trascorso intorno al 1896 un breve periodo nella località marittima, in una delle prime case di via Maiorca, presso la famiglia Giusti, qui ricercava un pò di pace dopo un rapporto burrascoso con il giornalista napoletano Martino Cafiero26, padre

del figlio che diede alla luce proprio a Marina e che purtroppo morì dopo pochi giorni; da allora passò un anno prima che vi facesse ritorno, questa volta con Gabriele D’Annunzio. D’annunzio era già stato a Pisa in passato, alloggiato all’albergo Victoria sul lungarno Regio, oggi Pacinotti. Come già detto in precedenza fu la Duse a condurlo a Marina, in quel tempo ancora in fase di sviluppo e quindi carica di suggestione grazie ai suoi paesaggi, che tanti pittori come Nino Costa e Amedeo Lori rappresentarono nei loro quadri e che il poeta riuscì a fissare in modo indelebile nelle sue poesie.

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La coppia viveva in questi anni l’apice del loro rapporto; dopo un lungo peregrinare che li porto in Grecia e Egitto27, nel 1897 trovarono riparo a

Bocca d’Arno nella vecchia Dogana, affittata alla Duse dai figli di Baldassarre Ceccherini il sette luglio del 189928, chiedendo che non venisse apportato

nessun lavoro di manutenzione, facendo in modo che restassero intatti i davanzali e le soglie infestate dalle erbe, nonché i nidi delle rondini sotto il tetto; tutto per preservare l’alone di rusticità e romanticismo che la Dogana racchiudeva, ribattezzata da D’Annunzio “Casa delle Rondini”;

La coppia avrebbe potuto usufruire del primo piano comprendente sei stanze, per la quota di lire 450 per anno, per due anni con contratto rinnovabile.

“Le stoie sono alzate; a traverso i cristalli si vedono gli oleandri, le tamerici, i giunchi, i pini, le arene d’oro sparse d’alghe morte, il mare in calma sparso di vele latine, la foce pacifica dell’Arno, di là dal fiume le macchie selvagge del gombo, le casine di S.Rossore, le lontane montagne di Carrara marmifera”29.

27 P. Chiara, 1978. 28 R. Fiaschi, 1968. 29 R. Fiaschi, 1968, p. 26-28.

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Fu proprio la suggestione di quei luoghi che ispirarono il poeta nel comporre il 5 luglio 1899 “La Tenzone”, della quale scrisse i primi versi sulla parete di un casottino di legno:

“Come l’estate porta l’oro in bocca, l’Arno porta il silenzio alla sua foce.” Il giorno dopo compose “Bocca d’Arno”:

“Bocca di donna mai mi fu di tanta soavità nell’amorosa via

(se non la tua, se non la tua presente)

come la bocca pallida e silente del fiumicel……”30

Subito dopo aver alloggiato alla vecchia Dogana, D’Annunzio venne ospitato per un breve periodo, sempre nel 1899, nella villa dei marchesi Guadagni, comunicante con villa Peratoner, insieme alla quale fu costruita nel 1894, e in cui il poeta alloggiò nel 1904.

Oggi le due ville sono sensibilmente cambiate a causa di una sopraelevazione che ha variato di molto la prospettiva.

A quel tempo erano le uniche due costruzioni poste in prossimità della foce del fiume e del mare, il quale aveva già iniziato la sua opera di erosione31.

30

P. Chiara, 1978, p. 120.

31

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19) Villa Peratoner e villa Guadagni, rispettivamente sulla destra e sinistra, da P. Bertelli.

Se trascuriamo qualche breve sosta di D’Annunzio a Marina intorno ai primi del Novecento, arriviamo al 1904, anno in cui commissionò l’incarico a Felice Castelli, creatore del primo ufficio postale di Marina, nonché giornalaio, di trovare per l’inizio dell’estate una villa da poter affittare, sottintendendo che sarebbe stato molto contento di poter affittare villa Peratoner o “Casa rossa” come era stata ribattezzata dal poeta per il suo colore, o “Casa delle Tempeste”, per il fatto che era battuta dal mare.

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L’intermediaria in questa trattativa fu Eleonora Duse, con la quale D’annunzio aveva oramai concluso la relazione, ma che ugualmente si prodigò per trovare un alloggio al poeta.

Ottenne così di poter risiedere per diverso tempo nella villa tanto desiderata, posta sulla foce dell’Arno, lontano dalla calca della zona dedicata all’affluenza domenicale, che in questi anni in seguito allo sviluppo della località era frequentata da moltissimi pisani; il poeta desideroso di calma e silenzio si dedicò così alla composizione e alle lunghe cavalcate32.

La villa di aspetto ottocentesco era fornita di un largo corridoio all’ingresso che conduceva verso il giardino interno; subito sulla sinistra una scala con un mascherone in pietra posto sul pilastro adiacente al primo gradino; dalle scale si accedeva ad una sala suddivisa da un’inferriata; sulla sinistra, vista mare, lo studio del poeta, al quale si poteva accedere tramite una porticina intarsiata da fregi orientali, all’interno un caminetto e una nicchia e, accanto alla porta, una statua raffigurante una donna nuda.

Sulla sinistra e sulla destra dell’ingresso principale erano posti due salotti, uno per ricevere gli ospiti mentre l’altro adibito a sala da pranzo; al primo piano erano ubicate le camere da letto, quella principale, la centrale, era fornita di balconcino, mentre le altre potevano godere di ampie finestre con vista sul mare; le stanze per la servitù erano collocate sul giardino33.

32

P. Chiara, 1978.

33

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20) Villa Peratoner o Casa Rossa da un disegno di L.Borghi, in R. Fiaschi.

In questo periodo il poeta viveva una nuova relazione con la Marchesa Alessandra di Rudinì, figlia dell’ex presidente del Consiglio Antonio di Rudinì, conosciuta l’anno precedente a Milano e della quale si era innamorato ribattezzandola Nike per l’aspetto bellissimo e il carattere irrequieto34.

Condivideva con la giovane compagna (aveva ventisette anni) la passione per i cavalli e la bella vita, e rispetto al periodo trascorso con la Duse, ebbe ben poco tempo da dedicare al lavoro, trascinato dall’irrequieta Nike in sfrenate corse a cavallo per i litorali e lungo l’Arno.

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Durante l’estate fu raggiunto anche dalla figlia Cicciuzza, avuta da un precedente matrimonio con la Gravina.

Per dare un’idea della vita che il poeta conduceva a Marina, riportiamo uno stralcio del giornale “La Tribuna” che nel luglio del 1904 scriveva:

“D’Annunzio, che già cantò nelle sue Laudi questa piccola plaga ridente, l’ha prescelta quest’anno per passarvi quattro mesi. Egli vi studia e vi scrive con alacrità fenomenale, trovando il tempo e il modo di rinfrescare il suo spirito con lunghe passeggiate mattutine, immersioni nel fresco Tirreno, gite in barca, e dedicando qualche ora del giorno alla pesca con la bilancia, in una capanna posta alla foce del fiume”35.

Al contrario di quanto riportato nell’articolo, il poetà si trattenne molto di più a Marina, abbiamo sue notizie e della Rudinì, ancora nell’estate del 1905, periodo stressante per D’Annunzio per le condizioni di salute precaria dellaDi Rudinì; ma da questa data in poi sono rare le notizie del poeta a Marina; infatti tranne qualche rara incursione per lavorare in completa pace nella “Casa Rossa”, D’Annunzio lascerà per sempre Marina, molto diversa oramai da quel posto solitario che tanto aveva amato e che tana ispirazione gli aveva trasmesso, anche se fervida rimane l’immagine di quei luoghi fotografati nelle sue poesie.

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L’esigenza di un piano regolatore.

Nel 1929 fu bandito il concorso per la realizzazione di un Piano Regolatore della città di Pisa e Marina di Pisa.

Come abbiamo visto in precedenza, ne furono stilati diversi per un migliore sviluppo di Marina, anche se non possiamo parlare di veri e propri Piani, in quanto consistettero più che altro in una assegnazione di preselle, per permettere uno sviluppo omogeneo della località attraverso la

regolamentazione della costruzione degli edifici e dei tempi della loro realizzazione, disattendendo le previsioni di crescita uniforme e non

consentendo di apportare piccole variazioni, se non con la compilazione di un altri piani non in continuità con le scelte iniziali. Ma il caso di Marina non era l’unico, in un’Italia ricca di città il cui sviluppo disattendeva le prospettive prefissate dagli organi amministrativi.

Verso la fine dell’Ottocento l’urbanistica era vista più come un’ancella della cultura architettonica , ma già dagli inizi del novecento si infiammò il

dibattito intorno a questa disciplina, soprattutto in funzione di una maggiore comprensione e previsione dei fattori inerenti alla crescita e trasformazione delle città e, parallelamente, alle esigenze di una società in continua evoluzione. Il problema di fondo, comune più o meno a tutti i vecchi piani regolatori, stava nell’avere la pretesa di creare uno strumento stabile e determinato di

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trasformazione, in tempi stretti e con un buon margine di previsione36; ma per

fare questo occorreva la compresenza di più competenze che rispecchiassero la diversità dei modi di concepire gli spazi umanizzati espressa dalla realtà,

problema fortemente sentito in primis dall’autorità politica, filtro delle varie esigenze della collettività.

Gli anni della definizione teorica e organizzativa di questa disciplina

(soprattutto nel periodo compreso fra le due guerre) la videro come terreno di scontro fra diverse culture tecniche (specchio delle nuove esigenze della città e del suo territorio)soprattutto sul piano delle competenze: Architetti, ingegneri, igenisti, storici dell’arte, i quali cercarono sin dagli inizi del secolo di definire un linguaggio tecnico e legislativo, per arrivare negli anni venti alla creazione di un corpus teorico disciplinare .

L’evoluzione degli anni successivi, porterà alla definizione di strategie atte ad una realizzazione dei propri obbiettivi, capaci di adattarsi al mutare degli scenari politici. Grazie a questi dibattiti, si andò sempre più definendo la figura

dell’”Architetto Integrale”, termine che si deve a Gustavo Giovannoni, personaggio che più di tutti individuò nel binomio scienza-tecnica/arte la formula vincente della nuova disciplina, più completa e soprattutto variabile, capace di colmare il divario tra quadro teorico e spazio reale che muta con la società e con le sue esigenze.

Gustavo Giovannoni fu una figura importantissima nell’evoluzione

dell’Urbanistica e si deve a lui la realizzazione, alle soglie degli anni venti, di scuole (nasce nel 1920, la scuola Superiore di Architettura di Roma, prima istituzione universitaria di architettura in Italia, nata dalla fusione della sezione

36

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di architettura civile del corso di studi di ingegneria, con i corsi superiori di architettura delle Accademie di Belle Arti), albi, sindacati, atti a definire il profilo culturale e professionale dell’architetto.

La sua attività si svolge in diversi periodi storici, dal primo ventennio del novecento, nell’Italia Giolittiana, e in quella Fascista del secondo ventennio. Si laureò nel 1895 alla facoltà di ingegneria a Roma, per poi prendere la

specializzazione, l’anno successivo, all’istituto superiore di Igene Pubblica; subito dopo divenne assistente presso la cattedra di Architettura tecnica e generale sempre nella stessa città37.

In questi primi anni di formazione, Giovannoni s'indirizzò verso gli aspetti più tecnici inerenti l’architettura; proprio in questi anni si accese un forte dibattito in ambito architettonico (soprattutto per ciò che concerneva il destino delle città e dei suoi centri storici) fra le fazioni dei Novatori e Conservatori, gli uni, soprattutto ingegneri e igenisti, convinti dell’esigenza di costruire ex novo, gli altri, storici dell’arte, della necessità di conservare una testimonianza strorico-artistica del passato, recuperando le vecchie strutture.

Inizialmente Giovannoni sembrò avvicinarsi più alla fazione dei novatori, ma furono i corsi di Arte medievale e moderna di Adolfo Venturi (in cui Venturi diede una forma stabile alla sua disciplina universitaria, creando una consistente base metodologica per poterla raccordare all’apparato amministrativo e dare legittimità alla figura dello storico dell’arte) che gli fecero capire l’esigenza di una formazione più completa per la figura dell’architetto.

Nel 1903 entrò a far parte dell’Associazione Artistica tra i Cultori

dell’Architettura di Roma , di cui facevano parte pittori, scultori, architetti e

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diplomati di Belle Arti; l’associazione era volta alla creazione di una nuova figura di tecnico-artista e come si apprende nello statuto societario, uno degli obbiettivi principali fu quello di

“ ..promuovere lo studio e rialzare il prestigio

dell’architettura”38 per poter mettere fine alla supremazia degli

ingegneri e della cultura tecnica .

Giovannoni, che nella sua prima formazione poteva definirsi un “Tecnico”, non rinnegò le sue origini, cosciente dell’esigenza di trovare una strada intermedia fra le due culture per poter formare una figura professionale completa e sensibile alle diverse esigenze di una nuova società ;

potremo dire che proprio in seno a queste divergenze Giovannoni trovò un ambito di confronto con gli storici nella questione del recupero dei monumenti, nella loro analisi scientifica e del loro recupero architettonico.

Nel 1903 intervenne al II° Congresso di Scienze Storiche, svoltosi a Roma, dove elencò le teorie per un corretto metodo d'approccio al restauro dei monumenti, evidenziando la necessità di una maggiore conoscenza del monumento, della sua storia (facendo riferimento a fonti attendibili) per poi procedere ad un esame diretto dell’edificio, sottolineando l’importanza di un buon bagaglio di conoscenze sia storico-artistiche che tecniche atte a formare un’ideale figura di “Ingegnere-Umanista”.Giovannoni iniziò a creare così un apparato metodologico che negli anni successivi trovò applicazioni in diversi campi teorici e pratici.

38

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Esso considerava il monumento sia nella sua forma individuale sia nel suo insieme edilizio, e proprio partendo da questo concetto che iniziò a parlare di “Ambiente”39.

Nel 1913 pubblicò due articoli sulla rivista “Nuova Antologia”, dove pose le basi per la teoria del “Diradamento Ambientale” inerente ai problemi del

recupero dei centri storici, dando una soluzione alle esigenze di conservazione e modernizzazione, con il concetto di “Accordo “ o “Innesto del nuovo

sull’antico”, creando così, con la pratica del diradamento (consistente

nell’abbattimento di quartieri malsani di scarsa importanza storica, al fine di dare più respiro ai centri storici e valorizzare i monumenti) creando una base per un più ampio programma urbanistico di sviluppo della città40.

L’Edilizia cittadina, o Urbanistica, fu l’ambito in cui Giovannoni trovò un terreno di collaborazione e confronto fra le diverse esigenze dei tecnici e degli storici.Tutte queste questioni furono trattate nel volume “Vecchie città ed edilizia nuova” dove, oltre ai principi di “Accordo” e “Diradamento”, si preoccupò dei problemi dell’espansione urbana dando indicazioni fondamentali sul metodo più adatto di compilare un piano regolatore,

sottolineando come questo debba essere “..un concetto unico in cui si fondono le varie condizioni igeniche, sociali, economiche, di movimento, di estetica, e le varie fasi ora indicate nel progetto unico.”41

Compilò un elenco di dodici punti, indicati come fase dello studio

dell’agglomerato urbano, sottolineando il fatto che un piano regolatore non si esaurisce con la sua compilazione, ma accompagna attraverso il suo

39 G. Giovannoni, 1931. 40 G. Giovannoni, 1931. 41 G. Giovannoni, 1931.

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programma lo sviluppo cittadino, essendo esso stesso soggetto a mutazioni in proporzione all’esperienza accumulata nello scontro con una miriade di

situazioni variegate che la realtà gli pone di fronte. Facendo un confronto con le leggi Italiane in materia di piani, del 1865 e del 1885, evidenziò l’arretratezza di queste, attaccando la prassi di separare il piano regolatore di sistemazione interna, corrispondente al piano vero e proprio, da quello d'ampliamento, creando norme differenti per la gestione di ognuno. Progredendo in questa maniera, le varianti che via via si sarebbero presentate, sarebbero state gestite isolatamente, senza nessuna continuità con il programma originale, rompendo così l’unità dell’azione e cozzando in molti casi con le norme stabilite dal primo piano.

Come risposta a questa prassi, Giovannoni sostenne l’esigenza di un’ “Unità di studio per le regioni esterne e le interne, che parta da un piano regionale, cioè dal collegamento con le comunicazioni esteriori e dal coordinamento coi prossimi centri minori vecchi e nuovi, per giungere ai quartieri

dell’ampliamento ed alla sistemazione della città esistente e che, come si

accennato, consideri insieme i tracciati delle vie ed i circuiti cinematica e risolva insieme tutti i problemi tra loro interdipendenti nell’organismo di una città.” Questa fase sarebbe stata preceduta da un iniziale schema di massima che, a differenza dei vecchi piani, non avrebbe avuto limiti temporali; sarebbe stato ben distinto dalla graduale esecuzione dei singoli piani , considerando tutta l’area in cui i fabbricati si sarebbero estesi ( per evitare che una futura area edificabile fosse soggetto di attività indisciplinate) , e soprattutto creando collegamenti con le linee tracciate dal piano regionale, tenendo in

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Avendo tracciato così le arterie principali, le quali sarebbero rimaste immutabili, si sarebbe potuto giungere gradualmente alla creazione dei singoli quartieri, le cui esigenze, condizionate dalle più svariate situazioni, sarebbero state trattate al momento più opportuno senza condizionare le linee dello sviluppo

cittadino.“Deve dunque presiedere al piano regolatore una certa larghezza, che lo renda adatto a tutte le eventualità, sia di fattive iniziative politiche o

industriali, sia di stanca o tarda attuazione; e forse in questo la maggiore importanza è assunta dagli elementi inibitori forniti dalla divisione in zone, dalla ubicazione di parchi, e istituzioni, ed edifici, e impianti speciali.”42

Il concorso per il Piano Regolatore della città e Marina di Pisa.

Il 1 Agosto del 1929, venne presentato il bando di concorso per il Piano

regolatore di Pisa e Marina, il quale si instaurò in un periodo fondamentale per l’applicazione delle teorie di Gustavo Giovannoni che definirà la compilazione di quest’ultimo come una “lezione di Urbanistica.”43

Giovannoni fu chiamato a far parte della giuria giudicatrice dal podestà di Pisa l’On. Guido Guidi Buffarini, insieme al senatore Corrado Ricci, nella veste di

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G. Giovannoni, 1931.

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presidente della commissione giudicatrice, Ghino Venturi,l’architetto che nel 1924 s’impose al collegio giudicante del concorso per la decorazione dell’Aula Capitolina a Roma44, l’ingegnere Pietro Cuppello e Francesco Bernieri

ingegnere capo del comune di Pisa.

Furono stabilite, in vari punti, delle direttive che i partecipanti avrebbero

dovuto rispettare , queste non furono altro che delle applicazioni delle teorie di Giovannoni per ciò che concerneva la realizzazione di un piano regolatore che avesse come punto di partenza un “Piano di massima”; si legge nel punto D dell’articolo 1 del bando: “D) Lo studio del Piano regolatore dovrà partire da uno schematico studio di piano regionale, e comprenderà la determinazione delle principali arterie di viabilità, la designazione delle diverse zone

fabbricative, a cui si attribuisce diverso tipo edilizio; e nei quartieri

dell’ampliamento dovrà ottemperare ai moderni criteri dell’urbanistica per quanto si riferisce all’ampiezza delle vie, alla distribuzione delle piazze e dei giardini, alla assegnazione delle aree per pubblici edifici.”45, e nel punto

successivo:” E) Il progetto che si richiede non può essere che di larga massima: concorso di idee e di schemi programmatici più che di piani particolareggiati, che potranno essere preparati in un secondo tempo, esaminando le molteplici condizioni della realtà, in collaborazione tra il vincitore e gli uffici municipali. Delle convenzioni già in corso e dei piani regolatori già esistenti si comunica ciò che rappresenta vincoli ormai indissolubili; chè, del resto, un piano

regolatore fin qui vigente può essere annullato da un altro piano regolatore più perfetto, più completo, più rispondente alle condizioni che solo da pochi anni i

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Architettura e Arti Decorative, fascicolo II, ottobre 1924.

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moderni concetti dell’urbanistica ed i criteri del rispetto dell’ambiente storico sono venuti ad imporre. Perfino le convenzioni già avviate per l’attuazione possono essere modificate od addirittura riscattate allorquando rappresentino ostacoli disastrosi al sano, decoroso e logico sviluppo cittadino.”46Per quanto

riguarda la marina di Pisa leggiamo: ”F) Quanto al Piano regolatore della

Marina di Pisa, che rappresenta un tema completamente a parte, avendo stabiliti i confini del suo sviluppo, si desidera che siano conservati tutti gli elementi di vegetazione ivi esistenti: e, nei riguardi dell’opportuno sviluppo, sia progettata una suddivisione il più possibile netta tra il quartiere tranquillo e aristocratico dei villini (possibilmente uniti a gruppi anzichè disseminati sporadicamente in minuscole unità isolate), ed il quartiere, pieno di movimento, delle invasioni domenicali della città, dei diporti, dei bagni, del traffico.”. E nell’articolo 4: ” Art. 4. - Per quello che riguarda la Marina di Pisa, il Piano regolatore che si domanda è destinato a creare la Marina Nuova che dovrà sorgere a fianco della strada litoranea, recentemente iniziata e da costruirsi fino al confine del

Comune di Livorno in prosecuzione della via della Repubblica Pisana, per una lunghezza di 6000 metri, dal termine attuale del Paese di Marina, su di un’area della Tenuta di Tombolo che si estende in larghezza per 300 metri, a monte della detta strada, e fino alla zona demaniale della battigia del mare a valle. Il Piano regolatore, pure prevedendo l’estensione della Marina Nuova per tutta la lunghezza litoranea di 6000 metri, potrà intanto essere limitato al primo tratto di strada fino ad oggi eseguito, lungo circa 2000 metri a partire dall’attuale confine di Tombolo”.

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Come possiamo apprendere dal bando, Marina di Pisa era destinata a

svilupparsi più a sud, proprio a causa dell’azione erosiva delle mareggiate, che negli ultimi anni avevano messo a dura prova l’avvenire della località turistica. Fu proprio questo il compito che si prefissero i compilatori del bando, creare un polo turistico separato dalla zona abitata, la Marina Nuova, che sarebbe sorta lungo la strada litoranea verso Livorno. Lo sviluppo di Marina avrebbe quindi puntato più sulla creazione d’infrastrutture atte alla nascita di un nuovo polo turistico, lasciando a parte la zona abitata comprendente i villini, nella quale si sarebbe cercato di rendere più uniforme il quartiere, evitando di creare unità isolate. E’molto importante il fatto che i vecchi piani regolatori sarebbero stati tenuti in considerazione nel momento della sua esecuzione, serbandosi il diritto di poterli cambiare qualora le esigenze del momento lo avessero

richiesto; infatti, per ciò che concerneva il vecchio nucleo di Marina non vi erano in serbo grandi cambiamenti, le regole stabilite dal capitolato di vendita dei vecchi piani rimase immutato, tranne che per gli obblighi inerenti ai tempi di costruzione, per i quali furono stabiliti nuove scadenze, ma, come già era avvenuto in passato, non furono così incisivi come ci si aspettava. Molto importante fu la decisione di lasciare immutata la vegetazione della località, anche se, come vedremo poi, una delle possibili scelte del piano vincitore del concorso, il gruppo 3STP, comprendeva il diradamento d'alcune zone della pineta proprio in funzione della creazione di nuove arie di svago per il turismo. Per quanto riguarda gli altri gruppi partecipanti al concorso, si segnala quello formato dall’ingegner Cesare Chiodi e dagli architetti Giuseppe Merlo e

Giuseppe Valtolina, provenienti da Milano, che vinse il secondo premio con il progetto indicato con il nome C.M.V; questo proponeva un ottimo schema per

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ciò che concerneva il piano regionale, ma non altrettanto per quello urbano nel quale lo sviluppo dei nuovi quartieri seguiva, a detta della commissione

giudicatrice, delle direttive di espansione troppo simmetriche e artificiose, più adatte a città di pianura di nuova fondazione che non ad un vecchio nucleo urbano come Pisa. Il terzo premio fu aggiudicato ex aequo fra i progetti “Spes nutrit patientiam”,dell’architetto veronese Ettore Fagioli, e dell’ingegner Gino Steffanon di Pisa, e il progetto “P8” del gruppo di urbanisti romani composto da Gino Cancellotti, Eugenio Fuselli, Luigi Lenzi, Eugenio Montuosi, Luigi Picconato, Alfredo Scalpelli, Roberto Lavagnino, Giuseppe Nicolosi e Cesare Valle47. Una menzione d’onore fu assegnata al gruppo “Forma urbis Pisarum”

formato da Alpago Novello e Muzio e al gruppo di formato fagnoni, Bianchini e Chiaramonti, che ottiene la prima menzione48.

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Architettura e Arti Decorative, fascicolo VIII, aprile 1931.

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21) Progetto di sistemazione di Marina del gruppo “Spes nutrit

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22) Progetto di sistemazione di Marina gruppo “P8” da Architettura e

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Progetto 3P-ST.

Questo il nome del gruppo d'architetti romani vincitori del concorso per il Piano Regolatore della città e della Marina di Pisa, nome tratto dall’iniziale del cognome di ognuno dei componenti del gruppo: l’architetto Mosè Luciano Tufaroli.,laureatosi nel 1926 alla facoltà di architettura di Roma, dove insegnò per otto anni Elementi di composizione architettonica49; Mario Paniconi,

(Roma 1904-1973), architetto che nel 1929 costituì a Roma con Giulio Pediconi (1906-1999), un attivo studio professionale.

L'attività dei due architetti negli anni Trenta fu volta alla ricerca di una sintesi tra la corrente razionalista e il monumentalismo di regime (fontana della Sfera al Foro Italico; piazza a forma d'esedra all'E 42, in collaborazione con Muzio; villa Pantanella).

Le opere del dopoguerra, nonostante il tentativo di un aggiornamento, restano legate a schemi classicisti (chiesa di S. Gregorio VII; sedi dell'IMI e dell'UIC; sede centrale dell'INPS, in collaborazione con M. Raffo).50

Concezio Petrucci, opera tra la fine degli anni Venti e la metà dei Quaranta, in un periodo d’intenso dibattito sui contenuti dell’architettura. Sembrerebbe incarnare la figura dell’«architetto integrale» auspicata da Gustavo Giovannoni, capace di sintetizzare competenze artistiche e tecniche affrontando le varie scale d'intervento. Nato nel 1902 in provincia di Foggia, studia nella Scuola Superiore di Architettura di Roma, dove si laurea nel 192651.

49

G.Isola, M.Cozzi, F.Nuti, G.Carpelli, 1994.

50

E42: utopia e scenario del regime, cataloghi Marsilio, Venezia, 1943.

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