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2. Le donne in uniforme nella NATO, l’integrazione integrata

2.4 Le esigenze operative

In questo paragrafo si esamineranno quei fattori contingenti che, in un’ottica operativa ed aldilà della già analizzata esigenza di ottemperare al disposto della Risoluzione 1325, possono agevolare l’impiego delle donne in uniforme.

Il tecnicismo di questo argomento mal si concilia con una trattazione accademica e, soprattutto, con una ricerca bibliografica esaustiva; sono solo l’esperienza acquisita, l’indagine empirica, l’osservazione diffusa, l’opinione degli operatori del settore, le fonti cui potersi ispirare e che di seguito saranno analizzate nel tentativo di renderle fruibili al lettore.

Gli interventi delle Forze NATO hanno registrato, negli ultimi anni, un enorme varietà di scenari con cui doversi confrontare in tutte le fasi delle Operazioni, da quella combat alla pacificazione, dalla stabilizzazione all’

handover con i Governi locali.

In questo ampio spettro di impiego operativo fanno capo due caratteristiche comuni: l’asimmetria del confronto armato e la complessità gestionale delle fasi post-conflict.

Analizzando il primo fattore è doveroso porre in evidenza come esso sia troppo spesso relegato ad indicare meramente la differenza di assetti tra le due compagini in lotta, una differenza quantitativa e qualitativa a favore di uno dei contendenti – le Forze dell’Alleanza – che presupporrebbe una rapida risoluzione della contesa con minime perdite per la componente più forte.

Pur senza addentrarsi in approfondite considerazioni dottrinali, è opportuno rimarcare che l’asimmetricità non deve essere vista esclusivamente in chiave di quantità e qualità di forze contrapposte e, tantomeno, come uno svantaggio per il contendente numericamente e tecnologicamente inferiore.

Difatti, il suddetto ragionamento sarebbe stato valido per gli scontri lineari tra eserciti di fine ‘800 ma non trova applicazione negli attuali scenari in cui l’asimmetricità si traduce in tipologie di combattimento diverse, in cui il contatto con l’oppositore viene ridotto ad attacchi di piccoli nuclei, alle tecniche dell’imboscata e del colpo di mano, privilegiando strumenti di offesa quali gli ordigni esplosivi improvvisati (IED) o l’utilizzo di personale non identificabile come avverso (civili, donne, bambini) per portare o camuffare gli attacchi.

Questa situazione comporta una prima immediata conseguenza che si traduce nell’impalpabilità della “prima linea”, vale a dire nell’indeterminatezza della linea di contatto con l’avversario che pertanto ingaggia il combattimento non lungo un fronte predefinito ma in maniera apparentemente casuale.

Lo sviluppo della battaglia non è più graficamente lineare ma si estende circolarmente, spesso lungo ellissi concentriche. Ciò comporta la necessità di disporre di piccoli nuclei particolarmente addestrati al combattimento – forze speciali e forze per operazioni speciali – laddove si presuppone che gli scontri possano avvenire con più frequenza e di un numero maggiore di forze convenzionali per fornire una cornice di sicurezza adeguata.

Inoltre, l’atomizzazione del campo di battaglia richiede un supporto logistico ed un supporto al combattimento ancor più accentuati rispetto al passato, giacché la frammentazione delle Forze comporta una moltiplicazione dei supporti.

Quanto finora illustrato si traduce in uno scenario operativo favorevole al personale femminile in quanto la capacità di combattimento diretto è devoluta in gran parte alle forze speciali – alle quali il personale

femminile è spesso impossibilitato ad accedere sia per veti regolamentari211 sia per differenze antropometriche con i colleghi maschi – ma esse rappresentano una piccola frazione del dispositivo spiegato sul terreno. Pertanto tutte le altre funzioni di combattimento convenzionale, di carattere logistico, di supporto al combattimento, richiedono un enorme numero di personale altamente addestrato, ed in tali specializzazioni la presenza di personale femminile è non solo ammessa ma anche auspicabile.

Si faccia riferimento, ad esempio, all’importanza dei rifornimenti, del supporto sanitario, dei trasporti, del Genio, dell’appoggio aereo, del supporto di fuoco, della gestione del personale, del vettovagliamento, del controllo finanziario, delle operazioni psicologiche, e di altre decine di funzioni operative spesso sconosciute ai più.

Per rendere chiaro il concetto si pensi che i manuali di dottrina indicano che il rapporto ottimale tra personale combattente e di supporto debba essere di 1:5 e che esso, nelle succitate condizioni operative, può giungere fino alla quota di 1:7.

Tutto ciò che ruota intorno al singolo militare a contatto diretto con l’avversario assume un’importanza capitale e richiede una tale specializzazione da non essere sicuramente meno necessario ed appagante del combattimento sistematico.

Questo aspetto è colpevolmente spesso sottaciuto e la mancata divulgazione della sua importanza rappresenta un aspetto impedente l’integrazione numerica delle donne di cui diremo nel prosieguo della trattazione.

211 Basti pensare al veto ancora esistente nelle Forze Armate statunitensi sull’impiego di

donne nelle Special Forces e che viene percepito come l’ultima barriera alla completa integrazione femminile in uniforme anche per il fascino che queste Unità generano nell’immaginario collettivo. Di questi aspetti si parlerà più diffusamente nel prossimo capitolo.

Abbiamo affermato che l’asimmetria non è riconducibile esclusivamente alle quantità e qualità delle truppe schierate sul terreno ed ai relativi supporti ma che essa deve essere ricercata anche in altri elementi.

Possiamo fare riferimento, ad esempio, all’indubbio vantaggio di chi trae beneficio dall’asimmetrica situazione di non avere un’opinione pubblica da convincere e leggi o regole da rispettare nel corso del conflitto. Le azioni più turpi, le conseguenze più catastrofiche, le violenze più gratuite, non possono essere limitate dalla condanna morale e giuridica laddove non sono riconosciute né morale né legge.

Gruppi terroristici, bande tribali, mercenari, milizie etniche, possono pianificare senza vincoli le loro azioni belliche e perpetrare liberamente i loro misfatti servendosi di innocenti, affliggendo la popolazione civile con stupri e rappresaglie, violando leggi e convenzioni di guerra, ignorando i diritti fondamentali dell’uomo.

L’azione dell’Alleanza deve, di contro, uniformarsi sempre e comunque ai principi di giustizia, alla proporzionalità della risposta, all’uso minimo della forza, alla minimizzazione dei danni collaterali, all’etica militare, alle leggi internazionali e a quelle dei caveats apposti dai Paesi contributori.

Per annullare questa sperequazione nel modus operandi delle compagini in lotta, l’Alleanza deve far ricorso a quelle figure professionali che possano garantire il rispetto delle suddette norme e correttamente informare l’opinione pubblica del proprio operato.

Assumono in tal modo una significativa importanza i consiglieri giuridici, i consiglieri di genere, gli addetti alla pubblica informazione, tutti coloro detentori di un incarico per il quale deputati a valutare le azioni pianificate e garantire la loro conformità al mandato ricevuto.

Anche in tali settori l’apporto del personale femminile è particolarmente apprezzato e ricercato per le innate doti di mediazione, di analisi, di comunicazione, di umanizzazione che apportano all’immagine talvolta asettica della NATO.

Un ulteriore aspetto operativo che volge a favore dell’integrazione di genere nell’ambito del conteso NATO è dovuto alle pressanti ed impegnative esigenze di garantire la Force protection alle truppe dispiegate sul terreno.

Questa necessità è divenuta nel tempo sempre più imprescindibile e al contempo difficile da garantire; difatti, con l’intensificarsi del coinvolgimento anche nelle fasi post-conflict gli assetti militari hanno dovuto interagire con la società locale abbandonando posizioni fortificate e difese per agire tra la gente comune.

Questa situazione ha esposto le truppe al pericolo di attentati e ritorsioni al di fuori delle basi protette, laddove l’uso di esplosivi o gli attacchi di piccoli nuclei possono sortire effetti devastanti.

Nella moderna dottrina, pertanto, con il termine Force protection si intende non solo la scelta e l’adozione dei dispositivi statici (caserme e basi fortificate e poste in posizioni difendibili)212e dinamici (equipaggiamento antiproiettile, blindatura antimine dei mezzi, jamming su radiofrequenze per evitare le esplosioni radiocomandate) idonei a garantire un soddisfacente grado di protezione al personale ma anche – forse soprattutto – tutte le funzioni in grado di prevenire i potenziali attacchi.

In questa seconda categoria ricadono sia l’attività informativa atta a raccogliere indicatori di operazioni avverse, sia quelle iniziative mirate a conquistare la fiducia e l’accettazione della popolazione locale.

212 La terribile strage di Nassiriya è attribuibile, ad esempio, ad una errata policy riguardo la

I due aspetti risultano strettamente connessi tra loro poiché i buoni rapporti aprono la strada alla raccolta di informazioni e gli operatori nei diversi settori a contatto con i civili forniscono, al tempo stesso, importanti elementi di informazione.

La cooperazione civile militare (CIMIC) e la public affairs (PA) svolgono in questo senso un’attività fondamentale attraverso:

- L’assistenza medica e veterinaria a domicilio (campagne vaccinali, igiene e prevenzione, fornitura di medicinali, profilassi zoologica);

- La creazione di centri di ascolto e supporto (realizzazione di

cimic center per la raccolta delle richieste di assistenza ed il

sostegno psicologico e materiale);

- La realizzazione di opere di ingegneria (ponti, pozzi, strade, infrastrutture);

- Il ripristino e/o la creazione di facilities indispensabili per le comunità locali (scuole, fogne, potabilizzatori, ospedali);

- La messa in sicurezza del territorio, in particolare nelle aree rurali (sminamento, consolidamento di sentieri ed attraversamenti, installazione della segnaletica stradale);

- La fornitura di generi di prima necessità e di svago (cibo, bevande, prodotti per la pulizia, attrezzature sportive, ludoteche e cineteche);

- L’organizzazione di eventi che consolidino i rapporti tra la Forza e la comunità locale mostrando al contempo rispetto e comprensione delle tradizioni locali (tornei sportivi, concorsi nelle scuole, incontri di cortesia, mostre mercato).

Da questo elenco non esaustivo di attività si evince che la deliberata rinuncia a stabilire delle relazioni con circa la metà della popolazione locale, vale a dire quella femminile, costituisca un errore che inficia il raggiungimento dell’obiettivo finale.

In Teatri operativi dove i rapporti uomo-donna sono regolati da tradizioni sociali e dettami religiosi che ne sconsigliano la promiscuità, l’impiego di personale femminile in uniforme diviene, di conseguenza ,assolutamente indispensabile per approcciare ed interagire con le donne indigene.

La fiducia e la complicità di genere, talvolta anche l’ammirazione, che può instaurarsi tra i militari donna e la comunità femminile può portare a risultati difficili o addirittura impossibili da ottenere con l’impiego di personale esclusivamente maschile; la visione delle aspettative e delle esigenze della popolazione sarebbe, infatti, parziale ed incorretta sia per l’incompletezza del campione di riferimento sia per l’analisi mono-genere compiuta sullo stesso.

In alcuni casi la presenza di personale militare femminile rappresenta la sola opzione attuabile per fornire aiuto, per guadagnare stima e fiducia, per raccogliere informazioni, per abbassare di conseguenza la probabilità di attacchi contro i Contingenti.

La sfera umanitaria procede di pari passo con quella operativa, poco importano in questa sede le elucubrazioni mentali su quale delle due sia funzionale all’altra,213 attraverso l’accoglimento delle richieste effettuato dal personale femminile e l’analisi delle stesse che rappresenta una funzione d’intelligence assolutamente irrinunciabile per la counter insurgency (COIN).

213

Su questo terreno si consuma, principalmente, il già ricordato confronto tra militari e personale delle NGOs; quest’ultimo è propenso a rinunciare alla collaborazione con le Forze Armate per timore di essere strumentalizzato nella raccolta di informazioni, perdendo in tal modo la propria indipendenza ed imparzialità.

La cura presso i presidi ospedalieri di numerose donne che presentano segni di rapporti sessuali forzati potrebbe presupporre la presenza od il passaggio di elementi ostili, la richiesta ingiustificata di viveri potrebbe essere dovuta alla razzia perpetrata dalle stesse bande criminali, così come la denuncia della scomparsa di alcuni uomini farebbe propendere per una vendetta di etnie rivali.

In questo esempio l’assistenza fornita dal personale femminile, oltre ad aiutare le donne locali (esigenza umanitaria), instaura benevolenza ed accettazione nella comunità (Force protection) e permette la raccolta di diversi dati che, messi in sistema, ipotizzano la presenza di elementi ostili nell’Area di competenza con conseguente ricerca degli stessi (COIN) ed innalzamento del livello di allerta (Force protection).

Per approfondire ulteriormente l’argomento faremo riferimento alle risultanze del meeting organizzato dall’International Staff Operations, ed ospitato dal NATO Defense College dal 2 al 4 novembre 2011, sul tema “Gender Perspectives Training in the Context of Mainstreaming UNSCR

1325 into NATO-led Operations and Missions” al quale lo scrivente ha

partecipato in rappresentanza del summenzionato Istituto di formazione dell’Alleanza.

Durante l’incontro uno dei più esperti conferenzieri sull’argomento, il Brigadier Generale Ivan Beneta, Direttore CIMIC di ACO, affermava che:

Durante le Operazioni a guida NATO vi sono due obiettivi particolarmente importanti per i Comandanti, il primo è di assicurare la sicurezza delle truppe ed il secondo è di aumentare la sicurezza della popolazione locale per ottenere supporto e consenso. Poiché la sicurezza dipende da molteplici fattori ma quello forse

predominante risiede nell’accettazione della presenza dei militari sul proprio territorio, il ruolo delle donne per questo scopo è imprescindibile.214

A supporto di questa visione accorre lo studio commissionato dalla NCGP e condotto dall’ISS, Institute for Inclusive

Security,215sull’identificazione delle best practices e lessons identified sull’approccio di genere nelle operazioni militari.

In questa ricerca sono stati esaminati alcuni case studies per valutare l’impatto del gender mainstreaming in Operazione, alcuni di essi ampliano maggiormente gli aspetti finora discussi.

Ci riferiamo all’esperienza vissuta da una pattuglia di militari svedesi, composta da personale maschile, che nel territorio del Provincial

Reconstruction Team (PRT)216di Mazar-e-Sharif in Afghanistan cercava invano di stabilire dei contatti con la popolazione femminile cercando un contatto lungo le arterie principali dei villaggi. Su suggerimento del Gender

Advisor del PRT la pattuglia deviò percorso, dirigendosi verso strade

secondarie dove le donne locali potevano sentirsi libere di parlare con i militari lontano da sguardi indiscreti.

214Intervista dell’autore con Ivan Beneta in occasione del meeting Gender Perspectives

Training in the Context of Mainstreaming UNSCR 1325 into NATO-led Operations and Missions, Roma, 2 novembre 2011.

215The Institute for Inclusive Security è un’Organizzazione no-profit statunitense il cui

obiettivo è di favorire – attraverso la ricerca, lo studio e la formazione – la partecipazione delle donne nella prevenzione, risoluzione e ricostruzione dopo i conflitti. Ulteriori informazioni disponibili su: http://www.inclusivesecurity.org/

216I PRTs sono piccoli nuclei di militari e funzionari governativi che operano fin dal 2003

nelle provincie afgane più distanti dalla capitale Kabul. Lo scopo è di rimanere a contatto con le variegate e specifiche esigenze delle zone rurali del Paese – laddove gli insorgenti reclutano adepti e basano il loro consenso – attraverso un processo di aiuto umanitario e ricostruzione che instauri una reciproca fiducia tra i contingenti militari e la popolazione civile. Proprio in tale tipo di organizzazione le donne militari sono una preziosa risorsa per i 25 PRTs dislocati sul territorio ed a contatto continuo con il popolo afgano.

Da questo incontro la pattuglia ottenne importanti informazioni circa un notevole movimento di persone, in occasione di un imminente matrimonio, che sarebbe potuto essere sfruttato come momento favorevole per portare un attacco al contingente militare approfittando della confusione per i festeggiamenti.

Un esempio diametralmente opposto è quello relativo ad un Caporale donna americano appartenente ad un Female Engagement Team (FET)217 schierato in Sangin, Afghanistan. Ricevute alcune indiscrezioni da un contadino circa delle attività ostili condotte dai Talebani, il graduato allertava i colleghi della cellula intellligence che si recavano sul posto per raccogliere dettagliate informazioni. L’uomo però si rifiutava di parlare se non al cospetto del Caporale donna, per cui nutriva una naturale empatia e che rappresentava per lui l’unica garanzia di affidabilità.

Non solo personale militare femminile in grado di approcciare le donne locali, dunque, ma anche capace di fungere da intermediario tra queste ed i colleghi uomini o di interagire direttamente con la popolazione maschile.

Una trivalenza che non appartiene ai militari uomini la cui prerogativa si limita al libero contatto esclusivamente con gli altri uomini, una posizione privilegiata da parte delle donne in uniforme che in circostanze quali quelle del Teatro afgano si rivelano tatticamente più poliedriche dei loro colleghi uomini.

L’opinione del Capitano Stefania Bonaldi conferma tale asserzione:

Credo che la NATO stia lavorando molto ed abbastanza bene sulla tematica di gender e ad esso viene riconosciuto il ruolo di Force multiplayer, con

217 I FETs sono delle squadre composte di soli militari donne che discendono direttamente dal

concetto dei PRTs. Difatti, come già specificato nella trattazione, essi hanno il marcato vantaggio di poter approcciare ed interagire con l’intero spettro della popolazione locale. Già durante l’Operazione Iraqi Freedom le Forze Armate statunitensi fecero ricorso a questo tipo di risorsa sul terreno in veste di facilitatori di dialogo e reciproca comprensione.

particolare riferimento alle missioni internazionali. La NATO ha ora ben chiaro che, sul piano operativo, è necessario tenere conto dei punti di vista di tutti gli attori, militari e civili, coinvolti in un'Operazione. Un approccio a 360 gradi incrementa, ad esempio, la raccolta delle informazioni utili all'intelligence.218

Passando ad esaminare quella che abbiamo definito come la seconda delle caratteristiche comuni alle moderne operazioni della NATO, vale a dire la complessità gestionale delle fasi post-conflict, osserviamo come anche questo fattore agevoli il ricorso alla risorse umane femminili per le ragioni che andiamo ad analizzare.

L’Organizzazione militare deve essere concepita come un microcosmo che replica moltissime funzioni presenti nella società civile e le integra con assetti specifici, quali quelli da combattimento, delle Forze Armate. Per quanto queste possano essere imponenti in termini numerici e tecnologicamente all’avanguardia, non è pensabile che esse posseggano tutte le risorse e gli assetti necessari a fronteggiare potenziali crisi a qualunque latitudine.

Durante il comando italiano delle Forze NATO in Afghanistan nel consesso dell’Operazione ISAF VIII, l’allora comandante Generale Mauro Del Vecchio era soprannominato dai suoi collaboratori “il Viceré” a significare il vastissimo spettro di competenze su cui l’ufficiale aveva autorità ed oneri e che valicavano le normali responsabilità militari.

Per affrontare tali complesse situazioni è pertanto necessario disporre di quelle professionalità che spesso non sono reperibili all’interno

dell’Organizzazione in via permanente e che devono essere ricercate in un bacino di utenza formato da professionisti preselezionati e militarmente addestrati.

Sotto questo profilo le Forze Armate italiane fanno ad esempio ricorso – nell’ambito delle Forze di Completamento – alla cosiddetta “Riserva Selezionata”, un istituto appositamente creato per reclutare quelle figure professionali mancanti all’interno dell’Organizzazione e di cui si necessita per determinati periodi e circostanze d’impiego.

Ad eccezione di Turchia, Grecia e Spagna, tutti i Paesi NATO hanno delle Riserve da cui attingono professionisti da impiegare non solo in posizioni di staff o di consulenza ma anche in incarichi di leadership oltre che per completare numericamente i ranghi della truppa.

Nell’ampio spettro delle problematiche da affrontare nella gestione del post-conflict trovano spazio professionisti quali conservatori e restauratori, giuristi (diritto internazionale, diritto dei conflitti armati, regimi carcerari), ingegneri (idraulica, informatica, elettronica), architetti, chirurghi (chirurgia d’urgenza, chirurgia ricostruttiva, anestesia e rianimazione), odontoiatri, psicologi, sociologi (esperti di etnie, antropologia), storici, mediatori culturali (esperti di culti, religioni), fiscalisti (dogane, importazioni), giornalisti (blogger, social media), medici specialisti (pediatri, ginecologi, ortopedici), linguisti (arabo, farsi, serbo croato), agronomi, politologi (relazioni internazionali, governi e istituzioni) e quant’altro.

Se gli aspetti sottesi da queste professioni possono sembrare secondari rispetto ad un’operazione militare , alcuni esempi potranno far comprendere l’importanza di poter contare sulla presenza determinate competenze professionali.

In Kosovo si avvertì la necessità di esperti nel campo delle Belle Arti per stabilire quando il materiale sequestrato (icone ortodosse) ad elementi ostili potesse essere di valore storico e pertanto configurare il reato di contrabbando di opere d’arte. Nel medesimo contesto, non disponendo di forze sufficienti per garantire la protezione di tutti i luoghi di culto, bisognò affidarsi ad esperti – di arte, religione, storia – per stilare delle priorità e stabilire quali fossero le chiese fondamentali da proteggere.

In Albania, nella fase antecedente l’entrata delle truppe in Kosovo, si aprì un contenzioso con le autorità locali sul regime fiscale dei prodotti alimentari importati e destinati ai Contingenti.

In Iraq ci si trovò dinanzi al saccheggio del museo di Baghdad con la necessità di inventariare e recuperare le opere archeologiche trafugate.

In Afghanistan è stato indispensabile ricorrere alla competenza di agronomi ed ingegneri idraulici per convincere gli agricoltori locali ad

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