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2. Le donne in uniforme nella NATO, l’integrazione integrata

2.1 Il ruolo della Risoluzione 1325

La scintilla che ha permesso la messa in moto degli ingranaggi che muovono l’integrazione integrata, è rappresentata senza dubbio dall’United

Nations Security Council Resolution (UNSCR) 1325.

Difatti, in tempi anteriori all’ottobre dell’anno 2000, epoca di approvazione della 1325, vi erano state altre iniziative tese alla salvaguardia delle donne e dei minori ma certamente con esiti meno ragguardevoli.

Ci riferiamo ad analisi di settore, commissioni di studio, conferenze intergovernative, dichiarazioni di intenti, creazione di uffici dedicati alla materia, ma nessuna di queste iniziative ha mai avuto un impatto organico sulla disciplina.

La Risoluzione 1325 è anche frutto delle tragiche esperienze in Bosnia Herzegovina ed in Ruanda, laddove gli osservatori internazionali registrarono una diffusa violenza sul genere femminile che raggiungeva proporzioni mai riscontrate in precedenza.

Difatti, in termini generali i conflitti moderni hanno evidenziato un impatto sulla popolazione civile di gran lunga maggiore di quanto riscontrato in precedenza, passando dal cinque per cento di vittime della Prima Guerra Mondiale al cinquanta per cento della Seconda, per giungere al novanta per cento negli anni’90.167

Tale dato indica chiaramente che i provvedimenti adottati attraverso la IV Convenzione di Ginevra del 1949 non sono stati in grado di assicurare la protezione auspicata.

167

Su questo specifico tema cfr. MACHEL, G., Impact of armed conflict on children, Rapporto delle Nazioni Uniti, protocollo A/51/306, 1996. CHESTERMAN, S., Civilians in War, Lynne Rienner, 2001. SLIM, H., Killing civilians: Method, Madness, and Morality in War, Columbia University Press, 2010.

A maggior ragione le classi più deboli della popolazione non in armi, vale a dire le donne ed i minori, erano destinatari inermi della violenza bellica necessitanti, pertanto, di specifica protezione.

La crescita dei conflitti intra statali e la preponderante asimmetricità delle guerre moderne hanno fatto tristemente assurgere le violenze sulle donne a tecniche di combattimento orientate a disassare la struttura sociale della parte avversa.

Non più dunque episodiche espressioni di brutale violenza individuale ma deliberati piani per violentare, uccidere, mutilare, diffusamente la componente di supporto agli uomini combattenti; l’eliminazione o la sottomissione del fulcro attorno al quale ruota l’organizzazione civile, comporta un crescente numero di orfani, di sbandati, di anziani abbandonati che fiacca la volontà di resistenza di quanti combattono.

Alla luce di tale quadro di situazione, l’emanazione della UNSCR 1325 fu favorevolmente accolta da tutta la comunità internazionale ed approvata all’unanimità durante la riunione del Consiglio di Sicurezza 4213 del 31 ottobre 2000.

La Risoluzione a prima vista non appare, nella sua forma grammaticale, sostanzialmente diversa dalle generiche, e talvolta fumose, espressioni d’intenti che rappresentano la volontà delle Nazioni Unite; nella prima parte, essa richiama il corpo normativo già esistente in materia e le precedenti iniziative intraprese, nonché il comunicato stampa SC/6816 rilasciato l’8 marzo 2000 dal Presidente del Consiglio di Sicurezza in occasione della Giornata Internazionale delle donne in cui si afferma che «peace is inextricably linked with equality between women and men».168

Nel testo della Risoluzione si possono individuare tre tipologie di misure tese a garantire che donne e bambine non paghino un tributo maggiore durante i conflitti: quelle di protezione, di prevenzione, di partecipazione, indicate in quello che a nostro avviso rappresenta l’ordine inverso di importanza.

La protezione di donne e bambine durante i conflitti è richiamata in particolare negli articoli compresi tra il 9 ed il 12, in maniera diretta laddove il Consiglio:

Calls on all parties to armed conflict to take special measures to protect women and girls from gender- based violence, particularly rape and other forms of sexual abuse, and all other forms of violence in situations of armed conflict.169

Tali raccomandazioni non hanno, naturalmente, alcun carattere di cogenza e demandano la regolamentazione della problematica alla buona volontà ed umanità proprio di coloro che si trovano in situazione di inumana contrapposizione.

Di portata più efficace sono, a nostro avviso, le misure di prevenzione affidate al disposto degli articoli dal 13 al 18 con la volontà di implementare incisive gender mainstreaming a tutti i livelli e per tutti gli attori coinvolti nel crisis management, a cominciare dallo stesso vertice delle Nazioni Unite dal momento che il Consiglio:

Requests the Secretary-General, where appropriate, to include in his reporting to the Security Council progress on gender mainstreaming throughout

peacekeeping missions and all other aspects relating to women and girls.170

Se si tiene conto dell’enorme numero di Agenzie che operano, direttamente od indirettamente, sotto l’egida delle Nazioni Unite, delle miriadi di Non-Govermental Organizations (NGOs) legate alle suddette Agenzie, del riflesso a livello nazionale per l’implementazione della 1325 nei

National Action Plans (NAPs), si comprende la portata planetaria del gender mainstreaming avviato in ambito UN.

Al fine di garantire il coordinamento tra le varie Agenzie, è stato creato l’Interagency Network on Women and Gender Equality che vede la partecipazione di ben venti Agenzie delle Nazioni Unite con la creazione di una piattaforma comune per le politiche di genere.171

La partecipazione rappresenta l’aspetto più pregnante della Risoluzione 1325, non solo per quanto concerne l’impatto sulle procedure della NATO che interessano il nostro studio, ma anche per la portata di assoluta novità che essa racchiude.

Difatti, il genere femminile non è considerato esclusivamente come soggetto passivo della violenza, non rappresenta meramente il destinatario delle misure di protezione a suo favore ma diviene protagonista stesso della propria difesa assurgendo ad un ruolo attivo nella stessa.

Un’investitura, ed al contempo una responsabilizzazione, delle donne come protagoniste della sicurezza, come portatrici di nuove soluzioni nella gestione e soluzione delle crisi.

170 Ivi, par.17.

171Membri effettivi sono: DAW/DESA, DDA, DPA, DPKO, DPI, ESCWA, ILO, OCHA,

OHCHR, OHRM, OSAGI, SRSG/CAC, UNDP, UNFPA, UNHCR, UN-HABITAT, UNICEF, UNIFEM, UNU, WFP. In aggiunta, bisogna considerare gli osservatori: IOM, Hague Appeal for Peace, International Alert, International Women's Tribune Centre, Women's Caucus for Gender Justice, Women's Committee on Refugee Women and Children, Women's International League for Peace and Freedom.

A tale scopo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite invita:

Member States to ensure increased representation of women at all decision-making levels in national, regional and international institutions and mechanisms for the prevention, management, and resolution of conflict.172

Il coinvolgimento della NATO come istituzione internazionale appare subito evidente ma è ulteriormente ribadito dall’invito, fatto agli Stati membri delle Nazioni Unite, a tener conto dei fattori di genere «into their

national training programmes for military and civilian police personnel in preparation for deployment».173

Giacché le singole nazioni agiscono, molto più che sovente, attraverso la NATO per la condotta e la gestione delle peacekeeping e

peacebuilding operations, il coinvolgimento dell’Alleanza nel recepire il

disposto della 1325 risulta lapalissiano.

Inoltre, lo studio Women, Peace and Security – commissionato dal Segretario Generale in seguito al mandato ricevuto al paragrafo 16 della UNSCR 1325174– evidenzia come le stesse Nazioni Unite guardino alla NATO come una «regional organization perceived as having a comparative

advantage for undertaking military or other specialized tasks» con la quale

incrementare la partnership,175auspicando poi la crescita del reclutamento «of

172 UNSCR 1325 (2000), par. 1. 173 Ivi, par. 6.

174 « [The Security Council] Invites the Secretary-General to carry out a study on the impact

of armed conflict on women and girls, the role of women in peace-building and the gender dimensions of peace processes and conflict resolution, and further invites him to submit a report to the Security Council on the results of this study and to make this available to all Member States of the United Nations».

women as military observers, peacekeeping troops, and civilian police by troop contributing countries».176

L’Alleanza, essendo l’attore in leading role sul proscenio delle

peacekeeping operations per quanto concerne l’aspetto militare, risulta, di

conseguenza, il destinatario finale del suddetto auspicio rivolto alle nazioni. Il processo di coinvolgimento delle donne nelle dinamiche di gestione dei conflitti innescato dalla 1325, non ha impattato la NATO esclusivamente come destinatario finale o mediato, tramite i Paesi membri, ma anche come controparte delle società civili nelle aree di crisi.

Con ciò intendiamo sottolineare che le organizzazioni di donne, a carattere spontaneo o strutturate, non hanno atteso pedissequamente sia a livello politico che nei Teatri d’Operazione ciò che veniva loro concesso ma spesso hanno preteso, alla luce della 1325, un maggiore coinvolgimento femminile nei processi di gestione; in tal modo l’Alleanza si è dovuto dotare di professionalità, procedure, ed assetti idonei ad interloquire sulle gender

policies da attuare con le loro controparti della società civile.

Quanto la Risoluzione 1325 abbia dato fondamento giuridico alle richieste del mondo femminile ed abbia amplificato la voce di protesta, è testimoniato dalle numerosissime iniziative, petizioni e richieste che si sono susseguite fin dai primi giorni successivi l’emanazione della Risoluzione in parola.

Tra tali testimonianze riportiamo alcuni passaggi significativi di una lettera inviata al Primo Ministro inglese Tony Blair dal Presidente del

Women's International League for Peace and Freedom UK Section:

[…] We are pleased that you are advocating a major

role for the UN in the reconstruction of Iraq. However,

regardless of whether it is the US, UN, or some other 'coalition' who run Iraq, any interim administrations at national, regional and local levels, all aspects of the planning and policy development, and all entities set up to develop and govern the future Iraq should include at least 40% women […] We are concerned that on the Iraqi Reconstruction Group, which we believe was set up by the UK government there are only five women out of approximately thirty members. We urge you to ensure that the Government appoints an equal number of women and men to this group.177

Nessun attore sulla scena internazionale, Organizzazione o nazione che sia, può oramai evitare di essere chiamato a rispondere della mancanza implementazione del dettato della Risoluzione 1325, tale è la sua ramificazione sia verticale sia orizzontale, che spazia dal livello politico a quello operativo, dalla dimensione governativa a quella del volontariato.

La portata della 1325 deve essere misurata anche in virtu’ dei

National Action Plans (NAPs) che alcuni Stati membri hanno redatto in

seguito all’invito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che accoglieva gli sforzi «[…] of Memebr States in implementing resolution 1325

(2000) at the national level, includingthe development of national action plans […]».178

Delle quarantatré nazioni179 che tra il 2005 ed il 2013 hanno articolato il loro piano d’azione interministeriale sotto forma di NAP, ben

177 HUZZARD, R., Iraq and UN Security Council Resolution 1325, lettera al Primo Ministro

Tony Blair, 17 aprile 2003.

178

Statement by the President of the Security Council, prot. S/PRST/2004/40, 28 ottobre 2004, pag. 3.

179 Burundi, Cote d'Ivoire, Democratic Republic of Congo, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau,

diciotto appartengono alla NATO, otto alla Partnership for Peace, ed una alle

Contact Countries; ciò significa che i Paesi membri o partner della NATO

rappresentano il 62% del totale degli aderenti alla 1325, e che, di conseguenza, il disposto della Risoluzione è tenuto in debita considerazione nell’ambito dell’Alleanza influenzandone sensibilmente le politiche.

Difatti, il NAP pur essendo una dichiarazione d’intenti, un mero documento programmatico, cui dovrebbero far seguito concrete misure attuative, rappresenta pur sempre una formale dichiarazione di impegno governativo, pronunciata nell’ambito del consesso internazionale con il conseguente obbligo morale ad implementare le misure in essa contenute.

Questi documenti contengono i prodromi di una politica di genere diffusa e trasversale, sebbene il problema:

With most the NAPs that have been developed in Europe is that they lack key elements that help ensure action, such as specific and realistic goals, objectives and priority actions; clear timelines; a dedicated budget; indicators, benchmarks and targets; clear lines of responsibility […]; and results-oriented and transparent monitoring and evaluation mechanisms180.

Prendendo ad esempio il National Action Plan edito dall’Italia e valido per il triennio 2010-2013, notiamo che esso indica sei aree d’intervento nelle quali il nostro Paese si impegna ad adottare misure di integrazione nel quadro delle indicazioni dettate dalle Nazioni Unite:

- Increasing the number of women in the national police and armed forces, and strengthening the

America, Australia, Kyrgyzstan, Nepal, Philippines, Austria, Belgium, Bosnia Herzegovina, Croatia, Denmark, Estonia, Finland, France, Georgia, Germany, Iceland, Ireland, Italy, Lithuania, Netherlands, Norway, Portugal, Republic of Macedonia , Serbia, Slovenia, Spain, Sweden, Switzerland, United Kingdom.

inclusion of women in peace operations and the decision-making bodies of peace operations;

- Promoting the inclusion of a gender perspective in all Peacekeeping Operations;

- Providing special training for personnel on peace missions, with a focus on resolution 1325;

- Protecting the human rights of women, children and other vulnerable groups either fleeing armed conflicts or living in conflict and post conflict areas (including in refugee camps) and strengthening women's participation in peace processes;

- Civil Society’s commitment to the implementation of Resolution 1325;

- Monitoring and Follow-up Activities.

Le prime tre delle suddette aree d’intervento sono, direttamente od indirettamente, legate ad attività da condurre in ambito NATO in quanto difficilmente l’Italia, così come molte altre nazioni, ambisce a condurre Operazioni militari al di fuori dell’egida dell’Alleanza se non quelle espressamente richieste dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU quale, ad esempio UNIFIL.

In ogni caso, anche quando operanti sotto una diversa bandiera, le truppe istruite sulle tematiche della 1325 potranno fare tesoro dell’addestramento ricevuto e dell’esperienza sul campo per poi riportarli nel corso del loro impiego in ambito NATO.

Se estendiamo lo stesso ragionamento alle diciotto nazioni summenzionate, che in qualità di membri o partner agiscono in seno all’Alleanza, si può ben immaginare quanto la 1325 sia tenuta in debita

considerazione in tutte le fasi, dalla pianificazione alla condotta, delle Operazioni NATO.

In aggiunta, le successive tre aree di intervento enunciate dal NAP italiano, che si possono riscontrare anche in altri Piani con trascurabili differenze d’enunciazione, contribuiscono a formare nell’ambito della società civile la coscienza del problema; si forma, cioè, quella sensibilizzazione verso la tematica che, una volta metabolizzata, sarà poi naturalmente esportata in un modello di cooperazione civile-militare nell’ambito delle Crisis Response

Operations.

Infine, è opportuno ricordare che l’implementazione della Risoluzione 1325 in ambito NATO si attua in virtù di quanto determinato dal documento EAPC “Implementing UNSCR 1325 on Women, Peace and

Security” emanato il 10 dicembre del 2007.181

Il documento rappresenta una pietra miliare per la gender policy dell’Alleanza in quanto detta precise misure per l’implementazione della Risoluzione 1325 specificando altresì la rilevanza strategica della Risoluzione per la policy della NATO:

The implementation of United Nations Security Council Resolution 1325 on Women, Peace and Security is an important measure, which has the potential to make a significant contribution to achieving the objectives of NATO-led Operations and Missions, as well as making a contribution to NATO’s wider policy objectives of enhancing security and stability.182

181 EAPC(C)D(2007)0022, Implementing UNSCR 1325 on Women, Peace and Security,

Euro-Atlantic Partnership Council, 10 December 2007.

Tra le suddette misure analizzeremo quelle che a nostro avviso impattano in maniera consistente sul processo di costruzione della gender

policy dell’Alleanza, vale a dire lo sviluppo di un Military Concept per il gender mainstreaming – di cui diremo diffusamente nel paragrafo dedicato al gender equity nella NATO – e la stesura di un annual progress report per il

monitoraggio dei risultati ottenuti sull’argomento.

Proprio il primo di questi resoconti annuali, emanato il venti novembre 2010 in occasione del decimo anniversario della Risoluzione, sarà oggetto di analisi giacché può essere considerato una sorta di Action Plan dell’Alleanza.183

Il documento conferma innanzitutto il summenzionato impegno degli Alleati e Partner a livello nazionale, per poi evidenziare il contributo fornito dalla NATO «to the international community's efforts in support of the

principles of UNSCR 1325 and its related Resolutions».184

Nell’ambito di quello che è definito come «a pragmatic approach to

implementation», vengono tracciate le cinque aree d’azione della NATO:185

1. Mainstreaming UNSCR 1325 in policies,

programmes and documentation. Si fa qui riferimento

al processo, a lungo termine, che conduce al cambiamento di atteggiamento nei confronti delle donne attraverso la quotidiana applicazione di misure d’eguaglianza tra i generi.

2. Cooperating with International Organisations and

civil society. In un quadro di continuità dell’approccio

olistico alla sicurezza, la NATO ricerca la collaborazione con altri Organismi Internazionali –

183

Comprehensive report on the NATO/EAPC policy on the implementation of UNSCR 1325 on women, peace and security and related resolutions, 20 novembre 2010.

184Ivi, art. 2.2. 185Ivi, art. 5.2.

quali le Nazioni Unite, l’Unione Europea, OSCE, OECD, ICRC – per l’implementazione della 1325.

3. Operations. Al fine di integrare le politiche di

genere nell’ambito delle Operazioni sul terreno, l’Alleanza ha emanato una Direttiva Strategica in linea con analoghi documenti delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, nonché dei National Actions

Plan. Tale Direttiva, la Bi-SC 40-1, rappresenta il

documento di riferimento per le gender perspectives in ambito NATO e per le Operazioni a guida NATO ricevendo il suo mandato dalla stessa Risoluzione 1325.

4. Education and training. Anche in questo caso si

tratta di un investimento a lungo termine che, di contro, comporta un impegno modesto in termini economici per adattare i programmi d’addestramento al bisogno di includere le tematiche di genere. La NATO ha incaricato i suoi Istituti di formazione – come la NATO

School ed il NATO Defense College – per la creazione di idonei cicli di formazione ed addestramento.

5. Public diplomacy. Quest’approccio è molto

valorizzato dalla NATO che fa affidamento su una puntuale strategia di informazione e persuasione per evidenziare l’importanza del ruolo femminile in tutti gli ambiti della società civile e militare. A tale scopo si prefigge l’utilizzo della vasta piattaforma di media, inclusi i new ed i social, a disposizione dell’Alleanza.

La strategia della NATO in termini di gender policies si dipana, dunque, lungo queste linee d’azione sulle quali si innescano politiche ed azioni differenziate a seconda del livello attuativo e delle circostanze operative specifiche.

Appare indubbio che l’impegno dell’Alleanza nell’attuazione dei dettami della 1325 risulta concreto e spesso più incisivo di quello dei Paesi

che la compongono, i quali vengono spesso spronati a fornire reali misure di integrazione come, ad esempio, l’incremento del numero delle donne arruolate e l’accessibilità di tutte le specialità combattenti al personale femminile.

Questo forte impegno è dovuto, oltre che a considerazioni di carattere tecnico operativo che saranno in seguito analizzate, anche a precise valutazioni di natura politica che hanno invogliato la NATO a migliorare, o talvolta costruire ex novo, le relazioni con le Nazioni Unite alla cui Carta si rifà lo stesso Patto Atlantico ed i cui valori sono richiamati in tutti i Concetti Strategici emanati dall’Alleanza.

In questo rapporto di do ut des o, in termini meno pragmatici, di reciproca comprensione e riconoscimento tra un colosso politico senza braccio armato quale l’ONU ed uno strumento bellico formidabile ma con una testa politica ancora poco brillante quale la NATO, l’implementazione della Risoluzione 1325 aiuta a spazzar via le nebbie della diffidenza.

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