• Non ci sono risultati.

L’esperienza di Gianni Bonadonna

Nel documento Per un'umanizzazione della medicina. (pagine 81-85)

compassione che gli è essenziale

2.4 Dalla parte del paziente

2.4.2. L’esperienza di Gianni Bonadonna

Le pagine che seguono vogliono essere un piccolo viatico per i pazienti che imboccano la strada dissestata delle malattie croniche come l’ictus che mi ha colpito, con lo strascico dell’emiparesi. Una condizione che oltre alle evidenti limitazioni fisiche si porta spesso dietro una pesante depressione […] ce l’ho messa tutta per far capire che è importante non lasciarsi andare […]. Questo mio scritto vuole essere la testimonianza che molti malati possono tornare a riempire il mondo con la propria umanità. È scontato che è dura. Ma abbiamo bisogno di questi uomini e donne che, imboccato un tunnel che sembrava senza uscita, hanno saputo trovare la forza di rivedere la luce.118

Una malattia che colpisce e impedisce all’individuo di poter comunicare con “l’altro” incide pesantemente sull’autonomia del paziente, polverizzando l’equilibrio socio-emotivo non solo suo, ma anche di coloro i quali fanno parte della rete d’affetti cui è legato: infatti comunicare significa detenere il potere di intessere rapporti con l’alterità e con il mondo circostante. Aprendo il proprio cuore e condividendo una parte della sua intimità con il lettore, Bonadonna confida

117 Ibidem.

[…] Chi è abituato a curare gli altri ha enormi difficoltà ad accettare il ruolo di paziente. Tende a negare, sminuire i sintomi, a consultare frettolosamente un collega, magari al telefono o nel corridoio dell’ospedale, a curarsi da sé. Eppure, proprio da professionista della salute, dovrebbe ricordare che il momento culminante della medicina è la diagnosi di malattia cui segue il cammino terapeutico per curare e guarire il paziente. E l’abilità nella diagnosi sta nell’annotare in modo corretto la storia clinica che il paziente racconta, i sintomi e i segni di malattia, le sue condizioni generali. Sulla base di queste osservazioni il medico formula una prima ipotesi diagnostica che, attraverso gli opportuni accertamenti, verrà avvalorata o negata. E proseguendo in una linea strategica corretta, formulata la diagnosi di malattia, il medico, porrà in atto tutti i presidi adeguati per curare e assistere il paziente che a lui si è affidato.119

Come suggerisce Bonadonna, il medico della contemporaneità è chiamato a portare rispetto agli inalienabili diritti del paziente, senza proporsi a quest’ultimo con atteggiamenti autoritari né tantomeno paternalistici; è chiamato inoltre a fornire con onestà e delicatezza quelli che sono gli elementi necessari in modo tale che l’individuo malato sia in grado di partecipare con maggiore consapevolezza e serenità alle procedure di diagnosi e di cura; è, infine, chiamato ad esercitare la sua arte in uno stato di libertà di giudizio e di comportamento nonché d'indipendenza. Grazie all’evoluzione tecnica, la professione medica oggi dispone di un ampio campo di trattamenti farmacologici, chirurgici: tuttavia ciò ha anche prodotto miti e illusioni. Miti e illusioni per cui il medico diviene onnipotente e contemporaneamente il paziente cade preda ingenua dell’illusione in base alla quale crede che per ogni patologia vi sia un rimedio, una possibilità di guarigione, anche istantanea. E proprio a questo punto che, per proporre il sapere medico da una prospettiva diversa, l’operatore sanitario ha un ruolo determinante. A tal proposito Bonadonna parla di quella che dev’essere la missione del medico. In tale contesto la parola assistenza, in particolar modo nel mondo d’oggi, appare sempre più incompresa nonché indigesta e ciò a partire dalla

[…] riforma sanitaria, che ha coniato il termine «Azienda sanitaria», e conseguentemente ha creato le «strutture operative» complesse e semplici, i «dirigenti» di primo e secondo livello, «l’operatore sanitario», «l’utente». Un’azienda è per definizione un luogo dove si produce, si pubblicizza un prodotto che si vende al cliente e se ne ricava un profitto120.

119 Ivi, pag. 165.

La salute, tuttavia, non è concepibile in alcun modo quale mero oggetto, quale semplice prodotto che si può detenere e acquistare in base alla disponibilità economica «a seconda del marchio che più ti aggrada o della pubblicità che più ti affascina121». La salute, quindi, «non

può essere vissuta come un costo, non può avere un immediato profitto economico, ma deve essere una risorsa per tutti122». Per quanto riguarda poi l’attività specifica del medico, che è

nata come missione, come vocazione, oggi viene sempre più trattata come una professione tra le tante, al pari di quella del menager, del banchiere o dell’ingegnere, che tanti scelgono per visibilità, per carriera, per titolo e sicuramente anche in vista di interessanti guadagni. Bonadonna allora si chiede perché non si possa tornare a parlare della missione del medico, ovvero di porre l’attenzione sulla sua professione la quale richiede sviluppate e puntuali conoscenze cliniche, scientifiche e tecnologiche ma soprattutto abilità di comunicazione al e con il paziente, rendendo così quest’ultimo parte integrante e attiva del processo diagnostico e terapeutico. Paradossalmente, seguendo il pensiero del celebre oncologo milanese, oggi essere un buon medico (e operare di conseguenza) è ancora più difficile che in passato: infatti nella contemporaneità la prepotente burocrazia e l’imperante tecnologia si insinuano tra il medico e il paziente, allontanandoli tra loro, rendendo loro più ardua la comunicazione, e anche quando presente essa lo è sotto le sembianze di un rapporto sempre più asettico e burocratico, come quello posto tra prestatore d’opera e utente. Bonadonna sottolinea, a tal proposito, che

[…] Al medico è richiesto di compilare un numero sempre più considerevole di formulari, questionari, prescrizioni e richieste che la macchina burocratica ingoia. La normativa sulla privacy fa sì che il paziente, in attesa di una visita in ospedale, si doti di un tagliando con un numero progressivo, tagliando che spesso stacca da una macchinetta simile a quelle che si trovano nei supermercati. Poi sarà chiamato a presentarsi, per la visita o per l’esame, con quello stesso numero, istigando così il concetto che di un numero si tratti e non di una persona, che si debba curare la malattia che è stata diagnosticata e non il paziente che di quella malattia è affetto123.

Allo stesso tempo anche l’avanzamento tecnologico, che immensi e fondamentali benefici e innovazioni ha importato in campo biomedico, rischia di interferire con sempre maggiore prepotenza nel contesto di una relazione già fragile all'origine, visto anche e soprattutto lo stato di grande vulnerabilità e debolezza in cui versa il paziente colpito da una determinata

121 Ibidem. 122 Ibidem.

malattia. Quest’ultimo, infatti, è un individuo che ha bisogno di ricostruire la propria vita, di sentirsi trattato con umanità, oltre che con onestà e fermezza, di sentirsi centro del processo di riabilitazione; non chiede, al contrario, semplicemente di essere supervisionato bensì di essere sostenuto e magari compreso, di essere incitato, chiede di potersi sentire gratificato anche per i piccoli progressi che compie. Ha, cioè, bisogno «di una terapia non solo del corpo ma anche dell’anima, di un’azione coinvolgente e unitaria, sua e delle persone che lo assistono nella riconquista della sua dignità e della sua libertà124». E questo anche e in particolar modo quando

la meta di questo percorso terapeutico non è la guarigione, bensì la miglior qualità di vita possibile, la migliore gestione di questa, il più efficace controllo del dolore; anche e soprattutto quando si deve accompagnare il paziente e i suoi affetti più cari, ad affrontare nel modo più sereno possibile il “lungo viaggio” oltre la vita terrena: «l’antico aforisma francese

curare spesso, guarire qualche volta, consolare sempre rappresenta ancora oggi la consegna

da fare propria di fronte al paziente125». Sempre al riguardo del rapporto tra tecnologia,

comunicazione e umanità Bonadonna sostiene che la medicina moderna deve tornare ad

essere medicina umana:

è questo che dobbiamo insegnare a tutti coloro che oggi affollano le aule universitarie per diventare medici, infermieri, fisioterapisti, logoterapisti, riabilitatori. Nel corso dei loro studi, ma anche insegnandolo di persona durante il loro periodo di tirocinio e preparazione. E lo dobbiamo insegnare sempre. […] Con l’esempio e con i gesti quotidiani della nostra professione: non la compassione per il malato grave, ma l’empatia con tutti i malati. Non dobbiamo solo saper comunicare nel modo adeguato con i nostri pazienti. Dobbiamo anche sapere comunicare correttamente con i professionisti dell’informazione, coloro che comunicheranno al pubblico i risultati delle nostre indagini e delle nostre ricerche. Evitando di fare apparire risolti tutti i grandi problemi delle malattie croniche, evitando gli annunci sensazionali di ricerche di laboratorio per le quali non ci sono ancora riscontri clinici, evitando gli annunci miracolistici di guarigioni improvvise. […] E sono i professionisti dell’informazione, se noi clinici e ricercatori comunichiamo correttamente a loro i nostri risultati, che saranno di valido aiuto nell’educare alla salute, nel far capire al pubblico le difficoltà e i limiti che esistono anche nella medicina moderna126.

Grande rilevanza, nel difficile percorso terapeutico intrapreso da un determinato paziente, assume anche il medico di famiglia, primigenia figura di riferimento del malato: egli infatti,

124 Ivi, pag. 168. 125 Ibidem.

sulla base della storia clinica personale e familiare del paziente che si trova di fronte dovrebbe suggerire il come, il se, il quando e il perché è opportuno o meno iniziare un determinato programma di screening per una determinata patologia per la quale si può essere a rischio. Egli poi, sarà anche in grado di suggerire al paziente e inoltrarlo a un certo centro specialistico locale, per la diagnosi così come per il trattamento. E questo, stando alle riflessione di Bonadonna, può avvenire se e solo se questo medico, così come lo specialista che si occuperà del paziente successivamente, potrà giovarsi di una formazione medica continua effettiva. Nonostante, infatti, diversi anni fa il Ministero della Salute introdusse gli ECM (crediti formativi per l’educazione continua medica) regionali e nazionali che ogni medico è tenuto a conseguire ogni anno, attualmente non esiste un controllo effettivo circa la qualità e il contenuto di tali corsi, né sulla qualità delle informazione che il docente ha comunicato e su quanto il discente ha compreso. Bonadonna conclude la sua analisi affermando e sostenendo la necessità di una nuova e moderna riforma sanitaria. Tuttavia

è una vera utopia pensare che questa riforma possa essere il frutto dell’esperienza di tutti coloro come medici, vari operatori sanitari, rappresentanti dei pazienti e delle associazioni di volontariato che conoscono le varie problematiche e come veramente risolverle. Sarebbe una rivoluzione copernicana e potrebbe essere d’esempio anche per altri Paesi. Un evento così importante e imponente come una nuova riforma sanitaria però non sfuggirà dalle mani di politici, tecnocrati e burocrati che, anziché il benessere e l’educazione alla salute, privilegeranno sempre il clientelismo e il potere personale127.

Nel documento Per un'umanizzazione della medicina. (pagine 81-85)