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L’umanizzazione della salute

Nel documento Per un'umanizzazione della medicina. (pagine 55-58)

2.1.1 Definizione di salute e della sua promozione

La proposta di definizione più recente del termine “salute”, fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), risulta senz’altro soddisfacente: la salute viene intesa quale stato di benessere, quale preziosa risorsa per condurre una stabile vita quotidiana, quale processo di promozione nonché protezione, quale equilibrio dinamico che investe tanto gli aspetti fisiologici e biologici del singolo, quanto la sua peculiare dimensione psicologica, socio-ambientale e la sua sfera etica e spirituale. Per questo la salute è definita quale «stato di complesso benessere fisico, mentale e sociale» e quindi non si limita ad essere semplice «assenza di malattia ed infermità». Così la promozione della salute risulta, come proposta e concepita dall’OMS, quale «processo che mette in grado gli individui singoli o in collettività di avere più controllo sui determinanti della loro salute al fine di migliorarla77». È, cioè, quel

processo che consente al soggetto di potenziare e incrementare il controllo dei fattori che determinano la salute stessa così da poterla promuovere e sostenere nel suo senso più profondo, con uno sgaurdo olistico78. Questo processo per il quale, e in forza del quale,

l’individuo conquista un più profondo e radicato controllo tanto sulle decisione quanto sulle iniziative che riguardano da vicino la sua salute, viene chiamato empowerment: può essere individuale, allorché si riferisce alla capacità del singolo di decidere ed esercitare un controllo sulla propria salute, e collettivo/comunitario, nel caso in cui ad essere coinvolti siano dei soggetti che agiscono collettivamente per riuscire a influenzare e a monitorare maggiormente i fattori determinanti della salute, così come la qualità della vita della comunità di appartenenza nonché il rispetto dei diritti sia individuali che collettivi. Lo stato di salute, e la conseguente

77 WHO, Health Promotion Glossary, Ginevra, 1997.

78 Risulta di grande importanza, per l’equilibrio nel rapporto medico-paziente, un approccio olistico: infatti porre al centro di ogni intervento sanitario, socio-sanitario ed assistenziale la persona umana significa innanzitutto considerare la totalità inscindibile delle sue componenti fisica, mentale, emotiva e spirituale.

necessità di essere promosso, dipende da un ampio ventaglio di variabili: di carattere tanto genetico e ambientale quanto socio-economico, nonché dall’organizzazione, dall’accesso e dalla qualità dei servizi socio-sanitari vigenti. Quello che, infatti, più e più volte si è continuato, e si continuerà, a sostenere in questo scritto è che nonostante la scienza abbia permesso all’uomo, specialmente negli ultimi decenni, di conseguire risultati notevoli e fondamentali nella cura e nel trattamento di determinate patologie, di accedere ad una precisione mai raggiunta prima nella diagnosi di specifiche malattie e anche alla ideazione e messa in atto di terapie altamente specialistiche e individualizzate, tuttavia questi investimenti non andranno ad incidere direttamente sulle condizioni strutturali per la salute dell’umanità. L’umanizzazione del sistema della cura costituisce il grande sogno professionale ed esistenziale, non ancora completamente soddisfatto nella sua essenza, di dare proporzioni di umanità alla pratica clinica e all’organizzazione sanitaria: il riconoscimento dell’ambito specificamente umano della pratica professionale medica rappresenta un’impellenza percepita sempre più come emergenziale dall’individuo. E questo perché l’umanizzazione è un processo che riguarda e coinvolge tutti, tanto i pazienti quanto gli operatori, nella comune tensione a riconoscere a ciascuno il diritto alla propria dignità intrinseca e alla promozione dei valori della persona. Si pone sempre più, anche e soprattutto da parte del paziente, la necessità di possedere una lucida consapevolezza e fondata conoscenza di quello che è il proprio stato di salute. Conoscere la salute implica l’acquisizione di un livello di conoscenza, capacità personale e fiducia in se stessi tali da porre l’individuo nella possibilità di agire e proteggere tanto la propria salute quanto quella della collettività: non si limita, cioè, alla mera capacità di leggere opuscoli, foglietti illustrativi di farmaci da banco o richiedere informazioni agli operatori sanitari. Conoscere il proprio quadro clinico costituisce un fattore imprescindibile per aver controllo sui determinanti della salute, per poter accedere ad informazioni, poterle valutare ed utilizzare in modo efficace e puntuale. La promozione, da parte dei medici in primo luogo, di una maggiore conoscenza della salute nel paziente-consumatore è un elemento vitale per rendere accessibile ai cittadini, in tal modo informati e responsabili, la partecipazione alle scelte pubbliche che li riguardano in prima persona o come membri di una collettività.

Obiettivo e “credo” prioritario della professione medica, fin dalla sua nascita, è sempre stato il rispetto dell’individuo in quanto soggetto individuale, dotato di peculiare e originaria dignità. Con Ippocrate l’ideale etico del giuramento viene proiettato su tutta l’arte del curare con un appello alla responsabilizzazione. Fin dagli albori della pratica medica, emerge così la figura del medico filantropo, uomo che si dedica con anima e corpo al servizio e alla tutela della

salute del malato, mentre nella pratica sanitaria si afferma il principio per cui la medicina è un’arte in cui la conoscenza è inseparabile dalla moralità: l’ethos ippocratico, fondato su un umanesimo medico per il quale la filantropia intesa come corretta prestazione esterna si integra ad una moralità fondata sull’intuizione, si proietta nella storia come ideale professionale. Così l’amore dell’umanità diventa la virtù professionale del medico. Successivamente, però, con la svolta epistemologica che investe la medicina, nella cultura europea dell’Ottocento, tale pratica, che diventa scienza della natura, assume i criteri metodologici delle scienze naturali, trattando la malattia nei termini di relazione tra una causa e un effetto, sulla base delle leggi che regolano i fatti fisico-chimici. È con l’avvento di tale impostazione che tra il medico e il paziente si insinua lo “strumento”: da ciò conseguirà la nascita e conseguente sviluppo della moderna medicina tecnologica, fondata sulla razionalizzazione di tipo naturalistico e sullo strapotere tecnico. I molti passi avanti percorsi grazie a questo tipo di approccio nel campo della conoscenza e delle applicazione nella cura l’hanno, tuttavia, esposta al limite di spogliare la malattia di ogni carattere storico-personale. Se, infatti, da una parte il medico ha potuto ampiamente beneficiare del grande contributo della ricerca empirica esatta e della corretta fondazione metodologica della medicina sulla fisiologia, la biochimica e le scienze biologiche, dall’altra egli è stato esposto al rischio di considerare il paziente come un semplice frammento di natura fra gli altri. La frantumazione riduzionista dell’uomo malato in organi malati ha eluso quel principio di totalità, di complessità che caratterizza la persona e rende la malattia qualcosa di ben più complesso di un mero fatto biologico. La nosologia frazionante tradisce i vissuti della persona, si allontana da una prospettiva olistica, la sola in grado di cogliere la malattia come squilibrio dell’uomo nei suoi rapporti con il mondo comprendendovi la sua dimensione psicologica e socio-ecologica. Aprendosi alla totalità e a una visione integrata dell’idea di persona, oggi la medicina si ricollega alle radici dell’ideale ippocratico che insegnava a correlare il microcosmo con il macrocosmo, ad inserirla nel suo ambiente, inteso non solo nel suo spazio geografico ma anche come traccia della civiltà: quella sensibilità percepita come sempre più necessaria, in relazione all’azione e pratica medica odierna, potrebbe spingere (e riportare) verso una medicina della persona che guardi al soggetto più che alle classificazioni cliniche, al malato più che alle malattie, che osservi il vissuto simbolico sul quale grava gran parte del malessere della civiltà contemporanea. La medicina integrata dalla grande eredità morale che emerge dalla cultura popolare delle tradizioni costituisce oggi la sfida alla perdita delle coordinate della persona, alla crisi del senso dell’atto medico, in un contesto culturale in cui la scientificizzazione del vivere esprime la massima centralità raggiunta nella storia

dell’umanità. Le categorie della conoscenza scientifica dominano le aree culturali del tempo attuale e tendono a segmentare e polverizzare l’unità del sapere sezionando l’individuo in una molteplicità di membra ed approcci conoscitivi ognuno totalizzante per sé. La medicina moderna deve essere integrata in una visione interdisciplinare della vita, in dialogo fra cultura e competenza tecnica, alla ricerca del recupero delle proprie radici morali e della costruzione di nuove prospettive etiche. La prospettiva dei fini per la medicina deve fondarsi sulla grande tradizione fornita dalla radice antropologica dell’idea di persona adeguatamente intesa.

2.1.2 La vulnerabilità del paziente, la solidarietà di cui ha bisogno e la

Nel documento Per un'umanizzazione della medicina. (pagine 55-58)