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1. Premessa necessaria: lo sviluppo sostenibile quale principio cardine della normativa.

Come anticipato nei precedenti paragrafi, il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana sono oggetto di attenzione da parte di varie leggi regionali; tra queste vi è anche la legge reg. Toscana n. 65 del 2014, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione in data 12 novembre 2014 e intitolata “Norme per il governo del territorio”. Essa rappresenta l’ultimo snodo dell’evoluzione legislativa della Regione Toscana, essendo stata preceduta dalla legge reg. n. 1/2005 e, ancor prima, dalla legge reg. n. 5/1995.

Prima di approfondire come il principio del contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana siano declinati all’interno della normativa in esame, pare opportuno precisare che cosa si intende per sviluppo sostenibile, posto che tale principio pare orientare l’intera legislazione urbanistica toscana fin dalla legge 5/1995, nel cui articolo 1, rubricato appunto “Lo sviluppo sostenibile”, si legge che “la presente legge (…) orienta l’azione dei pubblici poteri ed indirizza le attività pubbliche e private a favore dello sviluppo sostenibile nella Toscana”; il secondo comma, poi, precisa che “si considera sostenibile lo sviluppo volto ad assicurare

uguali potenzialità di crescita del benessere dei cittadini e a salvaguardare i diritti delle generazioni presenti e future a fruire delle risorse del territorio”. Costituisce declinazione del principio dello sviluppo sostenibile anche l’articolo 5, comma terzo, della legge 5/1995, ai sensi del quale “nessuna risorsa naturale del territorio può essere ridotta in modo significativo e irreversibile in riferimento agli equilibri degli ecosistemi di cui è componente. Le azioni di trasformazione del territorio devono essere valutate e analizzate in base a un bilancio complessivo degli effetti su tutte le risorse essenziali del territorio”. Il concetto viene poi ripreso dalla legge 1/200585 e dalla stessa legge 65/2014, all’interno della quale,

come si vedrà, lo sviluppo sostenibile viene perseguito attraverso il principio del contenimento del consumo di nuovo suolo inedificato ed il principio del prioritario riutilizzo dell’esistente; la sua attuazione, inoltre, “passa dalla riformulazione della parte statutaria dei piani territoriali, attraverso l’introduzione del patrimonio territoriale e una nuova definizione di invariante strutturale”86.

85 Si veda l’articolo 1, comma primo, della legge 1/2005, ai sensi del quale “la

presente legge detta le norme per il governo del territorio promuovendo, nell'ambito della Regione, lo sviluppo sostenibile delle attività pubbliche e private che incidono sul territorio medesimo. A tal fine lo svolgimento di tali attività e l'utilizzazione delle risorse territoriali ed ambientali deve avvenire garantendo la salvaguardia e il mantenimento dei beni comuni e l'uguaglianza di diritti all'uso e al godimento dei beni comuni, nel rispetto delle esigenze legate alla migliore qualità della vita delle generazioni presenti e future”; inoltre l’articolo 3, comma

terzo, dispone che “nessuna delle risorse essenziali del territorio di cui al comma

2 può essere ridotta in modo significativo e irreversibile in riferimento agli equilibri degli ecosistemi di cui è componente” e che “le azioni di trasformazione del territorio devono essere valutate e analizzate in base a un bilancio complessivo degli effetti su tutte le risorse essenziali del territorio”.

86 F. DE SANTIS, Il governo del territorio nell’evoluzione legislativa toscana:

modelli di pianificazione a confronto, in F. DE SANTIS (a cura di), Il governo del territorio in Toscana. Profili costituzionali, legislativi e di responsabilità, Giuffrè,

La definizione di sviluppo sostenibile che ha avuto maggior fortuna è quella contenuta nel rapporto “Our Common Future” della c.d. Commissione Bruntland (1987), secondo il quale si tratterebbe di uno “sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Si tratta, in altri termini, di una presa di coscienza, quella per cui il futuro di tutti dipende da uno sviluppo economico di tipo nuovo, il quale deve essere appunto “sostenibile”, da cui discende la sussistenza in capo alle generazioni future di diritti e, corrispondentemente, la sussistenza di doveri in capo alle generazioni attuali, il tutto racchiuso nella formula per cui non deve essere compromessa la possibilità, per le future generazioni, di soddisfare i loro bisogni. Una sorta di, potremmo dire, “patto intergenerazionale”, che mette in relazione lo sviluppo umano con lo sviluppo ambientale e che “costituisce il fondamento del diritto ambientale, in quanto ne incarna la matrice di doverosità e il vincolo posto in capo alle generazioni attuali a garanzia di quelle future”87.

Per quanto riguarda i riferimenti normativi, a livello comunitario il principio in esame trova riconoscimento all’interno dell’articolo 3, comma terzo, del Trattato sull’Unione europea, ai sensi del quale “l’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente”; il successivo comma 5, poi, dispone che

87 F. FRACCHIA, Il principio dello sviluppo sostenibile, in G. ROSSI (a cura di),

“nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra (...)”. Ancora, fa riferimento al principio di sviluppo sostenibile l’articolo 21, comma secondo, lettere d e f, per cui la definizione e l’attuazione di politiche comuni e azioni da parte dell’Unione è finalizzata (anche) a “favorire lo sviluppo sostenibile dei paesi in via di sviluppo sul piano economico, sociale e ambientale, con l’obiettivo primo di eliminare la povertà” (lettera d), da cui si evince che il principio in esame non è volto a bloccare lo sviluppo economico, prospettiva né possibile né auspicabile visto il collegamento con l’obiettivo di eliminare la povertà e riuscire, conseguentemente, a soddisfare i bisogni essenziali di tutti gli uomini; altra finalità (lettera f) è quella di “contribuire all’elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile”. Merita menzione, infine, l’articolo 11 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in cui il legislatore afferma che “le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.

A livello di ordinamento interno, il riferimento normativo è costituito dall’articolo 3-quater del Codice dell’ambiente, rubricato “Principio dello sviluppo sostenibile”, il cui comma primo dispone che “ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di

garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future”. Il secondo comma fa riferimento all’attività amministrativa discrezionale; si legge infatti che “anche l'attività della pubblica amministrazione deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell'ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione”. Il comma terzo, poi, pone al centro la solidarietà, affermando che “(…) il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell'ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinchè nell'ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell'ambiente anche futuro”; infine, il comma 4 ha ad oggetto la soluzione delle questioni che riguardano aspetti ambientali, e stabilisce che la risoluzione di esse “deve essere cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane”. Tale articolo, non presente nella versione originaria del Codice dell’ambiente88, contribuisce a chiarire la portata del

principio in esame: in primo luogo, emerge anche in questo caso il collegamento tra generazioni attuali e future, dunque la necessità

88 E’ stato infatti aggiunto dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4.

che lo sviluppo sia sostenibile in un’ottica intergenerazionale; in secondo luogo, il principio informa “ogni attività giuridicamente rilevante ai sensi del presente Codice” e finanche “l’attività della pubblica amministrazione (…) connotata da discrezionalità”, la quale deve dedicare primaria attenzione agli “interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale”89: ciò non significa che per

forza l’interesse ambientale debba prevalere, ma tale interesse, ci ricorda l’articolo, è “prioritario”, quindi non può essere lasciato in secondo piano; conseguentemente, l’amministrazione sarà tenuta a rendere adeguata motivazione nel caso in cui vi siano interessi che, nel caso concreto, risultino prevalenti. Il tutto, peraltro, può essere inquadrato nella finalità, dettata dal comma 4, di “salvaguardare il corretto funzionamento e l’evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane”.

Questa breve ricognizione del contenuto ascrivibile al principio di sviluppo sostenibile e dei riferimenti normativi in merito non è da ritenersi superflua ad avviso di chi scrive; risulta invece necessaria per meglio comprendere il successivo svolgersi del capitolo, il quale è sì incentrato prevalentemente sul contenimento del consumo di suolo nell’ambito della legge n. 65, nonché sulla disciplina della rigenerazione urbana contenuta nella medesima legge, ma la necessità di contrastare l’occupazione di nuovo suolo non edificato e

89 Col riferimento all’attività di tipo discrezionale, ovviamente, devono ritenersi escluse le ipotesi di attività vincolata; si deve ritenere inoltre che l’espressione faccia riferimento alla discrezionalità c.d. “pura” e non alla discrezionalità c.d. “tecnica”, quest’ultima da intendersi come possibilità di scelta/valutazione dell’amministrazione da esercitarsi secondo le nozioni e tecniche della scienza che governa la materia su cui deve agire l’atto amministrativo e che conduce a risultati caratterizzati da opinabilità intrinseca (e per questo distinta dal mero accertamento tecnico, dove il grado di opinabilità è invece ridotto a zero).

di rigenerare il patrimonio esistente è strumentale a perseguire la sostenibilità delle scelte di sviluppo e gestione del territorio. Lo sviluppo sostenibile, del resto, emerge fin dall’articolo 1 della legge n. 65, ai sensi del quale “la presente legge detta le norme per il governo del territorio al fine di garantire lo sviluppo sostenibile delle attività (...)”.

2. I principi generali della legge n. 65: in particolare, l’articolo 4 e le disposizioni ad esso collegate.

All’interno del Capo I della legge 65/2014, rubricato “Principi generali”, sono contenuti i fondamenti della nuova legislazione regionale. Come anticipato, l’intera normativa è incentrata sul principio di sviluppo sostenibile, il quale viene individuato dall’articolo 1 quale oggetto e finalità della legge. Lo sviluppo sostenibile, peraltro, viene perseguito attraverso il principio del contenimento del consumo di suolo e il principio di prioritario riutilizzo dell’esistente, i quali non costituiscono un’assoluta novità della novella del 2014, essendo in realtà già presenti all’interno della legge n. 1/2005: emblematico in tal senso l’articolo 3, comma 4, nel quale il legislatore dispone che “fermo restando quanto disposto dal comma 3, nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti. Essi devono in ogni caso concorrere alla riqualificazione dei sistemi insediativi e degli assetti territoriali nel loro insieme, nonché alla prevenzione e al recupero

del degrado ambientale e funzionale”. La novità della legge n. 65, dunque, non sta tanto nell’affermazione, pur importante, dei principi suddetti, quanto nell’affrontare e nel cercare di risolvere i problemi applicativi riscontrati nel sistema delineato dalla precedente legge urbanistica: una delle principali innovazioni consiste infatti nel prevedere un’inversione di rotta rispetto alla tendenza autonomistica che aveva portato, già all’interno della legge 5/1995, all’introduzione del principio di autoapprovazione del piano da parte di ciascun soggetto, con conseguente eliminazione del binomio adozione comunale – approvazione regionale. Questa spinta autonomistica venne poi rafforzata dalla successiva legge 1/2005, attraverso alcune previsioni volte a tutelare ulteriormente l’autonomia comunale: se infatti nell’ambito della legge n. 5 era previsto un parere obbligatorio (ma non vincolante) dell’ente sovraordinato da esprimere nei confronti del piano, che veniva comunque autoapprovato dal soggetto che lo aveva adottato, nella legge n. 1 tale parere obbligatorio viene eliminato e sostituito con una semplice osservazione. In altri termini, con la legge n. 1 viene eliminata ogni forma di gerarchia tra soggetti, in conformità al principio di pari dignità dei soggetti istituzionali ex articolo 114 Cost. La conseguenza di tale assetto, tuttavia, è stata quella per cui “nonostante l’affermazione contenuta nei primi articoli della legge n. 1/2005 del principio del contenimento del consumo di suolo e del principio dello sviluppo sostenibile (…), molti Comuni sfruttando l’autonomia comunale garantita dal meccanismo procedimentale della adozione e approvazione di competenza esclusiva comunale hanno adottato soluzioni urbanistiche che determinavano consumo

di suolo in aree a vocazione agricola, senza la possibilità per le Regioni di intervenire”90. Dunque, le disposizioni della legge n. 65

devono essere lette tenendo conto dell’intento, da parte del legislatore, di pervenire ad un recupero di un ruolo preminente da parte della Regione, allo scopo di dotare di effettività i principi enunciati e in modo tale che essi non rimangano allo stadio della loro mera proclamazione.

Conviene adesso concentrare l’attenzione sulle disposizioni contenute nel Capo I. Innanzitutto l’articolo 1, come già accennato, è incentrato sullo “sviluppo sostenibile delle attività rispetto alle trasformazioni territoriali da esse indotte”; emerge fin da subito il collegamento con la tutela del suolo, in quanto lo sviluppo sostenibile viene perseguito “anche evitando il nuovo consumo di suolo”, nonché mediante “la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio territoriale inteso come bene comune” ed anche attraverso “l’uguaglianza di diritti all’uso e al godimento del bene stesso”, il tutto “nel rispetto delle esigenze legate alla migliore qualità della vita delle generazioni presenti e future”. Da notare il richiamo, da parte dell’articolo 1, ad una delle principali novità della legge n. 65, ovvero il concetto di patrimonio territoriale, di cui si occupa il successivo articolo 3. Il secondo comma dell’articolo 1, poi, specifica il modo in cui i fini enunciati al primo comma trovano la loro declinazione, e cioè attraverso “la conservazione e la gestione del patrimonio territoriale”, al fine di valorizzarlo “in funzione di uno sviluppo locale sostenibile e durevole”, mediante “la riduzione dei

90 Lo afferma F. DE SANTIS, Il governo del territorio nell’evoluzione legislativa

toscana: modelli di pianificazione a confronto, in F. DE SANTIS (a cura di), Il governo del territorio in Toscana. Profili costituzionali, legislativi e di responsabilità, Giuffrè, 2015, cit., pag. 76.

fattori di rischio connessi all’utilizzazione del territorio (...)”, tramite “la valorizzazione di un sistema di città ed insediamenti equilibrato e policentrico (...)” o, ancora, per mezzo di uno “sviluppo delle potenzialità multifunzionali delle aree agricole e forestali, della montagna e della fascia costiera (…); addirittura, il legislatore toscano non si dimentica la necessità di perseguire “l’effettiva ed adeguata connettività della rete di trasferimento dati su tutto il territorio regionale”. Si tratta, a mio avviso, di una disposizione particolarmente brillante, che cerca di declinare il principio di sviluppo sostenibile in tutte le sue possibili sfaccettature, in modo tale che quest’ultimo involga tutta la legge; il merito del legislatore, come si vedrà più in avanti, sta poi nell’aver dotato di operatività concreta le enunciazioni di principio, facendosi carico delle indicazioni comunitarie che individuano quale problema di prioritaria risoluzione il consumo del suolo e, in particolare, la sua impermeabilizzazione, fenomeno che ha portato all’elaborazione di uno specifico documento teso a sottolinearne la dannosità e, dunque, l’esigenza di contrastarlo91.

Il successivo articolo 2 introduce una definizione di governo del territorio, sottolineando la necessità che esso si esplichi per il tramite di un coordinamento tra i vari piani urbanistici e, inoltre, con la pianificazione settoriale; necessario risulta dunque “il coordinamento e la collaborazione tra i diversi livelli territoriali di governo”92.

91 Il riferimento è ai già richiamati “Orientamenti in materia di buone pratiche per

limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo”.

92 Più specificamente, l’articolo 2 dispone che “ai fini della presente legge, si

definisce governo del territorio l’insieme delle attività che concorrono ad indirizzare, pianificare e programmare i diversi usi e trasformazioni del territorio, con riferimento agli interessi collettivi e alla sostenibilità nel tempo”; il secondo

E’ all’interno dell’articolo 3 che si rinviene la prima importante novità della legge n. 65, ovvero la nozione di patrimonio territoriale, definito come “bene comune costitutivo dell’identità collettiva regionale”, inteso come “l’insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future” e “quale risorsa per la produzione di ricchezza per la comunità”; le sue componenti, ai sensi dell’articolo 3, comma 3 (ma anche del successivo articolo 4, comma 1), “non possono essere ridotte in modo irreversibile” ed esse, nonché le loro interrelazioni e la loro percezione da parte della popolazione “esprimono l’identità paesaggistica della Toscana”. Il comma 2, poi, ricomprende all’interno del patrimonio territoriale anche il suolo, in quanto facente parte della struttura ecosistemica93.

Il patrimonio territoriale è strettamente connesso con il concetto di invariante strutturale (articolo 5) e di statuto del territorio (articolo 6). L’articolo 3, comma primo, prevede infatti il compito della Regione di promuovere e garantire il patrimonio territoriale

comma prosegue affermando che “il governo del territorio si esplica mediante il

coordinamento intersettoriale delle politiche, la coerenza dei piani e dei programmi di settore con gli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica, mediante il coordinamento e la collaborazione tra i diversi livelli territoriali di governo”.

93 In base all’articolo 3, comma 2, “il patrimonio territoriale di cui al comma 1, è

riferito all’intero territorio regionale ed è costituito da: a) la struttura idro geomorfologica, che comprende i caratteri geologici, morfologici, pedologici, idrologici e idraulici; b) la struttura ecosistemica, che comprende le risorse naturali aria, acqua, suolo ed ecosistemi della fauna e della flora; c) la struttura insediativa, che comprende città e insediamenti minori, sistemi infrastrutturali, artigianali, industriali e tecnologici; d) la struttura agro-forestale, che comprende boschi, pascoli, campi e relative sistemazioni nonché i manufatti dell’edilizia rurale”. Ai sensi del comma 4, poi, “il patrimonio territoriale (…) comprende altresì il patrimonio culturale costituito dai beni culturali e paesaggistici, di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (…) e il paesaggio così come definito all’articolo 131 del Codice”.

attraverso le modalità dell’articolo 5, rinviando quindi alle invarianti strutturali; queste ultime, assieme agli elementi costitutivi del patrimonio territoriale, compongono lo statuto del territorio. Il sistema delineato dal combinato disposto degli articoli 3, 5 e 6 della legge n. 65, dunque, è strutturato nel modo seguente: il patrimonio territoriale della Toscana, composto ai sensi dell’articolo 3, commi 2 e 4, deve essere promosso e garantito dalla Regione, con particolare attenzione alla sua riproducibilità, e le invarianti strutturali, di cui all’articolo 5, costituiscono per l’appunto le modalità attraverso cui viene assicurata la tutela e la riproducibilità degli elementi costitutivi del patrimonio territoriale94 (opportunamente, peraltro, il secondo

comma dell’articolo 5 puntualizza che “(…) l’individuazione delle invarianti strutturali non costituisce un vincolo di non modificabilità del bene ma il riferimento per definire le condizioni di trasformabilità”); lo statuto del territorio, poi, “costituisce l’atto di riconoscimento identitario mediante il quale la comunità locale riconosce il proprio patrimonio territoriale e ne individua le regole di tutela, riproduzione e trasformazione” e, come anticipato, “comprende gli elementi che costituiscono il patrimonio territoriale ai sensi dell’articolo 3, e le invarianti strutturali di cui all’articolo 5”. Esso, come precisa l’articolo 6, comma 3, “è formulato ad ogni livello di pianificazione territoriale” e quindi diviene parte statutaria di tutti i piani territoriali; relativamente ai rapporti tra i diversi statuti è

94 L’articolo 5, comma primo, dispone infatti che “per invarianti strutturali si

intendono i caratteri specifici, i principi generativi e le regole che assicurano la tutela e la riproduzione delle componenti identitarie qualificative del patrimonio territoriale. Caratteri, principi e regole riguardano: a) gli aspetti morfotipologici e paesaggistici del patrimonio territoriale; b) le relazioni tra gli elementi

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