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1. Introduzione.

La rigenerazione urbana, tema di grande attualità e oggetto di forte attenzione da parte della dottrina, è il secondo pilastro su cui si concentra il presente scritto. Si tratta di una nozione di cui è stata sottolineata a più riprese la polivalenza e l’incertezza47, dovute a mio

avviso a due fattori: da un lato, v’è il fatto che la questione della rigenerazione degli spazi urbani trova una disciplina all’interno di diverse fonti, a partire dai regolamenti comunali, passando dalle normative regionali fino ad arrivare alle disposizioni legislative statali; dall’altro lato, le diverse normative che si occupano di

47 In questo senso la dottrina si è espressa più volte; in proposito, Giusti parla di rigenerazione urbana come “concetto polisemico poiché evoca una molteplicità di

ambiti di intervento e protagonisti, sollecita l’interesse su argomenti trasversali, a partire dalla dimensione, più tradizionale, dei temi correlati al “governo del territorio” fino a coinvolgere la sfera dei diritti dell’individuo”. Si veda A.

GIUSTI, La rigenerazione urbana. Temi, questioni e approcci nell’urbanistica di

nuova generazione, Editoriale Scientifica, 2018, cit., pagg. 17-18. Ancora, secondo

Giomi “la ricerca del nucleo essenziale della rigenerazione urbana (…) va (…)

condotta con specifico riferimento al preciso significato che ciascun legislatore regionale ha inteso attribuire a tale strumento”; V. GIOMI, La rigenerazione urbana tra regolazione territoriale e sostenibilità ambientale nella legge toscana di governo del territorio, in M. PASSALACQUA, A. FIORITTO, S. RUSCI (a

cura di), Ri-conoscere la rigenerazione. Strumenti giuridici e tecniche

urbanistiche, Maggioli, 2018, cit., pag. 137. Sempre con riferimento all’ambito

dottrinale, Fioritto afferma come “il termine rigenerazione è entrato in uso (…)

con una buona dose d’incertezza, affiancandosi ad altri termini già usati dal legislatore e dagli interpreti ma senza esprimere un preciso significato”; A.

FIORITTO, Come pianificare la rigenerazione urbana, in M. PASSALACQUA, A. FIORITTO, S. RUSCI (a cura di), Ri-conoscere la rigenerazione. Strumenti

rigenerazione urbana, in particolare a livello regionale, dettano discipline tra loro eterogenee: in alcuni casi, infatti, le disposizioni sono inserite nell’ambito di una legge generale sul governo del territorio e poste in evidente collegamento con l’obiettivo di giungere ad una riduzione del consumo di suolo48, mentre in altri

casi la disciplina costituisce oggetto esclusivo di una legge appositamente approvata e sembra dunque acquisire una maggiore autonomia49.

In generale, il tema del contrasto del degrado urbano non rappresenta di certo una novità nel nostro ordinamento; diversi, infatti, sono gli strumenti messi in campo dal legislatore nel corso degli anni al fine di recuperare il tessuto urbanistico esistente: in un certo senso, si può ben affermare che essi costituiscono degli antesignani rispetto all’odierna nozione di rigenerazione urbana, ed è da questi strumenti da cui a mio avviso occorre prendere le mosse per meglio comprendere la portata del fenomeno in esame, per intercettarne i tratti di evoluzione e coglierne le differenze rispetto agli istituti introdotti in passato.

Il presente capitolo prende dunque in considerazione dapprima le esperienze precedenti le attuali discipline in tema di rigenerazione, a partire dal piano di recupero della legge n. 457 del 1978, per poi andare ad esaminare la rigenerazione urbana nell’ambito di due diverse fonti in cui trova spazio: i regolamenti comunali, da un lato, e le leggi regionali, dall’altro50.

48 E’ indubbiamente il caso della legge reg. Toscana 65/2014, la cui disciplina è analizzata all’interno del Cap. III dell’elaborato, cui si rinvia.

49 Emblematica la legge reg. Puglia 21/2008, rubricata “Norme per la

rigenerazione urbana”.

50 Ovviamente, non bisogna dimenticare le disposizioni legislative statali inerenti la rigenerazione degli spazi urbani, tra cui rientrano l’articolo 189 e 190 del d.lgs.

2. La rigenerazione urbana alla luce delle precedenti esperienze di recupero e riqualificazione.

Se l’intento è quello di fornire un quadro delle esperienze che hanno storicamente preceduto le attuali discipline sulla rigenerazione urbana, non si può che partire col parlare dei piani di recupero disciplinati dalla legge n. 457 del 1978, i quali costituiscono un primo tentativo di rispondere alle esigenze di contrasto al degrado urbano: come sottolineato in dottrina, “il piano di recupero (…) aveva posto, per primo, il problema dell’insostenibilità di un’urbanistica di sola espansione, delle sue contraddizioni (le condizioni di degrado), della necessità di un intervento del decisore pubblico per il loro superamento e dell’indispensabile collaborazione con i privati per la realizzazione di tali obiettivi”51. Nel sistema delineato dagli articoli da

27 a 34 della legge n. 457 è previsto che i Comuni individuino, in sede di formazione dello strumento urbanistico generale ovvero con successiva delibera consiliare, le zone in cui si renda “opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente” (articolo

18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), che il Consiglio di Stato ha qualificato come “partenariato sociale” (parere n. 855 del 2016); sul punto, si rinvia al contributo di L.C. DE LUCA, La ri-generazione urbana come laboratorio

di cittadinanza attiva, in M. PASSALACQUA, A. FIORITTO, S. RUSCI (a cura

di), Ri-conoscere la rigenerazione. Strumenti giuridici e tecniche urbanistiche, Maggioli, 2018; sul rapporto tra regolamenti comunali per la rigenerazione e forme di partenariato sociale, F. GIGLIONI, La rigenerazione dei beni urbani di fonte

comunale in particolare confronto con la funzione di gestione del territorio, in F.

DI LASCIO, F. GIGLIONI (a cura di), La rigenerazione di beni e spazi urbani.

Contributo al diritto delle città, il Mulino, 2017; sulla legislazione statale in tema

di rigenerazione urbana in generale, A. GIUSTI, La rigenerazione urbana. Temi,

questioni e approcci nell’urbanistica di nuova generazione, Editoriale Scientifica,

2018.

51 In questi termini A. GIUSTI, La rigenerazione urbana. Temi, questioni e

approcci nell’urbanistica di nuova generazione, Editoriale Scientifica, 2018, cit.,

27, comma 1) a causa delle condizioni di degrado delle zone stesse, senza peraltro fornire alcuna precisazione su cosa si debba intendere per “degrado”, ampliando di fatto la discrezionalità dell’amministrazione; la nozione di recupero del patrimonio edilizio esistente viene invece meglio definita all’articolo 31, ai sensi del quale rientrano al suo interno interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia e di ristrutturazione urbanistica. In sostanza, le scelte relative all’individuazione delle zone interessate da condizioni di degrado e quindi da sottoporre a recupero vengono totalmente rimesse al decisore pubblico; i privati entrano in gioco nella fase di formazione ed attuazione del piano di recupero, il quale viene approvato con deliberazione del consiglio comunale e la cui proposta può pervenire anche ad iniziativa dei privati, purché si tratti di proprietari di immobili ed aree compresi nelle zone di recupero rappresentanti almeno i tre quarti del valore degli immobili interessati, in base all’imponibile catastale (articolo 30, comma primo). L’attuazione dei piani, infine, è rimessa ai privati proprietari ovvero ai Comuni nei casi espressamente indicati dall’articolo 28, comma quinto, lettera b)52.

Due, dunque, sono gli elementi che denotano una particolare

52 I piani di recupero sono attuati dai comuni nei seguenti casi: “1) per gli

interventi che essi intendono eseguire direttamente per il recupero del patrimonio edilizio esistente nonché, limitatamente agli interventi di rilevante interesse pubblico, con interventi diretti; 2) per l'adeguamento delle urbanizzazioni; 3) per gli interventi da attuare, mediante cessione volontaria, espropriazione od occupazione temporanea, previa diffida nei confronti dei proprietari delle unità minime di intervento, in caso di inerzia dei medesimi, o in sostituzione dei medesimi nell'ipotesi di interventi assistiti da contributo. La diffida può essere effettuata anche prima della decorrenza del termine di scadenza del programma pluriennale di attuazione nel quale il piano di recupero sia stato eventualmente incluso”.

importanza dei piani di recupero con riferimento all’attuale tema della rigenerazione urbana: da un lato, l’introduzione del concetto di recupero del patrimonio esistente al fine contrastare la situazione di degrado di determinate zone; dall’altro, l’elemento della consensualità, seppur nell’ambito di una discrezionalità riservata all’amministrazione pubblica relativamente all’an del recupero. All’esperienza dei piani di recupero seguì quella della c.d. “urbanistica per progetti”, caratterizzata da nuovi strumenti denominati “programmi” e avente il proprio fulcro negli anni ‘90: rientrano indubbiamente al suo interno, ed anzi ne costituiscono il paradigma fondamentale, i programmi integrati di intervento. Dall’analisi della disciplina dei programmi integrati di intervento emerge innanzitutto la centralità di un’istanza destinata ad acquisire sempre più importanza fino a diventare un vero e proprio pilastro condizionante qualsiasi scelta di gestione e sviluppo del territorio: si tratta della questione ambientale53; ai sensi dell’articolo 16, comma

primo, della legge 179/1992, spetta ai Comuni promuovere la formazione dei programmi integrati, caratterizzati “dalla presenza di pluralità di funzioni” e “dalla integrazione di diverse tipologie di intervento (...)” (articolo 16, comma secondo) e con la finalità “di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale”. I programmi integrati, inoltre, possono essere presentati al Comune da soggetti pubblici e privati in relazione a “zone in tutto o in parte edificate o da destinare anche a nuova edificazione al fine della loro

53 Il problema ambientale ha assunto un’importanza sempre maggiore soprattutto a partire dagli anni ‘80: emblematica, in questo senso, l’istituzione, con legge 349/1986, del Ministero dell’ambiente, attualmente denominato Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. A onor del vero, già tre anni prima, nel 1983, Alfredo Biondi fu nominato Ministro senza portafoglio per l’ecologia durante il governo Craxi I.

riqualificazione urbana ed ambientale”. Se la maggior centralità del tema dell’ambiente rappresenta dunque un primo elemento di distacco rispetto ai più datati piani di recupero, altro elemento di differenziazione, se non di evoluzione, è rappresentato dal rapporto che intercorre tra programmi integrati di intervento e piano regolatore generale: se infatti i piani di recupero si configuravano come piani attuativi del PRG e quindi delle scelte effettuate dall’amministrazione in sede di formazione del piano ovvero con successiva delibera consiliare, non avendo assolutamente il piano di recupero natura derogatoria rispetto al piano regolatore come affermato in modo costante dalla giurisprudenza, per il programma integrato di intervento l’articolo 16, comma terzo, richiede l’approvazione da parte del consiglio comunale e, in caso di contrasto con la strumentazione urbanistica, il comma successivo prevede che “la delibera di approvazione del consiglio comunale è soggetta alle osservazioni da parte di associazioni, di cittadini e di enti, da inviare al comune entro quindici giorni dalla data della sua esposizione all'albo pretorio coincidente con l'avviso pubblico sul giornale locale. Il programma medesimo con le relative osservazioni è trasmesso alla regione entro i successivi dieci giorni. La regione provvede alla approvazione o alla richiesta di modifiche entro i successivi centocinquanta giorni, trascorsi i quali si intende approvato”. Si tratta di un meccanismo che, in sostanza, comportava l’attribuzione, al programma integrato di intervento, di efficacia derogatoria al PRG mediante un meccanismo di silenzio assenso; inoltre, poiché l’approvazione ai sensi dell’articolo 16, comma terzo, avveniva con gli effetti di cui all’articolo 4 della legge n. 10/1977,

veniva eliminata la richiesta del rilascio del titolo abilitativo per la realizzazione degli interventi del programma. Al Comune l’articolo 16, comma primo, attribuiva il ruolo di promotore della formazione dei programmi integrati, delineando dunque un sistema dove le scelte sull’an del recupero non erano prerogativa esclusiva dell’amministrazione, ma erano invece rimesse alla collaborazione tra amministrazione e privati, con la possibilità di derogare alle previsioni del piano regolatore generale mediante l’approvazione del programma da parte della Regione, approvazione che si sarebbe avuta in ogni caso decorsi centocinquanta giorni dalla trasmissione del programma alla Regione per il tramite del meccanismo54 di cui al

quarto comma dell’articolo 16. Il paradigma consensuale diviene dunque centrale nell’ambito dei programmi integrati di intervento: con essi, in altri termini, “si propone (…) un nuovo tipo di urbanistica non più di carattere imperativo, ossia connotata non dalla supremazia del Comune, ma da un accordo reciproco, caratterizzato dall’unitarietà dei momenti pianificatori, programmativi ed esecutivi (…). Nasce così la cosiddetta urbanistica contrattata”55.

54 Tale meccanismo, peraltro, fu dichiarato incostituzionale dalla Consulta con sentenza n. 393 del 1992, nella quale vengono dichiarate fondate le censure che hanno ad oggetto i commi terzo, quarto, quinto e sesto dell’articolo 16 e con riguardo agli artt. 115, 117, 118, 3 e 97 della Costituzione; ad essere dichiarato incostituzionale è anche il comma settimo dello stesso articolo. In particolare, si legge nella sentenza, “i risultati operativi del nuovo strumento territoriale

appaiono in contrasto con le esigenze di un razionale uso del territorio, con possibilità di interventi indiscriminati, non confortati dall'assistenza di meccanismi diversificati e di organi tecnici (...)”. La disciplina di cui al comma

terzo e quarto comma dell’articolo 16, secondo la Corte, “determina gli effetti

sostanziali (…) con particolare riferimento al potere di deroga alla legislazione urbanistica vigente” e “sotto questo aspetto è evidente l'incidenza di essa sulla potestà legislativa (art. 117, primo comma, Cost.) e sulle attribuzioni amministrative (art. 118, primo comma, Cost.) delle Regioni, con violazione dell'autonomia garantita dall'art. 115 Cost”.

55 In questi termini G. C. MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, Giuffrè, 2003, cit., pag. 389.

L’elemento della consensualità rappresenta un paradigma di riferimento anche in relazione ad altri strumenti introdotti dal legislatore nel corso degli anni ‘90: si tratta dei c.d. strumenti della programmazione negoziata, nozione all’interno della quale rientrano, tra gli altri, i Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio (P.R.U.S.S.T.), le cui finalità si avvicinano molto a quelle della rigenerazione urbana. I P.R.U.S.S.T., istituti con D.M. 8 ottobre 1998 e finanziati con i fondi non utilizzati per i Programmi di riqualificazione urbana56, riprendono dai

programmi integrati di intervento l’elemento dell’integrazione ma in un’accezione decisamente più ampia: la maggior ampiezza emerge innanzitutto dall’ambito di intervento dei programmi in commento, ovvero vaste aree a livello sub-regionale, provinciale, intercomunale e comunale; tuttavia, a venire in rilievo è anche l’ampia gamma di attività che il legislatore si propone di realizzare attraverso tali

56 I Programmi di riqualificazione urbana rappresentano un altro precedessore importante delle odierne discipline in tema di rigenerazione urbana: disciplinati dal D.M. 21 dicembre 1994, essi “si propongono di avviare il recupero edilizio e

funzionale di ambiti urbani specificatamente identificati attraverso proposte unitarie che riguardano: a) parti significative delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria; b) interventi di edilizia non residenziale che contribuiscono al miglioramento della qualità della vita nell'ambito considerato; c) interventi di edilizia residenziale che inneschino processi di riqualificazione fisica dell'ambito considerato” (articolo 2 D.M.); tali programmi sono stati inoltre indirizzati dal

legislatore a Comuni specificamente individuati, essenzialmente in virtù della sussistenza di determinate situazioni di bisogno ovvero per la loro dimensione: è quanto emerge dalla lettura dell’articolo 3 del D.M. 21 dicembre 1994, per cui “possono richiedere i finanziamenti di cui all'art. 1: a) i comuni con popolazione

superiore a 300.000 abitanti ed i comuni con essi confinanti ovvero ricadenti in aree metropolitane da definirsi ai sensi della legge n. 142/1990; b) i comuni capoluogo di provincia; c) gli altri comuni qualora la proposta di programma riguardi, per una percentuale significativa, aree industriali dismesse; d) i comuni ricadenti in ambiti urbani sovracomunali interessati da rilevanti fenomeni di trasformazione economica e a tal fine specificatamente definiti dalle competenti regioni con propri atti deliberativi ai fini dell'allocazione delle risorse a valere sui fondi per la programmazione di edilizia residenziale pubblica per il quadriennio 1992-95”.

strumenti, ovvero “interventi pubblici e di interesse pubblico di dimensione e importanza tale da rappresentare una precondizione per progetti di investimenti o di maggiore produttività (...)” (articolo 3, comma primo, lettera a), ma anche “azioni ed iniziative finalizzate a favorire lo sviluppo dell’occupazione, la formazione professionale e più vantaggiose condizioni del credito (...)” (articolo 3, comma primo, lettera d). Particolare attenzione viene riposta sul sistema infrastrutturale, posto che gli interventi pubblici sopra menzionati possono riguardare, in via esemplificativa, il sistema stradale, ferroviario, aeroportuale, portuale, energetico, idrico, delle telecomunicazioni nonché le opere necessarie per la difesa del suolo; il legislatore parla anche di interventi la cui importanza è tale “da costituire poli di attrazione” (strutture ospedaliere, università, strutture polifunzionali per lo sport etc.)57. L’articolo 4, in conformità

alla disciplina dei programmi integrati di intervento, attribuisce ai Comuni il ruolo di promotore, mentre ai sensi del successivo articolo 5 sono soggetti proponenti, aventi dunque la possibilità di formulare proposte ai soggetti promotori, gli enti pubblici territoriali (regioni, province, comunità montane), le altre amministrazioni pubbliche (tra cui rientrano, in base all’elencazione dell’articolo 5, comma primo, lettera b, le amministrazioni dello Stato, le istituzioni universitarie ma anche le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni nonché le società e imprese a partecipazione pubblica) ed i soggetti privati (associazioni di categoria, imprenditori, soggetti concessionari, proprietari o gestori di reti etc.). Evidente, dunque, come alla base dei P.R.U.S.S.T.

57 E’ quanto si evince dalla lettura dell’articolo 3, comma secondo, del D.M. 8 ottobre 1998.

vi sia non solo il concetto di “integrazione”, ma anche quello di “ampio coinvolgimento e partecipazione”, che i soggetti promotori, ovvero i Comuni, sono tenuti ad assicurare58. Una volta definiti i

programmi attraverso le proposte dei proponenti ed espletato il compito del Comune di “verificare la compatibilità e la coerenza dei programmi con le indicazioni dei documenti di pianificazione urbanistica e territoriale”, il legislatore dispone una procedura competitiva, per cui una volta individuati i programmi da finanziare secondo i criteri dell’articolo 1059, il Ministero dei lavori pubblici

sottoscrive con i promotori e i proponenti un protocollo d’intesa, attraverso il quale i soggetti si impegnano a dare attuazione al programma, protocollo che è prodromico alla successiva stipulazione dell’accordo quadro60 da parte dei medesimi soggetti, 58 Ciò emerge, a mio avviso, anche dalla lettura del comma 4 dello stesso articolo 4, per cui “ai fini dell'individuazione degli interventi e delle azioni di cui all'art. 3,

comma 1, i soggetti promotori favoriscono la più ampia partecipazione all'attuazione dei programmi da parte di soggetti pubblici e privati”.

59 Ai sensi del quale “i programmi (…) sono valutati sulla base dei seguenti

criteri: a) capacità di attrarre investimenti produttivi e di sviluppare iniziative economiche e imprenditoriali in grado di garantire una ricaduta socioeconomica positiva stabile e duratura, con particolare riferimento all'attuazione di politiche per le pari opportunità; b) capacità di massimizzare gli effetti diretti e indiretti degli investimenti utilizzando, da un lato, metodologie progettuali e di intervento qualitative e basate su logiche di risultato e, dall'altro lato, tecniche finanziarie innovative anche nell'utilizzo di risorse pubbliche; c) presenza di interventi pubblici, realizzati con risorse esclusivamente private, che prevedono corrispettivi di gestione; d) presenza nell'ambito territoriale considerato di indicazioni circa l'avvio di rilevanti fenomeni di sviluppo economico e di trasformazione territoriale; e) rapidità di implementazione delle azioni e delle iniziative previste nei programmi in relazione alla copertura finanziaria e alla fattibilità amministrativa degli interventi; f) capacità di produrre il miglioramento della qualità ambientale e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale- paesaggistico; g) capacità di risolvere gli elementi di criticità legati al rapporto infrastruttura-sistema urbano in termini territoriali e ambientali; h) congruenza dei programmi con piani/politiche di settore nazionali e regionali; i) capacità di incidere sull'organizzazione del sistema della mobilità (agibilità dei collegamenti), sulla riallocazione delle funzioni urbane (efficienza dei servizi), con particolare riguardo a quella residenziale”.

60 Stipulazione che deve avvenire entro dodici mesi dalla data di sottoscrizione del protocollo d’intesa (articolo 11, comma primo).

contenente la concreta definizione del contenuto del programma, comprese le attività e gli interventi da realizzare, data di inizio e tempi di attuazione. Evidente, dunque, la centralità dell’elemento consensuale, che sembrerebbe di fatto eliminare, nell’ambito dei P.R.U.S.S.T., qualsiasi rapporto gerarchico di sovraordinazione/subordinazione tra privati ed amministrazione, posti piuttosto in una situazione di parità nella definizione del programma.

Ciò che consente di distinguere gli interventi di rigenerazione urbana dalle esperienze precedenti qualificate genericamente con i termini di recupero/riqualificazione è sicuramente la forte connotazione sociale dei primi: come brillantemente osservato da Giusti, “in entrambe le azioni (riqualificazione e rigenerazione) vi è una inevitabile e indispensabile componente di recupero edilizio e di riqualificazione urbanistica”; tuttavia, “nelle iniziative di riqualificazione urbana, pur essendo presente una componente sociale, l’obiettivo è prevalentemente il rilancio economico del territorio, in aree considerate strategiche (…). Nella rigenerazione urbana la prospettiva è “rovesciata”: le iniziative di inclusione sociale sono l’obiettivo primario (…) e (…) il recupero edilizio, la dotazione di opere di urbanizzazione, sono funzionali alla realizzazione di tale scopo”. Dunque, prosegue Giusti, “sono queste

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