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l’estetica atmosferica di Gernot Böhme e l’attualità della retorica

di Salvatore Tedesco

Sapientemente dissimulata dietro il concetto piuttosto “esoteri-co” di atmosfera, la nuova estetica, o piuttosto aisthetica, di Gernot Böhme si propone come il punto di arrivo di un complesso percorso all’interno delle tradizioni della fenomenologia novecentesca – e qui il riferimento andrà non tanto alla linea che da Husserl conduce sino a Merleau-Ponty, quanto piuttosto all’estetica e all’antropologia feno-menologica da Rothacker, a Klages, sino a Hermann Schmitz – e al tempo stesso come una robusta, seppure indubbiamente problematica, ripresa del progetto estetologico baumgarteniano. La nuova «estetica come teoria generale della percezione» 1 riattiva infatti sin dal nome – Aisthetik appunto – il riferimento alla scienza baumgarteniana della sensibilità, realizzando proprio per questo tramite – ed ecco un altro degli aspetti macroscopici della posizione di Böhme, che sicuramente hanno contribuito ad iscriverla autorevolmente nell’attuale dibattito tedesco 2 – una significativa estensione dell’ambito dell’estetica al di fuori della tradizionale filosofia dell’arte, in direzione di un’estetica della natura 3 e di una “neo-estetica” che tiene di mira fenomeni quali il design e una più generale estetizzazione del reale 4.

L’attualità per la verità quasi corriva e direi la sin troppo ampia circolazione di temi affini nell’estetica tedesca di oggi (pur nella di-versità delle posizioni, e per fare solo i nomi maggiori: Welsch, Seel, Bohrer, Wiesing) ha però portato a trascurare gli intenti propriamente sistematici del discorso di Böhme, intenti a partire dai quali, tuttavia, acquista probabilmente ulteriori valenze anche il riferimento a Baum-garten e a quella componente fondamentale, benché spesso travisata, dell’estetica di Baumgarten che è la retorica.

Böhme condivide anzitutto con Baumgarten l’idea che tramite l’este-tica si offra spazio a una peculiare forma di conoscenza, significativa-mente diversa da quella costituita dalla scienza moderna: «a me inte-ressa sviluppare la conoscenza estetica proprio come una conoscenza particolare e soprattutto diversa da quella scientifica, e in relazione a ciò mostrare che essa scopre nel mondo qualcosa che non è accessibile ad altri modi di conoscenza» 5.

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a Baumgarten solo per il tramite di un profondo ripensamento del progetto filosofico della modernità, rimettendo in questione il criterio cartesiano della chiarezza e distinzione della conoscenza e così condu-cendo a riarticolarlo analiticamente tanto in relazione ai criteri della verità che alla strumentazione metodologica di cui la mente umana si serve per elaborare le proprie forme di conoscenza. La teorizzazione della bellezza come “perfezione della conoscenza sensibile in quanto

tale” 6 e dunque l’affiancamento di un altro possibile ordine delle ve-rità a quello della logica dell’intelletto, apriva il campo a una pluralità di criteri di perfezione della conoscenza 7, e trovava rispondenza sul piano dell’organon, della strumentazione filosofica, nella creazione di una disciplina estetica che veniva ad affiancarsi alla logica tradizionale, modernamente sempre più volta in direzione della ricerca scientifica.

Ed è proprio a partire da una profonda riflessione sui fondamen-ti teorici e sulla metodologia della ricerca scienfondamen-tifica contemporanea che l’estetica è anzitutto chiamata, secondo Böhme, ad assicurare la necessaria articolazione concettuale e dunque pregnanza di discorso filosofico a una forma di sapere profondamente alternativa, appunto sul piano metodologico, nei confronti del corso maggiore della scienza moderna e della settorializzazione del concetto di esperienza cui essa conduce.

Una lunga serie di lavori portati avanti da Böhme nel corso degli anni Sessanta e Settanta, e specie all’epoca della sua collaborazione con lo Institut zur Erforschung der Lebensbedingungen der

wissenschaftlich-technischen Welt, diretto da Jürgen Habermas e da Carl Friedrich von

Weizsäcker, ci aiuta a comprendere il senso della proposta del nostro; una proposta, tanto andrà anticipato, che nasce da una riflessione quan-to mai attenta sul mequan-todo delle scienze contemporanee, e che giusquan-to nel cuore di quei procedimenti metodici rintraccia le aperture in direzione di una differente organizzazione del sapere.

Già a partire dal libro del 1966 Über die Zeitmodi il senso del per-corso di Böhme appare d’altronde definito con la massima chiarezza:

Über die Zeitmodi si occupa delle variazioni intervenute nel concetto di

tempo a seguito della moderna fisica quantistica, prendendo sostanzial-mente le mosse da Der zweite Hauptsatz und der Unterschied von

Ver-gangenheit und Zukunft 8, un celebre lavoro del 1939 di Carl Friedrich von Weizsäcker, allora giovane allievo di Heisenberg e Bohr. In parallelo col dibattito della fisica quantistica, un’analisi delle funzioni grammati-cali del verbo era chiamata nel volumetto del 1966 a prospettare, «con costante riferimento ai fenomeni del comportamento quotidiano» 9, il nesso delle strutture temporali su cui si articola la comprensione del tempo propria della coscienza naturale.

Il rapporto fra scientifizzazione e mediazione tecnica dell’esperienza, da una parte, e “mondo della vita”, dall’altra 10, deve essere elaborato nella concretezza di determinate Fallstudien, nei punti salienti della

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sperimentazione teorica a partire dai quali si determina la metodologia delle singole scienze 11, e non potrà che guidare a tematizzare con parti-colare attenzione quei momenti in cui emergono forme di elaborazione scientifica dell’esperienza divergenti dal «superparadigma della scienza naturale» 12 moderna. Se, come osserva Böhme nell’importante Die

Ve-rwissenschaftlichung der Erfahrung 13, la scienza naturale moderna «non è un’immediata prosecuzione dell’esperienza del mondo della vita», istituendo anzi nei confronti di questa una necessaria discontinuità, emancipandosene in direzione di «ambiti fenomenici che non sono in generale accessibili all’esperienza del mondo della vita», ciò avviene per-ché, a differenza dell’altra, quella propria delle scienze naturali «non è più percezione (Wahrnehmung), ma esperienza mediata da un apparato tecnico (apparative Erfahrung)».

Tanto più significativa allora la progressiva differenziazione meto-dologica dei discorsi scientifici che ha luogo nella modernità; non è un caso che proprio a Carl Friedrich von Weizsäcker Böhme dedichi nel 1977, l’anno in cui lascia l’Istituto da questi diretto, un saggio sulla

Teoria dei colori di Goethe 14, presentata come esempio di una scienza

della percezione che costituisce una decisa «alternativa al di fuori del mainstream della scienza naturale moderna» 15 rappresentata, nel caso specifico, dalla teoria newtoniana del colore.

Almeno tre passaggi dell’argomentazione di Böhme sul modello di scienza prospettato dalla Farbenlehre risultano anche ai nostri fini del più grande interesse: anzitutto, osserva Böhme, ben al di qua della concreta articolazione delle rispettive teorie, Goethe e Newton vengo-no guidati da un differente interesse covengo-noscitivo (Erkenntnisinteresse), orientato da un diverso rapporto con la prassi 16: a esser tematizzate da Goethe saranno in primo luogo le condizioni per il manifestarsi dei co-lori e saranno appunto tali condizioni, empiriche, a guidare la teoria. In secondo luogo – e ciò come vedremo determina per intero il discorso estetologico di Böhme – il concentrarsi dell’interesse conoscitivo sulla “manifestatività” pone decisamente in secondo piano la discussione “moderna” sulle qualità primarie e secondarie. Böhme non tarda a coglierne conseguenze di ancor più ampia portata: «i colori […] non appartengono né all’ordine della res extensa né a quello della res cogi-tans, […] non sono né qualcosa di oggettivo né qualcosa di soggettivo, ma piuttosto […] si danno condizioni oggettive e soggettive per il loro manifestarsi. La teoria di Goethe prende su di sé l’impegno di indicare in modo sistematico tali condizioni» 17. In ultimo, la centralità del ri-ferimento storico: la storia della scienza, delle alternative metodiche in cui essa si costruisce, è essa stessa la scienza 18, con il suo ineliminabile pluralismo metodologico 19 e con le complesse motivazioni in ordine alle mutazioni di paradigma che in essa hanno luogo.

Fermiamoci subito per schizzare brevemente la genesi di questo nesso fra l’interesse conoscitivo e quella che possiamo senz’altro iniziare

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a chiamare la prassi o anche il lavoro estetico. Il concetto di

Erkennt-nisinteresse si lega – probabilmente per il tramite di Habermas 20 – al pensiero di Erich Rothacker 21: sulla base della distinzione fra

lebens-praktisches Bewu�tsein Bewu�tsein, la coscienza pratica che opera nel mondo

del-la vita sempre orientandosi “in situazione”, e wissenschaftspraktisches

Bewu�tsein, ovvero l’attività della soggettività propriamente volta alla

“identificazione logica” e dunque alla costruzione delle scienze rigoro-se 22 – attività essa stessa eminentemente “pratica”, a giudizio di Rothac-ker, in quanto sempre relativa a un determinato obiettivo conoscitivo storicamente e problematicamente determinato, sempre relativa, nella terminologia di Rothacker, a una determinata “dogmatica” 23 – Rothac-ker giunge all’enucleazione di tre “leggi della coscienza”, fra le quali ha particolare risalto la terza, il Satz der Bedeutsamkeit o “principio di significatività” che afferma il carattere selettivo dell’attività con cui la coscienza attribuisce senso alla realtà sulla base di un determinato interesse, conoscitivo in senso lato, ovvero un interesse da intendere in primo luogo come un nesso vitale che lega un soggetto storicamente e culturalmente determinato a qualcosa 24. Rothacker parla di «costitu-zione di isole di senso per mezzo della assun«costitu-zione di interesse» 25, e il carattere pratico dell’interesse sta appunto in questa funzione costrut-tiva di senso, e dunque, per quanto riguarda la sfera del

lebensprakti-sches Bewu�tsein, nella peculiare creatività dell’intuizione sensibile. In

parallelo con la hegeliana Arbeit des Begriffs si potrà senz’altro parlare – propone Rothacker 26 sulla scia di una serie di riferimenti giocati nell’essenziale sulla linea da Schopenhauer a Fiedler e sino a Klee – di una Erarbeitung der Anschauung, di una elaborazione dell’intuizione che avviene in primo luogo nell’ambito della corporeità e della rela-zione sensibile fra l’uomo e la realtà, scaricandosi quindi nel lavoro interpretativo del mito 27, e trovando infine un momento di particolare chiarificazione nella sfera propriamente artistica.

L’interesse di Goethe per le condizioni del manifestarsi dei colori, e torniamo così alle teorie di Böhme, conduce all’elaborazione di un

sapere sistematico a partire dalla costruzione del senso propria della

prassi artistica: si tratterà dunque di un sapere scientifico, non già concepito secondo il modello della apparative Erfahrung della scienza naturale moderna, ma nel senso di una scienza della percezione, di una scienza delle condizioni oggettive e soggettive insieme del darsi del fenomeno estetico del colore 28. Quando, vent’anni più tardi, Böh- Böh-me attribuirà alla nuova estetica il compito di elaborare un concetto attribuirà alla nuova estetica il compito di elaborare un concetto capace di «dar conto del peculiare stato intermedio delle atmosfere fra soggetto e oggetto» 29, non farà che proseguire lo stesso progetto, traendo ogni implicazione dalla valenza in senso proprio ambientale delle strutture di senso in cui si danno i “fenomeni intermedi” del-l’esperienza sensibile.



della natura all’interno della quale la configurazione espressiva

(Aus-drucksgestalt) è rilevante nel nesso naturale e i colori sono un

feno-meno fra soggetto e oggetto, una realtà in cui si uniscono il visibile e l’occhio che vede. I colori sono azioni della luce, come dice Goethe,

energeia» 30.

«L’interesse conoscitivo plasma i metodi della conoscenza e con essi ciò che viene conosciuto» 31, scrive Böhme ritornando nel 1980 ai risultati del saggio sulla Farbenlehre; ne deriva la necessità di lavorare sulle alternative della scienza, di tenere aperto un pluralismo metodolo-gico che permetta di intendere la scientificità di quelle forme di sapere che – piuttosto che alla modificazione tecnica della natura cui mira il sapere produttivo (Produktionswissen) della scienza naturale moder-na – servono all’orientamento (Orientierungswissen) all’interno di un ordine naturale dato e a teorizzare i fenomeni naturali non solo nelle loro reciproche relazioni, ma anzitutto nel loro rapporto con l’uomo, così prefigurando «un’altra relazione con la natura e dell’uomo con se stesso» 32.

Gli aspetti indubbiamente un po’ ingenuamente “ambientalistici” di questa contrapposizione fra sapere produttivo e sapere d’orientamen-to vengono ben presd’orientamen-to superati da Böhme grazie all’approfondimend’orientamen-to concettuale del significato della relazione ambientale, nel senso di una ripresa del concetto di Umwelt nella sua accezione originaria, quale si trova nella biologia teoretica di Jakob von Uexküll: struttura biologica (Bauplan) e ambiente di vita della specie stanno fra loro in relazione di corrispondenza; il concetto di ambiente (Umwelt) si determina in quanto unità strutturale di mondo percettivo e mondo dell’agire della determinata specie 33. In una considerazione ambientale, dirà Gehlen ripensando la lezione di Uexküll, «il soggetto degli eventi non è, per così dire, né un individuo né una specie, bensì un rapporto tra specie e ambiente o, per dir meglio, un’interconnessione di varie specie e di vari ambienti» 34. Proprio in questo senso, nell’Aisthetik, Böhme parlerà di estetica della natura in quanto «questione della relazione fra qualità ambientali e condizione (Befindlichkeit) umana» 35, intendendo la

Be-findlichkeit come la disposizione dell’io nell’atto percettivo prima che

avvenga in senso pieno la separazione fra il polo soggettivo e il polo oggettivo 36, e dirà che problema peculiare della nuova estetica è quello legato alla «messa in forma (Gestaltung) di un ambiente umano» 37.

“Orientamento” e “produzione” formano dunque un’endiadi – pro-prio come percezione e movimento sul piano della determinazione an-tropologica dell’agire umano 38 – e una scienza della percezione sarà elaborazione metodica di un sapere sulle configurazioni espressive della realtà 39.

Torniamo così al nesso fra interesse, prassi e scienza della perce-zione, per ritrovarne un’ulteriore decisiva stazione teorica nella



di Praxis servirà a teorizzare le relazioni fra atmosfera, condizioni del suo sorgere e analisi della sua produzione; non entrerò in questa sede in un’analisi di questo scritto, per limitarmi a sottolineare una svolta, o piuttosto un chiarimento importante che a partire da esso s’impone alla riflessione di Böhme: in una rinnovata fenomenologia della perce-zione ambientale quello di atmosfera vale come concetto antropologico centrale, risultando tuttavia realmente suscettibile di analisi soltanto in quanto concetto estetico.

Possiamo finalmente ritornare a Baumgarten e al ruolo che Böhme gli attribuisce nella storia della scienza estetica e delle sue alternative disciplinari: decisivo nel progetto baumgarteniano è evidentemente per Böhme anzitutto il fatto che l’analisi delle condizioni dell’esperienza sensibile venga sviluppata in forma di scienza; ciò potrà aprire, fran-camente al di là delle intenzioni dello stesso Baumgarten, all’elabora-zione di un diverso modello di scienza delle interazioni fra l’uomo e la natura 41: «l’estetica come teoria della percezione scopre dunque un tratto fondamentale della natura che sfugge alla scienza naturale, a ogni modo a quella moderna. Nella percezione la natura ci viene incontro come percepibile, essa è, con il termine greco, aistheton» 42.

Altrettanto decisivo è però il procedimento metodico con cui l’esi-genza di un sapere sulla sensibilità diviene in Baumgarten scienza in senso forte; ovvero, come si diceva all’inizio di queste note, l’intreccio fra la questione metodologica dell’estetico e la fondazione sistematica della scienza estetica come nuova articolazione dell’organon.

Riprendendo dunque, nei modi e per le ragioni assolutamente pe-culiari che siamo andati esaminando, l’intenzione teorica baumgarte-niana – direi proprio in senso specifico quanto al profondo innesto fra dimensione metodologica e progetto sistematico – Böhme afferma che il discorso estetologico non potrà porsi come l’applicazione di un determinato impianto metodologico o di un programma di ricerca a “problemi estetici”, ma dovrà piuttosto sviluppare a partire dai pro-blemi stessi un impianto concettuale e una terminologia a essi ade-guata 43. Con questo gesto, Böhme si pone risolutamente nel segno della fenomenologia di Hermann Schmitz, riprendendo in maniera piuttosto evidente il concetto di sistema da questi elaborato e posto a fondamento della propria ricerca: l’Aisthetik avrà carattere sistematico, a giudizio di Böhme, «in quanto essa a partire dalle situazioni proble-matiche attualmente urgenti del proprio campo di lavoro e a seguito di tali problemi sviluppa passo dopo passo la propria concettualità» 44. Doppiamente pertinente risulterà allora l’esempio storico di Baumgar-ten, se è vero che l’incrocio fra il problema metodologico dell’estetico e lo sviluppo sistematico della disciplina estetica è reso possibile in Baumgarten dalla teorizzazione, di origine aristotelica, delle arti come forme del sapere.



definitiva possibile per Böhme solo a partire dai fatti estetici (e in questo senso si fa valere il carattere di testimonianza degli ordini del sensibile che le opere d’arte rivestono per la prospettiva dell’Aisthetik), ciò che qui particolarmente interessa – ciò che apre in senso proprio la prospettiva del lavoro estetico – è il carattere produttivo del sapere artistico 45; Böhme valorizza in questo senso l’affermazione di Meier per cui le belle arti e scienze consistono in una forma di conoscenza «secondo la quale determinate azioni vengono eseguite in una minata maniera, e secondo la quale viene prodotto o meno un deter-minato specifico oggetto» 46: l’opera d’arte, ne conclude Böhme, «è l’oggettivazione di una conoscenza» 47.

Davvero eroico, nell’Aisthetik, il tentativo di Böhme di indicare i tratti salienti dell’elaborazione estetica delle atmosfere, a partire dal-l’individuazione, sulla scorta del dibattito settecentesco sulla fisiogno-mica, di una serie di “caratteri delle atmosfere” che, complessivamente considerati 48, conducono – direi – a valorizzare l’immanenza nelle atmosfere di un movimento espressivo che attraversa l’intera relazione ambientale fra soggetto e oggetto, fra colui che percepisce e la confi-gurazione percepita; in corrispondenza dei caratteri, Böhme si sforza anche di indicare una serie di elementi generatori (Erzeugende), che saranno in ultima analisi l’oggetto specifico del lavoro estetico tanto nel campo delle arti tradizionalmente intese quanto e soprattutto nei “nuovi” ambiti del design, della pubblicità, della moda, della cosme-tica, dell’architettura d’interni, o ancora, ad esempio, della musica ambientale 49. E qui ancora Böhme parlerà ad esempio di gestualità e fisionomia in rapporto al carattere comunicativo delle atmosfere, di configurazione delle forme e dei volumi in rapporto alle impressioni motorie legate al carattere emotivo delle atmosfere 50.

Il lavoro estetico consiste dunque nella produzione di strategie vol-te all’oggettivazione della conoscenza sensibile, e tale oggettivazione, tale messa in forma delle configurazioni espressive della realtà (cioè, secondo la terminologia di Böhme, delle atmosfere), si definisce con Baumgarten perfezionamento della conoscenza sensibile: «Chiunque dispone della conoscenza sensibile, ed essa è di grande significato nella vita quotidiana. L’estetica serve al perfezionamento di questa conoscen-za; in quanto perfetta la conoscenza sensibile è arte» 51.

Nel cuore di tale strategia di perfezionamento sta per Baumgarten il ripensamento filosofico della retorica, la costruzione di una teoria dell’argomentazione estetica. La percezione sensibile può stare al cen-tro dell’estetica di Baumgarten solo in quanto la retorica permette di riconoscerla capace di un’autonoma strategia conoscitiva di perfezio-namento. L’argomentazione estetica ha luogo per Baumgarten nell’ar-ticolazione di un nesso di percezioni sensibili, e la retorica illustra le regole strutturali per il cui tramite avviene il perfezionamento della conoscenza sensibile cui tutta intera l’estetica è finalizzata 52.

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Böhme giunge a equiparare il concetto di lavoro estetico a quello di retorica, e ciò in due accezioni diverse: per un verso al fine di sot-tolineare l’intonazione affettiva, emozionale, dell’esperienza ambientale della configurazione dell’oggetto estetico 53, per l’altro verso nella con-clusiva articolazione del lavoro estetico nei due versanti della prassi e della critica estetica 54.

Per quanto Böhme, nel suo ripensamento sistematico dell’estetica di Baumgarten, finisca col cogliere in modo sempre piuttosto parziale il ruolo chiave giocato dalla retorica, e in specie dalla teoria dell’ar-gomentazione, la retorica gioca di fatto un ruolo di primo piano nel discorso estetico di Böhme; per fare un unico esempio, la polarità poc’anzi brevemente schizzata fra carattere comunicativo e carattere emotivo delle atmosfere rinvia senz’altro alla polarità retorica fra ethos e pathos, del resto essa stessa ampiamente adombrata in alcune del-le sue conseguenze storicamente più pervasive nella compdel-lementarità sviluppata da Böhme fra prassi e critica estetica.

Straordinaria pervasività del paradigma retorico: secondo il

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