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M ETAMORFOSI COSTITUZIONALI E TRANSIZIONE FEDERALE NELLA CORNICE STATUALE NEO LIBERALE

SOMMARIO:3.1.Il ‘Nuovo Corso’ del diritto costituzionale statunitense: l’avvento del modello democratico- sociale; - 3.2. La Corte Suprema ‘reinventa’ la interstate commerce clause: la “metamorfosi costituzionale” del 1937 - 3.3. Dalla “libertà dei moderni alla libertà degli antichi”: la rivoluzione della Corte di Earl Warren; - 3.4. L’applicazione della Commerce Clause nel caso Five Gambling Devices del 1953 e la mutata tutela delle libertà economiche; - 3.5. Il passaggio dal federalismo duale …; - 3.6. … ad un modello di federalismo cooperativo; 3.6.1 La preemption doctrine o dottrina della prevenzione federale.

3.1 Il ‘Nuovo Corso’ del diritto costituzionale statunitense: l’avvento del modello democratico- sociale

Il periodo del liberalismo maturo aveva condotto ad un notevole fiorire dell’attività di impresa e alla crescita dimensionale del mercato nazionale statunitense, consentendo un aumento della ricchezza complessiva e del tenore di vita collettivo. Ma il maggiore benessere economico raggiunto camminava di pari passo con le conseguenze negative dei cicli economici recessivi, dei fallimenti del libero mercato e della conflittualità sociale sempre più elevata. La scarsa presenza dello Stato nei vari settori di una economia industrializzata, schiacciata dall’imperativo liberale dell’astensionismo pubblico, aveva contribuito a radicalizzare la virulenza delle fasi di crisi che presentavano una rapida propagazione intra-sistemica. Non solo, lo sviluppo di scambi commerciali su scala globale aveva provocato, sovente, un effetto domino che si dispiegava nel seno di più ampi mercati, non solo nazionali.

Il dogma liberale classico, stigmatizzato nell’immagine di un mercato libero e ‘perfettamente concorrenziale’, aveva iniziato a vacillare già alla fine del XIX secolo, quando emerse che la formazione dei prezzi non sempre era frutto del libero incontro della domanda e dell’offerta, ma era, spesso, conseguenza di orchestrazioni ordite da ristretti gruppi di imprese che dominavano il mercato di riferimento. La mano invisibile mostrò, in più occasioni, la sua inattitudine a correggere le deviazioni ed i fallimenti provocati dalla concentrazione monopolistica ed oligopolistica, inducendo il legislatore federale a stilare i primi interventi normativi ordinari in materia di commercio interstatale, di disciplina antitrust e di ordinamento del credito. Ad un ruolo federale più

attivo rispetto al passato, fece da contraltare una speculare produzione legislativa statale che, in talune circostanze, restrinse la libertà di iniziativa economica dei privati in ragione di esigenze di

public policy di natura generale. La Costituzione liberale consentì, inoltre, l’esercizio in forma

associata dell’attività economica col beneficio della responsabilità limitata ai soli capitali investiti. La notevole industrializzazione della società aveva favorito l’ascesa, sulla scena economica, del big

business che ebbe modo di ramificare il proprio potere di controllo del mercato e di ottenere un

trattamento privilegiato da parte dei maggiori enti creditizi.

Una siffatta concentrazione di potere economico in capo ad un ristretto numero di soggetti privati, non solo indusse l’apparato dei pubblici poteri a stilare discipline più minuziose, ma addirittura ad ascrivere rilevanza penale alle condotte anticoncorrenziali più gravi. L’accresciuta disciplina normativa del settore fu seguita dall’istituzione delle prime autorità amministrative indipendenti, con compiti di viglilanza e sanzionatori che inaugureranno la stagione dell’administrative law negli Stati Uniti d’America. L’estremizzazione dell’ideale ottocentesco del libero esercizio delle iniziative economiche aveva condotto al sorgere della questione operaia e dello sfruttamento della manodopera minorile e femminile nelle fabbriche, favorendo l’ascesa delle labor unions e dell’azione sindacale, preludio per la formazione della disciplina giuridica del diritto del lavoro. Infatti, lo sviluppo repentino della produzione industriale aveva aumentato il numero dei lavoratori dipendenti, riducendo il peso sociale dell’artigianato, della piccola proprietà contadina, del lavoro autonomo e delle piccole imprese. Il sorgere della questione operaia aveva provocato echi diversi nel territorio europeo, laddove lo sviluppo del movimento politico socialista si era reso il portavoce ideologico della complessa condizione delle classi lavoratrici impiegate nelle fabbriche. Si era creato un forte intreccio tra partiti politici e sindacati. In Gran Bretagna il movimento sindacale delle Trade Unions aveva costituito la premessa per la creazione del Labour Party, mentre nell’Europa continentale, in modo inverso, fu il movimento socialista a condurre alla formazione delle prime organizzazioni sindacali1. Negli Stati Uniti, invece, non vi fu mai una notevole diffusione del movimento socialista, piuttosto si diffuse un sentimento di avversione nei confronti di tale ideologia. Anche la formazione di partiti di ispirazione socialista ebbe scarso successo, mentre i sindacati decisero di mantenere un ruolo scisso e separato dal mondo politico e dalle organizzazioni di partito, battendosi solo per un miglioramento delle condizioni lavorative, seppur

1 Basti pensare che in Italia il partito socialista era sorto, seppur con diversa denominazione nel 1892, mentre la

Confederazione Generale Italiana del Lavoro, meglio nota come CGIL, sorse nel 1906. In sostanza, nei Paesi latini il movimento ideologico e politico ha preceduto lo sviluppo del movimento sindacale che si è posto come proiezione di una inizativa dei soggetti politici. I differenti trends evolutivi dei rapporti tra sfera poltica e sindacale riflettono le differenti mentalità, ideologizzata quella dei latini, più empirica quella degli anglosassoni. Sul punto, D.L.HOROWITZ,Il movimento sindacale in Italia, Bologna, 1963.

con tante difficoltà ed ostruzionismi2. I primi segnali di ripudio dell’ideologia liberale si colsero nel pensiero di John Dewey che rifuggiva ogni acritico fideismo nei confronti del giusnaturalismo e della dottrina del laissez-faire, cogliendo nello sperimentalismo l’esaltazione della democrazia intesa quale processo politico aperto, non soggetto a principi che ne riducevano le possibilità applicative da sperimentare3.

Nei tardi anni ’20 giunse a maturazione la corrente giusrealista che si impegnò a distinguere tra l’is e l’ought del diritto, scindendo in modo puntuale il piano descrittivo da quello prescrittivo del fenomeno giuridico, utilizzando il discrimen tra essere e dover essere. La rivoluzione realista giunse a sconfessare i presupposti teorici di un eccessivo formalismo giuridico che rischiava di incorniciare i disposti normativi in uno spazio teorico non aderente a quello reale, giungendo a concepire il diritto come non altro che “la previsione di quanto faranno le corti”4.

L’affermarsi, sul piano sociale, di una “personalità eterodiretta” che si sostituì gradualmente ad una “personalità autodiretta”, contribuì allo sviluppo di una nuova cultura, favorevole ad un intervento regolatorio pubblico e consentì un progressivo sviluppo dell’azione statale5. Non è mancato chi, in

2 L’assenza di una ideologia socialista organizzata in partiti stabili condizionò molto le modalità di affermazione del

modello democratico-sociale in territorio americano. Non si può neppure ritenere socialista, nel senso proprio del termine, il programma fiscale di Henry George o la critica alle degenerazioni del capitalismo, mossa da Thorstein Veblen. Quest’ultimo giunse a distinguere tra le classi agiate dei capitalisti e quelle degli industriali, ossia tra cultura umanistica e cultura tecnologica, la prima generatrice di ozio, la seconda costituente l’unica ragione del progresso e dell’efficienza del sistema produttivo. In particolare, T.VEBLEN,The Theory of a Leisure Class, New York, rist. 1934, pp. 5 e ss. Tra le altre rilevanti di Veblen si annoverano La teoria dell’impresa commerciale del 1904 e L’istinto lavorativo e lo stato delle arti industriali del 1914. George, invece, pubblicò la sua prima opera nel 1879, e, precorrendo i tempi, dichiarò che: “The tendency of what we call material progress is in nowwise to improve the condition of the lowest class in the essentials of healths, happy human life”, attraverso corrette discipline normative in materia di eque condizioni reddituali dei lavoratori, destinate ad arginare la depressione cagionata, in quegli anni, dalla crisi del settore industriale. In particolare, H.GEORGE,Progress & Poverty, rist., New York, 1929, p. 7.

3 Per una disamina analitica del pensiero di John Dewey, si rimanda al contributo di R.A.POSNER,Law, Pragmatism,

and Democracy, Cambridge, Massachusetts, 2003, pp. 99 e ss., il quale indaga i passaggi deweiani di transizione da una democrazia epistemica ad una deliberativa. Grazie a questi contributi ideologici si diffonderà negli Stati Uniti, una cultura liberal che si contrapporrà efficacemente a quella conservative.

4 L’espressione sintetizza la teoria predittiva del diritto elaborata da O.W. Holmes ed è consultabile nell’opera O.W.

HOLMES,“La via del diritto (1897)”, in Opinioni dissenzienti, (a cura di C. Geraci), Milano, 1975, pp. 275 e s. La corrente di pensiero giusrealista, che conobbe, tra i suoi maggiori esponenti, John Dewey, Charles Pierce, William James, Karl Llewellyn, Jerome Frank, Oliver Wendell Holmes e Roscoe Pound, utilizzava un criterio di indagine del dato normativo che muoveva dal caso concreto, piuttosto che dal tessuto astratto delle norme giuridiche, privilegiando un’analisi degli interessi in gioco emergenti dei singoli casi concreti, piuttosto che una rigida sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, prevista dalla norma. Il giusrealismo, con Jerome Frank, giunse, in modo estremo, a negare la normatività del diritto, sancendo la preesistenza della decisione alla disposizione e concependo il comportamento giudiziario come il risultato di una intuizione, piuttosto che di un’argomentazione che elideva il rischio di creare una scienza geometrica del diritto. Llewellyn, invece, si mostrò più cauto e ricondusse la tradizione giudiziaria nel perimetro della common law, ripudiando il ricorso ad argomenti extra-giuridici nell’adozione della decisione, a scanso di derive arbitrarie. Sul punto, A.T.KRONMAN,The Lost Lawyer, Cambridge-London, 1995, p. 211, il quale

ritiene che, tra le virtù caratteriali del giurista, vi sia la nozione aristotelica di prudence, ossia la capacità di essere giusti. A conclusioni difformi pervenne la corrente giurealista scandinava di Karl Olivecrona e Alf Ross, sostenitori dell’immagine di un diritto oggettivo inteso quale macchina che funzionava anche grazie alla introiezione psicologica dei cittadini. Sul punto, S.CASTIGLIONE,La macchina del diritto. Il realismo giuridico in Svezia, Milano, 1974.

5Thomas Jefferson rinveniva nella sviluppo della democrazia industriale i segnali della crisi e del tramonto

dell’ideologia liberale. Come rileva Bognetti, molti studi sociologici avevano messo in evidenza come il modello di produzione industriale avesse sostituito ad una personalità autodiretta, tipica delle società agricolo-commerciali, una

dottrina, abbia ravvisato tra gli elementi di passaggio dallo Stato liberale a quello sociale l’introduzione del suffragio universale che permise la transizione da uno Stato monoclasse, quale quello borghese, ad uno Stato pluriclasse, al servizio degli interessi delle categorie più deboli6. Ma siffatta concezione si attrasse le critiche di chi non considerava la Stato liberale in funzione servente agli interessi della sola borghesia e non reputava il modello liberale incompatibile con il suffragio universale, dal momento che negli Stati Uniti la generalità dei cittadini maschi godeva del diritto di voto sin dai primi anni dell’ ‘8007. Per tale motivo, parte della dottrina giunge a ripudiare la distinzione tra democrazia governata e democrazia governante, quali metafore di distinzione tra il modello liberale e il modello democratico-sociale8.

Risulta evidente che la democrazia sociale realizzatasi in Europa, nel corso del XX secolo, presenti dei tratti caratteristici che la rendono profondamente diversa da quella che riceverà consacrazione sul suolo nordamericano.

In Gran Bretagna, all’indomani del Secondo Conflitto mondiale, si era affermato un maturo welfare

state che contava sulla presenza di una legislazione in materia di servizio sanitario, di sistema

previdenziale, di sussidi contro la disoccupazione e di un sistema fiscale altamente progressivo, con alte aliquote dell’income tax per i redditi più elevati, nella cornice di una Costituzione non scritta. Mutò il modo di concepire la rule of law che, da strumento di autolimitazione dell’azione statale nei confronti della sfera decisionale privata, si trasformò in mezzo per controllare la legittimità dell’azione della pubblica amministrazione9. In modo difforme, il modello democratico-sociale si personalità eterodiretta, abituata ad inserirsi in organizzazioni precostituite e a rivendicare minore autonomia d’azione rispetto al passato. Era chiaro che, nel primo caso, l’astensionismo dello Stato fosse necessario; mentre nel secondo, si faceva strada una mentalità aperta ad un intervento pubblico regolatorio. L’autore, in tal modo, sintetizzava efficacemente il pensiero dello studioso Riesman. In particolare, G. BOGNETTI, Lo spirito del costituzionalsimo

americano. La Costituzione democratica, Vol. II, Torino, 2000, p. 18.

6 In particolare, M.S.GIANNINI,Diritto amministrativo, Vol.II, Milano, 1970.

7 Indubbiamente, il suffragio universale è un fattore rilevante nella configurazione della forma di Stato, ma contribuisce

a mutarne il volto e la struttura solo congiuntamente ad altri fattori di ordine culturale, politico e socio-economico. Come rileva Bognetti, il suffragio universale non era il fattore decisivo, visto che l’interventismo sociale dello Stato si era sviluppato, nel corso del Novecento, anche in seno ad ordinamenti autoritari che negavano il diritto di voto a determinate categorie di individui. Inoltre, il riconoscimento del suffragio universale a favore della collettività non avrebbe certo impedito il superamento dello stesso modello democratico-sociale. In particolare, G.BOGNETTI,Lo spirito

del costituzionalsimo americano … cit., p. 19.

8 Occorre, del resto, precisare che l’allargamento del suffragio, tra il 1920 ed il 1950, avvenne molto gradualmente. Nel

1920, il 20 per cento degli americani adulti era nato all’estero, era privo della cittadinanza americana e come tale, del diritto di voto. A tale percentuale, occorre aggiungere quella di afroamericani residenti nel Sud che erano privi dei diritti politici. Fu solo in seguito all’introduzione di severi limiti ai fenomeni migratori, nel 1924, che si ridusse la percentuale di individui privi del diritto di voto. Dal 1940 al 1950, la percentuale di immigrati era scesa dal 13 al 10 per cento, e oltre il 60 per cento dei medesimi era stato naturalizzato, potendo così esercitare il diritto di voto. Il riconoscimento del diritto di voto a favore degli afroamericani, invece, avvenne solo nel 1964. Risulta incontrovertibile che la fascia di elettorato, formatasi negli anni ’20 e ’30, compredesse i gruppi sociali più deboli, molti, comprensivi di iscritti ai sindacati che offrirono un largo consenso al programma politico democratico. Ciò a dimostrazione della lentezza con cui, negli Stati Uniti, avvenne l’allargamento del suffragio. Sul punto, P.KRUGMAN,La coscienza di un liberal, Bari,

2008, pp. 61 e ss.

9 In materia di nozione della rule of law, di grande rilievo, fu la concezione elaborata da Dicey che influenzò le

diffuse sul territorio dell’Europa continentale che, all’indomani della Seconda Guerra mondiale, contava sulla presenza di Testi costituzionali scritti di pregevole contenuto, custodi di lunghe elencazioni di diritti e concilianti la materia economica con sempre più composite finalità sociali10. La stagione del costituzionalismo scritto seguiva una fiorente epoca di codificazione del diritto privato e del diritto penale che avevano contribuito ad una sistematizzazione organica di istituti e categorie giuridiche complesse11. Il modello democratico-sociale, nell’Europa continentale, presentò differenti sfumature a seconda del contesto socio-politico di affermazione e conobbe difformi applicazioni anche in ragione della diversità delle forme di governo in auge nei singoli Paesi. In un simile scenario, lo Stato assunse un volto nuovo, di imprenditore, di regolatore e di fornitore di servizi da destinare a favore della collettività12. L’affermarsi del modello democratico- della rule of law e la crescita della regulation, per via amministrativa. Come rileva Horwitz, Dicey non solo tendeva ad identificare tutte le forme di regulation con il socialismo, ma anche a rappresentare lo stato amministrativo come un nemico perennne della legalità. In una serie di lectures tenute alla Harvard Law School, nel 1898, attaccò le leggi inglesi sulle fabbriche come segni preminitori del socialismo. Egli sosteneva un ideale della rule of law radicata nel laissez-faire ed inconciliabile con la figura del welfare state regolatore, corollario della giurispridenza della futura era Lochner. Una condanna allo stato amministrativo venne anche dal Chief Justice inglese, lord Hewart, il quale nel libro The New Dispotism del 1929 condannò la crescita della pubblica amministrazione. Nonostante tutto, Hewart non pervenne mai al radicalismo di Dicey ed elogiò sotto taluni aspetti il sistema di droit administratif francese. Entrambi, però, identificavano la rule of law con le sentenze emesse dalle Corti di common law, considerata, a pieno titolo, la law of the land . Non si può non rammentare, in tale sede, l’attacco sferrato dal viennese Friedrick von Hayek, di fede liberale, allo stato amministrativo. Nell’opera La via della schiavitù del 1944, Hayek, riteneva la nascita del socialismo incompatibile con ogni forma di legalità e affermò che il problema del socialismo risiedeva nella circostanza secondo la quale per raggiungere fini legittimi, “l’imprenditore che lavora per il profitto viene rimpiazzato da un organismo centrale di pianificazione”. A parere di Hayek, una pianificazione economica centralizzata e la libera concorrenza sono due entità antinomiche. L’autore nell’opera La programmazione e la rule of law, sconfessò perfino il pensiero di Dicey, in merito al ruolo indispensabile delle Corti di common law. A suo parere, il significato più autentico della rule of law era associato al concetto di Rechsstaat tedesco dei primi anni del XIX secolo ed implicava che “il governo in tutte le sue attività è vincolato da norme giuridiche stabilite in precedenza”. In particolare, M.J.HORWITZ,La trasformazione del

diritto americano, 1870-1960, Bologna, 2004, pp. 426 e ss. e M.J.C.VILE,Constitutionalism and the Separation of

Powers, Indianapolis, 1998, pp. 259 e ss. e pp. 385 e ss. Per un’analisi del pensiero di Hayeck si rimanda al rilevante contributo di R.A.POSNER,Law, Pragmatism, and Democracy, Cambridge, Massachusetts, 2003, pp. 250 e ss. in cui si evidenzia come il diritto era considerato da Hayek uno strumento neutrale, generale ed astratto, che il liberalismo classico aveva affidato allo stato guardiano notturno.

10 Acuta dottrina ha sottolineato come la crisi e la trasformazione delle istituzioni libero-democratiche hanno largamente

coinvolto e trasformato lo Stato di diritto. Una nuova rappresentazione del fenomeno statuale era stata avviata dopo la Prima Guerra mondiale nella Repubblica di Weimar e nella Seconda Repubblica spagnola, che tentò di integrare i gruppi sociali nello Stato pluriclasse, ma si scontrò con le degenerazioni dei totalitarismi. Fu solo dopo il Secondo Conflitto mondiale che venne superato lo Stato agnostico delle democrazie liberali e delle libertà negative, segnando il passaggio verso lo Stato sociale che si proponeva di costituzionalizzare i diritti sociali, rimuovendo tutti quegli ostacoli, anche di ordine economico, che si frapponevano al godimento di quei diritti e di quelle libertà. In partcolare, A. REPOSO, Nascita, morte e trasfigurazione del costituzionalismo: appunti di un comparatista, in Anuario

Iberoamericano de Justicia Constitucional, No. 8 del 2004, p. 397

11 In particolare, Reposo rileva come: “nel ‘900, la Costituzione ha cominciato a presentarsi anche in Europa come un

raffinato sistema di tecniche giuridiche volte a disciplinare l’organizzazione politica e i diritti, efficacemente tutelati dalla giustizia costituzionale. Al processo di costituzionalizzazione delle fonti seguiva, infatti, l’abbamdono del primato attribuito alla legge nello Stato liberale e la sua subordinazione ao valori della Costituzione, così come interpretata dalle Corti costituzionali”. In particolare, A.REPOSO,“Nascita, morte e trasfigurazione del costituzionalismo: appunti di un comparatista”, in Anuario Iberoamericano de Justicia Constitucional, No. 8 del 2004, p. 397.

12 La Costituzione italiana include espressamente, accanto ai diritto politici e alle libertà civili, i diritti sociali della

persona e i principi dell’intervento dello Stato nell’economia, in virtù di un nutrito ed organico corpo di precetti che si compendiano nella fondamentale norma-principio dell’art. 3, comma 2, Cost. Il tentativo di compendiare le esigenze della proprietà privata con quelle sociali è facilmente intuibile dalla lettura del disposto dell’art. 41 Cost. La differenza

sociale, in Europa, avvenne in modo graduale, a cavallo dei due conflitti mondiali, e ricevette piena consacrazione, sul finire degli anni ’40, in Testi costituzionali che costituirono il ripudio delle tragiche degenerazioni dei regimi totalitari che giunsero alla radicale negazione dei valori più intimi inscritti nel genoma dell’umanità.

Anche negli Stati Uniti d’America, la metamorfosi costituzionale avvenne in ragione di circostanze eccezionali che misero a nudo i difetti e i limti del modello liberale. Fu così che la estremizzata protezione dei diritti di libertà economica, in particolare la libertà di impresa, di contratto e il diritto

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