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Il federalizing process tra dinamismo ed evoluzionismo negli Stati Uniti e nell'Unione europea : la commerce clause in prospettiva comparata

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INDICE

Introduzione………. ….... v

Parte I

GENESI E SVILUPPO DEL MODELLO FEDERALE STATUNITENSE Capitolo Primo

FEDERALIZING PROCESS E CONSTITUTIONAL TRENDS NEGLI STATI UNITI D’AMERICA DELLE ORIGINI

1.1 Genesi e crisi dell’originario assetto confederale………... 3 1.2 Il “Great Compromise” costituzionale del 1787 e l’introduzione della Interstate

Commerce Clause……… 14

1.3 Dinamiche economiche e struttura del mercato negli Stati Uniti d’America del XIX

secolo……….... 30

1.4 I concetti di “dual federalism” e di “ethos” liberale e loro prime applicazioni

pretorie………... 30

1.5 La Guerra Civile e l’avvio della transizione costituzionale verso il liberalismo

maturo………... 56

Capitolo Secondo

RINNOVATI EQUILIBRI TRA POTERI NELLA PROGRESSIVE ERA

2.1 Sviluppo industriale e libertà economica negli Stati Uniti d’America della

“Reconstrued Constitution”……….. 64

2.2 I concetti di “liberty” e di “property” nella cornice della due process of law Clause.. 71 2.3 La disciplina del commercio interstatale nell’era del liberalismo maturo e

l’emanazione dell’Interstate Commerce Commission Act……….... 87 2.3.1 Prime aperture pretorie nello sviluppo della dottrina della “corrente di

commercio”……… 98

2.4 Ascesa sul mercato del corporate business e legislazione federale antitrust… 104 2.5 Aspetti della realtà giuslavoristica nella Long Gilded Age: il caso Lochner v. New

York………... 120

2.5.1 Il declino del dogma del laissez-faire nella critica giusrealista nordamericana……… 127

Capitolo Terzo

METAMORFOSI COSTITUZIONALE E TRANSIZIONE FEDERALE NELLA CORNICE STATUALE NEO-LIBERALE

3.1 Il ‘Nuovo Corso’ del diritto costituzionale statunitense: l’avvento del modello democratico-sociale……….. 3.2 La Corte Suprema ‘reinventa’ la interstate commerce clause: la “metamorfosi

costituzionale” del 1937……… 3.3 Dalla “libertà dei moderni alla libertà degli antichi”: la rivoluzione della Corte di

Earl Warren………... 3.4 L’applicazione della Commerce Clause nel caso Five Gambling Devices del 1953 e

la mutata tutela delle libertà economiche……….. 3.5 Il passaggio dal federalismo duale……… 3.6 … ad un modello di federalismo cooperativo………...

135 153 165 174 180 190 3.6.1. La preemption doctrine o dottrina della prevenzione federale…... 194

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Capitolo Quarto

DALLA GREAT SOCIETY AI NEW FEDERALISMS: LA COMMERCE CLAUSE NELLA CORNICE DEL MUTAMENTO SOCIO-CULTURALE STATUNITENSE

4.1 “Nuova Frontiera” della politica statunitense nei mille giorni della Presidenza di John F. Kennedy………... 4.2 La “Great Society” e l’approvazione del Civil Rights Act: l’inaspettato intreccio con

l’interstate commerce clause……… 206 211 4.2.1 I concetti di New Property e di Welfare Rights nella “Guerra alla povertà” di

Lindon Johnson……….. 217

4.3 La Presidenza imperiale di Richard Nixon e i primi segnali di cambiamento istituzionale………... 4.4 Le intersezioni tra commercio interstatale e diritto penale nel corso degli anni

Settanta e la svolta negli equilibri federali nel caso National League Cities v.

Usery……….

4.5 Il New Federalism e la deregulation reaganiani degli anni ’80………. ……….. 225

232 237 4.5.1 La nozione di commercio interstatale nella federalism jurisprudence delle

Corti Burger e Renhquist………... 247

4.6 Attuali trends giurisprudenziali sul concetto di commercio interstatale………... 4.7 La nozione di dormant commerce clause e le sue dinamiche evolutive………... 254 261 4.8 Il ruolo peculiare dello Uniform Commercial Code………. 274

Parte II

IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA NELLE DINAMICHE EVOLUTIVE DEL MERCATO INTERNO

Capitolo Quinto

L’EUROPA DEI “PICCOLI PASSI” NELLA CORNICE DELLE TRE COMUNITÀ

5.1 L’Europa unita: un’idea sospesa tra mito e realtà………. 5.2 Il ruolo della Corte di Giustizia ovvero della costituzionalizzazione in via pretoria

dell’ordinamento comunitario………... 5.3 Il mercato comune delle merci……….. 5.4 La nozione di unione doganale……….

5.4.1 Raffronto tra fonti e discrimen sottile: l’art. 30 e l’art. 110 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione allo specchio…...

283 300 308 314 322 5.5 La teorizzazione della sfera applicativa dell’art. 34 nella formula

Dassonville……… 329

5.5.1 La nozione di esigenze imperative e di parallelismo funzionale nella sentenza

Cassis de Dijion………... 337 5.6 La libera circolazione delle merci, le fattispecie derogatorie ed i loro limiti………... 5.7 Fisiologica dinamica degli scambi commerciali e legislazione comunitaria

antitrust……….

346 353

Capitolo Sesto

L’UNIONE EUROPEA E LA NOZIONE DI MERCATO INTERNO: METAMORFOSI NEL SISTEMA

6.1 La “Grande Rivoluzione Tranquilla” nel Libro Bianco di Delors e l’approvazione dell’Atto Unico Europeo………... 6.2 L’Unione economica e monetaria nell’Europa di Maastricht degli anni

Novanta………. 367 384 6.2.1 L’enforcement delle politiche comunitarie nel Trattato di Amsterdam del

1997……… 390

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infranazionali di rilievo comunitario………. 6.4 Restrizioni quantitative alla libera circolazione delle merci e misure d’effetto

equivalente nelle realtà infrastatali……… 6.5 I casi Clinique e Schmidberger ovvero della dottrina delle esigenze imperative e

della tutela dei diritti fondamentali nell’arco di un decennio……… 6.6 Il caso Keck&Mithouard e la sua progenie: una svolta pretoria nell’Europa di

Maastricht……….. 6.7 L’armonizzazione positiva delle normative nazionali nella casistica

giurisprudenziale. Ambiti applicativi e limiti………... 6.8 Armonizzazione minima, restrizioni quantitative alle esportazioni e libero

commercio intracomunitario………. 392 398 401 404 411 418 6.8.1 Il volto attuale del mercato unico delle merci e le sue regolamentazioni più

recenti………. 421

6.9 Libertà economiche, diritti sociali e la “bandiera di convenienza”……….. 426

Parte III

IL FEDERALIZING PROCESS TRA DINAMISMO ED EVOLUZIONISMO NEGLI STATI UNITI E

NELL’UNIONE EUROPEA

Capitolo Secondo

LE ESPERIENZE STATUNITENSE ED EUROPEA TRA DINAMISMO ED ORIGINALITÀ

7.1 Ragioni e metodi della comparazione……….. 7.2 Stati Uniti d’America ed Unione Europea: peculiarità di due modelli sui generis nella cornice del mercato unico……… 7.3 L’integrazione negativa e il dilemma liberale, negli Stati Uniti ………. 7.4 … e nelle Comunità Europee………... 7.5 Dinamiche evolutive e consolidamento del mercato unico negli Stati Uniti e

nell’Unione Europa……….. 435 442 450 455 461 7.5.1 Analogie e differenze nel raffronto casistico delle due esperienze…………. 470 7.6 Il camaleonte, la crisalide e i loro destini: riflessioni conclusive... 476

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I

NTRODUZIONE

La ratio di questa tesi risiede nel tentativo di porre allo specchio secondo una prospettiva di analisi comparata, gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea, considerati dei sistemi dinamici inseriti in un processo di trasfomazione di notevole intensità che non conosce battute d’arresto.

La scelta dei formanti, inscritta nella cornice di una macro-comparazione, potrebbe far pensare al raffronto tra “cristalli o forme solidificate con liquidi” (G.Gorla), ma in verità la formula utilizzata si è dimostrata solo in parte un utile termine di confronto.

Si è reso necessario rinvenire un filo d’Arianna che consentisse la comparazione tra i due modelli al fine di non rendere la trattazione magmatica e priva di coerenza intra-sistemica.

Per tale motivo, i percorsi di costruzione e di consolidamento dei mercati unici seguiti in ambedue i sistemi hanno costituito un valido strumento sul quale adagiare i trends evolutivi dei due processi, (federativo statunitense e di integrazione europea) al fine di comprendere i cambiamenti di ordine giuridico e politico che vi si sono ineludibilmente intrecciati

In siffatta cornice hanno costituito strumenti di indagine privilegiati la commerce clause della Costituzione degli Stati Uniti e le disposizioni del Trattato di Roma sulla libera circolazione delle merci, considerate parte integrante della European Economic Constitution (M.P.Maduro, 1998). In virtù della cangiante interpretazione ed applicazione elaborata dalla sede giudiziaria e da quella politica, sono stati cadenzati i ritmi di consolidamento dei mercati unici cui si sono ancorate, in modo ancillare, le stagioni del costituzionalismo in ambedue le esperienze.

La notevole estensione spazio-temporale di una indagine che si presenta sin dall’origine diacronica ha reso opportuno suddividere la trattazione in tre parti distinte, che si pongono l’una nei confronti dell’altra a mo’ di tesi, di antitesi e di sintesi.

La prima parte analizza il percorso di realizzazione di un mercato unico nazionale negli Stati Uniti in virtù della difforme intepretazione che il Congresso e la Corte Suprema hanno fornito della

commerce clause, anche nella sua accezione dormant, intesa quale divieto gravante sugli Stati di

non recare ostacolo o intralcio al libero svolgimento degli scambi interstatali. È stato, così, possibile ricostruire le origini del compromesso costituzionale del 1787 e analizzare l’affermarsi, il maturare e il dissolversi del paradigma liberale tra Ottocento e Novecento, in ragione di una graduale estensione della sfera applicativa della commerce clause. Essa è divenuta il parametro mobile entro il quale non solo si è realizzato e consolidato il mercato unico nazionale, ma attraverso il quale è stato garantito il libero dispiegarsi delle principali libertà economiche. Si è consacrato, così, il

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valore della libertà di mercato e di concorrenza in seno al mercato, al riparo delle ristrette oligarchie del corporate business.

Siffatti valori liberali non sono mai venuti meno, ma nel corso del New Deal hanno subito l’intervento correttivo del Federal Government che ne ha plasmato il contenuto e le modalità di esercizio, associandovi la necessaria tutela dei diritti sociali. Di conseguenza, la commerce clause è divenuta una clausola ad ampio spettro nomologico, utilizzata per disciplinare ogni minimo aspetto della realtà economica e sociale (settore agricolo, industriale, manifatturiero, minerario e giuslavoristico), anche se solo indirettamente correlato al commercio interstatale, talvolta, ‘forzandone’ la previsione letterale.

Il mutato indirizzo pretorio, elaborato dalla Corte Suprema negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, ha dischiuso un universo valoriale, sottostante alla clausola sul commercio interstatale, che lo ha reso strumento di straordinaria efficacia nel rafforzamento delle fondamenta del mercato unico nazionale. Esso si è munito di una dimensione plurale del tutto innovata che ha camminato di pari passo con un federalizing process, il cui trend era divenuto centralizing ed in cui un ruolo cardine fu svolto dalla Presidenza e non dal Congresso, discostandosi dalla formulazione testuale della clausola che ascrive a quest’ultimo il compito di regolare il commercio tra Stati. Nel suggestivo intreccio creatosi tra percorso di realizzazione di un mercato unico integrato e avvento di un

centralizing trend nel processo federale, si insinua la nuova stagione liberal-democratica del

costituzionalismo statunitense e l’affermazione di un modello neo-liberale di conduzione dei rapporti socio-economici che segnerà il definitivo tramonto del federalismo duale a favore di un modello di federalismo cooperativo.

Il mercato non è concepito solo come il luogo di incontro della domanda e dell’offerta ed entro il quale si dispiega la libera iniziativa del singolo o del big business al riparo dai controlli pubblici eccessivi, ma è il luogo in cui la libertà di contratto del datore di lavoro incontra il diritto ad un salario minimo del lavoratore, in cui il surplus della produzione agricola richiede correttivi, in cui il fallimento delle grandi imprese lascia privi di lavoro migliaia di individui e quello delle banche paralizza il circuito del mercato creditizio e annienta i risparmi di numerose famiglie.

L’analisi giunge sino ai nostri giorni e inscrive la commerce clause nella cornice del mutamento socio-culturale statunitense. La clausola diviene, così, parametro che nel 1964 consentirà la validazione del Civil Rights Act sul riconoscimento dei diritti civili a favore degli afro-americani, eliminando quelle odiose forme di discriminazione razziale nei luoghi pubblici o aperti al pubblico che ostacolavano la libera circolazione delle persone nel circuito di mercato interstatale.

È accaduto che una clausola di apparente ristrettezza applicativa sia divenuta strumento di modulazione dei rapporti tra Federal Governement e singoli Stati attratti, oggi, nella parabola del

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New Federalism che ha ricondotto l’azione federale nel perimetro degli enumerated powers ed ha

restituito vigore al X emendamento ed al ruolo degli Stati. I trends più recenti confermano che gli Stati Uniti sono, oramai, un sistema federale non centralizzato, in cui una pluralità di centri decisionali si muove nelle trame di un mercato compiutamente integrato secondo logiche di complementarietà funzionale ed innanzi alla difficile sfida lanciata da una sfera economica globale. In modo analogo risulta strutturata la seconda parte del lavoro che concerne il processo di integrazione europea, il cui iter evolutivo è, in tale sede, analizzato nel suo stretto intreccio con il percorso di costruzione e di consolidamento di un mercato unico.

La scelta delle disposizioni del Trattato di Roma non è casuale, poiché nella loro formulazione negativa, difforme da quella affermativa/attributiva di una competenza propria della commerce

clause, si sono poste le fondamenta per la costruzione di un mercato comune, eliminando ogni

misura discriminatoria o protezionistica che ostacolava la libertà degli scambi intracomunitari. Risulta evidente l’accostabilità degli attuali artt. 28, 30, 34 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (già artt. 23, 25 e 28 del Trattato CE) alla dormant commerce clause che fa divieto agli Stati di ostacolare il commercio interstatale. La costruzione di un mercato comune delle merci risultava essere, del resto, la strada più facilmente percorribile a seguito del fallimento della Comunità Europea di Difesa e dei propositi di creazione di una Comunità di tipo politico. Nell’opzione funzionalista e nel metodo di Jean Monnet si sintetizza l’originalità del processo di integrazione europea e del percorso congiunto di costruzione del mercato comune. Il compromesso raggiunto a Roma nel 1957 dai conditores comunitari, rifletteva il tentativo di creare un’area in cui fosse garantita la libertà degli scambi intracomunitari al fine di operare un graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri e di contribuire allo sviluppo armonioso delle attività economiche nella Comunità.

Anche per l’esperienza europea si può ricorrere all’utilizzo metaforico delle generazioni nel percorso di realizzazione del mercato unico che hanno cadenzato gli steps del processo di integrazione, incardinato originariamente nel compromesso dell’embedded liberalism, in cui il proposito comunitario di liberalizzazione degli scambi si doveva confrontare con consolidati regimi di welfare state nazionali, custodi gelosi della gestione delle politiche macroeconomiche interne. A tal fine, si è dimostrata originale e utile la primigenia integrazione negativa dei mercati nazionali e delle attività economiche dei singoli Stati membri attraverso l’eliminazione di ogni ostacolo alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei capitali e dei servizi e la garanzia di un sistema concorrenziale non distorto. In un certo senso, sino alla fine degli anni Settanta, l’equilibrio originario tra mercato comune, sottoposto al controllo della Comunità, e responsabilità degli Stati nella conduzione delle politiche economiche, si è gradualmente modulato e modificato grazie al

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sapiente contributo della Commissione e alla straordinaria giurisprudenza creativa della Corte di Giustizia. Basti rammentare le formule principiologiche Dassonville, Cassis de Dijon.

L’iniziativa della Commissione si dimostrerà fondamentale nella seconda metà degli anni Ottanta, in cui il Libro Bianco di Delors, la Nuova Strategia dell’Armonizzazione e l’Atto Unico Europeo sul mercato interno, prepareranno l’avvento dell’Europa di Maastricht. La stagione normativa inaugurerà la seconda generazione del mercato unico, quella dell’integrazione positiva in cui sarà dato un forte imprimatur alla definitiva eliminazione degli ostacoli fisici, tecnici e fiscali agli scambi intracomunitari e all’armonizzazione della fiscalità indiretta necessaria per elidere i rischi di distorsione della concorrenza. La definitiva realizzazione del mercato poggerà sull’art. 95 del Trattato di Roma, modificato dal Trattato di Amsterdam, (oggi art. 115 TFUE) che consentirà un graduale ravvicinamento delle discipline legislative, regolamentari ed amministrative dei singoli Stati membri. L’applicazione del criterio del mutuo riconoscimento nei settori non ancora armonizzati, la possibilità di invocare una clausola di salvaguardia in deroga al regime di armonizzazione comunitaria e il ricorso allo strumento della direttiva, rappresentano degli espedienti ricercati per garantire il mantenimento di un equilibrio tra centralizing e decentralizing

trends.

L’introduzione, in virtù dell’Atto Unico, del principio di sussidiarietà, suggellato poi dal Trattato sull’Unione Europea, e la previsione, in taluni casi, della regola decisionale della maggioranza qualificata, hanno costituito un passaggio importante, mentre il Trattato di Maastricht, nell’espungere l’aggettivo ‘economica’ alla Comunità Europea, ha costituito un punto di non ritorno nel consolidamento del mercato unico. Su di esso si sono adagiati: uno sviluppo armonioso delle attività economiche, una unione economica e monetaria, una coesione economica e sociale e una cittadinanza europea. In tal modo, il mercato è divenuto un quadro giuridico complessivo in cui si dispiegano non solo le libertà economiche degli scambi e di concorrenza, ma in cui si agitano le rivendicazioni e i diritti dei lavoratori, delle donne, dei giovani, i problemi delle aree depresse e della coesistenza di differenti culture, costituenti patrimonio ineludibile dei popoli europei e delle moderne democrazie.

In virtù delle esposizioni condotte nella prima e nella seconda parte, è stato possibile redigere la parte finale che costituisce un momento di sintesi, il quale ha posto allo specchio gli Stati Uniti e l’Unione Europea, ricercandone gli elementi di analogia e di diversità.

In ambedue le esperienze raffrontate vi è un elemento di analogia rappresentato dal sostantivo ‘processo’ che lascia presagire un percorso dinamico di evoluzione giuridica, economica, politica e culturale. Si tratta di un movimento fluido scandito da trends and steps che ne cadenzano il ritmico evolversi in modo parallelo ai percorsi di realizzazione dei mercati unici che diventeranno i luoghi

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di ‘scambi’, sempre più complessi, e di sintesi di contrapposte esigenze, sempre più difficili da armonizzare. Un simile assunto ha determinato l’erosione del paradigma liberale in ambedue le esperienze, seppur in modo diverso. Non solo, l’analisi dei due sistemi ha dimostrato come lo scorrere del tempo, l’evoluzione dei rapporti socio-economici ed i mutamenti culturali hanno cambiato il volto e la dimensione dell’homo oeconomicus e, dischiuso alle sue spalle, un universo animato da individui titolari di diritti e libertà di straordinario rilievo giuridico.

Le realtà fenomeniche analizzate alla fine si presenteranno differenti, peculiari e del tutto originali. L’originalità è conseguenza della dinamica evoluzione dei due processi, indotti a sperimentare soluzioni sempre nuove per mantenere in vita l’Unione.

Gli Stati Uniti navigano oramai tra i flutti di un federalizing process che plasma in modo flessibile e mobile gli equilibri tra differenti poteri nel seno di un “noncentralized system” (di elazariana intuizione) e di un mercato ben integrato, in virtù di una cangiante interpretazione costituzionale fornita dalla Corte Suprema.

L’Unione Europea prosegue nel suo processo di integrazione e di consolidamento del mercato unico, differenziandosi dalle esperienze e dai modelli confederali e federali in auge negli altri sistemi giuridici. Le battute d’arresto che l’edificio europeo sta incontrando sul suo cammino non freneranno il processo di integrazione il quale, nella ratifica del Trattato di Lisbona, ha rinvenuto un ulteriore step evolutivo. Il mercato unico costituisce, in tal senso, la metafora sulla quale si dispiegano i due processi e si misurano gli equilibri tra poteri, in ambedue i casi costruiti sul modello del network e non della piramide.

Ciò ha condotto anche ad un ripensamento del concetto di Stato e di sovranità, rimodellati dalle dinamiche evolutive dei due processi. Inoltre, nei percorsi di costruzione dei mercati unici, si può considerare avverata l’intuizione di Polanyi, secondo il quale l’avvento del libero mercato e di un regime liberalizzato di scambi commerciali, ha camminato di pari passo con l’introduzione di maggiori regole, controlli ed interventi destinati a garantirne la necessaria e rinnovata base pluralistica che sarà ripresa nell’analisi di Irti sull’ordine giuridico del mercato. Nonostante tutto, gli Stati Uniti rimangono uno Stato federale in base al disegno costituzionale del 1787 e dei suoi successivi emendamenti, interpretato secondo il mutevole evolversi dei tempi e delle generazioni, l’Unione Europea, invece, conserva i tratti di una Unione sovranazionale di Stati, con “alcune tracce federali” che rende l’Europa più un tertium genus che non una nuova species nell’universo dei

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PARTE I

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C

APITOLO

I

F

EDERALIZING PROCESS E CONSTITUTIONAL TRENDS NEGLI

S

TATI

U

NITI D

’A

MERICA DELLE ORIGINI

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CAPITOLO I

F

EDERALIZING PROCESS E CONSTITUTIONAL TRENDS NEGLI

S

TATI

U

NITI D

’A

MERICA DELLE ORIGINI

SOMMARIO:1. Genesi e crisi dell’originario assetto confederale; - 1.2. Il “Great Compromise” costituzionale

del 1787 e l’introduzione della Interstate Commerce Clause; 1.3. Dinamiche economiche e struttura del mercato negli Stati Uniti d’America del XIX secolo; 1.4 I concetti di “dual federalism” e di ethos liberale e loro prime applicazioni pretorie; 1.5 La Guerra Civile e l’avvio della transizione costituzionale verso il liberalismo maturo.

1.

Genesi e crisi dell’originario assetto confederale

Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto ad un altro popolo ed assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata ed uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell'umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione. Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità … quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, … rivela il disegno di ridurre gli uomini all'assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l'avvenire.

(Dichiarazione d’Indipendenza delle Tredici Colonie, 4 luglio 1776)

La Unanime Dichiarazione d’Indipendenza del 4 luglio 1776 da parte delle Tredici Colonie non costituì solo il ripudio dell’autorità della Corona britannica e delle violazioni che la medesima aveva perpetrato a scapito del diritto positivo imperiale; incarnò, piuttosto, l’esaltazione dei principi dell’illuminismo e del giusnaturalismo volti alla protezione di talune libertà fondamentali1. In virtù

1 Tra gli illustri redattori del Documento figurano Thomas Jefferson, John Adams e Benjamin Franklin. Il testo della

Dichiarazione è suddivisibile in tre parti contenenti: una enucleazione di principi relativi ai diritti dell’uomo e alla legittimità della rivoluzione; un elenco circostanziato di accuse rivolte al re Giorgio III ed una dichiarazione formale di indipendenza. Alcuni degli eventi causativi della Rivoluzione americana e delle sanguinose battaglie di Lexington e di Concord furono lo Sugar Act che imponeva alle Colonie alti dazi sui prodotti importati dalla Madre Patria quali lo zucchero, il caffè, il vino e la melassa, lo Stamp Act che imponeva tasse sui documenti ufficiali e sui giornali, i Townshends Acts che stabilivano la tassa sul tè ed i Coercive Acts che prevedevano la chiusura del porto di Boston, portando al collasso l’economia del Massachusetts. Si trattava di provvedimenti che non solo limitavano profondamente la libertà commerciale delle Colonie, ma allo stesso tempo ne condizionavano l’autonomia, ostacolandone le principali attività economiche. Sul punto, di rilievo, i contributi di T.H.BREEN,The Marketplace of Revolution: How Consumer

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di essa si affermò un ordine sociale completamente nuovo in cui i privilegi in base al censo ebbero modo di recedere innanzi al valore dell’eguaglianza di tutti gli uomini. In essa presero forma e vennero rivendicati diritti inalienabili dell’individuo quali il writ of habeas corpus o il consenso dei governati alla tassazione o il diritto ad una giuria di pari in sede processuale, appartenenti alla tradizione storica della common law e, allo stesso tempo, sussunti nei principi della ragione universale.

All’ideale liberale proteso alla garanzia dei diritti e delle libertà individuali si coniugò il valore della democrazia che impresse nel popolo il diritto di rivedere quelle forme di governo lesive della volontà e delle prerogative inalienabili dei governati2. Nel novero dei diritti spiccavano la libertà e la proprietà considerati presupposti di una piena realizzazione ed espressione delle potenzialità individuali3.

La Guerra d’Inidipendenza non costituì solo la formale rescissione del vincolo di sudditanza che legava le Colonie alla Gran Bretagna4. Le reali ragioni che indussero al conflitto armato non furono costituite da una semplice volontà di emancipazione quanto dalla rivendicazione di una rappresentanza politica nel Parlamento britannico, aduso ad esigere l’adempimento dei doveri da parte dei territori coloniali, ma non a riconoscerne, in modo speculare, i diritti. Il Paese si frammentò tra sudditi “lealisti”, fedeli alla Corona, in contrasto con i ribelli, individui animati da uno spirito di spiccata libertà e di indipendenza che costrinsero i primi ad emigrare nel vicino Canada, confiscando loro i terreni. Ciò fece sì che la società americana sviluppasse, sin dalle sue origini, profondi sentimenti di eguaglianza e di affezione ai valori liberali e democratici5.

Politics Shaped American Indipendence, New York, 2005, pp. 22 e ss.; J.MERRILL,The Founding of a Nation. A

History of the American Revolution, 1763-1776, New York, 1968, pp. 10 e ss.; J.C.MILLER,Origins of the American

Revolution, Stanford, 1959, p. 255, J.J. ELLIS,American Creation. Triumphs and Tragedies at the Founding of the Republic, New York, 2007, pp. 23-24 e M.A.JONES,Storia degli Stati Uniti d’America. Dalle prime Colonie inglesi ai

nostri giorni, Milano, 2007, pp. 46 e ss. Come rileva Malandrino, nella Dichiarazione d’Indipendenza confluirono la tradizione prostestante, quella giusnaturalista e quella contrattualista esaltanti i valori del diritto naturale alla vita, alla libertà e alla felicità e ossequiosi della sovranità del popolo, dei principi di eguaglianza e di rescissione del patto raggiunto, in caso di tirannide. C.MALANDRINO,Federalismo. Storia, idee, modelli, Roma, 1998, p. 39.

2 La Dichiarazione d’Indipendenza del 1776 stilò, pertanto, un catalogo di verità auto-evidenti secondo cui i Governi

sono istituiti tra gli uomini e derivano il loro potere dal consenso dei governati, seppure parte della dottrina ne sottolinei la natura imperfetta, dovuta alla mancata sottoposizione del documento alla ratifica popolare. Sul punto, A.R.AMAR, America’s Constitution. A Biography, New York, 2005, pp. 8-9.

3 In particolare, occorre raffrontare il contenuto della Dichiarazione d’Indipendenza con la Sezione I della Dichiarazione

dei diritti della Virginia del 12 giugno 1776 secondo cui: “Tutti gli uomini sono per natura egualmente liberi ed indipendenti, ed hanno alcuni diritti innati dei quali non possono, entrando nello stato di società, privare o spogliare per convenzione la loro posterità; vale a dire il godimento della vita e della libertà mediante l’acquisto ed il possesso della proprietà ed il perseguire e ottenere felicità e sicurezza”. Sul punto, A.G.ZORZI GIUSTINIANI,Intervento pubblico

nell’economia e sostegno della piccola impresa negli Stati Uniti d’America, Firenze, 1984, p. 14 il quale rileva che i concetti di property e di liberty costituiscono il presupposto giusnaturalistico della Confederacy, ossia le premesse inabdicabili per la stipula del contratto sociale tra gli individui secondo la logica lockiana.

4 Il riconoscimento definitivo dell’indipendenza dei territori un tempo coloniali, da parte della Gran Bretagna, avvenne

solo con il Trattato di pace di Parigi del 1783.

5 A riguardo, suggestiva è la descrizione fatta da Alexis de Tocqueville che evidenziò il carattere “eminentemente

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Dismesse le anguste vesti coloniali, i nuovi Stati in breve tempo si munirono di Costituzioni scritte, particolarmente rigide, approvate da assemblee popolari che sostituirono le pregresse Charters coloniali, frutto di una graziosa concessione o sanzione regia e non della deliberazione di un popolo sovrano, pur condividendone con le prime l’intento di limitare ed indirizzare l’attività delle assemblee legislative e delle corti locali6.

Siffatte Costituzioni esordivano con una articolata elencazione di diritti fondamentali, basti pensare alla Costituzione dello Stato della Virginia contenente una vera e propria dichiarazione di principi inneggianti ai valori della democrazia e dello stato di diritto7.

Molte Costituzioni statali si dichiararono fedeli al principio di separazione dei poteri nella forma tripartita del ramo legislativo, esecutivo e giudiziario, ognuno in veste di controllore e di argine dei possibili straripamenti dell’altro.

vennero a stabilirsi sulle coste della Nuova Inghilterra. In questa parte dell’Unione non fu mai deposto il germe della aristocrazia”. A. DE TOCQUEVILLE,La democrazia in America, Libro I, Capitolo III, ed. it., Milano, 1999, p. 57. L’assenza del germe dell’aristocrazia è, del resto, confermata da quella parte della dottrina che ritiene la società americana priva, sin dall’inizio, di ceti o classi privilegiate da proteggere. Non occorreva fare tabula rasa del passato, dovendosi solo sperimentare ex nihilo soluzioni istituzionali nuove e del tutto originali. In particolare, G.BOGNETTI,Lo

spirito del costituzionalismo americano. La Costituzione liberale, Vol. I, Torino, 1998, p. 23. La profonda originalità del contesto ordinamentale americano è agevolmente stigmatizzabile nella definizione che ne diede il filosofo romantico Ralph Waldo Emerson, uno degli interpreti più autentici dello spirito che pervadeva il Nuovo Continente, che definì gli americani un “popolo giovane d’un Paese senza passato”. Il riferimento è contenuto nell’opera di A.G.ZORZI

GIUSTINIANI,Intervento pubblico nell’economia … cit., pp. 14-15

6 Le origini delle Colonie furono, piuttosto, diverse. La Colonia del Massachusetts era sorta per effetto della

emigrazione di dissidenti religiosi, i Pilgrim Fathers; la Virginia era nata per iniziativa diretta della Corona, la Pennsylvania e il Maryland sorsero in virtù della concessione dei territori, da parte della Corona, a favore di un proprietario. L’apparato dei pubblici poteri contava sulla presenza di un Governatore, nominato dalla Corona inglese, di un’Assemblea legislativa elettiva, e di Corti di Giustizia tenute a verificare la legittimità statutaria delle leggi locali e le cui decisioni erano impugnabili innanzi al Privy Council di Londra, anticipando, in modo embrionale, l’attività di judicial review. Sul punto, si rimanda all’opera di G.BOGNETTI,Lo spirito del costituzionalismo americano … cit., pp.

18-19. Degno di nota è l’influsso che le tradizioni e le costumanze di cui i Padri Pellegrini erano custodi ebbe sullo sviluppo della cultura americana. Come rileva, A.G. Zorzi Giustiniani, secondo Max Weber, la morale protestante nella sua accezione calvinista e puritana incise profondamente “sulla formazione dello spirito capitalistico ovvero sulle sue connotazioni etiche. Il rilievo particolare dato alla libera iniziativa economica, al commercio e alle libere professioni, che assurgono a simbolo dell’impegno attivo e costruttivo del cristiano nel mondo, nonché del successo terreno … [che costituisce] il segno premonitore ed il viatico della felicità eterna … [e] può ben considerarsi una sollecitazione in grado di generare e moltiplicare le iniziative e le intraprese economiche”. A.G.ZORZI GIUSTINIANI,Intervento pubblico

nell’economia … cit., p. 12. Malandrino sostiene che alle origini del federalismo nordamericano vi sia la commistione di due elementi, costituiti dalla teologia federale puritana del covenant (patto) e la tendenza a consolidare tale ispirazione in documenti scritti.C.MALANDRINO,Federalismo. Storia, idee, modelli, Roma, 1998, p. 39.

7 Basti rammentare il principio della sovranità popolare, dell’avvicendamento alle cariche pubbliche, la libertà delle

elezioni, l’enumerazione delle libertà fondamentali, la previsione di pene detentive e di trattamenti sanzionatori moderati, di una milizia volontaria e non di un esercito regolare e permanente, di giudizi in tempi regionevoli e condotti secundum legem e con una giuria regolare, il riconoscimento della libertà di stampa, di coscienza e di religione, la proibizione di mandati di perquisizione per motivi generici e il diritto della maggioranza di riformare la forma di governo. Altri Stati ampliarono questo elenco, includendovi la libertà di parola, di riunione, di petizione, di porto d’armi, il diritto di habeas corpus, l’inviolabilità del domicilio privato e la previsione di norme processuali civili e penali applicabili, in modo eguale, nei confronti di ciascun individuo. Non è mancato chi, in dottrina, abbia definito le Costituzioni dei nuovi Stati sovrani un “ponte di passaggio, fra il diritto costituzioanle inglese, ancora affidato alle fonti conseutidinarie, e i documenti costituzionali dei vari Stati continentali in Europa”. Sul punto, A. REPOSO,“Nascita,

morte e trasfigurazione del costituzionalismo: Appunti di un comparatista”, in Anuario Iberoamericano de Justicia Constitucional, N. 8, 2004, p. 391.

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Si formarono così degli Stati sovrani retti da un Governatore, scelto di norma dalle Assemblee legislative e titolare di un mandato a termine. La funzione legislativa era affidata ad Assemblee elettive aventi una struttura monocamerale, mentre il potere giudiziario faceva capo a corti locali cui si affiancava un organo supremo, sovente collegato con i poteri politici. L’originaria suddivisione dei poteri nei singoli Stati pendeva a favore del ramo legislativo che, per quanto fosse rappresentativo degli interessi della comunità, controllava e penetrava negli interstizi del potere esecutivo e di quello giudiziario, condizionandone le scelte e cagionando importanti effetti per il futuro.

L’adesione al principio illuministico di separazione dei poteri costituiva un valido strumento per elidere in nuce il pericolo della formazione di una tirannide politica. Fu John Adams, in una celebre opera dal titolo Thoughts on Government pubblicata sul Pennsylvania Packet il 22 aprile 1776, a delineare un progetto costituzionale in cui i tre rami del governo, in senso lato, fossero separati gli uni dagli altri e poggiassero su di un organo giudiziario indipendente e su di un corpo legislativo a base bicamerale. Le riflessioni di Adams si collocarono oltre le soluzioni istituzionali sperimentate nelle ex Colonie e costituirono un profetico nucleo di principi, una finestra sul 1787 e sulla futura struttura del National Government8.

Chiusosi il periodo dello scontro armato con la Madrepatria, si pose il problema della conquista dei territori dell’Ovest al di là dei monti Appalachi e dei rapporti con le tribù indiane che suscitò aspri contrasti tra i singoli Stati. In particolare, il Maryland presentò una mozione secondo cui i territori occidentali avrebbero dovuto essere considerati una proprietà comune da frazionare ad opera del Congresso in Stati liberi ed indipendenti, dotati di governi propri. La proposta non riscosse molto successo, ad eccezione dello Stato di New York che nel 1780 rinunciò ad ogni pretesa su quei territori a favore degli Stati Uniti d’America. Divenne ben presto volontà condivisa ascrivere al Congresso il possesso dei territori al di sopra del fiume Ohio e ad Ovest degli Allegheny, rivelando lo sviluppo di un embrionale spirito unitario9. La prassi di riunirsi nel luogo in cui fu dichiarata l’Indipendenza per risolvere problemi comuni era stata, del resto, già sperimentata anche nell’epoca

8 In particolare, J.J.ELLIS,American Creation. Triumphs and Tragedies at the Founding of the Republic, New York,

2007, pp. 46 e ss.

9 Lo spirito unitaria si era, del resto, già palesato nel noto Albany Plan proposto da Benjamin Franklin al Congresso di

Albany il 10 luglio 1754 e respinto dalle assemblee coloniali. Scopo del documento era quello di dare vita ad una unione delle colonie inglesi suggellata dalla sottoposizione ad un governo accentrato per poter fronteggiare il conflitto con i francesi e gli indiani. Vi aderirono le colonie del Maryland, della Pennsylvania, di New York, del Connecticut, del Rhode Island, del Massachusetts e del New Hampshire. Sulla rivista Pennsylvania Gazette, Franklin esaltò l’importanza dell’unione coloniale, ricorrendo alla immagine allegorica del corpo di un serpente suddiviso in più parti (ognuna riportante il nome di una Colonia), cui ineriva lo slogan: “Join or Die”. Il piano di Franklin prevedeva l’istituzione di un Grand Council eletto da assemblee coloniali. Si trattava di un importante prodromo normativo, privo di valore giuridico, del successivo assetto confederale, pur essendo una unione di colonie e non di Stati, suggellata da un documento che non istituiva obblighi in capo alle Colonie in merito al trattamento da riservare ai cittadini di altri territori. Sul punto, A.R.AMAR, America’s Constitution.. cit., pp. 250-251.

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coloniale. Alla presenza di un organo di raccordo interistituzionale quale il Congresso si affiancò ben presto la necessità di stabilire una Unione più stabile e duratura formalizzata negli Articoli di Confederazione ed Eterna Unione, ratificati nel 178210.

Si trattò di una primigenia soluzione costituzionale che dette vita agli Stati Uniti d’Americae si ispirò, in parte, al modello cantonale elvetico ed a quello in auge nei Paesi Bassi11. Del resto, già durante il periodo rivoluzionario, numerosi erano stati i richiami alle teorie del giurista svizzero Emmerich de Vattel che nell’opera Law of Nations del 1760 riconobbe il diritto di ciascuno Stato indipendente e sovrano di unirsi con altri Stati in una perpetual confederacy, senza per questo smarrire la propria originaria identità12.

Gli Articoli riconoscevano la piena sovranità, libertà ed indipendenza degli Stati confederati cui erano riservati ampi poteri e diritti, fatta eccezione per quelli concessi espressamente all’Autorità Centrale. Il modello confederale si presentava come una lega di soggetti sovrani costituita al fine di garantire una comune difesa, la protezione delle rispettive sfere di attribuzioni ed il generale benessere, assicurando la libertà di movimento delle persone anche oltre i confini dei singoli Stati13.

10 Tra gli Stati firmatari figurano, il New Hampshire, il Massachusetts-bay, il Rhode Island e le Providence Plantations,

il Connecticut, lo Stato di New York, il New Jersey, la Pennsylvania, il Delaware, il Maryland, la Virginia, la North Carolina, la South Carolina e la Georgia.

11 Sul punto si espresse criticamente, alcuni anni dopo, Alexander Hamilton, nel Paper n. 19 del Federalist,

sottolineando come il legame esistente tra i singoli cantoni svizzeri non fosse assimilabile ad una federazione, sebbene fosse munito di una certa stabilità, stante l’assenza di un erario comune, di un esercito comune, di una comune moneta, di una amministrazione della giustizia comune o di un altro elemento comune di sovranità. L’essenza della confederazione risiedeva nella peculiare posizione topografica e geografica e nella sua attitudine a mitigare “la debolezza e l’insignificanza” dei singoli cantoni. Hamilton evidenziò, in modo acuto, come l’efficienza del modello cantonale sul piano degli atti di ordinaria amministrazione si fosse, poi, scontrata con l’incapacità di fornire una risposta comune nell’ambito delle controversie di natura religiosa, dando vita a separate alleanze. In merito al modello in uso nei Paesi Bassi, Hamilton nel Paper n. 20 del Federalist, sottolineò che nonostante il novero di competenze degli Stati Generali, anche nel riscuotere dazi sulle importazioni e sulle esportazioni, “una sovranità su altre sovranità, un governo su altri governi, una legislazione che si esplica sugli Stati, distinta da una legislazione nei confronti degli individui [sostituiscono] la violenza alla legge, e la coercizione … della spada alla … coercizione della magistartura”. In particolare, A. Hamilton, “The Federalist, Papers n. 19-20”, in Il Federalista (a cura di G. Sacerdoti Mariani), Torino, 1997, pp. 126-127 e pp. 128-131.

12 Sul punto, Amar rileva che la allocazione della sovranità nel periodo antecedente il 1787 si ancorava alla concezione

secondo cui ogni Stato sovrano in ossequio ai principi di diritto tradizionali fosse libero di aderire a trattati multilaterali, leghe, federazioni o confederazioni senza per questo rinunciare alla propria ultimate sovereignty. A.R.AMAR,America’s

Constitution.. cit., p. 27. Una simile impostazione di pensiero si rifletteva sulla natura stessa del Congresso confederale che venne definito dal giudice Marshall nel caso Gibbons v. Ogden 22 U.S. (9 Wheat.) 1, 187, (1824), leading case sulla interstate commerce clause, risalente al 1824, non una Camera di rappresentanti bensì di semplici ambasciatori.

13 Ne era derivato un quadro istituzionale in cui gli Stati ritenevano la propria sovranità, diventandone custodi gelosi.

L’articolo II degli Articoli di Confederazione sanciva, infatti, che: “Each state retains its sovereignty, freedom, and independence, and every Power, Jurisdiction and right, which is not by this confederation expressly delegated to the United States, in Congress assembled”. Il successivo articolo III statuiva che: “The said states hereby severally enter into a firm league of friendship with each other, for their common defence, the security of their Liberties, and their mutual and general welfare, binding themselves to assist each other, against all force offered to, or attacks made upon them, or any of them, on account of religion, sovereignty, trade, or any other pretence whatever”. Il testo integrale degli Articoli di Confederazione ed Eterna Unione, con i relativi commenti a margine, è consultabile sul sito www.avalon.law.yale/edu/18th_century/artconf.asp. Come ha rilevato la dottrina, l’utilizzo dei termini “confederacy”, “confederation” e “league” possiedono la medesima valenza semantica atta a conferire ai nascenti Stati Uniti d’America la natura di alleanza fondata su di una trattato multilaterale tra Stati-nazione sovrani. A sostegno di tale interpretazione si collocano i testi della Costituzione del Massachusetts del 1780 secondo cui: “The people of this commonwealth have

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L’Autorità centrale disponeva di una limitata jurisdictio, riflessa nella sua struttura monocamerale, rappresentativa degli interessi dei tredici Stati che disponevano equamente di un voto ciascuno e le cui deliberazioni risultavano valide purché avessero conseguito il voto favorevole di almeno nove Stati su tredici14.

Il Congresso aveva un potere di intervento minimo, concentrato nelle materia della politica estera e della difesa, finanziate attraverso un sistema di tributi erogati in base all’estensione del territorio dei singoli Stati, mentre sul piano della politica interna l’azione diretta dell’autorità centrale risultava quasi assente. Infatti, nell’ambito degli affari interni, si delineavano solo obblighi negativi in capo alle entità confederate tra i quali il divieto di interferire od ostacolare i traffici interstatali e l’obbligo di non discriminare tra cittadini di Stati diversi15. Ma la forza deterrente di tali prescrizioni normative era mitigata fortemente dall’incapacità del Congresso confederale di sanzionarne l’inottemperanza da parte dei singoli Stati. Ne derivava un quadro istituzionale improntato ad un principio di separazione dei poteri alquanto limitato sull’asse verticale, ove il Congresso appariva quale mera camera di ratifica delle volontà delle entità decentrate, e più articolato nell’ambito dei the sole and exclusive right of governing themselves, as a free, sovereign and indipendent state” e del New Hampshire del 1784 che contiene una clausola speculare. A suffragio di tali disposizioni si collocavano le analisi speculative del filosofo John Locke condotte nel Second Treatise, secondo cui Stati sovrani riuniti in una lega con altri Stati non intendevano, necessariamente, unirsi per dare vita ad un unico corpo politico. Senza tralasciare il pensiero desumibile dai Commentaries di William Blackstone del 1766 secondo cui un’alleanza federale siglata tra distinti Stati-nazione non avrebbe mai compromesso od intaccato le rispettive sfere di sovranità. Sul punto, si rinvia alle ricostruzioni fatte da A.R. AMAR,America’s Constitution.. cit., p. 27 e ss., nonché al contributo di D.S.LUTZ,The Origins of American Constitutionalism, 1988, pp. 14-34 e di G.LOMBARDI,Lo Stato federale. Profili di diritto comparato, Torino, 1987, pp.

64-70.

14 Come rilevano Krasner e Chaberski, gli Articoli di Confederazione costituirono la legge superiore della nascente

Repubblica, “quando il Congresso non era in sessione, a gestire l’amministrazione era chiamato un «Comitato di Stati». Tale Comitato era formato da un delegato per ogni Stato, uno dei quali assumeva la Presidenza, con una frequenza non superiore ad un anno ogni tre. Negli Articles non era prevista l’istituzione di alcun potere giudiziario … Dopo pochi anni, cominciò tuttavia a serpeggiare lo scontento per l’inadeguatezza degli Articles. Fra le principai cause della protesta vi era la incapacità del Governo «confederato» di raccogliere fondi in modo autonomo, in quanto esso dipendeva dagli stanziamenti degli Stati, che spesso erano lenti e persino inadempienti nel trasferimento delle risorse finanziarie. Da ciò derivava l’inattendibilità del credito negli Stati Uniti, che teneva in perenne apprensione quanti avevano prestato soldi al Governo, o che con esso avevano relazioni commerciali. [Ciò indusse ad inferire] la percepita impotenza del Congresso nell’affrontare le esigenze di gestione della cosa pubblica”. Sul punto, M.A. KRASNER,S.G.CHABERSKI,Il sistema di governo degli Stati Uniti d’America. Profili istituzionali, Torino, 1994, pp.

35-36.

15 In particolare, l’art. 4 degli Articoli di Confederazione ed Eterna Unione sanciva che: “The better to secure and

perpetuate mutual friendship and intercourse among the people of the different States in this Union, the free inhabitants of each of these States, paupers, vagabonds, and fugitives from justice excepted, shall be entitled to all privileges and immunities of free citizens in the several States; and the people of each State shall free ingress and regress to and from any other State, and shall enjoy therein all the privileges of trade and commerce, subject to the same duties, impositions, and restrictions as the inhabitants thereof respectively, provided that such restrictions shall not extend so far as to prevent the removal of property imported into any State, to any other State, of which the owner is an inhabitant; provided also that no imposition, duties or restriction shall be laid by any State, on the property of the United States, or either of them. If any person guilty of, or charged with, treason, felony, or other high misdemeanor in any State, shall flee from justice, and be found in any of the United States, he shall, upon demand of the Governor or executive power of the State from which he fled, be delivered up and removed to the State having jurisdiction of his offense. Full faith and credit shall be given in each of these States to the records, acts, and judicial proceedings of the courts and magistrates of every other State”. Per un commento si rimanda al contributo di J.MERRIL,“The Idea of a

National Government during the American Revolution”, in Political Science Quarterly, Vol. 58, N. 3, (Sept. 1943), pp. 360 e ss nonché a S.VENTURA,Il federalismo, Bologna, 2000, p. 39.

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singoli Stati. L’assenza a livello confederale di un distinto potere esecutivo e giudiziario (esisteva solo un organo competente a decidere le controversie di diritto marittimo) ne erano la riprova, tanto che i Presidenti, succedutisi nel periodo confederale, si limitarono a presiedere il Congresso, rimanendo privi di poteri di governo reali e concreti. Si trattava di un elemento di debolezza dell’Autorità centrale non trascurabile che condizionò in modo rilevante il destino dell’Unione e la sua osannata perpetuità.

All’indomani della stipula del Trattato di Parigi che pose fine al conflitto con la Madrepatria nel 1783, George Washington riconobbe che gli esiti positivi del conflitto erano da ricondursi a due fattori: l’uno storico, costituito dalla diffusione degli ideali dell’illuminismo che fornirono il modello per una nuova architettura politica da applicare nella prassi, e l’altro geografico, fondato sulla lontananza dall’Europa, dai suoi poteri predatori e dal possesso di territori sconfinati che avrebbero consentito il raggiungimento di un elevato benessere economico16.

Non risulta essere un elemento trascurabile il fatto che il messaggio firmato da Washington fosse rivolto ai rispettivi governi statali, costituendo un implicito riconoscimento della circostanza secondo cui questi ultimi e non il Congresso confederale fossero le fonti sovrane del potere politico nella nascente Repubblica americana. Tanto che il Trattato di Parigi venne ratificato con alcune settimane di ritardo a causa del mancato raggiungimento del quorum di voti validi prescritto. Nello scenario istituzionale che si profilava all’orizzonte si scorgeva la sagoma di un’autorità centrale che non incarnava un vero e proprio apparato di governo unitario, quanto una conferenza diplomatica di Stati sovrani, ognuno dei quali guardava a se stesso come ad una autonoma nazione che si riuniva nel Congresso confederale per coordinare, in ambito interno, la politica estera. Nella prospettiva di George Washington, il Congresso confederale non risultava essere altro che un corpo inutile, “a

little more than an empty sound”17. Secondo l’opinione pubblica di allora, invece, la intrinseca debolezza degli Articoli di Confederazione costituiva un valido esempio del cuore dei principi repubblicani, dal momento che la previsione di un forte governo centrale avrebbe favorito la formazione di un potere politico dispotico e distante dagli interessi dei cittadini simile a quello contro cui si erano da poco ribellati,che aveva sovente leso i diritti e le libertà dei singoli18.

16 Come affermò George Washington: “The citizens of America … are from this period, to be considered as the Actors

on a most conspicuos Theatre, which seeems to be peculiarly designed by Providence for the display of human greatness and felicity”. Si espresse, invece, più criticamente sulla Rivoluzione Americana John Adams, il quale ripudiava ogni forma di deificazione dei leaders rivoluzionari che avrebbe rischiato di trasformare la verità storica in un racconto melodrammatico e romanzato. A suo parere, una corretta ricostruzione degli eventi imponeva di evidenziare le debolezze di uomini imperfetti, piuttosto che di divinità, costretti a delle scelte drammatiche in virtù di ragioni contingenti. Sul punto, si rimanda all’opera di J.J.ELLIS,American Creation. Triumphs … cit., pp. 4 e ss.

17 W.W. ABBOT eD. TWOHIG (a cura di), The Papers of George Washington: Colonial Series, Vol. 6, n. 3:299,

Charlottesville, 1992-1997.

18 Basti rammentare il pensiero di Burke il quale sottolineava che “ … l’impotenza del Congresso rispondeva al

desiderio segreto degli Stati … Un armatore di Boston non aveva certo nessun desiderio di delegare grandi poteri ad un’assemblea dove rischiava di essere battuto da una coalizione del Sud; il piantatore della Virginia nutriva gli stessi

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Le aporie del modello confederale furono ben presto evidenti. L’assenza di nette linee di demarcazione tra i singoli Stati e l’emanazione da parte dei tribunali di sentenze contrastanti avevano ingenerato forti tensioni, acuite dall’approvazione da parte del Massachusetts, della Pennsylvania e dello Stato di New York di leggi tariffarie a scopo protezionistico che pregiudicavano gli interessi economici degli Stati vicini e minori.

Numerose erano le restrizioni commerciali cui era sottoposto il New Jersey qualora avesse voluto immettere nel mercato dello Stato di New York i propri prodotti agricoli ed il pollame, dovendo pagare un pedaggio pari a 1,800 dollari annui ed elevati diritti doganali per poter oltrepassare il fiume Hudson19. Le difficoltà economiche, conseguenza della guerra, erano del resto notevoli. Basti pensare alla crisi nel settore agricolo dovuta ad una produzione eccedentaria rispetto alla domanda di mercato che cagionò un crollo dei prezzi. Siffatta situazione provocò un profondo sentimento di inquietudine negli agricoltori indebitati che rivendicavano provvedimenti normativi che assicurassero loro il riscatto delle ipoteche sulle proprietà e prevenissero le pene detentive comminate in caso di morosità20. Si erano, intanto, diffuse numerose leggi statali che incidevano sulle libertà e sui diritti economici dei singoli individui, ostacolando lo sviluppo di un sistema economico in cui venissero esaltate le potenzialità dell’agire individuale.

Simili provvedimenti normativi confliggevano con lo spirito irrequieto e la personalità dinamica degli americani, muniti di inclinazioni naturali del tutto peculiari. Come rilevava Alexis de Tocqueville: “Negli Stati Uniti le fortune si distruggono e si ricostituiscono facilmente. Il Paese è

immenso e pieno di risorse inesauribili. Il popolo ha tutti i bisogni e tutti gli appetiti di un essere in crescenza e, per quanti sforzi faccia, è sempre circondato da beni superiori alle sue possibilità d’acquisto. Ciò che in un simile popolo si deve temere non è già la rovina di alcuni indivuidui, presto riparata, ma l’inattività e la mollezza di tutti. L’audacia nelle imprese industriali è la causa prima dei suoi progressi rapidi, della forza e della sua grandezza. L’industria è spesso una grande lotteria dove pochi uomini perdono quotidianamente, ma lo stato guadagna continuamente; un simile popolo deve, dunque, favorire e onorare l’audacia in materia di industria … In ciò gli americani differiscono non solo dagli europei, ma da tutte le nazioni commerciali dei nostri tempi, come non rassomigliano ad alcuna di esse per la posizione e i bisogni”21. Il profondo dinamismo

sentimenti nei confronti del mercante yankee”. Il passo è integralmente riportato nell’opera dI A.MAUROIS,Storia degli

Stati Uniti, Milano, 1957, p. 184.

19 In particolare, M.RAMASWAMY,The Commerce Clause in the Constituition of the United States, New York, 1949,

pp. 3 e ss.

20 In quel periodo, le liti pendenti nei vari tribunali per l’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie dedotte nei vari

contratti aumentarono in modo repentino.

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dell’agire individuale, tendente alla ricerca di sempre nuove opportunità, indusse a delineare la figura prototipica del self-made man, metafora e fine dell’american way of life22.

Il diffondersi di interventi normativi, variamente limitativi delle libertà economiche dei singoli, che imponevano elevati dazi doganali, tasse e restrizioni al commercio e l’incapacità delle autorità statali di arginare i diffusi fenomeni di illegalità che piagavano il loro territorio, iniziarono a minacciare lo sviluppo di un mercato unitario. Oltre alle leggi tariffarie vennero approvati numerosi provvedimenti che incidevano sulle posizioni contrattuali di contraenti molto indebitati, ledendo, in tal modo, la certezza dei rapporti giuridici sottostanti e minando la sicurezza e trasparenza delle relazioni commerciali che si svolgevano a livello infra ed interstatale.

La confisca dei terreni e dei possedimenti gravati da ipoteche a carico di individui incapaci di adempiere le obbligazioni assunte provocò una crescente elisione dei diritti di proprietà privata. Anche l’emissione smodata di carta moneta, quale mezzo legale di pagamento, aveva ingenerato una pericolosa spirale inflazionistica23. Si era delineato un quadro normativo altamente frammentato ed eterogeneo in cui la libertà di iniziativa economica, la libertà e la sicurezza dei commerci, la liceità dei vincoli contrattuali e i diritti di proprietà privata, risultavano profondamente lesi nel loro contenuto essenziale con una notevole dispersione del potere commerciale tra i singoli Stati24.

Nell’estate del 1786 si svolsero assemblee popolari e di privati cittadini che richiedevano la riforma dei sistemi di governo dei rispettivi Stati. Nello Stato del Massachusetts, nell’autunno dello stesso anno, il malcontento sviluppatosi nel ceto agricolo indusse folle di agricoltori, capeggiati dall’ex generale Daniel Shays, ad assediare i tribunali di contea per ostacolare lo svolgimento delle cause per morosità in attesa delle successive elezioni dei legislativi statali25.

La situazione precipitò in occasione delle divergenze sorte tra lo Stato del Maryland e della Virginia in merito alla navigazione delle acque del fiume Potomac e alla crescente introduzione di misure protezionistiche che spinsero a nominare una conferenza riunitasi ad Annapolis nel mese di settembre del 1786. Fu proprio in occasione della Convenzione di Annapolis che Alexander Hamilton, uno dei delegati, riuscì a convincere i suoi colleghi del fatto che al problema delle

22 In particolare, W.MILLER,A New History of the United States, New York, 1964, pp. 58 e ss.

23 Sul punto, G.BOGNETTI,Lo spirito del costituzionalismo americano. La Costituzione liberale, Vol. I, Torino, 1998, p.

28, nonché W.W.HOLT,“The Establishment of the Federal Court System (1787-1791)” in The United States Supreme

Court. The Pursuit of Justice (a cura di C.TOMLINS), New York, 2005, pp. 7-8.

24 Come rilevò Frankfurter, “the mercantilism pursued by thirteen States was in effect a policy of economic feud which

Balkanized an area dependent on the free interchange of goods”. F.FRANKFURTER,Mr. Justice Homes and … cit., p.

92.

25Quando la rivolta divenne di tale portata da minacciare l’assedio della sede del Governo a Boston, intervenne la

milizia che soffocò la protesta, inducendo, però, il legislativo statale ad indagarne le cause e a ricercarne i rimedi. In merito alle cause della Ribellione di Shays si rinvia ai contributi critici di W.W.HOLT,The Establishment of the Federal

… cit., p. 6, di A.MAUROIS,Storia degli Stati Uniti, Milano, 1957, p. 186 nonché di J.J.ELLIS,American Creation.

Triumphs … cit., pp. 96-97, che mitiga la portata della rivolta quanto al numero di ribelli impegnati nella protesta, seppur non ne neghi l’effetto dirompente sul piano delle riforme costituzionali successive e di C. A. BEARD, An Economic Interpretation of the Constitution of the United States, London, 1941, pp. 28-30.

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relazioni commerciali interstatali fossero intrecciati ulteriori questioni cui un organismo poco rappresentativo quale il Congresso confederale, privo di qualsiasi potere regolatorio del commercio - ad eccezione dei rapporti commerciali con le tribù indiane - degli affari e della moneta, non avrebbe mai potuto porre rimedio26. Si rendeva, pertanto, necessaria l’introduzione di un sistema uniforme di regolazione commerciale al fine di salvaguardare interessi comuni e garantire una permanente armonia27. Il fallimento della Convenzione spinse Madison ad asserire che una modesta riforma degli Articoli di Confederazione era politicamente impossibile e che le circostanze suggerivano di condurre una revisione ben più radicale28. Hamilton propose, allora, la convocazione dei rappresentanti di ciascuno Stato “onde escogitare quei provvedimenti che sembrassero loro

necessari per adeguare la Costituzione del Governo federale alle esigenze dell’Unione”29. Inizialmente la proposta suscitò l’indignazione del Congresso, ma la notizia che la Virginia aveva eletto quale proprio rappresentante George Washington fece cadere ogni protesta o dissenso tanto che nell’autunno del 1786 le elezioni si svolsero in ogni Stato ad eccezione del Rhode Island. Il Convegno federale che ebbe luogo nel Palazzo del Governo di Filadelfia nel maggio del 1787, si svolse con l’iniziale proposito di emendare gli Articoli di Confederazione. Ben presto, però, si giunse alla determinazione di sperimentare una soluzione istituzionale alquanto differente ed innovativa rispetto alla precedente30. In particolare, James Madison ritenne nelle sue “Notes on

Ancient and Modern Confederacies” che una disamina storica delle esperienze confederative greca,

romana, germanica e olandese induceva ad inferire la intrinseca debolezza delle alleanze

26 Come rileva Olivetti Rason, alla Convezione di Annapolis parteciparono solo cinque Stati. Si trattò di una riunione

informale dalla quale scaturì un documento informale destinato ai soli partecipanti, ma di cui furono resi edotti anche gli altri Stati. Lo scopo della Convenzione fu quello di prendere in considerazione e di elaborare tutti quei provvedimenti necessari per rendere la Costituzione del Governo federale adeguara alle esigenze dell’Unione. “Annapolis preparò dunque Filadelfia”. In particolare,N.OLIVETTI RASON,La dinamica costituzionale degli Stati Uniti d’America, Padova, 1984, pp. 42 e s.

27 In particolare, W.W.HOLT,The Establishment of the Federal … cit., pp. 4-5 nonché S.F.SCHRAM,“United States.

History and Development of Federalism”, in Handbook of Federal Countries. 2005, (edited by A.L. GRIFFITHS e

coordinated byK.NERENBERG), Montreal&Kingston, 2005, pp. 373-375, R.STERN,Commerce Clause, 1986, pp. 453-454, M.RAMASWAMY,The Commerce Clause in the Constituition …cit., pp. 4-5 e F.H.COOK,The Commerce Clause of

the Federal Constitution, Littleton, 1987, p. 4-5, il quale rileva che il degrado raggiunto nelle relazioni commerciali e l’esazione di dazi doganali troppo elevati, da parte dei singoli Stati, costituivano uno dei peggiori mali di cui era afflitta la Confederazione. Come rilevano Carrubba e Rogers, il caos commerciale che si era innervato nelle relazioni tra Stati poteva essere ben definito con il termine di “prisoners’ dilemma”. In particolare, J.R.ROGERS,“National Judicial Power

and the Dormant Commerce Clause”, in The Journal of Law, Economics & Organization, Vol. 19, No. 2, (2003), pp. 546 e s.

28 Sul punto, W.T.HUTCHINSON ET AL.(a cura di), The Papers of James Madison, Chicago, 1962, 9:115-119..

29 Nell’agosto del 1786, Hamilton comunicò a Thomas Jefferson la necessità di convocare una Convenzione

plenipotenziaria al fine di emendare gli Articoli di confederazione, non celando la volontà di concentrare la propria attenzione sulla cd. “Commercial Reform” nonostante dietro di essa si nascondesse l’intento di arginare insidie ulteriori, quale uno smembramento dell’unione in confederazioni regionali sulla scia del modello in auge in Europa. Sul punto, W.T.HUTCHINSON ET AL.(a cura di), The Papers of James Madison, Chicago, 1962, 9:96.

30 In virtù di una Resolution del 21 febbraio 1787, il Congresso confederale indicava l’opportunità che gli Stati

inviassero i propri delegati a Filadelfia, con “il solo e specifico scopo che di sottoporre a revisione gli articoli di confederazione” che si rivelerò, nel prosieguo la soluzione meno praticabile. Sul punto, in particolare, N.OLIVETTI

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confederali create a scopi di difesa contro un nemico comune. Le strutture confederative presentavano, pertanto, una configurazione politica profondamente transitoria che le condannava al destino di una metamorfosi dall’esito duplice che aleggiava nella possibile evoluzione in una unica nazione o nella dissoluzione e nell’oblio31.

Differentemente da George Washington, James Madison era giunto, almeno inizialmente, a conclusioni difformi in merito al destino dell’Unione in caso di fallimento degli Articoli di Confederazione. A suo parere, il collasso dell’assetto confederale non avrebbe condotto all’anarchia, bensì allo smembramento dell’Unione in due o tre separate confederazioni. In un interessante articolo pubblicato da Madison sul Boston Independent Chronicle, egli pronosticò la possibile creazione di una unione regionale di cinque nuovi Stati nella Nuova Inghilterra, lasciando il resto del continente “to pursue their own imbecilic and disjoined plans”, e disegnò il possibile scenario di alleanze regionali volte alla tripartizione del territorio in tre grandi aree simili a quelle presenti in Europa nello stesso periodo32. A parere di Madison un simile assetto, “this new

American Trinity”, avrebbe potuto andare incontro ad un duplice destino: la guerra civile e

l’invasione da parte di potenze straniere o la coesistenza stabile e pacifica di repubbliche indipendenti. Dunque, la dissoluzione dell’assetto confederale non avrebbe condotto all’anarchia, ma avrebbe, comunque, eluso il fine della Guerra d’Indipendenza, che era quello di creare uno stabile, duraturo e consolidato Nation-State33.

31 L’argomentare di James Madison si snodava in tre cruciali momenti teoretici che riuscivano a sintetizzare e collocare

le ragioni della crisi dell’assetto confederale americano nella compresenza di tre fattori negativi. Il primo era costituito dall’incapacità delle singole entità confederate di cooperare per creare e potenziare le vie di comunicazione che avrebbero favorito i traffici commerciali interstatali, essendo prassi corrente ostacolare tali programmi in virtù di logiche d’azione protezionistiche. Il secondo fattore era rappresentato dalla legislazione di parte ed elitaria che gli organi legislativi emanavano in modo costante ed il terzo risiedeva nella profonda debolezza interna degli apparati di governo degli Stati, piccole repubbliche in cui il principio di separazione dei poteri risultava inquinato dalla permeabilità agli interessi e alle passioni di fazioni politiche e di élite economicamente forti che condizionavano la qualità ed il contenuto della legislazione, immettendovi il germe della parzialità e della iniquità. Per una disamina completa si rimanda al contributo di W.T.HUTCHINSON ET AL.(a cura di), The Papers of James Madison, Chicago,

1962, 9:3-34. Si rimanda per un’analisi critica all’opera di J.J.ELLIS,American Creation. Triumphs … cit., p. 103 e ss.

il quale rileva che il duplice destino cui sono condannate le strutture di potere confederali risulta essere quasi un assioma matematico, un passaggio teoretico visto che il Paese risultava essere un “collage” di distinte fazioni in lotta tra di loro. I corpi legislativi statali dimostrarono tutta la loro incapacità a sanare la situazione, emanando leggi non in grado di proteggere i diritti civili dei poveri e dei soggetti privi di beni di proprietà, ma solo di tutelare gli interessi di talune categorie come quelle dei creditori attraverso l’emanazione di ulteriore carta-moneta. Una legislazione di parte era riflesso della profonda vulnerabilità dei legislativi statali alle pressioni delle fazioni e dei gruppi di potere economicamente più forti.

32 Gli Stati Uniti d’America sarebbero stati costituiti dalla regione del New England, da un’area geografica pari alla

zona centrale del Paese e da un’altra area a sud del fiume Potomac che risultavano assimilabili rispettivamente alla regione scandinava, all’Europa occidentale e ai Paesi del Mediterraneo presenti nel Continente Europeo.

Figura

Fig. 1 L’immagine è consultabile nei siti internet appositamente dedicati alla materia della rappresentazione  grafica dell’evoluzione dei confini del territorio statunitense

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