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La questione etica coinvolge anche i droni, vista la diffusione. Fino a qualche anno fa, se una persona faceva volare un quadrirotore in un prato libero, attirava a sé un gran numero di curiosi, che guardavano e facevano domande, circa il nuovo mezzo di divertimento. Oggigiorno la parola drone si è talmente diffusa che quasi tutti sanno cosa è un quadrirotore e un drone militare, anche solo a grandi linee. Quello che è cambiato, invece, è la percezione (e quindi il significato) che il pubblico ha della parola drone: da semplice velivolo viene visto come spione, un disturbatore della quiete, un pericolo, fino a critiche pesanti riguardo il loro utilizzo in ambito militare, soprattutto per attacchi di guerra. La questione più importante riguarda l’impatto sugli esseri umani: un UAV può minacciare lo spazio aereo in diversi modi, può prendere la decisione di uccidere, trasportare esplosivi e produrre inquinamento acustico. L’aspetto senza pilota ha sollevato, per alcuni, l’asimmetria di combattere essere umani mediante macchine controllate a distanza: questa distanza produce una sorta di mancanza di integrità e onore in fase di guerra. Analisti militari, politici e accademici discutono circa i benefici, e i rischi, dell’utilizzo di robot autonomi letali (LARs) 34. Alcuni sostengono che i droni LARs siano più precisi, uccidano meno civili e con meno possibilità di essere violati. Altre persone sostengono, invece, che l’avere a disposizione tali strumenti e tale tecnologie dovrebbe essere un incentivo per aiutare quante più persone possibili [14], [15].

7.2.1 Ethos Militare

Kaag e Keeps scrivono: le macchine telecomandate non possono assumere le conse- guenze dei loro atti e che gli esseri umani che le azionano lo fanno da grandi distanze. Questa condizione sembra concretizzare il mito di Gige 35, che appare oggi molto più come un’allegoria dell’antiterrorismo moderno che del terrorismo. l’ethos tra- dizionale militare ha le sue virtù tradizionali: coraggio, sacrificio, eroismo, ecc... . Questi valori hanno una precisa funzione ideologica: rendere il massacro accettabile, anzi glorioso, e i generali dell’epoca non lo nascondevano. Il contrasto tra le nuove armi e le antiche usanze produce una vera e propria crisi dell’ethos militare. Ne è un sintomo rivelatore il fatto che le critiche più virulente contro i droni non sono state

34

“lethal autonomous robotics” (LARS): secondo un nuovo progetto di rapporto delle Nazioni Unite, robot killer che possono attaccare bersagli senza alcun intervento umano "non dovrebbero avere il potere di vita e di morte su esseri umani".

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Gige, un pastore della Lidia, rinviene per caso sul cadavere nudo di un gigante un anello d’oro che rende invisibili. Questo nuovo potere gli da sicurezza e può sfuggire agli sguardi degli uomini, commettendo così numerosi crimini: uccide il re, diventando il nuovo sovrano. I suoi avversari non possono evitare i suoi attacchi e non possono difendersi. L’invisibilità gli conferisce invulnerabilità. Inoltre, non essendo colto in fragrante da nessuno, non può essere processato.

mosse da pacifisti, ma dagli stessi piloti dell’Air Force, in nome della salvaguardia dei tradizionali valori guerrieri [9], [14].

7.2.2 Psicopatologia del drone: effetto PlayStation

Si sente anche parlare di trauma dei piloti dei droni. L’origine della sua diffusione è un famoso lancio dell’Associated Press, nel 2008, che titolava: i guerrieri del te- lecomando soffrono di stress da combattimento a distanza. Gli operatori dei droni Predator sono soggetti ai traumi psicologici come i loro commilitoni sul campo di battaglia. Nonostante tale attacco, non ci furono elementi in grado di supportare questa tesi. Insistere sui tormenti psichici degli operatori permette anche di mettere fuori gioco il cosiddetto effetto Play Station, secondo cui il dispositivo per uccidere sullo schermo comporta una virtualizzazione della coscienza dell’omicidio. Questo approccio alla guerra, potrebbe essere considerato ingiusto secondo le convenzioni tradizionali della guerra perché chi causa l’uccisione è come se non fosse disposto a morire: il principio di mettere a rischio la propria vita è fondamentale, perché in- fluenza fortemente il comune senso di lealtà in battaglia, e riguarda la natura della guerra come convenzione per la soluzione delle controversie. Nella misura in cui la guerra può servire a questo scopo, entrambe le parti devono sostanzialmente essere d’accordo per risolvere la controversia attraverso la violenza e, come menzionato precedentemente, la violenza deve essere mirata solo a coloro che hanno accettato di combattere, cioè i combattenti. Così è immorale uccidere chi non ha accettato di combattere. Siccome si suppone non vi sia nessun obbligo morale più profondo per un combattente che rischiare la propria vita in difesa del proprio Stato, in que- st’ottica, combattere una guerra attraverso la pressione di un pulsante, non sarebbe del tutto equivalente a diventare un combattente, perché non ci si è conformati alla norme di guerra in cui entrambe le parti accettano di rischiare la morte nel risolvere la controversia. In linea puramente teorica chi opera un drone potrebbe rischia- re di credere di essere in un gioco. L’espansione della tecnologia e delle interfacce commerciali stanno portando ad integrare la tecnologia dei videogames in guerra, i sistemi di controllo militare sono sul modello dei controller di Xbox e Playstation. I soldati continuano a considerare questi sistemi non come un semplice videogame, ma molto sul serio. Sia che si combatta da vicino che da lontano, lo stress da com- battimento e fatica è lo stesso di quello dei soldati tradizionali. La guerra, anche da lontano, resta ancora difficile e traumatica. Lo psicologo militare Hernandez Or- tega ha recentemente condotto un test psicologico per determinare i loro livelli di stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder - Disturb Post-Traumatico da stress - DPTS). Le conclusioni sono chiare: si riscontrano numerosi casi di sin- drome di problemi legati al sonno legato al lavoro in squadra, ma nessun pilota è risultato positivo ai test DPTS [9].

7.2.3 Zona vietata ai droni

A seguito di tali preoccupazioni, e dagli incidenti legati agli UAV, gli Stati Uniti hanno deciso di regolamentare l’uso di UAV: secondo la Federal Aviation Admini- stration (FAA), gli utenti devono ottenere un certificato di autorizzazione. L’uso di UAV è regolata anche a livello statale, rispettando una gerarchia di normativa crescente. Sempre la FAA ha stabilito che negli Stati Uniti i droni possono essere utilizzati per uso commerciale solo dopo una richiesta ufficiale che dovrà poi essere valutata e approvata [5], [30].

Figura 7.2: No drone zone (FAA)

Se da un lato a volte le paure sono insensate ed esagerate, dall’altro non è possibile negare che non tutte le paure sul loro utilizzo siano infondate. Non è bello vedere aggirarsi nell’area personale un drone, con l’obiettivo di spiare, fare fotografie o registrazioni video, senza rispettare la privacy altri e senza aver chiesto un preventivo consenso. A tutto questo va accoppiata la recente schizzofrenia dissociata della privacy: tutti utilizzano il web, i social network e altri luoghi virtuali, in cui dilaga la paura che le proprie foto (o i propri contenuti) siano di dominio pubblico e facilmente utilizzabili da male intenzionati.