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Dal sovraindebitamento alla “legislazione della crisi”

Come osservato il sovraindebitamento lega le sue origini a fattori diversi ovvero a scelte più o meno consapevoli e ad eventi imponderabili.

L’eterogeneità delle sue cause ha fatto sorgere la convinzione che, per predisporre strumenti idonei a contrastarlo, bisognasse dotarsi di una regolamentazione “bifasica”: emerge, infatti, fin dai primi studi e interventi europei sul punto,105 l’esigenza di differenziare l’intervento, prestando attenzione tanto alla fase antecedente la contrazione del credito, quanto alla fase successiva, attraverso il ricorso sinergico a rimedi ante e post contractum.

Eppure, ad eccezione di alcuni Paesi,106 l’attenzione dei legislatori nazionali si è concentrata sulla predisposizione di rimedi successivi con procedure, giudiziali e non, volte a comporre la crisi privata , spesso ricorrendo al rimedio del discharge : è il caso della Francia, dove una regolamentazione esclusiva è in vigore già dal 1989 (anche se a più riprese modificata), ma anche dell’ Italia che, pur fornitasi, come visto, solo recentemente di una soluzione al problema del sovraindebitamento, non ha saputo completamente avvantaggiarsi dell’ esperienza maturata sul punto, limitandosi ad una disciplina di tipo successivo.

Nonostante quindi si registri una positiva sensibilizzazione al problema da parte dei singoli Stati, questi ultimi sembrerebbero essere ancora lontani da una raffinata

105 Per i quali si rimanda al Capitolo II, paragrafo III. 106 In particolar modo i Paesi Scandinavi.

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comprensione del fenomeno, indispensabile per strutturare legislazioni efficaci; a ciò si aggiunga che, incidendo il sovraindebitamento sulle quattro libertà fondamentali riconosciute dall’Unione107, le risposte differenziate dei singoli Stati hanno finito per stimolare disuguaglianze inaccettabili nel contesto europeo, allontanando pericolosamente la Comunità dai suoi traguardi.

Queste considerazioni hanno convinto dell’esigenza di un’armonizzazione normativa, divenuta impellente a seguito della crisi dei subprime che ha concretizzato la paura che il sovraindebitamento potesse essere d’ ostacolo alla realizzazione del mercato interno, incidendo negativamente sulla giustizia sociale108 .

Così, ai primi studî, pareri e raccomandazioni, hanno fatto recentemente seguito dei veri e proprî atti legislativi che inaugurano, a livello comunitario, quella che potremmo definire “la legislazione della crisi” : essendosi il sovraindebitamento dimostrato indissolubilmente legato alla capillare diffusione del credito e, in particolare, del credito al consumo, coerentemente il primo intervento dell’Unione si è avuto, nel 2008, proprio in questo settore109 per poi, nel 2014,110 passare ad interessarsi di una sua specifica area dimostratasi particolarmente esposta alle turbolenze finanziarie, ossia quella del credito relativo agli immobili residenziali. Pur potendosi rintracciare, in entrambi i casi, una struttura logica articolata in termini di argini e rimedî al problema del sovraindebitamento, la disciplina

107 Si tratta nello specifico della libera circolazione dei beni, dei capitali, delle persone e

dei servizî. Dal momento che queste libertà possono subire pesanti restrizioni a causa del sovraindebitamento, l’ Unione Europea, come visto, dagli anni ‘90 si è interessata al problema.

108 COMITATO ECONOMICO E SOCIALE, Parere del Comitato economico e sociale sul

tema “Credito ed esclusione sociale in una società opulenta”, cit. punto 1.2.

109 direttiva 2008/48/CE. 110 direttiva 2014/17/UE.

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comunitaria evidenzia, come vedremo, una spiccata predilezione per gli strumenti di tutela preventiva: solo là dove la rete di tutele nella fase delle trattative fosse stata superata per negligenza o semplice impossibilità di prevedere la debacle, si dovrà agire sulle conseguenze patrimoniali dell’inadempimento, nel difficile tentativo di contemperare il diritto riconosciuto e garantito del creditore di vedersi restituito quanto dovuto e la situazione di difficoltà in cui versa il debitore.

Dal “credito al consumo” al “credito ai consumatori”

Pur intendendo, nel prosieguo, circoscrivere l’analisi alla legislazione della crisi (intesa come il risultato più maturo del dibattito europeo in tema di sovraindebitamento) e, in particolar modo, alla direttiva mutui, non si può ignorare il suo inserirsi a pieno titolo nella legislazione europea del credito al consumo: sarà dunque opportuno ricostruire di quest’ultima, se pur brevemente, le evoluzioni legislative111; ciò permetterà ,tra l’altro, di rendere esplicite le ragioni che sottostanno all’ adozione delle due recenti direttive e di comprenderne più intimamente le scelte.

Il credito al consumo costituisce da sempre, a livello comunitario, un argomento oggetto di forti tensioni legate, da un lato alla difficoltà di ricondurre ad unità il

111 Il discorso sarà limitato ai soli atti propriamente normativi quali le direttive; si

tralascerà quindi, ogni riferimento ad altri documenti che definiscono la condotta della politica comunitaria in questo settore come le relazioni stilate periodicamente dalla Commissione e non pubblicate in Gazzetta ufficiale che, da un lato, registrano lo stato di fatto e di diritto in materia, dall’altro riassumo i risultati raggiunti e le questioni ancora da risolvere.

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fenomeno112 e, dall’altro, al convivere di diverse posizioni rispetto a ciò che possa considerarsi un “intervento legislativo appropriato” in materia.

La prima iniziativa volta a superare l’empasse è stata della Commissione europea che, nel 1974, adottò un avant-project113 di direttiva del credito al consumo, il primo tassello di un percorso dimostratosi lungo e travagliato; redatto sotto forma di “invito”, il documento auspicava l’adozione di una normativa unitaria in grado di regolare le fattispecie riconducibili al credito al consumo e di dare risposta, essenzialmente, a due esigenze: assicurare che il consumatore sia adeguatamente informato e consapevole circa le condizioni dell’operazione economica che si accinge ad intraprendere; attuare un controllo sul contenuto e sulla disciplina del rapporto contrattuale per valutare la sussistenza di un’ equa distribuzione degli obblighi negoziali tra le parti.

In linea con tale ratio, l’avant-project conferiva al giudice il potere di controllo sulle clausole contenute nel contratto e predisposte unilateralmente dal finanziatore,114 assestando così, in nome di una preminente esigenza di tutela

112 Tale aspetto può essere colto sia dal punto di vista soggettivo, in quanto diversi possono essere i soggetti coinvolti nelle varie operazioni economiche rilevanti (soggetti specializzati nella concessione del credito: banche, istituti finanziari, lo stesso commerciante etc.), sia dal punto di vista oggettivo, poiché molteplici possono essere le fattispecie negoziali poste in essere dalle parti (vendite rateali con riserva di proprietà; apertura di credito semplice e rotativa connessa all’utilizzo di carte; i cc.dd. finanziamenti personali; alcuni contratti di leasing; il credito documentario; l’anticipazione bancaria garantita; lo scoperto di conto corrente; la cessione del quinto dello stipendio etc.).

113 Vedi G. Alpa, il diritto dei consumatori, Bari,2006; G. Alpa-M. Bessone, Funzione

economica e modelli giuridici delle operazioni di credito al consumo, in Riv. Soc, 1975, p.1364 e ss.

114 All’art 12 il progetto prevedeva che il giudice potesse modificare le clausole vessatorie

allo scopo di rendere “giusti ed equi i diritti e gli obblighi delle parti”. E precisava altresì che “ nel decidere se le clausole sono vessatorie, il tribunale considererà tra gli altri elementi, il valore effettivo della garanzia fornita dal debitore o, a richiesta di questo, il rischio accettato dal creditore”.

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consumeristica, un colpo fortissimo all’autonomia contrattuale;115 ma la portata innovativa del progetto andava ben oltre: l’avant-project ,infatti, rafforzava la tutela del consumatore riconoscendogli particolari prerogative in tema di recesso116 e in caso di inadempimento del fornitore;117 apprestava, inoltre, forme di tutela anticipata rispetto alla conclusione del contratto come la previsione di limiti alla pubblicità del credito al consumo118 accompagnati da norme volte ad assicurare la massima comprensione delle condizioni di concessione del credito; ancora, si prevedevano precisi oneri di forma e contenuto, la cui violazione sarebbe stata punita severamente.

Purtroppo, forse eccessivamente ambizioso e spregiudicato per i tempi, il progetto non fu approvato, mancando il consenso unanime di tutti gli Stati (allora richiesto).

115 Prevedendo che un terzo estraneo potesse modificare il contenuto dell’accordo in

essere tra le parti si voleva presumibilmente costituire uno strumento di tutela più efficace rispetto ad una comune sanzione, non sempre in grado di salvaguardare adeguatamente gli interessi del consumatore; la Commissione riteneva che al controllo meramente formale(l’unico allora previsto) , operato dal giudice in caso di violazione di obblighi informativi, dovesse essere affiancato un controllo di natura sostanziale, tale da garantire una tutela valida per la posizione economica e giuridica dei consumatori.

116 L’art. 8, infatti, riconosceva al consumatore la facoltà di avvalersi di uno jus

poenitendi, esercitabile entro un periodo di sette giorni dalla stipula del contratto, senza alcuna conseguenza negativa a suo carico. Sebbene questo risulti oggi un rimedio consolidato in materia consumeristica, allora era alquanto inusuale.

117 L’art. 9 prevedeva che, qualora le merci o i servizi fossero stati finanziati da una

persona diversa dal fornitore e qualora finanziatore e fornitore fossero stati legati da un rapporto d’affari, “ il debitore qualora sia titolare di un diritto di risarcimento nei confronti del fornitore, potrà far valere il suo diritto anche nei confronti del creditore quale responsabile in solido con il fornitore nei confronti del debitore per i danni a questo causati”. Si configurava quindi una responsabilità di tipo solidale che avrebbe di certo favorito il consumatore nel recuperare le somme versate per eventuali beni o servizi che, a causa dell’inadempimento del fornitore, non fossero stati consegnati o fossero risultati viziati.

118 Ad esempio l’art. 4 n02 stabiliva che la legislazione interna dovesse assicurare che in

ogni annuncio pubblicitario fossero “ fedelmente descritte le facilitazioni di credito che l’inserzionista è intenzionato ad accordare, e il costo reale di questo per chi le accetta” .

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Ciononostante i suoi sforzi non sono andati completamente perduti: infatti, ricomparve tra i documenti preparatori della direttiva 87/102/CEE119 che, recuperando gli strumenti di tutela in esso previsti, li ha resi il leit motiv della successiva tutela consumeristica in ambito contrattuale120.

Va subito precisato, però, che la suddetta direttiva (la quale costituisce uno dei primi, storici provvedimenti di armonizzazione delle legislazioni nazionali adottati dagli organi comunitari nel settore della tutela dei consumatori), pur prendendo le mosse dall’ avant-project, decise di sposare un approccio completamente diverso: là dove il progetto del ‘74 tendeva ad evidenziare istanze protezionistiche a favore del consumatore (soggetto debole del mercato) accompagnate dall’intento di potenziare, attraverso un complesso di regole attributive di diritti e rimedî, una condizione di inferiorità economica e giuridica, la direttiva 87/102/CEE aveva come finalità principale quella di riavvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative dei vari Stati, al fine di creare un mercato unico europeo del credito;121 la tutela del consumatore, pur non completamente assente, era quindi decisamente più timida rispetto al progetto originario.

119 Direttiva 87/102/CEE del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (in G.U.C.E., n. L 42 del 12 febbraio 1987, 48 ss.).

La disciplina del credito al consumo si realizza, in Italia, con gli artt. 18 - 24 della legge del 19 febbraio 1992, n. 142 contenente "disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee", meglio nota come “ legge comunitaria per il 1991”.

120 Tra tutti il diritto di recesso e l’informazione precontrattuale.

121 Il responsabile della Commissione CEE Patrick Latham si espresse nei seguenti termini:

“ Ciò che la direttiva vuole ottenere è l’eliminazione delle distorsioni provocate da norme e da realtà diverse per diversi Paesi, attraverso un’istituzione di norme comuni che eliminino le distinzioni tra credito regolato e quello non regolato. Occorre in altre parole mettere tutti sullo stesso piano: i consumatori da una parte gli erogatori del credito dall’altra. Il nostro obiettivo insomma è quello di creare un mercato comune del credito”.

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Per altro, proprio questa clausola di armonizzazione minima,122 causando l’aumento del divario esistente tra i Paesi europei in tema di tutela al consumo, finì per tradire le aspettative legate all’intervento dell’87, costituendo un ostacolo alla formazione del mercato unico.

Comunque, poco dopo la sua adozione, il testo originario fu modificato e integrato da altre due direttive, essenzialmente volte a perfezionare il calcolo del TAEG:123 la seconda direttiva( 90/88/CEE)124 intervenne a rivedere le definizioni di “costo totale del credito” e di “TAEG”125 contenute nella direttiva 87/102/CEE e ne dettò le regole di calcolo all’art. 1bis (il quale a sua volta faceva rinvio alla formula matematica contenuta nell’allegato II); inoltre, integrò l’art. 4 che disciplina il contenuto del contratto indicando come elementi da includere “un estratto dell’importo, del numero e della periodicità dei versamenti, nonché il loro importo totale e un estratto degli elementi di costo non inclusi nel calcolo del TAEG, ma dovuti a determinate condizioni”; con la terza direttiva (98/7/CEE),126 poi, si provvide ad abrogare ulteriori parti del testo comunitario (per lo più concernenti Questo proposito, inoltre, è stato trasposto in numerosi considerando che precedono il testo della direttiva.

122 Una conferma , sia pur indiretta, del carattere minimale della tutela si può trarre dall’art. 15 in cui si prevede che la direttiva “non impedisce agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più rigorose a tutela dei consumatori”.

123 Nell’86 si consentì agli Stati di godere di un periodo transitorio prima della definitiva

unificazione del metodo di calcolo del TAEG (tasso annuo effettivo globale): infatti l’art. 5 della direttiva 87/102/CEE prevedeva che, “ in deroga all’art 3 e all’art 4, paragrafo 2, e in attesa di una decisione sull’introduzione di un metodo o di metodi comunitari per il calcolo del tasso annuo effettivo globale”, gli Stati membri potessero imporre al finanziatore anche solo di indicare il tasso totale del credito. Per quanto riguarda poi la definizione di “costo totale del credito al consumatore” e quella di “tasso annuo effettivo globale”, l’art. 1 della direttiva prevedeva che fossero determinate “conformemente alle disposizioni o alle prassi esistenti o da stabilire negli Stati membri”.

124 Del Consiglio, del 22 febbraio 1990.

125 In base alle nuove disposizioni, le diverse definizioni adottate dai vari Stati potevano

continuare ad essere utilizzate solo sino alle fine del 1995.

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esclusioni o deroghe a favore degli Stati membri) e si introdusse un unico modello di calcolo del TAEG,127 dandone indicazione mediante un esempio tipico.

Negli anni successivi l’interesse delle istituzioni comunitarie128 per il settore del credito al consumo non si è assopito, anzi, “la rapida evoluzione del mercato del credito e la proposta di forme di finanziamento sempre nuove anche tramite tecniche di comunicazione a distanza”129 ha alimentato un incessante dibattito che

ha convinto la Commissione dell’esigenza di porre nuovamente mano alla disciplina, così come previsto, tra l’altro, dalla Strategia politica dei consumatori 2002-2006. Dopo un primo periodo di ristagno legislativo, che ha visto l’arenarsi di ben due proposte di direttiva,130 nel 2007, con l’adozione di una posizione comune del Parlamento Europeo e del Consiglio, il percorso si è riattivato, giungendo all’elaborazione della direttiva 2008/48/CEE.131

Pervenuta alla conclusione che l’insuccesso della prima direttiva fosse da ricondurre alle difficoltose tecniche di ingresso per gli operatori nei diversi Paesi membri oltre che al diverso livello di tutela garantito dai vari ordinamenti

127 L’efficacia della tutela dei consumatori dipende proprio dall’attendibilità di tale

operazione; dunque, per quanto la formula matematica potrebbe sembrare di scarso interesse per il giurista, in realtà non è così: essa, infatti, ha un ruolo di primaria importanza sia a livello informativo che concorrenziale, grazie all’immediatezza con cui consente al consumatore di rappresentarsi il costo totale dell’operazione.

128Come dimostrano i vari documenti programmatici che nel frattempo sono stati emanati. 129E. Pellecchia, Dall’insolvenza al sovraindebitamento, p.41.

130Le critiche da parte degli esponenti del mondo bancario e finanziario e dei consumatori, sommate ai già forti contrasti esistenti tra gli organi istituzionali europei hanno decretato l’accantonamento della prima proposta di direttiva (nel 2002). Così ha subito una prima radicale trasformazione nel 2004 che recepiva alcune delle numerose indicazioni contenute negli emendamenti presentati dal Parlamento. Anche questa seconda versione non superò le perplessità politiche già espresse inizialmente.

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giuridici,132 la Commissione ha preso le distanze dal precedente approccio, lavorando all’elaborazione di un testo che potesse rispondere al bisogno di standardizzazione della disciplina del credito a livello europeo: a tal fine, si è deciso di puntare sul principio di “armonizzazione massima”;133 si è invece posta in continuità con la pregressa esperienza per ciò che riguarda l’obiettivo principale: ossia dare impulso al mercato europeo del credito.134

Per quanto risulti abbastanza evidente la prevalenza accordata alle esigenze del mercato, va altresì ricordato che l’assunzione della nuova direttiva è stata preceduta da un animato dibattito sul prestito responsabile, nelle forme dell’ assunzione consapevole del debito (responsable borrowing) e di erogazione del credito (responsable lending).

Questo testimonia come l’intervento comunitario sia stato alimentato, oltre che da un desiderio di rafforzamento del mercato del credito, anche da istanze protezionistiche dei consumatori, alla luce dei crescenti problemi (allora già

132 Queste considerazioni erano emerse già in due relazioni del ’95 e del ’96: la prima inerente all’applicazione nei diversi Stati della direttiva 87/102/CEE; la seconda sull’applicazione della direttiva 90/88/CEE e quindi sui diversi metodi adottati per il calcolo del TAEG.

133 Considerando n0 9; diversamente dalla previgente tecnica adottata (ossia quella di

armonizzazione minima) questa non lascia agli Stati la possibilità di introdurre disposizioni difformi, anche se più rigorose e di maggior favore per i consumatori. Una simile scelta deriva dall’aver rilevato come la costruzione di un diritto comune europeo e di uno spazio giuridico comunitario sia stata particolarmente difficile da perseguire a causa dell’utilizzo del principio di armonizzazione minima. “Questa politica non si è certo rivelata idonea a realizzare le condizioni di un mercato unico dal momento che non è riuscita ad assicurare uniformità di soluzioni con riferimento a situazioni identiche, o comunque, analoghe. È anche questa la ragione per cui, più di recente, […]si è preferito perseguire l’obiettivo della massima armonizzazione”(così G.Alpa-G.Conte, Riflessioni sul progetto di Common frame of reference e sulla revisione dell’acquis communautaire, in Riv. Dir. Civ., 2008,II, pag. 141 e ss.).

134Che trova conferma nella circostanza che la nuova direttiva individui come norma di riferimento l’ar.t 95 del Trattato CE (concernente il riavvicinamento delle disposizioni nazionali relative all’istaurazione e al funzionamento del mercato interno), anziché l’articolo 53( relativo alla politica di protezione dei consumatori).

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evidenti) legati alla crisi finanziaria e al sovraindebitamento delle famiglie. La politica di rafforzamento del mercato ha finito, così, per combinarsi con uno strumentario di protezione dei consumatori nella contrattazione del credito,135 binomio che costituisce “Il più appariscente tratto di discontinuità con la precedente normativa”,136 sebbene “la predisposizione di una maggior tutela per i consumatori” intenda” favorire il ricorso al consumo”.137

Una maggiore attenzione per il soggetto consumatore è testimoniata anche dalla circostanza che, proprio con la direttiva del 2008, si sia coniata l’espressione “contratti di credito ai consumatori” ( la quale racchiude una ampia varietà di tipologie contrattuali) che sostituzione la più risalente dicitura (“contratti di credito al consumo”) contenuta nella Direttiva dell’87.

Dunque, per quanto non vi siano nel corpus dalla nuova normativa riferimenti espliciti al sovraindebitamento e si avverta il carattere recessivo (o quanto meno secondario) della tutela dei consumatori, le novità introdotte dalla direttiva 2008/48/CE138 (chiaramente volte a prevenire il cattivo credito) sono tali da permetterci di superare alcuni scetticismi139 e, pur non ignorandone le criticità, di rinvenire in tale atto legislativo le prime tracce normative della lotta al

135 Va chiarito però che queste regole (pur costituendo un primo argine al sovraindebitamento) sono ancora molto fragili, in quanto risentono “delle insufficienze e dei limiti che connotano regole formulate in funzione della disciplina del mercato, con l’esaltazione spesso retorica della finalità di massimizzazione del “benessere dei consumatori” così Enza Pellecchia, Dall’insolvenza al sovraindebitamento, p.61.

136 L. Modica, Profili giuridici del Sovraindebitamento, p.228. 137 O. Condino, Profili giuridici del Sovraindebitamento,p.41.

138 Tra cui, in particolare, le più rilevanti ai fini della presente trattazione, sono le regole

dettate in tema di pubblicità commerciale, calcolo del TAEG, obblighi precontrattuali di disclosure, consulenza, responsable borrowing e responsable lending.

139Francesco Macario, Crediti al consumo e servizi di pagamento nella Comunitaria 2008, I Contratti, 12/2009,p.1145 “La nuova direttiva[…] trascura altre rilevanti questioni (come quella generale del “sovraindebitamento” del consumatore[…]”.

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sovraindebitamento privato: proprio con essa si apre, più o meno consapevolmente, quella legislazione della crisi da cui abbiamo preso le mosse e i

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