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Evoluzione del consonantismo e rapporto con la quantità vocalica ne

1. La Questione Cisalpina

1.2. L’area emiliana nel dominio cisalpino

1.2.8. Evoluzione del consonantismo e rapporto con la quantità vocalica ne

Alla luce di quanto qui già detto sulla degeminazione fonemica nel lizzanese e sulla sua compiutezza fonetica, vale l’osservazione di Malagoli (1930, pp. 130-131) secondo cui «Lizzano tiene una via di mezzo fra la Toscana e l’Emilia: la differenza tra la cns. breve e la lunga vi è ben sentita in postonia, quantunque il grado di forza dell’una e dell’altra cominci a essere qui minore che nella Toscana: si può dire che la cns. lunga lizzanese suona come una consonante e mezzo toscana»83. Ci aspettiamo, dunque, che nelle altre varietà qui prese in esame la

tendenza ala degeminazione sia più netta.

Secondo la cronologia degli studi bisogna innanzitutto menzionare gli ormai antichi interventi di Bertoni sul modenese. Riguardo al consonantismo egli in un primo momento (1905, p. 42) annota che sulle consonanti doppie non c’è «nulla da osservare, all’infuori che esse si conservano [...], salvo r e l che si semplificano. Riuscite finali, sono scritte abitualmente colla doppia e con ciò si determina assai bene la pronuncia». Sembra dunque che nel dialetto di Modena le consonanti geminate, salvo le liquide, siano rimaste estranee ad ogni fenomeno di degeminazione tipico dell’area gallo-italica84. Ma, vent’anni dopo, lo stesso Bertoni si corregge

(1925, n. 1, pp. 7-8) e dichiara: «Io confido che apparirà dimostrato [...] dalle pagine seguenti che con l’intervento della nozione della sillaba, parecchi problemi ricevono (per lo meno nel dialetto modenese) una soluzione soddisfacente». Lo spostamento del baricentro analitico sulla struttura sillabica implica il riconoscimento di una interrelazione costante dei due elementi del nesso vocale tonica/consonante postonica. Tale interrelazione viene esplicitata dallo studioso in una nota successiva (1932), in cui vengono discusse le osservazioni di Merlo sul dialetto, dal «fondo [...] non [...] etrusco o toscano» (1929, n. 6 a p. 72) di Borgo S. Sepolcro, da considerare piuttosto rappresentante di un tipo leggermente meno conservativo di gallo-italico rispetto al lizzanese85. Secondo Merlo (p.73), infatti, «nel dialetto del Borgo la consonante intervocalica

lunga, l’antica doppia, ha conservato nella postonia immediata la quantità originaria dietro alle vocali i, e, u, o; la ha perduta, si è fatta breve, scempia, dietro alla vocali E, ç, a». Bertoni risponde (1932, p. 38): «Ora, in emiliano [...] questa lunghezza e brevità [della consonante postonica] non dipendono punto dalla qualità della vocale [...], ma debbono dipendere dalla quantità. Ciò vuol dire che le sillabe con í, é, ó e ú chiusi erano pronunciate meno estese di quelle con á, ed è e ò aperti». Lo spostamento di prospettiva, peraltro molto sottile, è

83 Cfr. la nota 59 al § 1.2.5.

84 Una maggiore durata delle consonanti geminate originarie riuscite finali di parola negli ossitoni secondari rispetto a quelle rimaste interne nei parossitoni in -a# è registrata nell’odierno dialetto di Benedello, nel Frignano (Uguzzoni e Busà 1995; cfr. Loporcaro et al. 2005, p. 614; cfr. il § 3.1.2., in particolare la nota 184).

85 Questo perché il vocalismo tonico manifesta già i sintomi dell’abbassamento in posizione (cfr. le note 15 al § 1.1.2. e 62 al § 1.2.5.).

conseguenza inevitabile del riferimento alla sillaba. E infatti (p. 39) «Si tratta, insomma, anche qui di equilibrio della catena sillabica. [...] Che si tratti di quantità è anche dimostrato da ciò che è avvenuto nei proparossitoni, dove la sillaba tonica ha provocato un allungamento della consonante seguente86. [...] Le sillabe toniche possono essere più o meno estese, ma debbono

essere tutte lunghe; e quando sono meno estese, incorporano un elemento della consonante lunga seguente».

Coco (1970, pp. 88ss.), per il bolognese, si richiama direttamente agli esempi di Merlo e Bertoni per sostenere che «bisogna richiamarsi ad un criterio di lunghezza sillabica o prosodica la cui realizzazione è strettamente connessa all’accento della parola»87, perché da una parte

l’assenza di opposizioni in ossitonia non lascia decidere a favore della quantità vocalica, mentre dall’altra la meccanicità del comportamento delle consonanti in postonia fa escludere strutturalmente la pertinenza fonologica della quantità consonantica. Ma, come abbiamo già detto, non è la presenza di coppie minime a determinare la pertinenza fonologica della quantità vocalica, piuttosto il fatto, more Martinet (1975), che in ossitonia di sillaba libera vi siano vocali lunghe. E queste, in ossitonia secondaria, non mancano certo nel bolognese

(14) (Coco 1970)

/es’tE:/, “estate”, /’bi:/, “belli”, /’vi:/, “via”, /’so:/, “suo, -a”, /fa’zu:/, “fagioli”, ecc...

Nel dialetto di Bologna il processo di lenizione e degeminazione è giunto a definitivo compimento, salvo che in postonia « nel qual caso l’esito si presenta duplice, e precisamente si avrà una scempia quando la vocale tonica antecedente era a, E ed ç lat. volg. [...], mentre si avrà una consonante lunga, intensa [...] quando precedeva vocale tonica e, i, o, u lat. volg.» (Coco 1970, pp. 88ss.). L’argomento è in fondo sempre lo stesso, e viene spiegato nella sua dinamica «a causa della risoluzione della posizione per effetto della degeminazione consonantica» (n. 8, p. 8), per cui «la permanenza marginale di consonati geminate (nelle condizioni sopra esposte) determina una netta caratterizzazione di alcune vocali brevi. Va infine rilevato che le consonanti geminate, per il loro ricorrere esclusivamente dopo accento, e, subordinatamente, con maggior frequenza in pausa assoluta (a seguito della caduta delle vocali

86 Merlo (1929, p. 80) per il dialetto di Borgo S. Sepolcro applica ai proparossitoni la stessa norma per cui la consonante postonica risulta scempia dopo vocale bassa o mediobassa.

87 Secondo Coco (1970, n. 12, p. 11) l’accento intensivo «deve aver prodotto una distinzione netta, di natura quantitativa, fra vocali lunghe in s.l. e vocali brevi in s.c. senza compromettere la distinzione qualitativa preminente in fase di latino volgare», anche se «nel bolognese odierno ricorrono con maggior frequenza, nel complesso statistico del dialetto, vocali toniche foneticamente lunghe seguite da consonanti brevi» (pp. 88ss.), per il fenomeno dell’allungamento secondario delle vocali medio-basse e basse, e purtuttavia «sussistono, con minor frequenza, condizioni opposte di vocali toniche foneticamente brevi seguite da consonanti lunghe» (ibidem), mentre «fuori d’accento, invece, le vocali si presentano brevi e le consonanti, non precedute d’accento, pure costantemente brevi» (ibidem).

finali ad esclusione di -a), si realizzano propriamente come lunghe e intense» (1970, pp. 88ss.)88.

Ne consegue che l’allungamento secondario delle vocali mediobasse e basse sia da considerare totalmente subordinato al processo di degeminazione89. Ma ciò, come abbiamo

visto nei §§ precedenti, non è corretto: l’allungamento secondario è un fenomeno innovativo tipico dei dialetti emiliani fino a Parma (Uguzzoni 1974, n. 24, p. 250), mentre la progressione della degeminazione interessa già in epoche precedenti quasi tutta l’area Cisalpina.

Arianna Uguzzoni (1974, pp. 245-246), distinguendo chiaramente le condizioni fonetiche dalla struttura fonologica, ribalta la prospettiva di Coco: «Se ad un certo stadio del loro sviluppo i dialetti emiliani e romagnoli conobbero una realizzazione più o meno lunga della consonante corrispondente ad una geminata originaria, non è il caso di abbandonare per questo l’interpretazione strutturale dei fenomeni quantitativi sostenuta fin qui. Una prova del carattere combinatorio della lunghezza della consonante postonica, dipendente dalla brevità della vocale tonica, è stata vista nel fatto che all’allungamento secondario di tre dei sette fonemi vocalici brevi si accompagnò l’abbreviamento della consonante successiva». L’interpretazione strutturale, peraltro, corrisponde a quella qui prospettata nei §§ 1.2.1ss., in cui è centrale la consapevolezza dell’esistenza di opposizioni fonologiche di quantità vocalica, che scavalcano in diacronia la condizione di isocronismo sillabico, principio evocato da Bertoni per la spiegazione dei fenomeni analoghi del modenese, «anche a prescindere dal fatto che l’opposizione V: ∼ V si trova in parole tronche terminanti in vocale» (1974, p. 242)90.

Nelle analisi del bolognese resta comunque centrale la questione della realizzazione intensa delle consonanti postoniche e del legame di questa con la sussistenza delle opposizioni di quantità vocalica91. Elena Rizzi (1984, p. 94) riprende le osservazioni già avanzate da

88 Cfr. Coco (1971, p.165): «Resta ora da considerare se in realtà lo scempiamento rappresenti una soluzione perfettamente realizzata in ogni territorio e in tutte le possibili condizioni di contesto. A questo riguardo il Rohlfs non ha perplessità quando afferma che in area italiana settentrionale e in alcune zone contigue a sud degli Appennini è sconosciuta qualsiasi consonante doppia. Una conclusione del genere non sembra invece soddisfacente per il bolognese [...] in quanto che si possono tuttora cogliere tracce di un processo che non è giunto, in modo uniforme, ad un definitivo esito di scempiamento». Sulla persistenza di geminate nel bolognese cfr. i §§ 3.1.2., 3.2.2., 3.5.

89 Così come l’identità del trattamento delle vocali toniche dei proparossitoni in sillaba libera e di quelle dei parossitoni in posizione va ascritta alla geminazione anetimologica: «Le condizioni più favorevoli a tale coincidenza si hanno nei dialetti, come il romagnolo ed il bolognese, in cui un forte accento intensivo ha creato le premesse della caduta delle vocali atone (finali e mediane). È appunto sin da questa fase, successiva alla lenizione delle consonanti intervocaliche, ma precedente alla sincope, che le consonanti postoniche debbono aver subito una intensificazione la quale ha prodotto di conseguenza un abbreviamento della vocale tonica ed un incontro con gli esiti delle vocali dei parossitoni in sillaba chiusa» (Coco 1970, n. 7 p. 7; cfr. il § 3.1.2.).

90 Circa i fenomeni di geminazione anetimologica nei proparossitoni etimologici, la studiosa ricorda che «le vocali toniche di parole derivate da originari proparossitoni di sillaba aperta il più delle volte si sono evolute come le corrispondenti vocali di sillaba chiusa. Alla base di questo sviluppo [...] si suppone (cfr. Rohlfs 1966, § 228) un antico allungamento delle consonanti postoniche» (Uguzzoni 1975, p. 74).

91 Ma anche in più antichi trattati sul dialetto di Bologna. Una prima interessante osservazione di un particolare fenomeno che riguarda l’interrelazione tra lunghezza vocalica e lunghezza consonantica si trova infatti in Gaudenzi (1889, pp. 60-61): «Quando la vocale accentata era in origine seguita da consonante doppia, e quindi era breve, se si conserva e s’indebolisce, diventa lunga e la consonante

Arianna Uguzzoni per il frignanese92: «All’orecchio di un ascoltatore le consonanti postoniche

del tipo [‘mol·], [‘mol·-a] risultano senza alcun dubbio energiche, ma non lunghe: questo tipo di articolazione [...] è stato definito da Martinet close contact per sottolineare come la brevità della vocale tonica e la conseguente energia spesa per l’articolazione influenzino la realizzazione della consonante seguente [...]. In termini funzionali [...] la differenza tra i due tipi di contact vocalico-consonantico contribuisce ad opporre fonologicamente la vocale breve alla vocale lunga del medesimo timbro, così può accadere nel bolognese dove la quantità assume la funzione di tratto distintivo. Le opposizioni vanno dunque reinterpretate ammettendo la funzionalità a livello fonologico della quantità vocalica e il conseguente carattere combinatorio dell’energia consonantica (peraltro già ammesso in termini di “lunghezza consonantica” da tutti gli studiosi, almeno per il bolognese)»93.

Il dubbio sull’esistenza o meno di geminate nel bolognese, e sul fatto che la loro presenza sia da imputare a dinamiche di innovazione piuttosto che di conservazione, è stato sollevato anche da recenti ricerche sperimentali di John Hajek (1995 e 1997b). Dal confronto tra

i dati del bolognese e quelli di Monteveglio, località pedecollinare a quindici chilometri da seguente si semplifica. Quando invece la vocale accentata si rinforza, allora se la consonante seguente era scempia si raddoppia, e la vocale, di lunga che era, diventa breve». Bisogna leggere fra le righe di questa pennellata di fonetica impressionistica di un appassionato il cui manuale viene inesorabilmente classificato da Salvioni (1890) come prodotto dilettantesco. Non consideriamo ora le questioni che potrebbero essere sollevate dal modo in cui Gaudenzi mette in sequenza questi fenomeni; piuttosto, concentriamoci sulla terminologia utilizzata. Nel primo colon abbiamo una vocale breve che si indebolisce diventando lunga. Nel secondo colon abbiamo una vocale lunga che si rinforza diventando breve. Ciò sembra totalmente controintuitivo se prendiamo come parametro di riferimento proprio il peso della lunghezza vocalica, meno se consideriamo il nesso con la consonante postonica successiva. Una vocale tonica breve seguita da una consonante geminata viene sentita come rafforzata, così come indebolita è sentita la vocale tonica lunga seguita da una scempia. Questa estravaganza nel terreno della soprasegmentalità rientra nei ranghi nelle più tradizionali osservazioni di Trauzzi, dodici anni dopo. 1901, p. XV: «Si noti che [le vocali] possono essere lunghe e brevi, anzi la lunghezza è mantenuta più fortemente che in italiano. [...] Queste brevi, eccetto le finali à è ò, sono tanto brevi che sentono il bisogno di raddoppiare le consonanti seguenti». Trauzzi 1901, p. XVIII: (a l.v. > â) «Si vede in questo caso che fra la vocale a e la consonante doppia [...] seguente è avvenuta una specie di combinazione, per cui l’a si rafforzò allungandosi e la consonante naturalmente diminuì della sua intensità». Anche qui lasciamo per il momento da parte considerazioni sulle trafile diacroniche. Rispetto alle parole di Gaudenzi ciò che si nota subito è il sintagma «si rafforzò allungandosi» che ricolloca nei ranghi della prevedibilità descrittiva l’apparente ossimoro del trattato anteriore. Trauzzi, inoltre, marca le sue osservazioni sul tratto di lunghezza vocalica, del quale individua profili più estremi rispetto all’italiano standard sia sul versante della lunghezza che su quello della brevità. E due volte combina, non riferendosi però espilicitamente alla struttura sillabica, durata della vocale e della consonante seguente, che raddoppia o diminuisce della sua intensità a seconda del comportamento della vocale.

92 Cfr. Uguzzoni (1974, pp. 247-249), con i relativi riferimenti bibliografici. A questo specifico problema è interamente dedicato il § 3.2.2.

93 Sulla pertinenza dell’opposizione di quantità vocalica si soffermano anche Canepari e Vitali (1995) in un saggio su pronuncia e grafia del bolognese: essi sostengono l’impossibilità di verificare in ossitonia la pertinenza della quantità vocalica, dal momento che «fenomeno caratteristico dell’intramurario odierno è l’accorciamento (fino a monottonghi brevi) delle vocali lunghe [...] in sillaba finale aperta accentata» (p. 128), ma questa prospettiva viene rigettata dagli esempi in (14) (v. sopra) e dalle verifiche al § 2.4. Piuttosto, si può dire che «la consonante riflette la sua non pertinenza fonologica nella manifestazione consequenziale del suo comportamento» (ibidem), dal momento che «qualsiasi consonante preceduta da vocale breve accentata s’allunga automaticamente» (p. 146). Nell’analisi della struttura della sillaba e della scansione di parola condotta dai due studiosi si rinvengono alcune proposte di scansione che presuppongono l’esistenza del close contact (cfr. pp. 165-166): [‘VV-CV]; [‘VVC#] ∼ [‘VC:-V]; [‘VC:#].

Bologna in direzione di Modena, nel comprensorio della Val Samoggia egli arriva a concludere (1997, p. 133) che «questa generalizzazione geolinguistica [la fonologizzazione della quantità vocalica con relativa assenza di interazione tra quantità della vocale tonica e quantità della consonante postonica, n.d.A.] non è del tutto giustificabile. Alcuni dialetti settentrionali, perlopiù in Emilia, non solo contrastano le vocali lunghe e brevi ma sono marcati dalla presenza di consonanti sia brevi che lunghe». Ma, per quanto riguarda Monteveglio, la conclusione a cui giunge lo studioso (1997, p. 146) è la seguente: «Non ho trovato tracce di allungamenti consonantici, tranne in casi rari. [...] Si tratterebbe allora o di uno sviluppo spontaneo [...] o di un fenomeno che si sta diffondendo verso est da altri dialetti occidentali dell’Emilia che ha raggiunto Modena e che si è diffuso nelle zone occidentali della provincia di Bologna»94.

Secondo Hajek (p. 145) questi risultati provano la «regressione dell’allungamento consonantico nell’area di Monteveglio».

Il quadro che ne risulta è quella di una complessa dinamica di interdipendenze tra vocale tonica e consonante postonica, il cui status di scempia via degeminazione sembra determinarsi da Lizzano (geminate fonetiche) attraverso Bologna (degeminazione incompleta ?) verso Modena (degeminazione completa). Ipotesi da verificare, ferma restando la distinzione tra pertinenze fonologiche e manifestazioni fonetiche.

A questo punto, avendo a nostra disposizione un’ipotesi di fondo, cioè l’esistenza di una Dialektbund Cisalpina molto più convergente in cronologia alta, e una serie di dati sincronici su Lizzano e su Bologna che permettono di essere interpretati come due tappe dello stesso percorso evolutivo, la nostra messa a fuoco progressiva, cominciata dal Romanzo occidentale (o settentrionale, secondo i criteri più recenti), porta a individuare l’area tra Bologna e la sua montagna come una delle più interessanti ai fini non solo di un’indagine dialettologica sincronica, ma anche, e soprattutto, del tentativo di cogliere dinamiche evolutive che siano valide e applicabili per tutto il contesto gallo-italico. Oltre alla determinazione della direzione evolutiva della degeminazione e dell’eventuale formazione di geminate postoniche anetimologiche in quest’area, e all’analisi dell’evoluzione del vocalismo timbrico, bisognerà dedicare molta attenzione al comportamento dei proparossitoni etimologici, capaci di dare moltissime indicazioni anche sul trattamento del vocalismo atono, così come sarà interessante analizzare anche casi peculiari come quelli di vocale tonica seguita da liquida cum muta e di vocale tonica seguita da nasale implicata.

94 Lo studioso (ibidem) riporta risultati analoghi anche per una sua inchiesta a Modena del 1992, confrontandoli con quanto sostenuto da Bertoni 1905 (v. sopra) circa la persistenza delle consonanti geminate. Ma va detto, come si è visto sopra, che lo stesso Bertoni aveva rivisto questa sua posizione nei lavori successivi, per poi giungere all’individuazione della centralità della nozione di sillaba.

Su queste basi abbiamo condotto la nostra inchiesta sul campo: dopo aver presentato il nostro territorio di indagine e descritto il metodo con cui l’inchiesta è stata svolta, ne presenteremo i risultati, divisi per tipologia di parola95.

95 I dati qui presentati sono, come si è detto (cfr. Premessa), appartenenti in molti casi a varietà non frequentate dalle inchieste dialettologiche. In effetti, la bibliografia fonetico-fonologica per queste aree non va molto al di là della produzione degli studiosi dei quali abbiamo fatto fin ora menzione. Una vecchia tesi di laurea, discussa da Gemma Bernardi nell’A.A. 1940-41 con Gino Bottiglioni, rappresenta forse l’unico esempio di ricerca sul campo che ha messo a confronto diverse varietà appenniniche con le parlate di Pistoia e di Bologna, prese come estremi di una sorta di continuum. Le località scelte tra i due capoluoghi sono quelle di Pracchia (nella montagna pistoiese), Granaglione (non lontana da Lizzano), Lizzano, Porretta (lungo il fiume Reno) e Vergato (lungo il Reno ma più vicina a Bologna). Lo studio fa risaltare maggiormente la gradualità dei fenomeni rispetto agli eventuali tracciati di demarcazione, perché manca una valutazione critica dell’importanza di ogni singolo fenomeno per la determinazione delle isoglosse (cfr. la nota 2 al § 1.1.1.). Su un piano meramente quantitativo, infatti, si osserva che, per la maggioranza dei parametri scelti, Granaglione e Lizzano, aventi sistematicamente esiti comuni, sono più prossimi alla parlata pistoiese che a quella bolognese. Questo lavoro rimane però un riferimento importante, perché sottolinea le peculiarità della “zona grigia” dell’alta montagna bolognese, considerata tipologicamente intermedia tra il toscano e l’emiliano (Malagoli aveva propeso per la definizione di un’emilianità non avanzata), e dà conto di dialetti di località situate lungo il corso del fiume Reno come Porretta e Vergato. Per quanto riguarda la progressione della degeminazione, vale questa apodissi (p. 13): «Le consonanti doppie cadono gradatamente nei dialetti di influsso emiliano» (corsivo nostro).

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