• Non ci sono risultati.

Gli enzimi espressi dagli organismi viventi sono il risultato dell’evoluzione biologica attraverso milioni di anni. Solo in alcuni casi, questi enzimi naturali sono direttamente utilizzabili per applicazioni biotecnologiche, ma le loro caratteristiche catalitiche possono essere studiate e migliorate attraverso tecniche di ingegneria proteica. Quando le relazioni struttura/funzione delle proteine enzimatiche sono conosciute, è possibile utilizzare un approccio che prevede un disegno razionale e consente di predire quali residui amminoacidici dovranno essere modificati per ottenere le caratteristiche desiderate.

Negli ultimi anni, l’evoluzione diretta è emersa come alternativa all’approccio razionale permettendo il miglioramento di proprietà strutturali e funzionali come la stabilità e l’attività in differenti condizioni (temperature, pH estremi e solventi organici) e alterazioni nella specificità di reazione e substrato. L’evoluzione diretta continua il processo di evoluzione darwiniana e seleziona i mutanti con maggiore fitness da un insieme di varianti con mutazioni random. I mutanti migliorati vengono identificati attraverso lo screening o la selezione di proprietà di interesse e i geni codificanti queste proprietà vengono poi impiegati in ulteriori cicli di evoluzione. Questo approccio è particolarmente vantaggioso nel caso in cui non sono disponibili a priori conoscenze riguardo la struttura proteica o i meccanismi di reazione (Aharoni et al., 2004).

In laboratorio l’evoluzione diretta comprende, come l’evoluzione naturale, due fasi: la generazione della variabilità genetica e la selezione per una particolare funzione. In laboratorio, la variabilità nei geni di interesse è normalmente creata attraverso la mutagenesi random usando metodologie di tipo diverso. Mentre le tecniche per creare diversità genetica

49

sfruttano meccanismi che possono essere generalizzati, i sistemi per la selezione necessitano di adattamenti e modificazioni differenti per ogni proteina target e scopo. Infatti, il successo della mutagenesi random è dato non solo dalla possibilità di ottenere un numero molto grande di mutanti e quindi nella possibilità di costruire librerie di varianti di grandi dimensioni, ma soprattutto dalla presenza di un metodo di screening/selezione per la funzione desiderata della proteina di interesse che sia rapido ed efficiente.

La creazione di librerie di mutanti mediante metodi non ricombinativi può essere effettuata con la tecnica dell’error-prone PCR. Normalmente le reazioni di PCR vengono condotte in condizioni in cui un frammento di DNA possa essere amplificato con alta fedeltà. L’attività 3’→5’ esonucleasica intrinseca della DNA polimerasi (detta anche attività proof-

reading) assicura che l’amplificazione del DNA proceda in maniera accurata.

Occasionalmente nucleotidi sbagliati possono essere incorporati durante l’amplificazione, determinando l’insorgere di mutazioni con una frequenza di 0,1–2 × 10-4 con la DNA polimerasi di Thermus acquaticus (Taq-polimerasi). Questo errore molto piccolo può aumentare fino a 100 volte utilizzando DNA polimerasi prive di attività proof-reading, oppure modificando le condizioni di amplificazione. Ad esempio possono essere utilizzate alte concentrazioni di ioni Mg++ o Mn++ poiché, a determinati livelli di concentrazione salina, una base incorporata erroneamente riesce comunque ad appaiarsi senza distorcere eccessivamente la doppia elica. Oppure si possono adoperare concentrazioni sbilanciate di nucleotidi; infatti se la concentrazione di alcuni nucleotidi, come dCTP e dTTP, è molto più elevata rispetto agli altri, questi verranno inseriti con maggior frequenza. In esperimenti di evoluzione diretta è vantaggioso individuare le condizioni di reazione migliori affinché si ottenga una frequenza di mutazione pari a 2 o 3 nucleotidi per gene che determini in media una sostituzione amminoacidica per enzima mutato. Occorre però tener conto che la creazione di mutazioni mediante error-prone PCR non è omogenea per tutti gli amminoacidi a causa della degenerazione del codice genetico, infatti è molto più probabile mutare metionina e triptofano che sono specificati da una sola tripletta, rispettivamente AUG e UGG, rispetto a leucina, serina e arginina che sono codificati ciascuno da 6 triplette.

Per quanto riguarda la creazione di librerie di mutanti mediante metodi ricombinativi, la tecnica più utilizzata è quella del DNA shuffling che consiste in un processo controllato di ricombinazione omologa in vitro tra geni correlati. I passaggi fondamentali sono i seguenti: i geni vengono digeriti con una DNasi in modo controllato per generare frammenti di circa 50- 100 bp; successivamente questi frammenti sono soggetti a cicli ripetuti di denaturazione ed

annealing ed infine sono sottoposti ad una reazione di amplificazione in presenza della Taq-

DNA shuffling possono essere combinate tra loro per ottenere un più ampio spettro di varianti. Bulter et al. (2003) hanno utilizzato questa strategia sperimentale per ottenere alti livelli d’espressione di una laccasi di M. thermophila, insieme ad elevata attività. Per questo scopo hanno utilizzato come ospite S. cerevisiae e una metodologia di screening basata sull’attività nativa della proteina. Per ottenere una ricombinazione random delle varianti isolate nei vari passaggi di mutagenesi, sono stati effettuati diversi esperimenti di DNA

shuffling sia in vitro che in vivo sfruttando il sistema di riparazione del DNA del lievito (gap repair). La laccasi MtL prodotta a livelli elevati in lievito contiene 13 mutazioni: tre di queste

sono localizzate nei siti di processamento della proteina che corrispondono alla sequenza segnale di secrezione e sequenza C-terminale. Inoltre è stato dimostrato che la maturazione C-terminale gioca un ruolo importante nella attivazione dell’enzima e che la kcat dell’enzima

mutato incrementa di almeno cinque volte.

Recentemente, è stata sviluppata un’altra tecnica di ricombinazione in vitro, la ITCHY (incremental truncation for the creation of hybrid). Questa tecnica ha il vantaggio, rispetto al DNA shuffling, di rendere possibile la ricombinazione di sequenze che non hanno alcun grado di somiglianza. Il processo consiste nel digerire in modo controllato due geni con sequenza non omologa in modo tale da ottenere geni tronchi con delezioni di una sola base, progressivamente più ampie. Successivamente, i frammenti così generati sono sottoposti ad una reazione di ligazione. In questo modo è possibile ottenere geni chimerici che dopo essere espressi in un ospite opportuno sono soggetti a screening. Lo svantaggio di questa tecnica sta nel fatto che la ricombinazione può essere effettuata utilizzando solamente due geni alla volta e quindi le molecole ricombinanti che si formano hanno subìto un singolo evento di crossing-

over (Brocca, 2004).