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Evoluzione storica normativa sismica in Italia

CAPITOLO 1 EVOLUZIO E ORMATIVA

1.2 Evoluzione storica normativa sismica in Italia

A seguito del disastroso terremoto che colpì lo stretto di Messina nel 1908, ebbe inizio una abbondante legislazione in materia di edilizia antisismica indirizzata, almeno inizialmente, esclusivamente ai territori già colpiti da eventi sismici importanti.

Il Regio Decreto del 18 aprile 1909 n° 193 aprì di fatto il valzer normativo; gli aspetti trattati dal citato Regio Decreto riguardavano essenzialmente i criteri di scelta dei siti edificabili, le altezze massime e il numero dei piani degli edifici, alcune prescrizioni urbanistiche, nonché una serie di indicazioni sull’ idoneità dei sistemi costruttivi, sulle regole del buon costruire e su alcune prescrizioni inerenti i calcoli di stabilità.

In particolare, le azioni del moto ondulatorio dovevano essere simulate da forze orizzontali applicate alle masse del fabbricato nelle due direzioni ed agenti in entrambi i sensi di ogni direzione, mentre il moto sussultorio veniva considerato aumentando di una percentuale le azioni statiche dovute al peso proprio e al sopraccarico. È riconosciuta quindi la natura dinamica dell’azione sismica distinguendo tra la componente orizzontale (moto ondulatorio) e quella verticale (moto sussultorio), ma di entrambe non è data alcuna indicazione quantitativa.

Si dovrà infatti attendere il R.D.L. del 29 aprile 1915 n° 573 per avere le prime indicazioni quantitative sull’entità delle azioni sismiche. Questo impone che si debbano considerare :

- le azioni dinamiche, dovute al moto sismico ondulatorio, rappresentandolo con accelerazioni, applicate orizzontalmente alle masse del fabbricato nelle due direzioni (lunghezza e larghezza) ed agenti in entrambi i sensi di ogni direzione ,calcolate sapendo che i rapporti tra le forze applicate e le masse debbano essere convenzionalmente uguali ad un ottavo per il piano terreno (0,125) degli edifici che al piano di gronda non siano più alti di 10 m e ad un sesto per i piani superiori (0,16) di detti edifici e per quelli di altezza maggiore

- le azioni statiche dovute al peso proprio ed al sopraccarico, quando ha un carattere fisso o di lunga permanenza, aumentate del 50% per considerare l’effetto delle vibrazioni sussultorie

Il successivo R.D.L. del 23 ottobre 1924 n° 2089,sancì, tra le altre cose, il fatto che i calcoli dovevano essere firmati esclusivamente da un ingegnere, puntualizzò che non dovessero essere sommati gli effetti dell’accelerazione orizzontale e di quella verticale, calcolati come da decreto precedente, e introdusse alcune prescrizioni circa le “dimensioni delle membrature dell’ossatura per gli edifici di comune abitazione”(Art.29). In particolare si specifica che possono adottarsi per i pilastri in cemento armato, di edifici di comune abitazione a due piani, le seguenti dimensioni minime:

- al piano superiore cm. 30x30 con 4 tondini da mm. 18 - al piano terreno cm. 40x40 con 4 tondini da mm. 25

avendo cura di prolungare i ferri di ogni tronco nel successivo per una lunghezza non minore di 50 cm dal pavimento di ogni piano; ovvero di raddoppiare la sezione metallica mediante spezzoni alle due estremità, superiore ed inferiore ,dell’edificio.

a) che l’ossatura sia costituita da pilastri di cemento armato posti a distanza non maggiore di metri 5 ed in numero non minore dell’area totale della superficie coperta, espressa in metri quadrati divisa per 10, allineati nelle sezioni trasversali e longitudinali, e da correnti di collegamento dei pilastri disposti a livello di pianterreno, dei solai e della gronda, costituenti un ingabbiamento completo a maglie rettangolari

b) che i pilastri abbiano in ciascun piano tutti eguale sezione c) che altezze di ciascun piano non eccedano metri 4,5

d) che i muri esterni siano di mattoni pieni ed abbiano spessore eguale a cm.30 al piano superiore e cm.40 al piano terreno,con telai di cemento armato per i vani porte e finestre a norma del precedente art.20 (porte e finestre devono essere incorniciate da un solido telaio in ferro o di cemento armato, prolungando alcune nervature del telaio del vano fino all’incontro dei montanti e dei correnti dell’ossatura principale)

e) che i muri interni nei piani superiori siano costituiti con mattoni forati, mentre quelli principali, costituenti il controventamento dei telai a distanza non maggiore di metri 10, abbiano la grossezza non minore di cm. 25

Si dispone inoltre che le sezioni mediate dei traversi, proporzionate al peso proprio e sopraccarico aumentati del 50 per cento, non debbano risultare di dimensioni minori delle seguenti:

- al livello del piano di gronda : cm.20 di base per cm.30 di altezza, con tre ferri da mm.18 inferiori e due da 14 superiori

- al livello del pavimento, sul pianterreno, cm.30 di base per cm.30 di altezza con tre ferri da mm.25 inferiori e due da 14 superiori

considerando compresa nel calcolo delle altezze la grossezza della soletta. All’attacco con i montanti i traversi devono essere poi forniti di mensole, le quali devono avere nelle sezioni d’incastro, dimensioni non inferiori alle seguenti:

- al livello di gronda, cm.5 di base per cm.45 di altezza complessiva ( compresa quella del traverso) con tre ferri da mm..18 per parte - al livello del pavimento sul piano terreno, cm.35 di base per cm.60 di

altezza con tre ferri da mm.25 per parte

I correnti longitudinali debbono invece avere le dimensioni uguali a quelle dei corrispondenti trasversali ed i correnti e traversi del telaio di base devono avere le seguenti dimensioni minime :

- sezioni mediano di cm. 50x60 con tre ferri da mm.30 superiori e due da mm.14 inferiori

- mensole d’incastro di 50x80 con tre tondini da 30 per parte

Sono poi fornite, sempre nel medesimo articolo, alcune indicazioni sugli schemi di calcolo da adottare, in particolare si afferma di considerare le varie membrature come semi incastrate per il calcolo delle sezioni alla mezzeria, e come perfettamente incastrate per il calcolo delle sezioni di estremità, secondo le prescrizioni normali per l’esecuzione delle opere in cemento armato.

Si impone quindi, per le strutture orizzontali, il collaudo mediante prove di carico eseguite con pesi equipollenti alle forze verticali adottate nel calcolo.

Infine per gli edifici che dovranno necessariamente avere un cantinato si potranno prolungare i montanti fino al piano di pavimento dei cantinati ove si costruisce il telaio di base e qualora il telaio di base dell’ossatura venisse poggiato sui muri del cantinato, al livello del

pianterreno, rendendo inutile il prolungamento dei montanti, i muri dovranno avere uno spessore non inferiore a cm.80.

Con il seguente R.D. del 13 marzo 1927 n°431si arriva quindi ad una classificazione delle località colpite dai terremoti “in relazione al loro

grado di sismicità ed alla loro costituzione geologica” e suddividendole in

due categorie, per le quali erano riservate delle prescrizioni specifiche per il calcolo dell’azione sismica.

Per le località della I categoria si imponeva di considerare le seguenti forze agenti, non contemporaneamente, sulle strutture resistenti dell’edificio:

a) il peso proprio ed il sopraccarico massimo di ciascuna di esse aumentati del 50 per cento, per tenere conto di eventuali azioni dinamiche dovute al moto sussultorio

b) forze orizzontali applicate alle masse delle varie parti dell’edifico, dipendenti dalle accelerazioni sismiche ad esso trasmesse dal moto ondulatorio. Queste forze agenti in entrambi i sensi, tanto in direzione longitudinale quanto in direzione trasversale, sono calcolate assumendo un rapporto tra le forze stesse ed i pesi corrispondenti alle masse su cui agiscono pari ad 1/8 per il piano terreno degli edifici che al piano di gronda non siano più alti di metri 10 o metri 12; pari ad un sesto per i piani superiori di detti edifici e per tutti i piani degli altri edifici.

Si nota come per le località inserite nella I categoria non siano cambiate i valori delle azioni sismiche rispetto a quelli indicati nel decreto precedenti.

Per le località di II categoria tali valori vengono invece ridotti, si impone infatti:

- per le azioni dinamiche dovute al moto sussultorio, l’aumento di un terzo dei carichi statici

- per le azioni dinamiche dovute al moto ondulatorio, un rapporto tra forze orizzontali e pesi corrispondenti alle masse su cui agiscono pari ad un decimo per tutti i piani degli edifici, quando questi non siano più alti di 15 m ed pari ad un ottavo per altezze superiori a metri 15. Evitando in ogni modo sezioni trasversali dei pilastri inferiori a cm 30 per 30.

Infine per quanto riguarda le norme sulle “dimensioni delle membrature dell’ossatura per gli edifici di comune abitazione” (Art.29), vengono riprese per le località di I categoria le indicazioni riportate nel precedente decreto, mentre non sono fornite disposizioni per le località di II categoria.

Le successive norme tecniche ed igieniche di edilizia per le località sismiche furono emanate cono il R.D.L. del 3 Aprile 1930 n°682, tuttavia questo non introdusse novità degne di nota.

Col seguente R.D.L. del 23 marzo 1935 n°640 “ orme Tecniche di

edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti” venne

invece delineato un nuovo quadro normativo valido per tutti i comuni del regno, che costrinse le amministrazioni locali ad adottare regolamenti edilizi che specificassero le regole del buon costruire, in relazione anche ai materiali ed ai sistemi costruttivi tipici dei rispettivi territori.

Venivano tra l’altro richiamate anche alcune specifiche necessità come quelle che indicavano di evitare strutture spingenti e di eseguire cordoli sui muri in corrispondenza dei piani, compreso quello di gronda.

Per quanto riguarda poi le località sismiche della I e della II categoria, furono riprese le prescrizioni riportate nei precedenti decreti con alcune modifiche in particolare nei riguardi del calcolo dell’azione sismica.

Si imponeva infatti, all’art.30, di considerare per le località della I categoria le seguenti forze agenti, non contemporaneamente, sulle strutture resistenti dell’edificio:

c) il peso proprio ed il sopraccarico massimo di ciascuna di esse aumentati del 40 per cento, per tenere conto di eventuali azioni dinamiche dovute al moto sussultorio

d) forze orizzontali applicate alle masse delle varie parti dell’edifico, dipendenti dalle accelerazioni sismiche ad esso trasmesse dal moto ondulatorio. Queste forze agenti in entrambi i sensi, tanto in direzione longitudinale quanto in direzione trasversale, sono calcolate assumendo un rapporto tra le forze stesse ed i pesi corrispondenti alle masse su cui agiscono pari ad 1/10 qualunque siano l’altezza dell’edificio ed il numero dei piani

Inoltre viene specificato che per il calcolo delle azioni orizzontali il carico accidentale deve essere limitato ad un terzo di quello massimo assunto per il calcolo delle singole strutture, disposizione questa che si ritroverà poi nei decreti successivi dal D.M. del 03/03/1975 fino al D.M. del 16/01/1996.

Per le località di II categoria vengono invece ridotte le forze agenti, si impone infatti di considerare:

- per le azioni dinamiche dovute al moto sussultorio, l’aumento del 25 % dei carichi statici

- per le azioni dinamiche dovute al moto ondulatorio, un rapporto tra forze orizzontali e pesi corrispondenti alle masse su cui agiscono pari ad 0,07 qualunque siano l’altezza dell’edificio ed il numero dei piani

Si verificò dunque un decremento del rapporto tra forze orizzontali e masse di piano sia per le località sismiche della I categoria che della II; tra

l’altro dovendosi considerare tali valori costanti per tutta l’altezza dell’edificio, di fatto si perse di vista la natura dinamica del sisma (amplificazione dinamica in altezza), concetto che venne ripreso solo nel 1975.

Erano infine fornite indicazioni, sempre all’art.30 , in merito alle cosiddette “strutture asismiche” da considerare di norma come sistemi elastici costituiti da travi e pilastri saldati tra loro (telai) e calcolati coi metodi della scienza delle costruzioni relativi ai sistemi staticamente indeterminati, sia per le sollecitazioni derivanti dai carichi verticali, sia per quelle derivanti dalle forze orizzontali. Nel calcolo dei telai multipli si ammetteva tuttavia di trascurare le deformazioni derivanti dalle sollecitazioni del taglio e dalle sollecitazioni assiali.

Si affermava poi di prescindere nel calcolo dei telai dagli aumenti di rigidezza derivanti dai muri trasversali ad esclusione di edifici muniti di telai irrigiditi, a distanza inferiore ai 15 metri, mediante diagonali metalliche o di cemento armato, o da robuste pareti di mattoni pieni e malta cementizia, nel qual caso veniva ammesso per i telai intermedi ( a maglie quadrangolari) il calcolo approssimato delle forze orizzontali ridotte del 50 % rispetto ai valori sopra determinati. In questo caso i telai maggiormente rigidi dovevano poi essere verificati come mensole incastrate alla base sotto l’azione delle forze orizzontali corrispondenti al loro scomparto e del 50% di quelle dei telai intermedi non considerate nel calcolo di questi ultimi.

Il R.D.L. del 1935 venne poi leggermente modificato dal R.D.L. del

22 ovembre 1937 n°2105 , in particolare nei confronti del calcolo

dell’azione sismica si specificò di considerare nell’ aumento carichi statici dovuto al moto sussultorio , un valore di partenza del sopraccarico accidentale pari ad un terzo del valore nominale, sempreché il carico totale così ottenuto non risulti inferiore alla somma del peso proprio e del

sopraccarico accidentale nel suo valore nominale. Inoltre venne ulteriormente ridotto, per le località sismiche di II categoria, il rapporto tra le forze orizzontali ed i pesi corrispondenti alle masse su cui agiscono, passando da 0,07 a 0,05.

Sono poi fornite per la prima volta alcune indicazioni sui carichi di sicurezza da adottarsi nei calcoli delle membrature in conglomerato cementizio armato, assumendo i valori di 1400 kg/cm2 e 2000 kg/cm2 rispettivamente per il ferro omogeneo e per l’acciaio semiduro.

Tutto questo rimanendo in accordo alle norme specifiche sul cemento armato e sui leganti idraulici dettate dal R.D.L. 29 luglio 1933,

n.1213 poi sostituito dal R.D.L. del 16 novembre 1939, n°2228 e n°2229 descritti al paragrafo precedente.

La norma del 1937 farà da riferimento per le costruzioni in zona sismica per molti anni, in pratica fino al 1975, infatti anche con la Legge 25

novembre 1962 n°1684, sebbene la cultura scientifica avesse fatto passi in avanti, non vennero apportate sostanziali modifiche alla legge del 1937, ad eccezione di piccole particolarità, come quelle riguardanti l’eliminazione degli effetti sismici verticali tranne che per strutture a sbalzo per le quale era previsto un incremento dei carichi permanenti ed accidentali del 40%.

La normativa sismica successiva a quella del 1937 e di pari importanza per longevità è quindi quella emanata, facendo seguito alle disposizioni della legge n.64 del 1974, con il D.M. 03 marzo 1975. Questa rimarrà sostanzialmente inalterata per circa trent’anni fino all’emanazione il 20 Marzo 2003 dell’ Ordinanza PCM 3274 .

Il testo del 1975 è molto importante in quanto presenta molte novità in particolare nel merito del calcolo dell’azione sismica. Viene infatti introdotta l’analisi statica, schematizzando l’azione del sisma con due sistemi di forze orizzontali agenti non contemporaneamente secondo due direzioni ortogonali.

Tali azioni sono proporzionali ai pesi Wi definiti come somma dei

pesi strutturali Gi e di un aliquota s del sovraccarico Qi

!" = #" + $ ∙ &"

ed applicate in corrispondenza dei baricentri dei “pesi” medesimi , i quali possono essere generalmente riportati alle quote dei solai.

Tabella 1.1 – Coefficiente s per il sovraccarico accidentale

La formula per il calcolo di quest’azione statica equivalente alla generica quota i risulta quindi essere la seguente

'" = ()" ∙ !" dove

()" = * ∙ ∙ + ∙ , ∙ -"

essendo

* = ./ il coefficiente di intensità sismica 0 il grado di sismicità della zona di costruzione

il coefficiente di risposta che dipende dal periodo fondamentale di vibrazione relativamente alla direzione considerata calcolato attraverso adeguate analisi dinamiche della sola struttura resistente. Nel caso questa non venga eseguita si assumerà pari a 1.

+ il coefficiente di fondazione assunto di regola pari 1, ad eccezione delle fondazioni dirette ed indirette su terreni particolarmente compressibili per le quali sarà apri a 1,3

, il coefficiente di struttura , assunto di regola pari a 1 ; nel caso che nella struttura dell'edificio vi siano telai ed elementi irrigidenti verticali ai quali si affida approssimativamente il 100% delle azioni orizzontali, si assumerà pari a 1,2

-" il coefficiente di distribuzione, che dipende dal piano in esame ed espresso dalla relazione seguente

-" = ℎ" ∑ !3 4 35

∑435 !3∙ ℎ3

Per quanto riguarda invece le azioni verticali, esse non vengono considerate ad esclusione di strutture aventi membrature orizzontali con luce superiore a 10 m o di natura spingente o presentanti sbalzi.

In tal caso si applica alla struttura un sistema di forze verticali, distribuite proporzionalmente alle masse presenti, la cui risultante sarà

'6 = ∙ * ∙ !

nella quale è, in genere, m = 2, salvo quanto precisato nelle norme tecniche proprie di opere particolari.

Indicando con αh e ηh rispettivamente le sollecitazioni (momento

flettente, forza assiale, forza di taglio e momento torcente) e gli spostamenti prodotti dal sisma di forze orizzontali, e con αv e ηv le sollecitazioni e gli

spostamenti prodotti dal sisma di forze verticali la singole componente di sollecitazione α e la singola componente di spostamento η risultano

7 = 7)+ 76 8 = 8)+ 86

L’analisi statica degli effetti sismici si può adottare per le costruzioni la cui struttura portante abbia uno schema statico semplice nei riguardi del suo comportamento sotto la azione sismica, e che non presenti elementi spingenti o di luce notevole.

Si impone invece per strutture con periodo proprio T0 maggiore di

1,4 s l’analisi dinamica eseguita con il metodo dell’analisi modale adottando come spettro di risposta, in termini di accelerazione orizzontale l’espressione

9

= * ∙ ∙ : ∙ ,

L’analisi modale deve poi tenere conto almeno dei primi tre modi di vibrazione e se la struttura presenta gruppi di modi indipendenti, il numero di modi considerati deve essere adeguatamente aumentato di conseguenza. Per ciascuna eccitazione (orizzontale oppure verticale), indicando con αi e ηi

rispettivamente le sollecitazioni e gli spostamenti relativi al modo i-esimo, le sollecitazioni e gli spostamenti complessivi si calcolano con le seguenti espressioni

7 = ;7" 8 = ;8"

Il decreto, in attesa dell’aggiornamento degli elenchi delle zone sismiche richiesto dalla legge del 2 febbraio 1974 n°64, si applicava solamente alle località sismiche già classificate in virtù delle preesistenti disposizioni in materia, nella prima e seconda categoria, ad esse attribuendo i gradi di sismicità S = 12 e S = 9 . In merito risulta doveroso effettuare un breve excursus sull’evoluzione della classificazione sismica.

I criteri per la classificazione sismica del territorio nazionale tardavano infatti ad evolversi, fino al 1980 valse il criterio di classificare una zona come sismica solo in seguito ad un importante evento sismico, in base ai danni subiti, secondo una suddivisione netta in due categorie.

Figura 1.1 – Classificazione sismica 1909

Figura 1.3 – Classificazione sismica 1935

Figura 1.5 – Classificazione sismica 1975

La classificazione, come sottolineato dalle figure precedenti, procedeva quindi lentamente e a sbalzi, senza un piano organico, e zone in cui le condizioni fisiche potevano far temere futuri eventi distruttivi non erano considerate a rischio. Inoltre, pressioni politiche, alle volte contrastanti, portavano ad una classificazione ingiustificabile: poteva avvenire infatti che, in seguito ad un evento, comuni pur poco colpiti facessero di tutto per essere classificati in zona sismica in modo da attingere a cospicui finanziamenti per la ricostruzione e poi, a distanza dall’evento, cercassero in tutti i modi di ottenere la declassificazione per non sopportare i maggiori oneri derivanti dalle norme per le nuove costruzioni.

Di conseguenza, come si nota dalla Figure 1.5 la mappa delle zone classificate presentava anomalie evidenti: zone altamente sismiche completamente isolate, o viceversa zone non classificate, completamente circondate da zone considerate ad alto rischio.

Tuttavia dopo il terremoto in Irpinia del 1980 , si intrapresero studi sistematici finalizzati ad una classificazione sismica del territorio nazionale basata su criteri moderni e su studi scientifici. Questi studi condotti dal CNR porteranno alla classificazione del 1984, riportata in figura 1.5, che quasi raddoppierà il numero di comuni considerati sismici: si passa infatti da 1600 a 2965, e definirà tre categorie sismiche I, II e III aventi grado di sismicità S pari rispettivamente a 12 ,9 e 6 .

Figura 1.5 – Classificazione sismica 1984

Questa classificazione rimarrà valida per molti anni, in pratica fino all’entrata in vigore dell’ OPCM 3274 del 2003 dal titolo “Primi elementi

in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”.

Questa ordinanza recepisce i moderni criteri di classificazione sismica, in particolare le mappe di pericolosità sismica elaborate dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Si individuano pertanto quattro zone, ciascuna caratterizzata dai valori di accelerazione orizzontale di picco al suolo con probabilità di superamento del 10% in 50 anni, secondo la tabella seguente

Tabella 1.2 – Classificazione sismica OPCM 3274

Le zone sismiche sono individuate sulla base del documento

“Proposta di riclassificazione sismica del territorio nazionale” elaborato

dal Gruppo di Lavoro costituito sulla base della risoluzione delle Commissione Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi nella seduta del 23 aprile 1997 in particolare le zone 1,2 e 3 corrispondono alle categorie I,

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