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Evoluzione storica degli studi sull’ERM

ERM E IL VALORE DI MERCATO

4.1 Evoluzione storica degli studi sull’ERM

Sebbene l’argomento dell’Enterprise Risk Management sia recente, si possono tro- vare una serie di studi in materia che possono essere raggruppati in due macro categorie. Un primo filone pone l’attenzione alle caratteristiche del modello per valutarne i punti di forza, i punti di debolezza e l’importanza dell’istituzione di una figura preposta quale il CRO. Il secondo tipo di studi, invece, va a valutare nello specifico i rapporti tra alcuni dati quantitativi evidenziabili in azienda e l’applicazione dell’ERM. In questi ultimi ad esempio si valutano le tipologie di imprese che maggiormente si prestano ad implemen- tare tale modello osservandole in termini di dimensione o di livello d’indebitamento. Oppure si ricercano relazioni tra il valore di mercato attribuito all’azienda e il fatto che essa decida di implementare o meno l’ERM.

Poiché tipicamente le aziende non dichiarano espressamente l’adozione del modello, gli studi103 che vengono fatti tendono ad usare l’informazione dell’istituzione di un CRO (Chief Risk Officer) quale indicatore dell’implementazione dell’ERM. Infatti, egli è una figura specifica preposta tipicamente all’attività di gestione integrata del rischio e per tale motivo, se viene creata questa posizione, si presuppone vi sia anche l’implementazione del modello. Questa conclusione non è scontata, come afferma Segal (2011)104, poiché non è detto che tale soggetto realizzi una corretta e completa imple- mentazione dell’Enterprise Risk Management.

103Si vedano a riguardo: Liebenberg, Hoyt, “The determinants of Enterprise Risk Management: evidence

from the appointment of chief risk officers”, Risk Management and Insurance Review, Vol. 6, No. 1, 2003, pp. 37-52; Hoyt R. E., Liebenberg A. P., “The Value of Enterprise Risk Management: Evidence from the U.S. Insurance Industry” , Society of Actuaries, 2008; Pagach D., Warr R., “An Empirical Investigation of the Characteristics of Firms Adopting Enterprise Risk Management”, working paper North Carolina State University, 2007; Pagach D., Warr R., “ The Effects of Enterprise Risk Management on firm performance”, working paper Jenkins Graduate School of Management, 2010; Mcshane M.K., Nair A., rustambekov E.,“Does Enterprise Risk Management Increase Firm Value?”, Journal of Accounting, Auditing & Finance, vol. 26, 2011, pp.641–658; Manab N. A., Kassim I., Hussin M. R., “Enterprise-Wide Risk Management (EWRM) Practices: Between Corporate Governance Compliance and Value Creation”, International Re- view of Business Research Papers, Vol 6, N. 2, 2010, pp. 239-252.

104

Segal S., “Corporate value of Enterprise Risk Management : the next step in business management”, Wiley, 2011.

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Nonostante questa dichiarazione discordante, questo modus operandi sarà parzial- mente applicato anche nell’analisi che seguirà in questo testo, che assieme ad una lettura dei prospetti aziendali, permetterà di identificare le aziende italiane che hanno imple- mentato l’ERM. In questo contesto può essere più complesso poiché non esiste, come ad esempio in America, l’obbligo di comunicare alcune informazioni specifiche circa i rischi. Vi sono alcuni documenti, come già accennato nel precedente capitolo, che ri- chiedono una spiegazione delle politiche adottate, tipicamente la relazione sulla gestio- ne, ma questo non implica che vi siano sufficienti informazioni per comprendere se realmente sia stato implementato l’ERM o se invece si tratti di una gestione di tipo tra- dizionale.

Per poter meglio comprende il prosieguo della ricerca svolta, si ritiene utile fare una breve presentazione di alcuni studi precedentemente svolti che ne hanno ispirata la rea- lizzazione. Questo permetterà di creare alcune conoscenze che risulteranno utili per in- terpretare l’analisi.

Gli studi che si sono fin qui realizzati, possono essere di due tipi, come detto in pre- cedenza. Alcuni tra i più rilevanti appartenenti al primo filone sono quelli di: Kleffner, Lee, McGannon (2003) e di Yusuwan, Adnan, Omar (2008)105.

Come già accennato, questi sono studi più descrittivi, infatti, tipicamente vengono elaborati a seguito della raccolta di dati tramite questionari o interviste che permettono di capire alcune caratteristiche dell’adozione dell’ERM.

Il primo studio che si va ad analizzare è quello elaborato nel 2003 da Kleffner, Lee, McGannon. Questi autori hanno somministrato a 118 aziende canadesi quotate, un que- stionario suddiviso in quattro sezioni: caratteristiche dell’impresa, organizzazione della funzione di risk management, livello di utilizzo di strategie finanziarie per gestire i ri- schi, uso dell’ERM e sue eventuali barriere.

I risultati più significativi evidenziano che il 31% delle aziende adotta l’ERM, il 29% è in procinto di farlo mentre il restante 40% non lo adotta. Inoltre le motivazioni che hanno spinto le aziende ad adottare tale modello sono per la maggior parte dovute allo stimolo proveniente del Consiglio di Amministrazione (51%) e solo per il 37% a

105 Kleffner A.E., Lee R.B., Mcgannon B., “The effect of Corporate Governance on the use of Enterprise

Risk Management: evidence from Canada”, Risk Management and Insurance Review, Vol. 6, No. 1, 2003, pp. 53-73 e lo studio di Yusuwan N., Adnan H., Omar A., “Client's Perspective of Risk Management Prac- tice in Malaysian Construction Industry”, Journal of Politics and Law, Vol. 1, No.3, 2008, pp. 121-130.

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seguito dell’istituzione di una serie di regole di compliance da parte della borsa di To- ronto (Toronto Stock Exchange-TSE). Infine, solo in 13 aziende su 37 che adottano l’ERM, è stata riscontrata l’istituzione della figura del CRO.

Quest’ultimo risultato può essere giustificato con il fatto che l’attività di gestione integrata del rischio può essere attribuita a figure già presenti in azienda come il Risk

Manager o il CFO e ribadisce in parte l’affermazione che usare la sola istituzione del

CRO come elemento indicativo della presenza dell’ERM non sia pienamente corretto. Lo studio condotto da Yusuwan, Adnan e Omar (2008) consiste sempre nella som- ministrazione di un questionario, ma a 27 aziende del settore edile malese. Le domande sono suddivise in quattro sezioni: caratteristiche dell’azienda, livello di conoscenza dell’attività di risk management, implementazione del risk management e barriere o op- portunità per l’implementazione.

I maggiori risultati evidenziati sono che un 40,7% dichiara che in azienda è presen- te una comunicazione tra le varie funzioni in merito all’attività di risk management, ma solo un 23,3% dichiara espressamente di aver definito un insieme di regole e procedure attraverso le quali si svolge l’attività di risk management.

Complessivamente, la maggior parte delle aziende riconosce che l’applicazione del- la gestione dei rischi è importante per ridurre l’impatto degli stessi sulle performance, sulla produttività e sulla qualità.

Inoltre, sebbene la maggioranza fosse poco informata sull’attività di gestione del ri- schio, gli autori hanno potuto constatare come a seguito di questo studio le aziende ab- biano appreso l’importanza della stessa.

Sempre in questo filone di analisi merita attenzione anche la ricerca fatta da KPMG106 (2010) che sottopone a 70 aziende italiane di vario tipo un questionario volto a identificare i principali driver, i benefici, i processi e le implicazioni all’introduzione dell’ERM.

I risultati più significativi sono che sebbene il 52% delle interpellate dichiari di aver implementato l’ERM, solo il 43% ha istituito una figura preposta allo svolgimento di tale attività mentre il restante 57% attribuisce questa responsabilità in maniera diffusa o non ha ancora individuato una figura preposta.

106

KPMG, “L’Enterprise Risk Management in Italia”, ricerca svolta in collaborazione con SDA Bocconi re- peribile al sito www.kpmg.com/it, ricerca condotta nel 2010.

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Le principali barriere all’implementazione dell’ERM riscontrate, per il 68%, sono il tempo e i costi del modello. Infine il 63% dichiara che il maggior beneficio attribuibile all’ERM è l’aumento del valore per gli azionisti mentre solo per un 31% è la riduzione del rischio di volatilità dei risultati.

Questi dati permettono di capire come nella realtà italiana sia ancora contenuta l’applicazione dell’ERM, ma permettono anche di comprendere come introdurre o meno questo modello, sembri apparentemente non arrecare benefici in termini di maggior va- lore in questa realtà.

Questo risultato era stato evidenziato anche nella ricerca svolta da Mc Shane, Nair e Rustambekov (2011)107 per i quali il passaggio da un Traditional Risk Management ad un Enterprise Risk Management non incrementa il valore di mercato.

Come si è potuto constatare, questi studi sono solo una mera raccolta di dati quali- tativi che analizzano la percezione dell’ERM.

Altri studi, invece, effettuano un’analisi più specifica al fine di evidenziare i reali benefici del modello in termini ad esempio di valore per l’azienda o di volatilità degli utili. Tra questi, oltre all’ultimo appena citato, meritano attenzione quello di Liebenberg e Hoyt (2003) poiché è il primo di questo filone, e poi quello di Pagach e Warr (2007)108 che ne riprende alcune caratteristiche espandendone i risultati.

Il primo studio ha per riferimento un campione di 26 aziende che nel periodo 1997- 2001 hanno dichiarato, o è stato possibile indentificare, l’istituzione di un CRO. Lo scopo dello studio è di valutare se esiste una relazione tra l’istituzione di questa figura e: la volatilità del prezzo delle azioni, gli incassi, l’opportunità di crescita, l’opacità109

o il

leverage110 dell’azienda.

Per raggiungere lo scopo essi associano ad ogni azienda del campione un’altra di pari caratteristiche, ma che non ha istituito un CRO, e procedono al confronto dei risul- tati.

107

Mcshane M.K., Nair A., rustambekov E.,“Does Enterprise Risk Management Increase Firm Value?”, Journal of Accounting, Auditing & Finance, vol. 26, 2011, pp.641–658

108Liebenberg A. P., Hoyt R. E., “The determinants of Enterprise Risk Management: evidence from the

appointment of chief risk officers”, Risk Management and Insurance Review, Vol. 6, No. 1, 2003, pp. 37- 52; Pagach D., Warr R., “An Empirical Investigation of the Characteristics of Firms Adopting Enterprise Risk Management”, working paper North Carolina State University, 2007.

109

L’opacità esprime di quanto un’azienda è caratterizzata da immobilizzazioni immateriali.

110

Il leverage qui è calcolato come il rapporto tra il valore contabile dei debiti a medio-lungo termine e la somma tra i debiti di medio-lungo periodo e il valore di mercato dell’equity.

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Emerge che più un’azienda è opaca e poco trasparente, più è indotta a introdurre la nuova figura organizzativa. Inoltre, anche la dimensione dell’azienda influenza la scelta poiché più è grande, più è spinta all’adozione del modello.

Infine notano che le aziende caratterizzate da un alto tasso di leverage sono indotte a creare la figura del CRO poiché egli ha la capacità di ridurre i costi legati alla possibi- lità di dissesto attraverso la valutazione di strategie migliori e soprattutto grazie ad un’attenta e maggiore comunicazione al mercato circa la situazione in termini di rischio dell’azienda111

. Questo permette di creare fiducia e quindi facilita il reperimento delle risorse anche mediante azioni, riducendo così l’esposizione verso terzi che risulta essere anche più rischiosa.

A questo studio si associa quello di Pagach e Warr del 2007. Questi autori mirano a migliorare i risultati raggiunti dai loro predecessori soprattutto grazie all’analisi di un campione di aziende molto più ampio e alla considerazione anche delle azioni in pos- sesso del management. Essi ritengono, infatti, che più azioni tale soggetto detenga, più è indotto a volere il bene dell’azienda e quindi dovrebbe essere motivato anche ad intro- durre l’ERM.

Lo scopo di questo studio è sempre quello di valutare quali siano i fattori che pos- sono essere dei drivers all’implementazione dell’ERM ed è stato condotto su 69 aziende analizzate dal 1992 al 2004 per le quali è stato possibile identificarne l’applicazione an- che mediante la creazione della figura del CRO112.

Le variabili esaminate sono classificate in quattro categorie: variabili finanziarie per valutare indirettamente la probabilità di dissesto, variabili legate agli asset per stimare il costo potenziale del dissesto, variabili che misurano le performance di mercato ed infine quelle che valutano gli incentivi dati al management.

I risultati raggiunti sono che aziende con elevata probabilità di dissesto, che ad esempio hanno alto leverage o alta volatilità degli utili, sono più indotte ad istituire la figura del CRO per le sue competenze utili a prevenire tale situazione negativa. Infatti, le aziende con un aumento del 10% del leverage hanno una probabilità del 7,8% di in- trodurre l’ERM e invece, con un aumento della volatilità del 10%, la probabilità sale al 14%. Molto più significativo è l’effetto della dimensione, infatti, ad un suo aumento del

111

Liebenberg A. P., Hoyt R. E., 2003, op. cit.

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10% corrisponde una probabilità del 27% di creare la figura del CRO.

Inoltre, grazie anche alla valutazione della quantità di azioni possedute dal mana- gement, essi confermano la loro idea iniziale poiché dimostrano che più il CEO ha par- tecipazione in azienda più è spinto a voler creare una figura preposta, quale il CRO, per preservare anche il suo investimento. In caso contrario invece, non avendo azioni, non è stimolato ad introdurre l’ERM poiché lo ritiene un costo che va ad inficiare le perfor- mance di breve termine e corrispondentemente anche la sua remunerazione.

L’analisi fin qui esposta permette di individuare i due filoni principali di studi che ben si avvicinano all’idea base delle due fasi elaborate nella ricerca che sarà illustrata in seguito.